Corte Costituzionale, sentenza 24 dicembre 2021 n. 259
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, secondo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza rispetto alla definizione del giudizio principale, in quanto l’ordinanza di rimessione muoverebbe da un presupposto interpretativo erroneo, per avere escluso la configurabilità della circostanza di cui all’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen.; si dovrebbe perciò ravvisare un concorso fra due delle circostanze prevedute dall’art. 625, primo comma, cod. pen., con conseguente applicazione della prima ipotesi dell’art. 625, secondo comma, cod. pen.
2.1.– Tale eccezione va disattesa.
Il rimettente ha escluso che fosse ravvisabile la circostanza aggravante dell’art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen., non risultando accertato che la commissione del furto fosse avvenuta all’interno del mezzo di trasporto pubblico, e non già sulla banchina della fermata, e dovendo, pertanto, escludersi l’applicabilità dell’aggravante nel caso concreto.
In tal senso, la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo da parte dell’ordinanza di rimessione consente comunque il controllo “esterno” sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, risultando non implausibile la motivazione relativa al preliminare percorso logico compiuto e alle ragioni per le quali il giudice rimettente afferma di dover applicare la disposizione censurata nel giudizio principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 207, n. 181, n. 59 e n. 32 del 2021, n. 267, n. 224 e n. 32 del 2020).
3.– Le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze sono, tuttavia, inammissibili sotto un diverso profilo.
4.– Va premesso che i limiti edittali di pena previsti per il reato di furto sono stati più volte oggetto di questioni di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.
4.1.– Già nella sentenza n. 22 del 1971, questa Corte, investita di questione avente ad oggetto i massimi edittali degli artt. 624 e 625 cod. pen. in rapporto agli artt. 3 e 27 Cost., si diceva consapevole «che la severità delle pene previste dal codice vigente per il furto – specie con aggravanti speciali: articolo 625 – è vivacemente criticata in dottrina», ma replicava che «la questione esula da un qualsivoglia riscontro di costituzionalità, poiché attiene a scelte di politica legislativa, sottratte al sindacato di questa Corte», pur riconoscendo che tali scelte erano state operate in un altro clima storico e sociale e apparivano non più attuali rispetto alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni di altri beni.
4.2.– Tale impostazione si trova ribadita nella sentenza n. 18 del 1973, a proposito dell’obbligo di applicare congiuntamente la pena detentiva e quella pecuniaria in base all’art. 624 cod. pen.: «rientra nel potere discrezionale del legislatore la determinazione della entità della pena edittale (sia essa soltanto detentiva, soltanto pecuniaria o, congiuntamente, detentiva e pecuniaria); né il relativo apprezzamento di politica legislativa può formare oggetto di censura da parte di questa Corte, “all’infuori dell’eventualità (…) che la sperequazione assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da ogni, benché minima, giustificazione” (così la motivazione della sentenza n. 109 del 1968)».
4.3.– La questione è stata poi riesaminata nella sentenza n. 268 del 1986, concernente l’attribuzione al pretore della competenza per il reato di furto aggravato consumato e tentato. Secondo tale pronuncia, «[c]he il delitto di furto aggravato, specie se qualificato dal concorso di due aggravanti, fosse considerato dal codice Rocco di rilevante gravità, non può essere messo in dubbio. Non solo, esso era – com’è – punito con la reclusione da tre a dieci anni, ma per di più, in forza del disposto originario di cui [all’ultima parte] dell’art. 69 cod. pen., nella commisurazione della pena il giudice era privato della possibilità di bilanciare le aggravanti con il concorso di eventuali attenuanti, in quanto per quelle circostanze la legge determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato».
Si osservava tuttavia in quella sentenza: «[t]utto questo, però, come la dottrina ha da tempo messo in luce, corrispondeva all’ideologia dell’epoca che aveva posto l’“avere” al centro dell’ordinamento. […] Ma l’avvento della Costituzione della Repubblica ha radicalmente mutato la considerazione che l’ordinamento attribuisce rispettivamente ai valori dell’“essere” e dell’“avere”. La persona umana, infatti, è venuta incondizionatamente in primo piano in tutte le sue manifestazioni di libertà, mentre la tutela della proprietà privata è subordinata alla funzione sociale».
Non di meno, la sentenza evidenziava come il legislatore, in ritardo nell’affrontare una riforma integrale del codice penale che potesse adeguarsi alla diversa considerazione del Costituente, si fosse affidato prevalentemente al potere discrezionale del giudice, essenzialmente con la modificazione del quarto e del quinto comma dell’art. 69 cod. pen., nel senso di eliminare le limitazioni poste al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Infatti, «con la nuova formulazione dell’art. 69 cod. pen., le aggravanti del furto possono essere neutralizzate anche dalle sole attenuanti generiche che, se del caso, il giudice può persino dichiarare prevalenti. La gravità di questo delitto è attualmente, perciò, soltanto nell’astratta comminazione della pena, ma non lo è più nella realtà dell’esperienza giuridica, come ben dimostra la casistica giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali».
4.4.– Più di recente, le questioni sul trattamento sanzionatorio delle fattispecie incriminatrici del furto sono state affrontate da questa Corte non soltanto nell’ottica dei giudizi di valore che cadono sui beni tutelati dall’ordinamento, ma altresì nel più ampio contesto del sindacato di legittimità costituzionale circa la complessiva proporzionalità delle scelte legislative in ordine al quantum di pena. Il controllo di legittimità è stato, invero, sollecitato pure prescindendo dalla ricerca di una giusta simmetria tra le sanzioni del furto e le sanzioni di distinti reati, e prestando piuttosto attenzione al rapporto tra la misura della pena censurata ed il disvalore in sé del fatto.
4.4.1.– In particolare, le cornici edittali delle pene stabilite per il reato di furto aggravato sono state di nuovo esaminate nella sentenza n. 136 del 2020, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).
Invero, per effetto di tali modificazioni, entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto pluriaggravato) continuano ad essere punite con la pena congiunta della reclusione e della multa, ma mentre la reclusione è prevista per il delitto pluriaggravato in misura più elevata, sia nel minimo che nel massimo, ciò non è per la pena pecuniaria perché, a fronte del minimo di euro 206 tuttora stabilito dall’art. 625, secondo comma, cod. pen. per il furto pluriaggravato, il minimo della multa è previsto, all’opposto, nella misura di euro 927 per la fattispecie meno grave.
Questa Corte ha tuttavia ritenuto inammissibili le questioni allora sollevate nei confronti dell’art. 625, primo comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e la richiesta di correzione dell’asimmetria riscontrata con una pronuncia additiva sostitutiva della pena pecuniaria del delitto di furto monoaggravato.
Ciò sulla base in particolare del rilievo che il giudice rimettente aveva «argomentato le sue censure considerando soltanto la pena della multa e omettendo di tener conto anche del divario del minimo della pena detentiva prevista per le ipotesi del furto monoaggravato e di quello pluriaggravato (rispettivamente dal primo e secondo comma dell’art. 625 cod. pen.); divario, pari a un anno di reclusione in più per il furto pluriaggravato, certamente coerente per la maggiore gravità di quest’ultimo rispetto al furto monoaggravato».
4.4.2.– Da ultimo, la sentenza n. 117 del 2021, nel dichiarare, fra l’altro, inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen., sollevate riguardo all’eccessività del minimo edittale di pena detentiva e all’omessa previsione di una fattispecie attenuata di reato, sempre in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., ha riaffermato che le valutazioni discrezionali di dosimetria penale competono in via esclusiva al legislatore, chiamato dalla riserva di legge ex art. 25 Cost. a stabilire il grado di reazione dell’ordinamento al cospetto della lesione di un determinato bene giuridico, limitandosi il sindacato di legittimità costituzionale ad incidere su scelte sanzionatorie arbitrarie o manifestamente sproporzionate. Non di meno, come già fatto con la sentenza n. 190 del 2020, anche in tale occasione questa Corte ha inteso rimarcare che il rapido e significativo incremento dei valori edittali dei reati contro il patrimonio segnala una pressione punitiva ormai estremamente rilevante e «richiede perciò attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato».
5.– La frequenza degli interventi sollecitati a questa Corte con riguardo al regime sanzionatorio del reato di furto, ed in particolare a quello previsto nel primo e nel secondo comma dell’art. 625 cod. pen. rispettivamente per il furto “monoaggravato” e “pluriaggravato”, fa eco al risalente dibattito dottrinale che segnala tale disciplina come ipotesi emblematica del rigore eccessivo della tutela apprestata dal codice Rocco al patrimonio, così tradendo pure le esigenze di sussidiarietà dello strumento penale.
L’art. 625 cod. pen. viene sovente criticato anche per la imperfetta formulazione, che propende verso criteri descrittivi di tipo esasperatamente casistico, tali da rendere, in rapporto alla normalità empirica del delitto di furto, tutt’altro che eccezionale nella pratica la commissione di un furto pluriaggravato, stanti le innumerevoli possibili combinazioni tra i gruppi di aggravanti speciali e le tante aggravanti comuni che si desumono dall’art. 61 cod. pen., con correlati dubbi di reciproca compatibilità.
La disposizione in esame porta, inoltre, a complesse controversie interpretative sul calcolo della pena nei casi di concorso fra più circostanze aggravanti previste sotto lo stesso numero dell’art. 625, primo comma, cod. pen., o di concorso di una sola circostanza ad effetto speciale e di due, o più, circostanze comuni.
Se è indubbio che un miglioramento dello stato delle cose sia derivato dall’estensione del giudizio di comparazione alle circostanze speciali, in forza del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, non può peraltro dirsi che tale meccanismo di carattere generale abbia del tutto posto rimedio alla incongruità del trattamento punitivo del reato di furto posto a confronto con fattispecie che tutelano altri beni, come l’integrità fisica, di maggior rilievo rispetto al patrimonio nella scala dei valori desumibile dalla Costituzione.
6.– Le censure sollevate dal Tribunale di Firenze, come premesso, denunciano sia l’irragionevolezza intrinseca della cornice edittale dell’art. 625, secondo comma, cod. pen., reputata eccessiva per un reato che offende il patrimonio, sia l’irragionevolezza estrinseca della deroga che la seconda ipotesi della disposizione censurata apporta rispetto al regime ordinario del concorso tra circostanze comuni e speciali di cui all’art. 63, terzo comma, cod. pen. L’irragionevolezza attribuita all’art. 625, secondo comma, cod. pen. dal rimettente si sintetizza nella frase secondo cui, in forza della norma denunciata, tutte «le circostanze aggravanti comuni di cui all’art. 61 c.p. diventano ad effetto speciale».
6.1.– In realtà, la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro è fissata nel secondo comma dell’art. 625 cod. pen. in base al modello delle cosiddette “circostanze indipendenti”, ovvero delle circostanze per le quali la legge determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato, modello che, seppur scomparso dal testo dell’art. 63 cod. pen. dopo le modifiche apportate dalla legge 31 luglio 1984, n. 400 (Nuove norme sulla competenza penale e sull’appello contro le sentenze del pretore), è tuttora riconosciuto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. in tema di concorso eterogeneo.
La diposizione censurata determina, dunque, la misura della pena del furto pluriaggravato imponendo limiti edittali autonomi da quelli stabiliti per il furto semplice e per il furto monoaggravato. In tal senso, l’identico trattamento sanzionatorio che il secondo comma dell’art. 625 cod. pen. riserva alle fattispecie di concorso di due o più circostanze speciali del furto o di una circostanza speciale con una circostanza comune è frutto di una scelta legislativa propensa ad una considerazione unitaria della condotta di volta in volta incriminata, nella quale la circostanza aggravante comune diviene elemento essenziale di un distinto reato aggravato tipico.
6.2.– Né è senza rilievo il fatto che identica tecnica normativa è stata utilizzata dal legislatore sia allorquando, con la legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), è intervenuto per configurare quali reati autonomi il furto in abitazione e il furto con strappo (art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.), sia ancora quando, con la già citata legge n. 103 del 2017, ha inteso rendere più severa la pena per il reato di rapina (art. 628, quarto comma, cod. pen.). Appare, dunque, evidente come la regola oggetto del dubbio di legittimità costituzionale – già inserita nella formulazione originaria dell’art. 625 cod. pen. – rappresenti una reiterata opzione di politica criminale volta ad individuare, per i menzionati delitti contro il patrimonio, una disciplina unitaria del concorso delle aggravanti, siano esse ad effetto speciale o comuni, opzione di per sé non manifestamente irragionevole ed alla quale il sollecitato intervento di questa Corte finirebbe inammissibilmente per sovrapporsi.
6.3.– Nella prospettiva da ultimo delineata, la declaratoria di illegittimità costituzionale auspicata dal rimettente darebbe, invero, luogo in via interinale ad un parziale nuovo quadro sanzionatorio del furto pluriaggravato nel suo rapporto con il furto monoaggravato (con le evidenziate ricadute su altre ipotesi delittuose), facendo venire meno la considerazione unitaria della specifica fattispecie delittuosa del furto pluriaggravato, di cui sia elemento essenziale una circostanza aggravante comune; intervento, questo, che si surrogherebbe in maniera comunque assai limitata alla ben più ampia riforma di sistema della disciplina sanzionatoria che l’art. 625 cod. pen., e in generale i reati contro il patrimonio, attendono, come ricordato, ormai da decenni.
7.– Per quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze nei confronti dell’art. 625, secondo comma, cod. pen. devono essere dichiarate inammissibili.