<p class="m_-8587780703727862385m_-4727408920386057556x_MsoNormal" style="text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 6 marzo 2019 n. 35</strong></p> <p class="m_-8587780703727862385m_-4727408920386057556x_MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>Va ribadito il principio, in più occasioni sottolineato dalla Corte, onde la disciplina legislativa del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti «</i>risulta assoggettata, sin dal suo esordio, ad un regime differenziato a seconda del tipo di controversie cui il beneficio sia applicabile<i>», in virtù dell’intrinseca diversità dei modelli del processo civile, penale e amministrativo (sentenza n. 237 del 2015). E ciò anche in ragione della considerazione, da ultimo ribadita, che, «[i]</i>n tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia<i>» (sentenza n. 16 del 2018); si è rilevato, in particolare, come l’ontologica diversità del processo penale rispetto alle controversie civili, amministrative, contabili, assieme alle particolari esigenze di difesa di chi subisce l’azione penale, per un verso, hanno determinato l’opportunità che, nel processo penale, sia approntato un sistema di garanzie che assicuri al meglio l’effettività del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e, per un altro, escludono che sia costituzionalmente necessario che il legislatore definisca un modello unitario per i diversi giudizi, dove vengono in gioco beni diversi dall’inviolabile libertà personale (sentenze n. 237 del 2015 e n. 287 del 2008). L’area attinta dal dubbio di costituzionalità ammette, dunque, un ampio spazio di riempimento da parte della discrezionalità del legislatore, il quale – e non potrebbe essere diversamente – non può non parametrare le diverse opzioni sulla falsariga delle risorse finanziarie limitate, anche per l’esigenza di contenere le spese giudiziali (sentenza n. 178 del 2017). Tale discrezionalità è stata esercitata, con la previsione censurata nel caso di specie, entro i confini costituzionalmente imposti: non può reputarsi manifestamente irragionevole, infatti, la scelta legislativa in base alla quale, in controversie civili, amministrative, contabili o tributarie, è esclusa l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato di enti o associazioni, i quali, se pure non perseguono fini di lucro, esercitano una attività economica che – proprio perché tale, e a prescindere dalla destinazione degli eventuali utili e dalla consistenza di cespiti patrimoniali – consente accantonamenti in vista, fra l’altro, proprio di eventuali contenziosi giudiziali. Una situazione, questa, assai diversa da quella che caratterizza il regime che disciplina il beneficio in favore delle persone fisiche, per le quali l’attività economica si traduce in un reddito che, sotto soglie che spetta al legislatore determinare (sentenza n. 219 del 2017), giustifica l’intervento dello Stato a tutela e garanzia dell’effettivo esercizio del diritto di azione e di difesa.</i></p> <p class="m_-8587780703727862385m_-4727408920386057556x_MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>Va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 119, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», sollevata, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche; vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 119, ultima parte, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal TAR Marche con l’ordinanza indicata in epigrafe.</i></p>