CORTE di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 7 febbraio 2019 n. 6141
E’ da assumersi ammissibile (anche agli effetti penali) la revisione della sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione (o per amnistia) che, decidendo, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, condanni l’imputato al risarcimento del danno (od alle restituzioni) in favore della parte civile, così dovendosi risolvere il pertinente contrasto insorto in giurisprudenza; presupposto imprescindibile per la legittimazione ad esperire l’impugnazione straordinaria de qua è infatti lo status di “condannato“, da intendere necessariamente come il soggetto che ha esaurito tutti i gradi del sistema delle impugnazioni ordinarie e rispetto al quale si è formato il giudicato in ordine alla decisione che lo riguarda. La tassativa previsione dell’art. 629, comporta peraltro che la revisione non è esperibile nei confronti delle ordinanze e nei casi in cui l’ordinamento appresti rimedi “speciali” diversi, e dunque: – nei confronti delle sentenze di non luogo a procedere, per le quali gli artt. 434 – 437 del codice di rito prevedono una forma di impugnazione straordinaria ad hoc; – in presenza di una sopravvenuta abolitio criminis (cfr. art. 673 c.p.p., che in tal caso prevede, come rimedio ad hoc, la revoca della sentenza); – nei confronti di sentenze pronunciate da giudici speciali (cfr., con rimedi speciali, L. 25 gennaio 1962, n. 20, artt. 29 e 33, – per quanto riguarda le decisioni della Corte costituzionale – ed art. 401 c.p.m.p. – per quanto riguarda le decisioni dei tribunali militari).
L’art. 629 c.p.p., ammette la revisione unicamente in favore del “condannato“, non dunque anche della sentenza che si sia limitata, soltanto agli effetti penali, a dichiarare l’estinzione del reato (per prescrizione, come nel caso di specie, od anche per altra causa), poiché in tal caso: – il soggetto instante non avrebbe qualifica di “condannato”, a nessun effetto (in difetto di contestuali statuizioni civili); – la presunzione costituzionale di non colpevolezza fino alla condanna definitiva (art. 27 Cost., comma 2), nel caso di specie non intervenuta, impedirebbe di configurare possibili pregiudizi (in ipotesi giuridicamente rilevanti) alla sua onorabilità. Un problema potrebbe in astratto porsi in riferimento all’impossibilità di esperire la revisione in tali casi, poiché anche dal proscioglimento, in ipotesi conseguente ad un’amnistia oppure all’applicazione del perdono giudiziale, ovvero all’accertamento del difetto di imputabilità, e che pertanto postuli un quanto meno implicito accertamento di responsabilità, potrebbero conseguire effetti pregiudizievoli per l’imputato (ad esempio, l’applicazione di misure di sicurezza); a conclusioni diverse deve invece pervenirsi quando alla declaratoria di estinzione del reato (per prescrizione o per amnistia “propria“), valida e rilevante ai soli effetti penali, si accompagni in appello, come previsto e consentito dall’art. 578 c.p.p., la contestuale affermazione di responsabilità agli effetti civili (confermativa della corrispondente statuizione del primo giudice, od anche pronunziata ex novo su gravame della parte civile), con conseguente condanna dell’imputato al risarcimento del danno e/o alle restituzioni.
Da lungo tempo, la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 28 del 1969), premesso che l’istituto della revisione si pone nel sistema delle impugnazioni penali quale mezzo straordinario di difesa del condannato ed è preordinato alla riparazione degli errori giudiziari, mediante l’annullamento di sentenze di condanna, che siano riconosciute ingiuste posteriormente alla formazione del giudicato, ha riconosciuto che esso risponde all’esigenza, di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell’innocente, nell’ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità. Pur dovendo essere la revisione necessariamente subordinata a condizioni, limitazioni e cautele, nell’intento di contemperarne le predette finalità con l’interesse, fondamentale in ogni ordinamento, alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed all’intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano passate in giudicato, “l’evoluzione della nostra legislazione positiva dimostra una graduale estensione delle categorie dei soggetti in favore dei quali la revisione dei giudicati penali è stata ammessa, sul riflesso di un sempre più accentuato favor per la tutela degli interessi materiali e morali di chi sia stato a torto condannato”. Il rimedio della revisione risulta quindi apprestato per rimuovere ogni giudicato “ingiusto” idoneo a causare “serio pregiudizio non solo alla libertà e al patrimonio, ma anche alla onorabilità ed alla dignità morale e sociale dei soggetti. Beni morali che devono essere tutelati di fronte alla riprovazione sociale”; e viene all’uopo in considerazione anche l’obbligo (enunciato nell’art. 185 c.p.) “delle restituzioni e del risarcimento del danno, nei casi in cui il fatto accertato ne abbia arrecato a terzi”.
Il fondamento costituzionale della revisione va individuato nella disposizione contenuta nell’art. 24 Cost., comma 4; sulla scia della condivisa giurisprudenza costituzionale, la funzione della revisione è stata ricollegata non soltanto all’interesse del singolo, ma anche all’interesse pubblico e superiore alla riparazione degli errori giudiziari, facendo prevalere la giustizia sostanziale sulla giustizia formale.
In accordo con i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, e già recepiti dalle Sezioni Unite, va assunto che l’istituto della revisione costituisce applicazione estrema del principio costituzionale che assegna al processo penale il compito dell’accertamento della verità (“poiché il fine primario e ineludibile del processo penale rimane la ricerca della verità”: Corte cost., sentenza n. 111 del 1993): proprio la necessità di perseguire il rispetto della verità impone di non accogliere opzioni ermeneutiche che portino a mantenere ferme decisioni condizionate da un quadro probatorio, esistente al momento della decisione, ma che in seguito risulti radicalmente smentito; e questa funzione dell’istituto della revisione assume rilievo fondamentale ai fini della decisione della questione controversa.
Non può dubitarsi che la statuizione di condanna agli effetti civili, pronunciata ai sensi dell’art. 578, di per sé suscettibile – se ingiusta – di arrecare pregiudizio all’interessato con riguardo alla sfera patrimoniale, contenga necessariamente, anche se incidentalmente, una implicita quanto ineludibile affermazione di responsabilità tout court operata, a cognizione piena, in relazione al fatto-reato causativo del danno, certamente suscettibile di arrecare pregiudizio all’interessato anche con riguardo alla sfera dei diritti della personalità, la contestualità delle pronunzie di estinzione del reato e di condanna alle statuizioni civili evidenziando la sussistenza di un inscindibile collegamento tra l’affermazione di responsabilità agli effetti civili e la mancata pronunzia liberatoria, anche nel merito, agli effetti penali, che è senz’altro idonea a produrre un apprezzabile pregiudizio al diritto all’onore dell’imputato, con superamento – in concreto – della presunzione costituzionale di non colpevolezza. Analoghi essendo i pregiudizi che l’interessato, pur non condannato agli effetti penali, potrebbe patire anche in tali casi, per effetto di una decisione irrevocabile successivamente rivelatasi ingiusta, sia alla propria sfera personale (per la compromissione della propria onorabilità) che a quella patrimoniale (per le – in ipotesi irreversibili – statuizioni risarcitorie o di condanna alle restituzioni), il diniego della possibilità di accesso al giudizio di revisione potrebbe porsi in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del principio di uguaglianza, derivante dal diverso trattamento riservato a situazioni che presentino analoghi profili di pregiudizio, e della palese irragionevolezza, in difetto di apprezzabile giustificazione della discrasia. E, nel dubbio, secondo quanto da tempo immemore chiarito dalla consolidata giurisprudenza costituzionale, l’interprete deve sempre optare per la soluzione interpretativa che non ponga problemi di costituzionalità.
Dal punto di vista processuale, il “nuovo” art. 578 bis c.p.p., (inserito dal D.Lgs. n. 21 del 2018) ha previsto che, quando sia stata disposta la confisca prevista dall’art. 240 bis c.p., comma 1, o da altre disposizioni di legge (il riferimento evoca le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali), il giudice dell’impugnazione (corte di appello o corte di cassazione), nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, deve operare un accertamento incidentale di responsabilità, valido “ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”, onde verificare se essa debba essere disposta/confermata o meno. La Relazione al D.Lgs. n. 21 del 2018, chiarisce che, in tal modo, è stata estesa alle indicate statuizioni di confisca la disciplina già stabilita dall’art. 578 c.p.p., in relazione alle statuizioni sugli interessi civili nei medesimi casi. Analoga essendo la disciplina prevista dall’art. 578 bis, rispetto a quella prevista dall’art. 578, e potendo, quindi, ritenersi che anche nei casi previsti dal citato art. 578 bis all’interessato vada, sia pur incidentalmente, riconosciuto lo status soggettivo di “condannato” (sia pur limitatamente alle statuizioni di confisca che conseguano all’incidentale accertamento di responsabilità richiesto dalla norma), dovrà ritenersi esperibile la revisione anche in tale caso.
È ammissibile, sia agli effetti penali che agli effetti civili, la revisione, richiesta ai sensi dell’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), della sentenza del giudice dell’appello che, decidendo anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, in applicazione della disciplina dettata dall’art. 578 c.p.p., abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato, e contestualmente confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.