Corte Costituzionale, sentenza 02 dicembre 2021 n. 232
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 317-bis del codice penale, nel testo anteriore alle modifiche recate dall’art. 1, comma 1, lettera m), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione sesta penale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
3.– Le questioni sono inammissibili, sia pure per ragioni parzialmente diverse da quelle argomentate dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.1.– La menzionata legge n. 3 del 2019, anche se nel caso di specie non rilevano le modifiche da essa direttamente apportate alla disposizione censurata, ha introdotto ulteriori elementi di novità nel quadro normativo, incidendo anche sugli artt. 444 e 445 cod. proc. pen.
Per effetto dell’art. 1, comma 4, lettera d), della legge in questione, è stato aggiunto al corpo dell’art. 444 cod. proc. pen. il comma 3-bis, ai cui sensi, nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis cod. pen., «la parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’articolo 317-bis del codice penale ovvero all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l’estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta».
Con l’art. 1, comma 4, lettera e), numeri 1) e 2), della legge n. 3 del 2019, inoltre, il legislatore ha, rispettivamente, modificato il comma 1 dell’art. 445 cod. proc. pen., e introdotto nella stessa norma un nuovo comma 1-ter.
La prima modifica, incidente sulla disposizione che prevede il beneficio della esenzione dalle pene accessorie per i casi in cui il rito si concluda con l’applicazione di una pena detentiva non superiore ai due anni (cosiddetto “patteggiamento ordinario”), inserisce la specificazione in forza della quale «[n]ei casi previsti dal presente comma è fatta salva l’applicazione del comma 1-ter».
La seconda modifica aggiunge all’art. 445 cod. proc. pen. il comma 1-ter, in cui si stabilisce che «[c]on la sentenza di applicazione della pena di cui all’articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis del codice penale, il giudice può applicare le pene accessorie previste dall’articolo 317-bis del codice penale».
3.2.– L’Avvocatura generale dello Stato trae da queste nuove previsioni normative la conclusione che, nell’ambito del patteggiamento, la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati contro la pubblica amministrazione non sarebbe più automatica conseguenza del ricorrere dei presupposti stabiliti dall’art. 317-bis cod. pen., risultando bensì ora rimessa alla scelta discrezionale del giudice.
Secondo questa lettura degli artt. 444, comma 3-bis, e 445, comma 1-ter, cod. proc. pen., il potere valutativo che tali disposizioni consegnano al giudice in ordine all’applicazione delle pene accessorie previste dall’art. 317-bis cod. pen. non riguarderebbe, infatti, solo i casi di “patteggiamento ordinario”, ma si estenderebbe anche ai casi di “patteggiamento allargato”, come quello del giudizio principale, riguardante persona nei cui confronti è stata applicata una pena detentiva pari a quattro anni e quattro mesi di reclusione.
Per vero, proprio su questi aspetti, la nuova disciplina è oggetto di controversie interpretative.
Senza dubbio essa incide sul “patteggiamento ordinario”. In questo senso depone il rinvio all’art. 445, comma 1-ter, contenuto nella clausola aggiunta al comma 1, norma quest’ultima che, come detto, si riferisce alle pene patteggiate di entità non superiore ai due anni di reclusione. Per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 3 del 2019, gli imputati per i reati contro la pubblica amministrazione non si giovano più ope legis, in caso di “patteggiamento ordinario”, del beneficio della esenzione dalle pene accessorie previste dall’art. 317-bis cod. pen., poiché la valutazione sul punto è ora rimessa al giudice.
Oggetto di divergenti interpretazioni è, invece, l’estensione di tale potere discrezionale del giudice anche al patteggiamento cosiddetto “allargato”, in cui l’accordo processuale si riferisce a pene detentive di entità superiore ai due anni.
Mentre i lavori preparatori della legge n. 3 del 2019 potrebbero orientare verso la soluzione negativa – la relazione illustrativa al disegno di legge AC n. 1189 afferma, infatti, che si intendeva rimettere alla «valutazione discrezionale del giudice l’applicazione delle sanzioni accessorie, nel caso di irrogazione di una pena che non superi i due anni di reclusione» – la stessa conclusione non è autorizzata dal tenore letterale degli artt. 444, comma 3-bis, e 445, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Nessuna delle due disposizioni, infatti, fa esplicito riferimento a specifiche soglie di pena detentiva concordata tra le parti: tanto che, in sede di parere sul citato disegno di legge AC n. 1189, il Consiglio superiore della magistratura segnalava come la formulazione del proposto art. 444, comma 3-bis, cod. proc. pen., «che richiama specificamente e senza limitazioni di pena [taluni] delitti contro la p.a., rende possibile un’interpretazione che includa nel suo ambito di operatività non solo il caso del patteggiamento a pena contenuta nei due anni […] ma anche le ipotesi di patteggiamento a pena superiore a due anni di reclusione» (Parere del 19 dicembre 2018 sul disegno di legge AC n. 1189 “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”).
Non risulta che la giurisprudenza di legittimità abbia avuto occasione di esprimere un indirizzo interpretativo ben definito (deve essere tuttavia segnalata la sentenza della Corte di cassazione, sezione sesta penale, 12 novembre 2020-19 febbraio 2021, n. 6614, che afferma la estensione al “patteggiamento allargato” del nuovo potere discrezionale del giudice quanto all’applicazione delle pene accessorie interdittive, e proprio su questa base respinge un’eccezione di legittimità costituzionale in tutto analoga a quella ora in esame).
Spettava, in ogni caso, al giudice a quo operare una consapevole ed esplicita scelta tra le differenti soluzioni interpretative ricordate.
Non solo, tuttavia, l’ordinanza di rimessione omette qualunque riferimento ai problemi appena illustrati, ma non contiene cenno alcuno al disposto degli artt. 444, comma 3-bis, e 445, comma 1-ter, cod. proc. pen., come modificati dalla legge n. 3 del 2019. Non viene affrontato, in particolare, il tema della riferibilità di tali ultime disposizioni anche al “patteggiamento allargato” e, dunque, allo stesso giudizio all’origine delle odierne questioni di legittimità costituzionale.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 317-bis cod. pen., in relazione all’asserita automatica applicazione della pena accessoria interdittiva a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 319 cod. pen., vanno dunque dichiarate inammissibili, perché il giudice a quo omette di pronunciarsi proprio su questi decisivi aspetti, che condizionano ogni valutazione sul carattere asseritamente indefettibile della applicazione di tale pena.
La lacuna in parola, in definitiva, «compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza» (sentenze n. 194 e n. 61 del 2021; nello stesso senso, n. 264 del 2020, n. 150 del 2019; ordinanze n. 108 del 2020, n. 136 e n. 30 del 2018 e n. 88 del 2017).
3.3.– La riscontrata lacuna condiziona ineluttabilmente anche la valutazione sulla doglianza relativa al carattere fisso e perpetuo della pena interdittiva prevista dalla disposizione censurata, determinando l’inammissibilità, per le stesse ragioni, anche di questo secondo profilo delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Lo stesso rimettente afferma, infatti, che la proposta censura di legittimità costituzionale «rileva in una duplice direzione», sia quella dell’automatismo e dell’indefettibilità dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici prevista dall’art. 317-bis cod. pen., sia quella della fissità e perpetuità della sanzione: tali due profili «si saldano tra loro dando luogo ad un meccanismo sanzionatorio rigido che non appare compatibile con il “volto costituzionale della sanzione penale”».
Nella prospettazione del rimettente, l’asserita rigidità del complessivo trattamento sanzionatorio è dunque il risultato dell’intreccio dei due profili, come conferma un ulteriore passaggio dell’ordinanza, in cui si considera la «natura automatica e fissa del meccanismo in contrasto con i principi di proporzionalità e individualizzazione della pena».
Ne deriva che il rimettente avrebbe dovuto considerare il possibile venir meno, nell’ambito del patteggiamento, dell’automatismo nella applicazione della pena accessoria di cui all’art. 317-bis cod. pen., perché condizionante ogni valutazione sulla rigidità complessiva del meccanismo sanzionatorio censurato: l’ipotizzata discrezionalità nell’applicazione della pena accessoria, infatti, potrebbe comportare una diversa valutazione della disciplina, e dei suoi connessi effetti sul terreno della proporzionalità, incidendo sullo scrutinio di non manifesta infondatezza rimesso al giudice a quo (secondo lo stesso percorso argomentativo seguito dalla già citata sentenza della Corte di cassazione, sezione sesta penale, n. 6614 del 2021).
Pertanto, il non aver adeguatamente argomentato sul primo profilo delle censure – ovvero sulla reale indefettibilità dell’applicazione della sanzione interdittiva – rende inammissibile, nei termini unitariamente prospettati, anche il secondo, riferito a fissità e perpetuità della sanzione stessa.