La sentenza in esame origina dalla rimessione alle Sezioni Unite, ai sensi degli artt. 374 e 360, n. 1 c.p.c., dell’esame di una questione per motivi attinenti alla giurisdizione.
La predetta questione pregiudiziale di giurisdizione – relativa al difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione allo stato di abbandono ed alla dichiarazione di adottabilità di una minore, cittadina straniera – viene così risolta dal Supremo Collegio:
«2.7. (…) la L. n. 183 del 1984, art. 37 – ai sensi del quale nei confronti del minore straniero in stato di abbandono nel territorio dello Stato è operante la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza – comporta non soltanto, sul piano processuale, la giurisdizione del giudice italiano, a prescindere dagli elementi di collegamento previsti dalla legislazione interna, ma anche, sul piano sostanziale, l’assoggettamento del rapporto alla normativa interna, in deroga alle comuni regole di diritto internazionale privato. Pertanto, qualora il tribunale per i minorenni dia inizio alla procedura per la dichiarazione di adottabilità di un minore straniero, in relazione allo stato di abbandono in cui lo stesso si trovi al momento dell’intervento, la circostanza che, successivamente a tale momento, le autorità del Paese d’origine richiedano il rimpatrio del minore, così come non è idonea ad escludere la giurisdizione italiana, non fa venir meno l’applicazione al rapporto della legge italiana, attesi gli stretti collegamenti tra giurisdizione e legge applicabile in materia (Cass., 04/11/1996, n. 9576)».
Una volta confermata la giurisdizione del giudice italiano, le Sezioni Unite – «considerati i profili di novità e di peculiare importanza che presenta la materia del contendere del presente giudizio, e valutata, altresì, l’urgenza di provvedere sulla situazione giuridica della suddetta minore straniera, già dichiarata in stato di adottabilità» – ritengono di esaminare direttamente gli altri motivi concernenti il merito della vicenda processuale.
Di qui, accogliendo il terzo e il quarto motivo del ricorso principale e il terzo di quello incidentale, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte territoriale che dovrà procedere ad un nuovo esame della vicenda processuale, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto:
- «il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 15, è consentito solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell’art. 8 della stessa legge, che devono essere specificamente dimostrati in concreto, e dei quali il giudice di merito deve dare conto nella decisione, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure formulati da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali»;
- «in forza della normativa espressa dall’art. 7 della Carta di Nizza, art. 8 della CEDU e art. 18 della Convenzione di Istanbul, e delle pronunce della Corte EDU in materia, una pronuncia di stato di abbandono di un minore, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, non può essere in alcun caso fondata sullo stato di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versi uno dei genitori, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dall’altro».
In merito a quest’ultimo principio, di particolare interesse risultano essere i riferimenti nella presente pronuncia alla c.d. “vittimizzazione secondaria” e al fenomeno di emersione e di nuova considerazione della posizione della persona offesa.
Cassazione civile, sezioni unite, sentenza n. 35110/2021