Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 26 gennaio 2022 n. 2258
PRINCIPIO DI DIRITTO
Allorché venga dedotta come motivo di appello la nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius (nella specie, per l’inosservanza dei termini a comparire), non essendosi il convenuto costituito e neppur essendo stata la nullità rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 164 c.p.c., il giudice d’appello, non ricorrendo una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, deve ordinare, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti compiuti in primo grado, potendo tuttavia il contumace chiedere di essere rimesso in termini per compiere attività ormai precluse a norma dell’art. 294 c.p.c., e dunque se dimostra che la nullità della citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso di OMISSIS denuncia la violazione degli artt. 99, 100, 101, 102, 353 e 354 c.p.c., nonché degli artt. 1453 ss. c.c., per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di procedere alla rimessione della causa al primo giudice, ex art. 354 c.p.c.
La censura evidenzia che la Corte d’appello si è limitata ad enunciare il generico principio della facoltatività del litisconsorzio nel rapporto processuale di primo grado tra creditore, debitore principale e fideiussore, ove il primo agisca per ottenere il pagamento nei confronti sia del debitore che del garante, senza considerare che, nella specie, la domanda riconvenzionale della Cerere s.r.l. era volta ad ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto del 14 ottobre 2004 per l’inadempimento della affittuaria Sogeca s.r.I., con pretese conseguenziali di condanna al pagamento di somme di denaro rivolte in solido verso la debitrice principale ed il fideiussore. Tendendo, perciò, la domanda della Cerere s.r.l. alla risoluzione del contratto anche nella parte relativa all’obbligo fideiussorio del OMISSIS, questi non poteva non considerarsi parte necessaria del giudizio di primo grado.
1.1. Può superarsi l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente, in ordine all’erronea indicazione del vizio come riconducibile all’art. 360, comma, 1, n. 3 (anziché n. 4) c.p.c.
Come precisato da Cass. Sez. Unite, 24 luglio 2013, n. 17931, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c., senza che sia necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. E’ parimenti infondata l’ulteriore eccezione che la controricorrente Cerere s.r.l. solleva con riguardo al primo motivo di ricorso, secondo cui il ricorrente, nel censurare la violazione di regole processuali, avrebbe dovuto specificare il concreto pregiudizio subito. Il motivo denuncia la lesione dei diritti processuali essenziali al contraddittorio ed alla difesa giudiziale, con riferimento ai quali la parte non ha alcun onere di allegare o di dimostrare che la violazione della norma le abbia provocato un pregiudizio specifico ulteriore rispetto a quello relativo al compiuto esercizio di quegli stessi diritti (Cass. Sez. Unite, 25 novembre 2021, n. 36596).
1.2. Il primo motivo del ricorso di OMISSIS è del tutto infondato.
1.2.1. Esso sottende che operasse, nella specie, il principio secondo cui, all’interno di una controversia con pluralità di convenuti in qualità di litisconsorti necessari, la nullità dell’atto di citazione in primo grado nei confronti di uno dei medesimi litisconsorti, che non si sia costituito, produce un vizio originario dell’integrità del contraddittorio che giustifica la rimessione del giudizio al primo giudice, ex art. 354, comma 2, c.p.c. L’assunto deriva, tuttavia, dall’erroneo presupposto interpretativo secondo cui nella controversia promossa, come nella specie, dal concedente per la risoluzione di un contratto di affitto, sia l’affittuario che il fideiussore di quest’ultimo rivestono la qualità di litisconsorti necessari per ragioni di diritto sostanziale, non potendo la risoluzione contrattuale essere utilmente pronunciata se non nei confronti di tutte le parti dell’unico rapporto in contestazione.
E’ vero, al contrario, che il negozio fideiussorio interviene tra il fideiussore ed il creditore, quand’anche il debitore si sia obbligato per contratto a prestare una fideiussione (art. 1943 c.c.), sicché il debitore resta estraneo al negozio fideiussorio, così come il fideiussore non deve necessariamente partecipare all’accordo tra debitore e creditore. La prestazione di garanzia fideiussoria non inserisce, quindi, un terzo soggetto nell’ambito del rapporto fra debitore principale e creditore, ma costituisce un rapporto autonomo e distinto, collegato con il primo da relazione di accessorietà (insorgendo l’obbligazione del fideiussore dall’inadempimento dell’obbligazione principale).
La domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non contiene, pertanto, la domanda di risolvere altresì la garanzia fideiussoria dell’obbligo inadempiuto; anzi, l’inadempimento del debitore principale rende attuale ed operante l’obbligo del fideiussore di adempiere in luogo di lui, e perciò la risoluzione per inadempimento serve proprio per esporre il fideiussore alle conseguenze relative. Ne consegue che, nella controversia promossa dal creditore per sentir risolvere il contratto intercorrente col debitore principale non insorge necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti del fideiussore, non vertendosi in situazione di litisconsorzio necessario (arg. da Cass. Sez. 2, 5 ottobre 1978, n. 4433; Cass. Sez. 1, 30 gennaio 1985, n. 579; anche da Cass. Sez. 2, 27 giugno 1992, n. 8064; Cass. Sez. 3, 13 giugno 2006, n. 13652).
1.2.2. Rileva, piuttosto, nel caso in esame, la regola, correttamente applicata dalla Corte d’appello di Roma, per la quale il rapporto processuale tra creditore, debitore principale e fideiussore configura, nel primo grado del giudizio, un litisconsorzio facoltativo, potendo il creditore agire separatamente, a norma dell’art. 1944, comma 1, c.c., nei confronti dei due debitori solidali, salva poi la necessità del litisconsorzio processuale nei gradi d’impugnazione, ove siano riproposti temi comuni al debitore principale e al fideiussore (così Cass. Sez. 3, 26 luglio 2019, n. 20313; Cass. Sez. 3, 20 luglio 2016, n. 14829; Cass. Sez. 1, 1 ottobre 2012, n. 16669). Risultando, pertanto, acclarata la nullità, dedotta con l’atto di appello, della citazione introduttiva di primo grado nei confronti del fideiussore convenuto litisconsorte facoltativo, ivi rimasto contumace, per l’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalle legge (art. 164, comma 1, c.p.c.), non si dà luogo alla rimessione della causa al primo giudice, atteso che tale ipotesi non è assimilabile ai casi tassativamente indicati negli artt. 353 e 354 c.p.c.
- Il secondo motivo di ricorso allega la violazione degli artt.183, comma 6, 342 e 359 c.p.c., alla luce degli artt. 24 e 111 Cost., avendo la Corte di Roma respinto la richiesta di rimettere in termini l’appellante principale, a fronte della nullità della sentenza di primo grado per il vizio della vocatio in ius, per il deposito di memorie, l’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c. 2.1. Anche per il secondo motivo di ricorso vanno dapprima disattese le eccezioni pregiudiziali della controricorrente Cerere s.r.I., identiche a quelle esaminate in relazione al primo motivo. Sono agevolmente superabili altresì le considerazioni che la controricorrente svolge nella memoria ex art. 378 c.p.c., secondo cui “la citazione per chiamata di terzo, al momento in cui è stata notificata, era valida”, giacché “avvenuta, secondo quando stabilito dall’art. 140 c.p.c. all’epoca vigente (cioè prima della sentenza n. 3/2010 della Corte Costituzionale intervenuta il 14/01/2010), il 18/06/2009 per l’udienza del 3/11/2009. Il 18/06/2009 è, infatti, la data del timbro postale di spedizione della raccomandata da parte dell’ufficiale giudiziario ….”.
Tale questione, esplicitamente decisa dalla Corte d’appello di Roma (nel senso che “la notificazione dell’atto di chiamata in causa in primo grado si è perfezionata ex art. 140 c.p.c. … pacificamente soltanto in data 28.6.2009”), non è stata oggetto di ricorso incidentale. La deduzione è, peraltro, palesemente infondata, ove si consideri che l’efficacia di una sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale di una norma processuale si estende sia agli atti del processo successivi alla pubblicazione di essa, sia agli atti processuali compiuti in precedenza, la cui validità sia tuttavia ancora oggetto di sindacato. 3. La decisione del secondo motivo di ricorso pone dunque in rilievo la questione di diritto che l’ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 del 25 giugno 2021 segnala come risolta dalla giurisprudenza della Corte “in modi talora contrastanti e, in ogni caso, da ultimo, insoddisfacenti”.
3.1. L’excursus dell’ordinanza interlocutoria prende le mosse dalla sentenza 21 marzo 2001, n. 122, resa da queste Sezioni Unite. In tale pronuncia si affermò che il principio secondo cui il giudice di appello, il quale ravvisi la sussistenza della nullità della vocatio in jus in primo grado, in un giudizio soggetto al rito del lavoro, per inosservanza del termine di comparizione di cui all’art. 415, comma 5, c.p.c., è investito del potere – dovere di dichiarare la nullità, trattenere la causa e decidere nel merito, dovesse essere “integrato con l’ulteriore precisazione che, in tale evenienza l’appellante, contumace in primo grado, deve essere ammesso a svolgere (in relazione alle questioni di merito dibattute in primo grado, delle quali deve necessariamente chiedere il riesame, a pena di inammissibilità dell’appello: v. sent. n. 12541/98 di queste S.U.) tutte le attività assertive e probatorie precluse dalla nullità.
Tale principio, accolto da una parte della giurisprudenza in relazione al giudizio ordinario, sul rilievo che, diversamente, l’appellante sarebbe ingiustificatamente pregiudicato dalla nullità verificatasi in suo danno (sent. n. 3878/77; n. 724/82; n. 11834/92; n, 12102/95; n. 7436/96; n. 2251/97; n. 6879/99; n. 7054/99), merita infatti di essere esteso, per analoga ragione, anche al giudizio soggetto al rito del lavoro”. Va considerato che, per giustificare la mancata rimessione al giudice di primo grado, le Sezioni Unite rimarcarono come, quando ricorra l’inosservanza dei termini di comparizione, la notifica dell’atto introduttivo si postula come valida, sicché il contatto tra attore e convenuto si è realizzato ed il contraddittorio è potenzialmente instaurato: “[il convenuto che, pur avendo avuto notizia del giudizio intentato nei suoi confronti, rileva la violazione del termine di comparizione, non si costituisce per libera scelta di strategia processuale, riservandosi la tutela in sede di impugnazione”.
La sentenza n. 122/2001 aggiunse che “non può negarsi che l’ammissione dell’appellante a svolgere tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado, se il processo si fosse ritualmente instaurato, comporta indubbiamente una deviazione dalla struttura del giudizio di appello secondo il rito del lavoro, quale giudizio di mero riesame.
Occorre tuttavia considerare che la preclusione di tali attività sarebbe lesiva del diritto di difesa della parte danneggiata dalla nullità. L’alterazione della funzione del giudizio di appello è quindi giustificata dalla prevalenza del principio costituzionale”.
3.2. Il principio di diritto enunciato dalla Sezioni Unite nel 2001 è stato più volte condiviso nelle successive pronunce aventi ad oggetto controversie soggette al rito del lavoro (da ultimo, Cass. Sez. Lavoro, 26 luglio 2013, n. 18168; Cass. Sez. Lavoro, 18 maggio 2010, n. 12101) ed anche in decisioni relative al giudizio ordinario di cognizione (si vedano, indicativamente, Cass. Sez. 3, 14 giugno 2016, n. 12156; Cass. Sez. 1, 11 novembre 2010, n. 22914; Cass. Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27411; Cass. Sez. 1, 15 settembre 2004, n. 18571) del 15/09/2004), non essendo, del resto, decisiva la considerazione che nell’uno o nell’altro la nullità per il mancato rispetto dei termini a comparire sia attribuibile prevalentemente al comportamento del giudice o dell’attore.
3.3. L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile dedica, peraltro, specifica attenzione ad un precedente che, pur richiamando il principio dettato dalla sentenza n. 122/2001 delle Sezioni Unite, recava un significativo corollario: Cass. Sez. Lavoro, 24 aprile 2004, n. 16680, dopo aver ribadito la nullità della decisione di primo grado in caso di inosservanza dei termini a comparire e l’obbligo del giudice d’appello di ammettere l’appellante ad esercitare in sede di gravame tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado, onerava il convenuto di indicare, con l’atto d’appello, quali attività defensionali gli fossero rimaste impedite in primo grado a causa della riduzione del termine e volesse perciò svolgere in appello.
3.4. La sostanziale uniformità dell’orientamento giurisprudenziale finora sintetizzato è stata rotta, come segnala l’ordinanza interlocutoria, da Cass. Sez. 6 – 3, 7 maggio 2013, n. 10580. Tale pronuncia decise un caso di mancato rispetto del termine a comparire nel decreto di fissazione dell’udienza ex art. 415 c.p.c.
I convenuti, rimasti contumaci in primo grado, avevano poi spiegato appello, chiedendo di esercitare tutte le attività che essi avrebbero potuto svolgere in primo grado e proponendo in via subordinata altresì una domanda riconvenzionale. I giudici dell’appello, dichiarata la nullità della sentenza di primo grado e rinnovato il giudizio sulla domanda attorea, avevano dichiarato inammissibile la riconvenzionale. L’ordinanza n. 10580 del 2013 di questa Corte rigettò il ricorso sulla base della seguente motivazione.
Premessi i differenti ambiti delle nullità per vizi della vocatio in ius e della editio actionis nell’ambito dell’art. 164 c.p.c., la pronuncia in esame rilevò come tale norma disciplini il rilievo delle invalidità della citazione con riferimento al momento iniziale del processo, segnato dalla prima udienza, senza occuparsi delle conseguenze del mancato rilievo della nullità dell’atto introduttivo in difetto di costituzione del convenuto, né precisare se il potere di rinnovazione del giudice possa essere esercitato anche nel successivo corso del processo di primo grado o nei gradi successivi.
Sovviene tuttavia, secondo Cass.n. 10580/2013, il disposto dell’art. 101, comma 1, c.p.c., a norma del quale “il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”, il che convaliderebbe la conclusione sistematica per cui il potere di rilevazione della nullità della citazione va esercitato dal giudice d’ufficio fino al momento della decisione di primo grado.
Resa quest’ultima, invece, la nullità della citazione e della stessa sentenza andrebbe soggetta alle regola dettata dall’art. 161 c.p.c., dovendo, perciò, essere dedotta dal convenuto soccombente come motivo di impugnazione. Dovrebbe, invero, considerarsi che quando il giudice abbia omesso di rilevare d’ufficio la nullità della citazione, la posizione del convenuto “diventa quella del contumace”.
Perciò, nell’eventualità che il convenuto, destinatario di una citazione nulla, e rimasto ab initio contumace, decida successivamente di “entrare nel processo” durante il corso del giudizio di primo grado o attraverso l’appello, la sua condizione processuale andrebbe regolata alla stregua dell’art. 294, comma 1, c.p.c., in base al quale “il contumace che si costituisce può chiedere al giudice istruttore di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, se dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile”.
La pronuncia di nullità della citazione imporrebbe, così, quanto all’attività processuale già espletata, l’estensione per dipendenza ai sensi dell’art. 159, comma 1, c.p.c. e la Ric. 2019 n. 03521 sez. SU – ud. 11-01-2022 -13- rinnovazione a norma dell’art. 162, comma 1, c.p.c., pur indipendentemente dalla dimostrazione della mancata conoscenza del processo in capo al convenuto.
Quanto invece alle attività rimesse alla iniziativa del convenuto ed ormai precluse dallo stadio del giudizio, l’art. 294, comma 1, c.p.c. imporrebbe al contumace che si costituisce di dar prova che la nullità della citazione gli abbia impedito di avere utile e tempestiva conoscenza del processo, così da giustificarne la rimessione in termini. La deroga che, in tale prospettiva, l’art.294 c.p.c. apporterebbe alla generalizzata operatività dell’art.162 c.p.c., in ragione del comportamento inerte serbato inizialmente dal convenuto contumace che fosse a conoscenza del processo, troverebbe un suo radicamento, stando alla ricostruzione prediletta da Cass. n. 10580/2013, nei principi costituzionali sul giusto processo, specie in quello della sua ragionevole durata.
Ciò detto, al di là delle particolarità della singola vicenda, Cass. n. 10580/2013 chiariva anche che l’unica nullità della citazione per vizi della vocatio in ius che appare in astratto tale da impedire al convenuto la conoscenza del processo è quella legata all’elemento di cui al numero 1 dell’art. 163, comma 3, c.p.c., ovvero l’indicazione del giudice davanti al quale la domanda è proposta, indicazione che, se omessa o assolutamente incerta, non consente alla parte evocata in lite di esercitare il proprio diritto di difesa sulla domanda.
Nessuna delle altre nullità relative alla vocatio in ius (come anche alla editio actionis) determinerebbe, di regola, una mancata conoscenza del processo; ciò, in particolare, quanto alla violazione dei termini di comparizione o alla mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7) dell’art.163 c.p.c., vizi in rapporto ai quali la stessa costituzione del convenuto non nega a questo la facoltà di chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza (art. 164, comma 3, c.p.c.).
La conclusione raggiunta da Cass. n. 10580/2013 è, quindi, che “per tutte le ipotesi di nullità della citazione diverse da quelle della mancanza di indicazione del giudice o dell’assoluta incertezza di essa, la posizione del convenuto dichiarato erroneamente contumace, che si costituisca tardivamente ai sensi dell’art. 294 c.p.c., è quella di chi, fermo che può esigere la rinnovazione dell’attività altrui svolta prima della sua costituzione, non può compiere attività ormai precluse nel momento della costituzione, in quanto la citazione notificatagli con una di dette nullità lo aveva comunque messo in grado di costituirsi e di far valere oltre alla nullità, la pretesa allo svolgimento delle attività precluse.
E ciò perché la nullità della citazione non gli ha impedito di conoscere il processo e, quindi, di costituirsi”. Da ciò discenderebbe che, quando il convenuto deduca la nullità della citazione introduttiva come motivo di appello, in conformità alla regola dettata dall’art. 294 c.p.c., egli avrà diritto alla rinnovazione degli atti compiuti in primo grado (come suppone l’ultimo comma dell’art. 354 c.p.c.), nonché al compimento delle attività che gli sono ormai precluse ma solo se “le circostanze del caso concreto hanno determinato anche la mancata conoscenza della pendenza del processo”.
3.5. La soluzione interpretativa prescelta da Cass. Sez. 6 – 3, 7 maggio 2013, n. 10580, è stata di seguito richiamata da Cass. Sez. 1, 26 luglio 2016, n. 15414. Quest’ultima pronuncia, in realtà, riguardava una fattispecie in cui il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullità della citazione recante l’invito a costituirsi dinanzi ad un tribunale diverso a quello indicato come adito ex art. 163, comma 3, n. 1), c.p.c. La Corte d’appello, decidendo sul gravame formulato dall’attore, nella perdurante contumacia dei convenuti, e dunque senza richiesta proveniente dagli stessi, aveva non di meno disposto la rinnovazione degli atti nulli, fissando udienza di trattazione, previa concessione del termine ex art. 183 c.p.c. anche ai contumaci.
3.6. Seppur non menzionata nella ordinanza interlocutoria, come ulteriore tassello del composito mosaico giurisprudenziale in argomento va certamente ricordata anche Cass. Sez. 3, 28 marzo 2017, n. 7885. Questa pronuncia si trovava al cospetto di un atto di citazione per opposizione a decreto ingiuntivo privo della indicazione del giorno dell’udienza di comparizione e, dunque, affetto da nullità per vizio della vocatio in ius.
Facendo applicazione dell’art. 164 c.p.c., la sentenza n. 7885 del 2017 ritenne sanata retroattivamente detta nullità in forza della proposizione dell’appello. Seguendo, peraltro, i principi enucleati da Cass. Sez. Unite, 19 aprile 2010, n. 9217, Cass. n. 7885 del 2017 chiarì che la sanatoria della nullità della citazione, garantita anche in sede di gravame dalla permanente operatività dell’art.164 c.p.c., non esclude l’invalidità del giudizio di primo grado e la conseguente nullità della sentenza, imponendo, tuttavia, al giudice di appello di trattare la causa nel merito, “rinnovando a norma dell’art. 162 c.p.c. gli atti dichiarati nulli, quando sia possibile e necessario”.
Nel “dosare” tale necessità della rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado, la sentenza n. 7885 del 2017 ritenne, peraltro, di aderire alla sentenza n. 10580 del 2013: poiché il ravvisato vizio di nullità della citazione per mancata indicazione della data dell’udienza di comparizione non poteva aver impedito al convenuto di avere comunque notizia della pendenza della lite, questi, alla luce dell’art. 294 c.p.c., non aveva diritto a compiere le attività rimaste per lui precluse nel giudizio di primo grado, atteso che “un comportamento processuale improntato ai principi della correttezza e della buona fede” gli avrebbe consentito di “attivarsi per conoscere la situazione di un giudizio della cui esistenza egli era pacificamente informato”.
3.8. L’archetipo argomentativo delle sentenze n. 10580 del 2013 e n. 7885 del 2017 è stato riprodotto da Cass. Sez. 3, 15 gennaio 2020, n. 544, con riguardo alla nullità per vizi della vocatio in ius di una citazione per opposizione a decreto ingiuntivo, nullità rimasta sanata ex tunc in seguito alla proposizione dell’appello ad opera dell’opposto contumace in primo grado.
3.9. La sanatoria retroattiva ex art. 164 c.p.c. della citazione, in conseguenza della proposizione dell’appello da parte del convenuto rimasto dapprima contumace, e la necessità di rinnovare nel giudizio di gravame, “quando possibile e necessario”, gli atti nulli, sono state riaffermate da Cass. Sez. 3, 8 giugno 2012, n. 9306 (in ipotesi di citazione nulla per l’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello previsto dalla legge) e da Cass. Sez. 6 – 2, 7 gennaio 2021, n. 32 (in ipotesi di nullità della citazione introduttiva del primo grado per mancanza dell’avvertimento ex art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c.). 3.10. La giurisprudenza della Corte ha anche chiarito che l’effetto sanante prodotto dalla proposizione dell’appello si limita alla nullità della citazione viziata nella vocatio in ius e non si comunica agli atti successivi dipendenti, dei quali perciò il giudice di appello deve ordinare la rinnovazione (Cass. Sez. 3, 15 maggio 2009, n. 11317; Cass. Sez. Lavoro, 12 ottobre 2017, n. 24017).
- L‘ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 pronunciata dalla Terza Sezione civile reputa non “del tutto convincente” la soluzione offerta dalla sentenza n. 10580 del 2013, con cui si affida all’art. 294 c.p.c., oltre alla disciplina dell’ipotesi riguardante la richiesta di rimessione in termini da parte del contumace che si costituisce nel giudizio di primo grado, anche la regolamentazione delle conseguenze in appello dell’erronea dichiarazione di contumacia avvenuta in primo grado nonostante la nullità dell’atto di citazione.
Tale ricostruzione, ad avviso dell’ordinanza interlocutoria, muoverebbe dal contestabile presupposto della sussistenza di un onere processuale del convenuto di costituirsi in ogni caso in giudizio, là dove abbia ricevuto un atto nullo che non gli abbia impedito di avere nozione del processo, e ciò a fronte della irregolarità della vocatio in ius imputabile all’attore e della inosservanza del dovere di disporre la rinnovazione ex art. 164 c.p.c. imputabile al giudice. Sottraendo all’appellante la possibilità di svolgere tutte le attività assertive e probatorie precluse dalla nullità della citazione originaria, si verificherebbe, secondo l’ordinanza della Terza Sezione civile, un ingiustificato pregiudizio della parte come conseguenza della nullità verificatasi in suo danno.
L’ordinanza n. 18297/2021 riferisce la tesi dottrinale che riconduce alla costituzione tardiva del convenuto, il quale eccepisca la nullità della citazione, ex art. 164, comma 3, c.p.c., l’effetto inevitabile della «riapertura» piena e incondizionata del processo, desumibile dalla previsione della necessaria fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini prima udienza ex art. 183 c.p.c. Viene altrimenti rievocata una diversa teoria che prospetta tre distinte soluzioni: una che generalizza il funzionamento degli artt. 164 e 162 c.p.c., una che distingue fra rinnovazione degli atti nulli e rimessione in termini ed una che poggia sull’art. 294 c.p.c. e sulla convalidazione soggettiva ex art. 157, comma 2, c.p.c.
- Come ben evidenzia l’ordinanza interlocutoria, le difformità di decisioni giurisprudenziali, che negli ultimi anni si sono riscontrate sulla questione in oggetto, fanno eco ad una simmetrica divaricazione di opinioni riscontrabile in dottrina.
5.1. Una prima tesi induce a ritenere che la costituzione oltre la prima udienza effettuata del convenuto, il quale deduca l’inosservanza dei termini a comparire (o la mancanza dell’avvertimento ex art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c.), comporti sempre la regressione del processo alla prima udienza, ai sensi dell’art. 164, comma 3, c.p.c., senza perciò che il contumace soffra delle eventuali preclusioni o decadenze medio tempore maturate. A questa soluzione si obietta, in maniera apparentemente inoppugnabile, che la lettura prescelta non si cura del coordinamento dell’art. 164, comma 3, c.p.c. con gli artt. 156, 159, comma 1, 162, 164 e 294 c.p.c.
5.2. Una seconda tesi relega il funzionamento dell’art. 164, comma 3, c.p.c. alla sola ipotesi in cui il convenuto si costituisca entro la prima udienza, lasciando operare per il resto l’art. 294 c.p.c.: il convenuto che, al momento della sua tardiva costituzione, eccepisca la nullità della citazione ha diritto di ottenere soltanto la rinnovazione, ex art. 162 c.p.c., degli atti istruttori pregressi, colpiti per estensione dall’invalidità dell’atto introduttivo; se il convenuto intenda, invece, svolgere ulteriori attività difensive per le quali sono già maturate preclusioni, egli deve ottenere la rimessione in termini alle condizioni previste dal citato art. 294.
Qualora poi il convenuto, destinatario di una citazione nulla per vizi della vocatio in ius, rimanga contumace per l’intero giudizio di primo grado e deduca la nullità in appello, non trattandosi, com’è pacifico, di caso che comporti la rimessione al primo giudice, il giudice d’appello, dichiarata la nullità della citazione, deve parimenti procedere alla rinnovazione degli atti dipendenti da essa ed eventualmente consentire all’appellante il superamento delle preclusioni maturate nei suoi confronti seguendo il criterio dettato dall’art. 294, comma 1, c.p.c., e cioè se vi sia prova che il vizio dell’atto introduttivo fosse tale da impedire al convenuto l’individuazione degli elementi essenziali del processo e perciò giustificarne la contumacia nell’intero corso del primo grado.
Nel coordinamento tra l’art. 164 e l’art. 294 del codice di rito, si avrebbe che, esaurita la fase di operatività della prima norma, la restituzione in termini non si configura più come un diritto automatico spettante al convenuto, restando, piuttosto, affidata al vaglio di nneritevolezza postulato dalla seconda disposizione. A questa soluzione si obietta che non vi sarebbe ragione di disporre la rinnovazione degli atti istruttori compiuti in primo grado nel contraddittorio con l’ex contumace senza rimettere lo stesso in termini ai fini dell’esercizio dei poteri di cui quegli atti sono emanazione. In tal senso, l’art. 294 c.p.c. dovrebbe rappresentare un coerente completamento delle discipline della nullità dettate dagli artt. 156, 159, 162 e 164 c.p.c.: rinnovazione degli atti nulli e rinnessione in termini per il compimento delle attività precluse in conseguenza della nullità sarebbero, quindi, rimedi concorrenti e non alternativi.
5.3. Una terza tesi ravvisa la necessità di coordinare l’art. 294, comma 1, c.p.c. con il limite soggettivo di rilevabilità della nullità stabilito dall’art. 157, comma 2, c.p.c., limite correlato alla «prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso», cioè al primo atto del processo seguente al verificarsi o comunque alla conoscenza della nullità stessa.
In tal senso, il convenuto che, nonostante la nullità della citazione, abbia avuto notizia di essa (quando, perciò, non si tratti della omissione o assoluta incertezza dei requisiti stabiliti nei nn. 1 e 2 dell’art. 163 c.p.c.), non potrebbe più opporre la medesima nullità oltre il segmento procedimentale di prossimità segnato dall’art. 157, comma 2, c.p.c., né chiedere la rimessione in termini ai sensi dell’art. 294, comma 1, c.p.c. Se la citazione manca della indicazione della data dell’udienza o dell’avvertimento previsto dal n. 7) dell’art. 163 c.p.c., oppure viola i termini a comparire, il convenuto ha conoscenza del processo e può costituirsi entro la prima udienza, sicché opera l’art. 157, comma 2, c.p.c. Altrimenti, ove il convenuto non si costituisce e il giudice non rileva d’ufficio la nullità, come postula l’art. 164, comma 2, c.p.c., la nullità della citazione rimane sanata in base, appunto, all’art. 157, comma 2, c.p.c., e se il convenuto si costituisce nel prosieguo del processo non deve farsi luogo né a rinnovazione né a rimessione in termini ex art. 294 c.p.c.
- Queste Sezioni Unite ritengono che la difformità di pronunce segnalata dalla ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile vada composta dando continuità all’interpretazione prescelta da Cass. Sez. 6 – 3, 7 maggio 2013, n. 10580, nel senso, cioè, di lasciare regolata dall’art. 294 c.p.c. la questione degli effetti della rilevazione della nullità della citazione come motivo d’appello, distinguendo fra rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado, a norma degli artt. 354, comma 4, e 356 c.p.c., e rimessione in termini per le attività segnate da preclusioni condizionata alla dimostrazione della mancata conoscenza del processo.
6.1 La nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado per vizi della vocatio in ius, riguardando l’atto preordinato all’instaurazione del contraddittorio, ove il convenuto non si costituisca e non sia rilevata d’ufficio dal giudice (art. 164 c.p.c.), comporta l’estensione a tutti gli atti del processo che ne sono dipendenti (art. 159, comma 1, c.p.c.), ovvero agli atti che devono compiersi nel contraddittorio delle parti.
Allorché tale nullità non sia stata sanata dalla costituzione del convenuto né rilevata d’ufficio, non operando per essa il regime di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c., la stessa nullità si converte in motivo di impugnazione e deve perciò essere fatta valere dal contumace mediante appello, contemporaneamente spiegato, a pena di inammissibilità, anche in rapporto alle statuizioni di merito (da ultimo, Cass. Sez. Unite, 25 novembre 2021, n. 36596). La proposizione dell’appello, d’altro canto, non sana ex se la nullità degli atti successivi dipendenti dalla citazione viziata. Il giudice d’appello, preso atto della nullità del giudizio di primo grado e della stessa sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., è dunque tenuto a trattare la causa nel merito, rinnovando gli atti dichiarati nulli.
6.2. La rinnovazione degli atti nulli che sia ordinata dal giudice d’appello coinvolge, peraltro, le attività difensive correlate e strettamente conseguenziali all’atto rinnovato, ma non equivale alla rimessione in termini integrale ed automatica del contumace nello svolgimento di tutte le attività difensive impedite dalla mancata instaurazione del contraddittorio. La rimessione in termini è, infatti, ristretta dall’art. 294 c.p.c. alle sole attività ormai precluse il cui tempestivo svolgimento sia stato impedito dall’ignoranza del processo.
Già nel sistema del codice di procedura civile del 1865, il secondo comma dell’art. 58 individuava, quale generale limite della rinnovazione di un atto nullo, la scadenza del “termine perentorio per farlo”.
6.3. Dunque, il giudice d’appello dispone la rinnovazione degli atti nulli espletati in primo grado, dipendenti dalla nullità della citazione, mediante ripetizione degli stessi nel contraddittorio delle parti, così riattribuendo al convenuto, che era rimasto contumace, quei poteri difensivi inesercitati ma non soggetti a preclusione.
Secondo principio generale, invero, la rinnovazione, ad esempio, di una prova già invalidamente assunta si esaurisce nella nuova assunzione della stessa conformemente all’originaria allegazione del deducente, ostando la declaratoria di nullità al verificarsi di preclusioni o decadenze in dipendenza della iniziale assunzione, ma senza che in occasione della rinnovazione possa essere introdotta dalla controparte una prova contraria. La rimessione in termini, viceversa, è rimedio che riammette la parte all’esercizio di attività soggette a preclusione (quali, indicativamente, quelle di cui agli artt. 38, 167 e 183 c.p.c.), e però impone che la nullità della citazione abbia impedito al convenuto di avere conoscenza del processo.
6.4. Quando la nullità della citazione dedotta dall’appellante, rimasto contumace in primo grado, dipende dall’inosservanza dei termini a comparire o dalla mancanza dell’avvertimento previsto dal n. 7) dell’art. 163 c.p.c., la rimessione in termini per le attività che gli sarebbero precluse, ai sensi dell’art. 294 c.p.c., resta, di regola, impedita dall’avvenuta conoscenza materiale dell’esistenza del processo, a differenza di quanto accade in ipotesi di omissione o assoluta incertezza del giudice adito. Residuano, ovviamente, le ipotesi limite in cui tale conoscenza materiale del processo in capo al convenuto sia avvenuta in tempo comunque non utile a consentirgli una fruttuosa costituzione.
In virtù di un’interpretazione orientata all’effettività del diritto di difesa e alla ragionevole durata del processo, è da escludere che dalla nullità della citazione, pur non seguendo la rimessione al primo giudice, discenda la necessaria rimessione in termini del contumace appellante, perché ciò, come si avverte anche in dottrina, comporterebbe un «premio» per lo stesso, sebbene egli abbia avuto cognizione del processo ed avrebbe perciò potuto comunque costituirsi sin dalla prima udienza, mentre ha preferito attendere l’intero decorso del giudizio di primo grado per poi spiegare gravame. In tal senso, potendo dirsi che il mancato esercizio dei poteri processuali soggetti a preclusione da parte del convenuto contumace sia causato da una sua strategia difensiva e non direttamente dalla difformità della citazione dal modello legale, finisce per scindersi anche l’ipotizzata corrispondenza biunivoca tra rinnovazione e rimessione in termini per nullità dell’atto introduttivo.
Non induce a diversa conclusione la considerazione che la nullità della citazione sia comunque da imputare all’attore negligente e che non debba, perciò, pagarne le conseguenze il convenuto; esattamente all’inverso, ove all’incompleta redazione dell’atto introduttivo con riguardo agli elementi della vocatio in ius ed all’omesso rilievo d’ufficio della nullità della citazione addebitabile al giudice, si facesse seguire una integrale regressione del giudizio per lasciar esercitare al convenuto (il quale pur sapeva del processo pendente ma ha optato di non costituirsi alla prima udienza) tutti i poteri difensivi preclusi che avrebbe potuto svolgere in primo grado, la reazione ordinamentale risulterebbe sproporzionata rispetto alla lesione del diritto di difesa addebitabile all’attore.
Come pure è stato osservato dai commentatori, l’integrale rimessione in termini del convenuto contumace appellante, che era a conoscenza del processo e sia rimasto volontariamente inerte, rappresenterebbe un pericoloso “incentivo alla contumacia”, inducendo il convenuto, a fronte della nullità della citazione non rilevata dal giudice, ad attendere strumentalmente la definizione del giudizio di primo grado per poi far valere l’invalidità con la proposizione dell’appello.
- Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: “Allorché venga dedotta come motivo di appello la nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius (nella specie, per l’inosservanza dei termini a comparire), non essendosi il convenuto costituito e neppur essendo stata la nullità rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 164 c.p.c., il giudice d’appello, non ricorrendo una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, deve ordinare, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti compiuti in primo grado, potendo tuttavia il contumace chiedere di essere rimesso in termini per compiere attività ormai precluse a norma dell’art. 294 c.p.c., e dunque se dimostra che la nullità della citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo”.
- Alla stregua di tale principio, il secondo motivo del ricorso di Daniele OMISSIS è infondato, pur dovendosi correggere la motivazione adottata dalla Corte d’appello di Roma. La Corte d’appello ha invero affermato che il OMISSIS, in conseguenza della nullità della citazione per la inosservanza dei termini a comparire, non restava “soggetto alle preclusioni e decadenze connesse alla sua mancata partecipazione al primo grado del giudizio, potendo con l’atto di appello proporre tutte le difese e richieste anche istruttorie e produrre documenti”.
In proposito, la controricorrente Cerere s.r.I., nella memoria presentata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., evidenzia come il OMISSIS, in effetti, con l’atto d’appello aveva proposto eccezioni e depositato documenti. La sentenza impugnata ha tuttavia negato la richiesta di concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., formulata dal OMISSIS nelle conclusioni, giacché tale norma “non trova applicazione nel giudizio d’appello e, comunque, l’appellante aveva l’onere di articolare tutte le proprie difese (anche istruttorie) con l’atto di appello”.
Va piuttosto affermato che l’appellante, rimasto contumace in primo grado, avrebbe potuto chiedere ai giudici di appello di essere ammesso a compiere le attività di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., ormai precluse, solo allegando e dimostrando che la nullità della citazione gli aveva impedito di avere materiale conoscenza del processo, come stabilito dall’art. 294 c.p.c.
- Il terzo motivo di ricorso di Daniele OMISSIS deduce la violazione degli artt. 1453, 1458, 1459 e 1591 c.c., per avere la Corte d’appello di Roma accolto la domanda della Cerere s.r.l. di condanna del fideiussore al pagamento del minimo garantito nonostante la declaratoria di risoluzione del contratto fideiussorio. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt.1291 e 1591 c.c., avendo la sentenza impugnata ravvisato l’obbligo dell’affittuaria Sogeca s.r.l. e del fideiussore senza aver accertato lo stato di mora in ordine alla restituzione dei terreni. Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 132 n. 4 e 156, comma 2, c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., avendo la Corte d’appello apoditticamente rigettato il terzo motivo di appello relativo alla nullità dell’art. 8 del contratto del 14 ottobre 2004. Il sesto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 167, comma 1, c.p.c., non avendo la Corte di Roma tenuto conto della mancata contestazione, da parte della Cerere s.r.I., dell’allegata esistenza del vincolo paesistico gravante sulle aree affittate.
9.1. Queste Sezioni Unite, rigettati i primi due motivi di ricorso per pronunciare sulla questione rimessa, non ritengono opportuno decidere i motivi dal terzo al sesto di ricorso, i quali non riguardano la questione di diritto evidenziata nell’ordinanza interlocutoria e la cui decisione va perciò rimessa alla Terza Sezione civile, a norma dell’art. 142 disp. att. c.p.c.