Corte Costituzionale, sentenza 29 ottobre 2021 n. 208
Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– La questione è ammissibile, le eccezioni formulate dall’Avvocatura generale dello Stato attenendo, in realtà, ai profili di merito della decisione, come di seguito precisato.
3.– Essa, tuttavia, non è fondata.
3.1.– Anzitutto, occorre sottolineare che – come giustamente rilevato dalla difesa statale – le risultanze di una perizia assunta in incidente probatorio, relativa allo stato mentale dell’imputato al momento del fatto, attendono ancora di essere valutate dal giudice ai fini della decisione, e non assurgono certo al valore di prova “incontrovertibile” in giudizio, come assume invece il rimettente. Quale che sia il rito adottato – giudizio abbreviato o dibattimento –, le parti avranno infatti piena facoltà di porre in discussione le valutazioni peritali, eventualmente attraverso propri consulenti tecnici, e il giudice potrà sempre motivatamente discostarsi da quelle valutazioni, eventualmente previa nomina di un diverso perito. Così come sarà evidentemente possibile, per le parti, chiedere l’ammissione di prove e discutere su quelle acquisite in relazione a tutti gli altri elementi – positivi e negativi – del reato, a cominciare dalla sua effettiva commissione da parte dell’imputato.
La questione che questa Corte è chiamata a decidere è, piuttosto, se debba essere giudicata manifestamente irragionevole la scelta legislativa di imporre la celebrazione del rito ordinario di fronte a una corte di assise, anche laddove la prova dei fatti costitutivi del reato e delle circostanze che escludono la responsabilità dell’imputato – come, appunto, il vizio totale di mente – sia (non già incontrovertibile, ma) particolarmente agevole, sulla base delle risultanze di una perizia assunta mediante incidente probatorio.
3.2.– Il rimettente muove dall’assunto – reiterato nella recente sentenza di questa Corte n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 10.2.) – secondo cui «una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. potrà essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)».
Il giudice a quo ritiene, per l’appunto, che in un caso come quello all’esame la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in corte d’assise non abbia alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali non funzionale ad alcuna esigenza della difesa dell’imputato nonché, dal punto di vista dell’intero ordinamento, in un «inutile dispendio di preziose risorse organizzative».
3.3.– La sentenza n. 260 del 2020 ha già affrontato, e risolto negativamente, la questione se la disposizione all’esame violi l’art. 111, secondo comma, Cost., confrontandosi specificamente con l’argomento dell’asserita inutilità di un dibattimento pubblico nell’ipotesi in cui i fatti siano di agevole accertamento, ad esempio per essere intervenuta la piena confessione dell’imputato.
L’ipotesi ora all’esame del giudice rimettente è parimenti caratterizzata da fatti agevolmente accertabili, sebbene il prevedibile esito del processo in questo caso sia l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, sulla base delle risultanze della perizia assunta in incidente probatorio. Ciò, ad avviso del rimettente, priverebbe di senso l’obbligo di celebrare il dibattimento anche sotto il profilo del quantum della sanzione, posto che all’imputato dovrebbe al più essere applicata una misura di sicurezza, la cui durata non dipende dalla tipologia del rito con il quale il processo sarà celebrato.
La sentenza n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 7.6.) ha peraltro già sottolineato come tra le finalità ispiratrici della legge n. 33 del 2019 non vi fosse solo quella (emersa nella proposta di legge C. 392 del 27 marzo 2018) di conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l’ergastolo, ma anche quella (evidenziata nella parallela proposta di legge C. 460 del 3 aprile 2018, poi assorbita nella prima) che rispetto ai reati più gravi previsti dall’ordinamento sia celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità».
Quest’ultima finalità non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile – in particolare perché non imputabile –, ma rispetto ai quali l’ordinamento può comunque avere interesse a svolgere un processo pubblico avanti a una corte a composizione mista, con «partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia» (art. 102, terzo comma, Cost.).
Il perseguimento di tale finalità rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali non è consentito a questa Corte sovrapporre la propria autonoma valutazione.
Si deve pertanto ribadire, in questa sede, come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili, e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità » (sentenza n. 260 del 2020, Considerato in diritto, punto 7.6.), restando ferma la possibilità per la corte d’assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell’eventuale consenso dell’imputato all’acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento.