Corte Costituzionale, sentenza 20 gennaio 2022 n. 10
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
5.– Le questioni sollevate con le due ordinanze di rimessione sono basate su argomenti in larga parte sovrapponibili e sono comunque connesse, per la parziale coincidenza delle norme denunciate e dei parametri evocati.
I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
6.– Preliminarmente, va rilevato che il giorno stesso della deliberazione della presente sentenza è stata definitivamente approvata la legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), con la quale viene conferita al Governo una delega legislativa per quanto qui interessa recante, tra i principi e criteri direttivi, quello dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita (art. 1, comma 4, lettera a).
Tale previsione non spiega, però, effetti negli odierni incidenti, dal momento che la sua entrata in vigore non vale a escludere l’applicazione delle disposizioni censurate.
7.– Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale sulla scorta dell’asserita carenza di un’adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di interpretare le norme denunciate secundum Constitutionem.
I rimettenti, infatti, hanno escluso la praticabilità di un’interpretazione adeguatrice alla luce del dato letterale e per ragioni sistematiche, non mancando di confrontarsi con la posizione della giurisprudenza di legittimità.
Da tanto consegue il rigetto dell’eccezione in esame, giacché attiene al merito, e non all’ammissibilità delle questioni, la condivisione o meno del presupposto interpretativo delle norme censurate (ex plurimis, sentenze n. 150 del 2021 e n. 230 del 2020).
8.– Presupposto esegetico che, venendo appunto al merito, questa Corte ritiene condivisibile.
Esso è, infatti, innanzitutto coerente con il tenore testuale delle disposizioni denunciate.
L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia, invero, assicura ai non abbienti il beneficio in discussione facendo esclusivo riferimento al «processo». Nella medesima direzione, l’art. 75, comma 1, del citato testo unico delimita poi l’ambito di validità dell’ammissione al patrocinio a ogni grado e fase «del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al processo stesso, di cui, pertanto, presuppone l’introduzione. Il successivo art. 83, comma 2, infine, nel suo primo periodo attribuisce la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione del compenso all’autorità giudiziaria «che ha proceduto», in tal modo ribadendo, senza possibilità di equivoco, l’esigenza dell’instaurazione di un giudizio di cui l’autorità giudiziaria sia stata, per l’appunto, investita.
Il patrocinio a spese dello Stato è stato quindi contemplato dalle norme censurate in chiave eminentemente processuale: ciò che trova ulteriore conferma nella circostanza che lo stesso legislatore, con la legge delega innanzi citata, ha avvertito l’esigenza di introdurre specifiche disposizioni volte espressamente a estenderlo, a prescindere dal loro esito, anche alle procedure di mediazione.
Va peraltro precisato che la sentenza richiamata dall’Avvocatura generale a sostegno della possibilità di un’interpretazione conforme (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529), in realtà, non ha riguardato segnatamente le norme oggetto dell’odierno scrutinio e che invece l’assunto dei rimettenti si pone in linea con l’orientamento recentemente espresso dai giudici di legittimità con specifico riferimento al tema che viene qui considerato. Nella sentenza 31 agosto 2020, n. 18123, infatti, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ha affermato che l’art. 74 t.u. spese di giustizia «postula l’intervenuto avvio della lite giudiziale», poiché «limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato all’ambito del procedimento […] civile»; ha poi espressamente precisato che siffatto limite non può essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinare «nella produzione normativa», e ha quindi concluso che correttamente il giudice di merito aveva «ritenuto non liquidabile compenso al difensore per la fase della mediazione, cui non e` seguita la proposizione della lite».
8.1.– È dunque alla stregua del presupposto ermeneutico da cui muovono i giudici a quibus che le questioni sollevate dai rimettenti devono essere vagliate, innanzitutto considerando, quanto al tessuto normativo sul quale esse si innestano, che la mediazione civile obbligatoria è stata introdotta dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 con un evidente intento deflattivo del contenzioso (sentenza n. 97 del 2019) ed è strutturata quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali.
La parte che intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie ivi specificamente individuate è, infatti, «tenut[a], assistit[a] dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione», al fine di tentarne la composizione stragiudiziale.
Si è al cospetto, pertanto, di un procedimento contraddistinto dall’obbligatorietà, che deve essere espletato, pena l’improcedibilità della domanda, prima dell’instaurazione di una lite giudiziaria. Esso, di conseguenza, condiziona, in determinate materie, l’esercizio del diritto di azione.
È, in definitiva, sull’esclusione del patrocinio a carico dello Stato in ordine a tale procedimento, qualora questo si concluda con esito positivo, precludendo quindi l’introduzione del processo, che si sviluppano le questioni di costituzionalità sollevate dai rimettenti sugli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83, comma 2, t.u. spese di giustizia.
9.– Esse sono fondate in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza sostanziale, e 24, terzo comma, Cost.
9.1.– Quanto al canone della ragionevolezza, va evidenziato che il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive costituiscono elementi che rendono del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda.
In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo ha raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore.
Pertanto, la circostanza che, in virtù del suo esito positivo, alla mediazione obbligatoria non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio, lungi dal costituire un coerente fondamento della denunciata preclusione, al contrario concorre a disvelarne la palese irrazionalità, peraltro traducendosi anche in una sorta di disincentivo verso quella cultura della mediazione che il legislatore stesso si è fatto carico di promuovere.
Nel descritto contesto, infatti, non implausibilmente i rimettenti rilevano che proprio per effetto dell’esclusione censurata i non abbienti e i loro difensori potrebbero essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire quindi comunque il giudice, all’unico scopo di ottenere, una volta introdotto il processo, le relative spese difensive.
Tale evenienza porterebbe nocumento non solo alla funzione della mediazione, vanificandone le finalità deflattive, ma anche a quella della giurisdizione che, a dispetto della sua natura sussidiaria rispetto alla mediazione stessa, finirebbe per essere strumentalizzata per obiettivi diversi dallo ius dicere, ciò che determinerebbe ulteriori irragionevoli ricadute di sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico dello Stato, chiamato a sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio.
Gli argomenti che precedono rivelano quindi la manifesta irragionevolezza delle disposizioni censurate, peraltro ben precedenti l’introduzione, nell’ordinamento, della disciplina della mediazione obbligatoria e mai coordinate con essa.
9.2.– Parimenti fondate sono le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, terzo comma, Cost.
Quest’ultima disposizione, infatti, prevedendo che «[s]ono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», mira a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002)» (da ultimo, sentenza n. 157 del 2021).
In questi termini, tali diritti, che rientrano tra i diritti civili, inviolabili e caratterizzanti lo Stato di diritto, richiamano il compito assegnato alla Repubblica dall’art. 3, secondo comma, Cost. affinché siano predisposti i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste chances di successo nelle liti, rimediando a un problema di asimmetrie – derivante dagli ostacoli di ordine economico che impediscono «di fatto» di compensare il difensore – che non può trovare soluzione nell’ambito dell’eguaglianza solo formale.
In questa prospettiva va precisato che la questione, sottolineata da questa Corte, della individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 16 del 2018) rileva quando si tratti di giustificare modulazioni che si concretizzano, ad esempio, in filtri o controlli, come quelli previsti per i processi diversi da quello penale, nei quali il riconoscimento del beneficio in discorso presuppone che le ragioni di chi agisce o resiste in giudizio risultino non manifestamente infondate (sentenza n. 47 del 2020).
Ben diversi si presentano, invece, i termini della questione quando una determinata scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una condizione di non abbienza «l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale» (sentenza n. 157 del 2021).
In tal caso, infatti, sono nitidamente in gioco il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo di cui ai primi due commi dell’art. 24 Cost.: è quindi «naturalmente ridotto» il margine di discrezionalità del legislatore – pur, di per sé, particolarmente ampio nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021) – poiché si tratta comunque «di spese costituzionalmente necessarie», anch’esse inerenti, in senso lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)» (sentenza n. 152 del 2020).
In siffatte ipotesi l’argomento dell’equilibrio di bilancio recede di fronte alla possibilità, per il legislatore, di intervenire, se del caso, a ridurre quelle spese che non rivestono il medesimo carattere di priorità: è anche in tal senso che questa Corte ha affermato che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 169 del 2017; in precedenza, sentenza n. 275 del 2016).
9.2.1.– I principi appena enunciati rilevano nelle odierne questioni, poiché, data l’espressa previsione dell’assistenza dell’avvocato in sede di mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010), è evidente che privare i non abbienti del patrocinio a spese dello Stato significa destinarli di fatto, precludendo loro la possibilità della difesa tecnica, a subire l’asimmetria rispetto alla controparte abbiente in relazione a un procedimento che, come si è chiarito, in determinate materie è direttamente imposto dalla legge e rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria giacché condiziona l’esercizio del diritto di azione.
Il non abbiente è, peraltro, addirittura esposto al grave rischio di improcedibilità della sua domanda, qualora l’assistenza tecnica sia ritenuta non solo possibile ma anche obbligatoria dal giudice, in conformità a quanto affermato, con riferimento alla mediazione di cui si discute, dalla Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 27 marzo 2019, n. 8473) – sia pure nell’esaminare funditus solo lo specifico tema della necessaria presenza personale della parte dinanzi al mediatore – e nella circolare del Ministero della giustizia 27 novembre 2013 (Entrata in vigore dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che modifica il d.lgs. 28/2010. Primi chiarimenti).
Non è poi marginale aggiungere che la mediazione presuppone, in ogni caso, sin dalla sua attivazione il possesso di specifiche cognizioni tecniche di cui la parte non abbiente potrebbe essere priva: la relativa istanza richiede, infatti, l’individuazione sia del giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, dovendo essere depositata presso un organismo che ha appunto sede nel luogo di tale giudice, sia delle parti, nonché dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’assenza di difesa tecnica nel procedimento di mediazione può, infine, riflettersi anche sotto ulteriori punti di vista sull’esito del successivo processo, ove si consideri che in caso di rifiuto della proposta conciliativa, se la successiva decisione giudiziale dovesse corrispondere al contenuto della proposta medesima, il giudice potrà escludere la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha opposto il rifiuto e condannarla al pagamento delle spese processuali della controparte, oltre che al versamento di una somma corrispondente all’importo del contributo unificato (art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010).
È in definitiva evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme censurate al diritto di difendersi dei non abbienti in un procedimento che, per un verso, è imposto ex lege in specifiche materie e che, per l’altro, è strumentale al giudizio al punto da condizionare l’esercizio del diritto di azione e il relativo esito.
10.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché del successivo art. 83, comma 2, del medesimo testo unico sulle spese di giustizia, nella parte in cui non prevede che, in tali ipotesi, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
11.– Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio.
12.– Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dai rimettenti.