Corte di Cassazione, II Sezione Civile, ordinanza 14 ottobre 2021, n. 28075
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’evocazione in sé del giudizio equitativo non solleva il giudice dal dovere di rendere compiuta motivazione, dalla quale sia dato trarre i parametri sulla base dei quali egli si è orientato. I predetti parametri sono costituiti da criteri valutativi collegati a emergenze verificabili, o per lo meno logicamente apprezzabili e, comunque, sempre ragionevoli e pertinenti al tema della decisione. Libero il giudizio finale equitativo, esso, non potendo ridursi a un asserto arbitrario, deve trovare necessaria giustificazione nei criteri e nei parametri, previamente individuati dal giudice, che ne costituiscono l’intelaiatura di legittimità
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il primo motivo del ricorso principale non supera il vaglio d’ammissibilità, valendo quanto segue: – la sentenza, sulla scorta della relazione della ctu, afferma essersi verificato un “abbattimento del fatturato (che) ha prodotto una differenza rispetto al precedente di Euro 90.625,46”, cosicché applicando la pattuita provvigione del 20% “e considerato un o scarto fisiologico per eventuale insolvenza del cliente, nella misura del 3% appare equo liquidare la somma di Euro 22.000,00 in moneta attuale”; – di conseguenza, esclusa la ipotizzata violazione di legge e, comunque, anche l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (peraltro non dedotto) – trattandosi di fatto preso in esame, il vizio rappresentato ha natura revocatoria e, come tale, non censurabile in questa sede.
- Per il secondo motivo del ricorso principale e l’omonimo del ricorso incidentale, pur se diretti a ottenere risultato specularmente opposto, vale quanto segue.
La sentenza, quanto alla liquidazione dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c., a riguardo della quale il Tribunale aveva liquidato in favore dell’agente una differenza ammontante a Euro 117.124,58, fermo restando la spettanza del più favorevole regime (rispetto all’AEC) di cui alla predetta norma, tuttavia ha rideterminato la differenza (a titolo d’indennità di scioglimento del contratto, di clientela e meritocratica), rispetto a quanto già riconosciuto dalla preponente (Euro 147.812,56), affermando che “alla luce degli elementi di fatto valorizzati dal ctu (…)” era “equo ed adeguato” riconoscere in favore dell’agente la minore differenza di Euro 64.137,15.
Il Tribunale, statuendo sul medesimo punto, premettendo che il ctu aveva “accertato che sulla scorta della durata ventennale del rapporto di agenzia fra le parti, tenuto conto anche del considerevole numero dei clienti apportati dall’agente al preponente e considerato, altresì, il fatturo derivante dai clienti E. negli ultimi 8 anni (aveva ritenuto) applicabile il disposto di cui all’art. 1751 c.c., in quanto più favorevole all’agente rispetto al dettato di cui all’AEC applicabile” e, in base alla richiamata norma aveva determinato una differenza indennitaria ammontante a Euro 117.124,58. 2.i.
Il secondo motivo del ricorso principale è fondato. La Corte d’appello, dopo aver condiviso col Tribunale i positivi e specifici apprezzamenti sull’operato dell’agente, tratti dalla relazione del ctu, con un mero e anodino richiamo all’equità, ne riduce drasticamente e immotivatamente l’ammontare.
L’evocazione in sé del giudizio equitativo, osserva la Corte, non solleva il giudice dal dovere di rendere compiuta motivazione, dalla quale sia dato trarre i parametri sulla base dei quali egli si è orientato. I predetti parametri sono costituiti da criteri valutativi collegati a emergenze verificabili, o per lo meno logicamente apprezzabili e, comunque, sempre ragionevoli e pertinenti al tema della decisione. In altri termini, libero il giudizio finale equitativo, esso, non potendo ridursi a un asserto arbitrario, deve trovare necessaria giustificazione nei criteri e nei parametri, previamente individuati dal giudice, che ne costituiscono l’intelaiatura di legittimità.
Nel caso in esame la Corte d’appello, per contro, si limita a un anodino e nudo richiamo all’equità, che si pone, peraltro, in aperto contrasto con l’accertamento peritale posto a base del giudizio estimativo del Tribunale. La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016).
A tale ipotesi, chiosa ancora la Corte, deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo a priori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Alla luce dei richiamati principi, sul punto, la sentenza della Corte di Milano deve essere dichiarata nulla, poiché sorretta da un costrutto motivazionale di pura ed evidente apparenza, attraverso il quale il giudice si è illegittimamente sottratto al dovere di spiegare le ragioni della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilità del percorso argomentativo, che non può ridursi al nudo atto di libera, anzi arbitraria, manifestazione del volere, avendo il giudice il dovere di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, non essendo bastevole una sommaria evocazione priva di un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (in tal senso, da ultimo, Cass. nn. 9105/2017, 20921/2019, 13248/2020).
Appare necessario enunciare il principio di diritto al quale il Giudice del rinvio dovrà attenersi al riguardo: “L’evocazione in sé del giudizio equitativo non solleva il giudice dal dovere di rendere compiuta motivazione, dalla quale sia dato trarre i parametri sulla base dei quali egli si è orientato. I predetti parametri sono costituiti da criteri valutativi collegati a emergenze verificabili, o per lo meno logicamente apprezzabili e, comunque, sempre ragionevoli e pertinenti al tema della decisione. Libero il giudizio finale equitativo, esso, non potendo ridursi a un asserto arbitrario, deve trovare necessaria giustificazione nei criteri e nei parametri, previamente individuati dal giudice, che ne costituiscono l’intelaiatura di legittimità”.
2.2. L’accoglimento del motivo assorbe il profilo di censura con il quale la E. assume che la preponente aveva introdotto tema nuovo di discussione.
2.3. Per converso, precisa la Corte, lo speculare motivo incidentale è infondato, stante che l’attribuzione dell’indennità meritocratica non è frutto di arbitrarietà ma scaturisce dalle emergenze di causa illustrate dal ctu.
- Il terzo motivo principale non supera il vaglio d’ammissibilità, essendo diretto a un improprio riesame di merito, al quale rimanda chiaramente. La dedotta violazione di norme sostanziali, piuttosto palesemente, la critica, qui risulta inammissibilmente diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
- Il quarto motivo del ricorso principale, conclude la Corte, è infondato. Le note di credito, le quali possono essere scaturite da una pluralità di ragioni, non sono necessariamente dimostrative della volontà della preponente e del terzo di non dare esecuzione al contratto; per contro, sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare che le parti si erano accordate per non dare esecuzione al contratto tutte le volte in cui risultava essere stata emessa nota di credito. Ne’, essa può pretendere di assolvere a un tale onere perorando una indagine esplorativa ad ampio raggio;
- Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato sotto entrambi i profili. Quanto al primo (diritto di esclusiva per le vendite alle librerie), la WKI, al contrario di quel che riporta la sentenza, aveva contestato la debenza di provvigioni sulla base del contratto d’agenzia, avendo impugnato il capo della sentenza di primo grado con il quale erano state riconosciute le provvigioni per le predette vendite, in asserito contrasto con l’art. 1 del contratto d’agenzia. Quanto al secondo (contratti di vendita di prodotti affini, ma con diverso marchio, distribuiti dagli agenti ex (omissis) e (omissis)), la E. non risulta che abbia specificamente impugnato sul punto la sentenza del Tribunale, che le aveva negato l’indennità per violazione dell’esclusiva.
- Il quinto motivo resta assorbito dal parziale accoglimento dei due ricorsi.
- Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.