Cass. civ., II, sent., 01.12.2021, n. 37736
PRINCIPI DI DIRITTO
- In tema di computo dei termini processuali, ai fini della tempestiva costituzione del convenuto in primo grado, a norma dell’art. 166 c.p.c., necessaria per la proposizione di domande riconvenzionali e per la chiamata in causa di un terzo, nell’ipotesi in cui il giorno dell’udienza di comparizione indicato nell’atto di citazione sia festivo, deve aversi riguardo al primo giorno non festivo successivo alla data fissata nella citazione, in applicazione dell’art. 155, comma 4, c.p.c..
- In materia di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, nè una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva.
- Solo quando il comproprietario sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che utilizzi il bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus” (senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune).
- Solo il compossessore “pro indiviso” di un immobile, che poi consegua il possesso esclusivo di fatto ed incontestato di una porzione di esso in esito a divisione, può invocare, ai fini dell’usucapione di tale porzione, anche il precedente compossesso, in virtù della sopravvenuta qualità di successore nel compossesso degli altri condividenti e della possibilità, prevista dall’art. 1146, comma 2, c.c. di accessione del proprio possesso a quello esercitato dai condividenti medesimi.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 2697 c.c., per difetto assoluto di prova in ordine al momento in cui sarebbe iniziato il possesso utile ai fini dell’usucapione e dello stesso animus possidendi, considerandosi la mancanza dell’animus usucapiendi riscontrabile nella vendita del solo 50% indiviso del lastrico solare, laddove se la F.R. avesse voluto effettivamente usucapire la metà di essa ricorrente avrebbe alienato alla società IM.LO.NI. l’intero lastrico solare.
- Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 1158 c.c., non potendo l’inizio del possesso utile ai fini dell’usucapione coincidere con la data di stipula di un atto notarile in cui le parti avevano affermato che la divisione delle due proprietà sarebbe stata da loro effettuata dopo il decesso dell’usufruttuaria P.A., facendo risalire detta data da un momento successivo, non indicato nell’atto per notar C. del 5 maggio 1973 e non risultante dagli atti di causa.
- Con la terza doglianza la ricorrente ha prospettato – con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., con riferimento all’errata interpretazione del citato atto di divisione per notar C. in cui le sorelle F. avevano dichiarato che si immettevano solo nel possesso di diritto delle rispettive proprietà, in quella sede suddivise, ma non in quello di fatto.
- Con il quarto mezzo la ricorrente ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 1362 c.c., per aver la Corte di appello ritenuto, con ragionamento viziato da ultrapetizione e comunque contrario alle risultanze dell’indicato atto per notar C., che la comproprietà del lastrico solare non era mai appartenuta a F.R. e per erronea interpretazione dello stesso atto in cui non veniva affermata tale circostanza, poiché le proprietà comuni non erano state investite dall’atto di divisione ed il riferimento al ripostiglio sul lastrico solare costituiva bene diverso dall’attribuzione della metà indivisa dell’intero lastrico.
- Con il quinto motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – il vizio di omessa pronuncia sul fatto storico che i soggetti usucapienti F.A. e C.F. avevano alienato (con atto notarile del 23 gennaio 2003) in favore della società IM.LO.NI., la quale aveva acquistato, solo il 50% dei diritti di comproprietà del lastrico solare di cui l’acquirente aveva rivendicato in giudizio la piena proprietà.
- Con la sesta censura la ricorrente ha lamentato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 1362 c.c. con riguardo al testo contrattuale dell’atto per notar C. del 1973 e della stessa interpretazione della c.t.u. espletata in secondo grado nella parte in cui aveva affermato che non vi era alcuna possibilità di accesso dalla proprietà R. al lastrico solare del secondo piano, nel mentre dalla relazione del c.t.u. il riferimento era chiaramente rivolto all’ingresso diretto, prima esistente, tra il locale a piano terra e l’androne delle scale che portava al lastrico, mentre doveva considerarsi permanente il diritto di accesso di essa ricorrente attraverso il portone e il vano scala che, sebbene di proprietà di F.A., permettevano l’accesso ai sensi dell’art. 1117 c.c., mettendosi in rilievo che nella relazione dello stesso c.t.u. si era sostenuto che non era dato conoscere l’epoca successiva in cui si era proceduto alla chiusura delle porte descritte nell’atto di divisione e, consequenzialmente, ad eliminare la comunicazione tra le quote assegnate a F.A. e F.R..
- Con il settimo motivo la ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c., per mancato rilievo della tardività della proposizione dell’avversa domanda riconvenzionale siccome depositata oltre il termine di 20 giorni rispetto all’udienza fissata, avendo la Corte di merito dichiarato l’assorbimento della relativa eccezione, mentre il Tribunale l’aveva ritenuta infondata errando nel conteggio del termine a ritroso, calcolandolo con riferimento alla prima udienza effettiva e non rispetto a quella indicata in citazione e, comunque, perché l’appellata si era costituita tempestivamente in sede cautelare.
- Con l’ottava doglianza la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 184 c.p.c., nella parte in cui aveva ritenuto ammissibile una prova orale articolata solo nella memoria di replica di cui all’art. 183 c.p.c., senza averne nemmeno fatto riserva nella precedente memoria.
- Con il nono mezzo la ricorrente ha lamentato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 246 c.p.c., nella parte in cui aveva ritenuto capaci i testi F.A. e C.F. , che avevano venduto alla società IM.LO.NI. solo la metà indivisa del lastrico solare, sostenendo in giudizio di aver usucapito la metà non venduta ma di fatto acquisita.
- Con il decimo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 2722 c.c., nella parte in cui, con ordinanza del 10 febbraio 2007, era stata ammessa una prova orale su circostanze contrarie a quelle riportate nell’atto pubblico per notar S. del 27 gennaio 2003, laddove si era attestato che i venditori avevano alienato alla società acquirente solo il 50% indiviso del lastrico solare, mentre in giudizio era stata resa testimonianza nel senso che era stato usucapito anche il restante 50% dello stesso lastrico.
- Con l’undicesimo mezzo la ricorrente ha dedotto – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione degli artt. 1102,1158 e 1164 c.c., con riferimento all’assunto che la Corte territoriale aveva illegittimamente ritenuto che era stata usucapita la proprietà di una porzione di bene in compossesso senza che il soggetto agente in usucapione avesse dimostrato di aver compiuto atti di interversione del possesso.
- Con la dodicesima doglianza la ricorrente ha prospettato – ancora con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione degli artt. 1168,1223 e 2043 c.c., nonché dell’art. 96 c.p.c., con riferimento al mancato accertamento del danno subito da essa ricorrente.
- Con il tredicesimo motivo la ricorrente ha sostenuto che avrebbe dovuto essere revocato l’ordine di trascrizione della sentenza di primo grado che aveva ritenuto di accogliere la domanda riconvenzionale di usucapione.
- Con il quattordicesimo ed ultimo motivo la ricorrente ha – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – dedotto la violazione dell’art. 96 c.p.c., per la temeraria condotta della lite da parte della società IM.LO.NI., che aveva sostenuto in giudizio tesi assolutamente contrarie a quelle del titolo di proprietà in forza del quale si era immessa nel possesso del bene controverso.
- Rileva il collegio che è all’evidenza pregiudiziale l’esame del settimo motivo del ricorso, involgente una preliminare questione processuale, in cui la ricorrente ribadisce che aveva (nella prima udienza di comparizione e trattazione) tempestivamente eccepito la tardività della proposta domanda riconvenzionale di usucapione (domanda poi accolta dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto infondata tale eccezione), che la Corte di appello, con l’impugnata sentenza, aveva ritenuto assorbita, decidendo sul merito del gravame.
La censura è riferita all’asserita violazione dell’art. 167 c.p.c., sul presupposto della prospettata inosservanza del termine di 20 giorni stabilito da detta norma per la proposizione della domanda riconvenzionale, termine che, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere computato a ritroso avendo come riferimento la data indicata nella citazione come prima udienza del 25 febbraio 2007, che cadeva di domenica, e non potendosi avere riguardo al giorno feriale successivo.
Il motivo è infondato perché nella fattispecie deve trovare applicazione il principio secondo cui, in tema di computo dei termini processuali, ai fini della tempestiva costituzione del convenuto in primo grado, a norma dell’art. 166 c.p.c., necessaria per la proposizione di domande riconvenzionali e per la chiamata in causa di un terzo, nell’ipotesi in cui il giorno dell’udienza di comparizione indicato nell’atto di citazione sia festivo (come verificatosi nella vicenda processuale di cui trattasi), deve aversi riguardo al primo giorno non festivo successivo alla data fissata nella citazione (quindi al lunedì rispetto alla domenica), in applicazione dell’art. 155 c.p.c., comma 4 (cfr. Cass. n. 3132/2012).
Orbene – a seguito dell’esame degli atti processuali (consentito anche in questa sede versandosi nell’ipotesi della denunzia di un vizio “in procedendo”) – è emerso che la convenuta IM.LO.NI. si era costituita nel giudizio di primo grado con comparsa di risposta, contenente anche la domanda riconvenzionale di usucapione, depositata in cancelleria il 6 febbraio 2007 rispetto alla data indicata in citazione corrispondente a domenica 25 febbraio 2007, da considerarsi, però, slittata “ex lege” al primo giorno feriale successivo, ovvero a lunedì 26 febbraio 2007 (da non ricomprendere nel calcolo ai sensi dell’art. 155, comma 1, c.p.c.). Pertanto, computando a ritroso il termine di venti giorni per la tempestiva costituzione in giudizio della convenuta, ne discende che quest’ultima era avvenuta proprio entro l’ultimo giorno utile fissato dal citato art. 166 c.p.c. (ovvero entro il 6 febbraio 2007).
- Passando alla disamina degli altri motivi dedotti con il ricorso, ritiene il collegio che – nell’economia complessiva degli stessi – meriti accoglimento il coacervo delle connesse censure riportate nei motivi 3, 4, 5, 6 e 11, per le ragioni che seguono, restando assorbite tutte le altre.
Dall’impostazione della causa fin dall’atto introduttivo, data per presupposta la correttezza della ricostruzione della vicenda fattuale come riportata in narrativa, è emerso che l’attuale ricorrente aveva agito in rivendicazione per il riconoscimento della comproprietà indivisa del lastrico solare dedotto in causa ancorché la sua dante causa F.R. fosse risultata assegnataria – in virtù dell’atto di divisione volontaria per notar C. del 5 maggio 1973 – della quota ideale del 50%, pur con le attribuzioni distinte in proprietà esclusive delle porzioni immobiliari site al pianterreno (in favore della stessa F.R. ) e del primo piano (in favore della sorella F.A. ).
Orbene, come specificamente rappresentato dalla ricorrente, in detto atto notarile di divisione non era stata affatto prevista l’attribuzione della nuda proprietà (poi consolidatasi in proprietà piena) esclusiva del lastrico solare in capo ad una delle due parti e le stesse avevano anche dichiarato che, da quel momento, si immettevano nel possesso di diritto delle rispettive quote, escludendosi, quindi, che si fosse proceduto anche ad una divisione di fatto dell’originaria comproprietà comune. E che la comproprietà sul lastrico doveva considerarsi persistente è dimostrato anche dalla circostanza che nel citato atto notarile di provenienza si faceva riferimento soltanto all’attribuzione, in favore della F.A., di un “vano ripostiglio sul lastrico solare”, che l’odierna ricorrente, quale avente causa della F.R., non aveva mai inteso rivendicare per sé, senza che, quindi, fossero stati mai messi in discussione i diritti condominiali sull’intero lastrico solare.
Quindi la Corte di appello di Bari è incorsa nelle violazioni complessivamente denunciate con gli indicati motivi nella parte in cui ha errato nell’interpretazione del suddetto atto di divisione, sostenendo che la nuda proprietà del lastrico solare fosse stata attribuita in via esclusiva alla F.A. con esclusione di ogni diritto da parte della F.R., in senso contrario alla sussistente e permanente comproprietà del lastrico in capo alle condividenti.
Inoltre, il giudice di secondo grado ha del tutto obliterato di considerare – come pure era stato fatto specificamente presente con l’atto di appello dell’odierna ricorrente in relazione al prodotto atto pubblico per notar S. del 27 gennaio 2003 – che F.A. e C.F. avevano venduto alla società oggi intimata solo il 50% della comproprietà rimasta indivisa del lastrico solare in questione, il cui accesso non era rimasto del tutto escluso alla F.R., prima, e all’attuale ricorrente (sua avente causa), poi, per come rimasto accertato anche a seguito degli accertamenti in loco eseguiti dal c.t.u..
Nonostante questa successione di vicende traslative e l’accertata permanenza della proprietà condominiale del lastrico solare (ancorché con l’attribuzione della quota ideale per metà in favore di ciascuna delle condividenti), la Corte di appello ha ritenuto che si erano venuti a configurare i requisiti in capo alla società acquirente (da F.A. e C.F. ) IM.LO.NI. per la maturazione dell’usucapione in favore della stessa, sommando il (presunto) possesso esclusivo della dante causa F.A. (quantomeno dal 10 aprile 1983, allorquando le due sorelle F. avevano acquisito la piena proprietà delle rispettive porzioni che si erano divise in precedenza con riferimento alla nuda proprietà prima del decesso del coniuge del testatore) a quello poi dalla stessa acquirente goduto e per effetto del quale aveva ritenuto legittimo edificare sul lastrico le opere contestate dalla R.M..
Così ricostruiti i termini della vicenda, il giudice di appello ha, però, del tutto eluso l’applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (ai quali dovrà uniformarsi il giudice di rinvio), in virtù dei quali, in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, nè una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (cfr. Cass. n. 5226/2002 e n. 11903/2015).
Del resto, è noto che solo quando il comproprietario sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che utilizzi il bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus” (senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune), aspetti fattuali, questi, che sono rimasti del tutto inesplorati nella vicenda giudiziale di cui trattasi, non essendo stato appurato che un possesso esclusivo della F.A. sussistesse prima della divisione e si sia protratto dopo fino alla vendita della propria quota in favore della società intimata e da quest’ultima ulteriormente proseguito (ai fini dell’eventuale maturazione dell’usucapione), non essendo inequivocamente mai venuto meno il titolo della comproprietà indivisa sul controverso lastrico solare.
Peraltro, va evidenziato sul piano generale che solo il compossessore “pro indiviso” di un immobile, che poi consegua il possesso esclusivo di fatto ed incontestato di una porzione di esso in esito a divisione, può invocare, ai fini dell’usucapione di tale porzione, anche il precedente compossesso, in virtù della sopravvenuta qualità di successore nel compossesso degli altri condividenti e della possibilità, prevista dall’art. 1146 c.c., comma 2, di accessione del proprio possesso a quello esercitato dai condividenti medesimi.
- In definitiva, previo rigetto del settimo motivo, il ricorso va accolto nei sensi precedentemente specificati e con riferimento agli individuati motivi (assorbito nel resto), con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi ai principi di diritto precedentemente enunciati (rivalutando l’intera vicenda fattuale, anche sul piano probatorio), provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.