Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 28 gennaio 2022 n. 3
PRINCIPIO DI DIRITTO
Gli amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- L’Adunanza Plenaria ritiene che gli amministratori ed i soci di una società destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento.
- Come è dato rilevare, la sentenza di rimessione, nell’evidenziare la propria tendenziale preferenza per l’orientamento giurisprudenziale volto a riconoscere la legittimazione all’impugnazione dell’interdittiva antimafia in capo ad ex amministratori e a soci della persona giuridica – nel riconoscere che il problema preliminare è costituito dalla “individuazione dei soggetti che patiscano effetti diretti dall’adozione di provvedimenti” di interdittiva antimafia – fonda il riconoscimento di legittimazione attiva su una pluralità di profili di interesse costituiti:
– per gli ex amministratori, dal “pregiudizio professionale” derivante dalla sostituzione degli organi di gestione, e dunque sulla titolarità di una posizione giuridica connessa all’immagine professionale del soggetto (pag. 12), nonché sul fatto (patrimonialmente rilevante) della “espunzione da una attività professionale che spesso costituisce l’unica fonte di reddito” (pag. 17);
– per i soci, su diritti (sostanzialmente) di natura patrimoniale, consistenti nella “impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda” (pag. 12);
– per gli ex amministratori e/o soci, sul diritto alla “dignità e reputazione”, pregiudicati laddove le proprie “vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione” (pag. 12 e 17).
A ciò la sentenza parziale aggiunge, argomentando diffusamente (v. pagg. da 15 a 19), la considerazione che “il sacrificio delle garanzie procedimentali potrebbe essere bilanciato dalla possibilità di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale anche da parte dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio sebbene non formalmente destinatari dello stesso”.
11.1. Ritiene l’Adunanza Plenaria che tale ultima considerazione non possa assumere rilievo ai fini della soluzione della questione di diritto ad essa sottoposta.
Ed infatti, posta (salvo quanto di seguito precisato) la esclusione della partecipazione dei soggetti interessati al procedimento volto all’emanazione dei provvedimenti intedittivi, desumibile dagli articoli 84 e 91 d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, non appare possibile, onde riconoscere la legittimazione attiva in sede processuale (ai fini del ricorso avverso tale provvedimento), argomentare in termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie procedimentali” ovvero di “compensazione” della “omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale” per il tramite di un riconoscimento di legittimazione ad agire.
Appare, infatti, evidente che ciò che rileva, ai fini della soluzione del quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria, è la individuazione della sussistenza (o meno) di una situazione soggettiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica, con la conseguenza che, laddove tale situazione venga individuata ed abbia, in particolare, la consistenza di interesse legittimo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in piena attuazione degli articoli 24 e 113 Cost. e, non ultimo, la stessa possibilità di partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt. 7 ss. della legge n. 241/1990 (salvo verificare la specifica compatibilità degli istituti della l. n. 241/1990 con la disciplina del Codice delle leggi antimafia); non sussistendo, in caso contrario, né la legittimazione ad agire in giudizio né quella a partecipare al procedimento.
Né può essere obliato che, anche in sede di partecipazione procedimentale, la stessa legge n. 241 del 1990 – utilizzando un concetto di “pregiudizio” variamente riferito a diverse tipologie di “interesse” – conosce forme e livelli diversi di partecipazione in funzione di tutela nell’ambito del procedimento, riconoscendo:
– una partecipazione piena – quale forma di tutela “anticipata” in sede procedimentale delle proprie situazioni giuridiche – ai destinatari diretti del provvedimento che l’amministrazione intende assumere a conclusione del procedimento amministrativo, ovvero a coloro che dall’emanazione del medesimo, ancorché non ne siano diretti destinatari, possano subire un pregiudizio (i cd. controinteressati in sede procedimentale):
– una ulteriore forma di partecipazione, riconosciuta a quei soggetti, portatori di interessi pubblici o privati “cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento”
E tali differenti forme di partecipazione procedimentale si riflettono su distinte situazioni in sede processuale, quali quella della legittimazione ad agire o a resistere, per un verso; ovvero dell’intervento (ad adiuvandum o ad opponendum), per altro verso. (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2021 n. 2836; sez. IV, 16 febbraio 2010 n. 887).
11.2. D’altra parte, il recente d.l. 6 novembre 2021 n. 152, nell’introdurre modifiche agli artt. 92 e 93 del d. lgs. n. 159/2011, prevede forme di partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento di informazione antimafia interdittiva, disponendo che allo stesso venga data tempestiva comunicazione, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa ed assegnandogli un termine (non superiore a venti giorni) per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione.
Tale nuova disciplina per un verso stempera le perplessità espresse dalla sentenza di rimessione in ordine all’adozione di un provvedimento “con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili” senza alcun contraddittorio endoprocedimentale (cui, nella prospettazione offerta, dovrebbe fare da “bilanciamento” il riconoscimento di legittimazione processuale); per altro verso, rende palese come il legislatore ritenga titolare di una situazione giuridica tale da legittimarlo alla partecipazione procedimentale (nei termini ivi specificamente disciplinati) il solo soggetto possibile destinatario della misura interdittiva (la persona giuridica) e non altri (amministratori, soci, etc.).
12.1. Come si è innanzi affermato, dunque, la risposta al quesito sottoposto consiste nella individuazione della sussistenza (o meno) di una posizione soggettiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica, con la conseguenza che, solo nel caso in cui tale posizione venga individuata ed abbia, in particolare, la consistenza di interesse legittimo, e questo subisca “pregiudizio” dall’esercizio del potere amministrativo, su di essa potrà fondarsi la legittimazione ad agire in giudizio a tutela della posizione medesima, in piena attuazione degli articoli 24 e 113 Cost..
12.2. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha più volte affermato che, nell’ambito del processo amministrativo impugnatorio, la legittimazione e l’interesse al ricorso integrano condizioni dell’azione necessarie per consentire al giudice adito di pronunciare sul merito della controversia, condizioni che devono esistere al momento della proposizione della domanda processuale e persistere fino alla decisione della vertenza (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9).
La legittimazione e l’interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell’operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio dell’azione autoritativa oggetto di censura (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4).
Il giudice procedente, in particolare, deve quindi pregiudizialmente verificare l’esistenza in capo alla parte ricorrente:
– di una posizione qualificata e differenziata (avente consistenza di interesse legittimo), correlata al bene della vita oggetto di esercizio del pubblico potere, idonea a distinguere il ricorrente da ogni altro consociato (accertamento strumentale alla verifica della legittimazione al ricorso);
– di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente, suscettibile, pertanto, di essere beneficiato – e, dunque, di trarre un’utilità effettiva – da un’eventuale sentenza di accoglimento della propria impugnazione (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4; sez. VI, 14 giugno 2021 n. 4598).
12.3. A tali fini occorre ricordare che – come la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di sottolineare (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644 e 7 marzo 2013 n. 1403) – ciò che caratterizza l’interesse legittimo – e che costituisce la differenza essenziale dello stesso dal diritto soggettivo – è la sua inerenza alla esistenza e, soprattutto, all’esercizio del potere amministrativo: l’interesse legittimo, infatti, non è percepibile sul piano, per così dire, “statico”, senza, cioè, che la pubblica amministrazione abbia esercitato o negato di esercitare, nei confronti del soggetto, il potere del quale essa è titolare.
Occorre ribadire, dunque, che la posizione di interesse legittimo (alla quale inerisce la legittimazione ad agire in sede processuale) presuppone ed esprime necessariamente una relazione intercorrente tra un soggetto che ha (o intende ottenere) una determinata utilità (riferita ad un “bene della vita”), e la pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere ad essa attribuito dall’ordinamento giuridico, sia che tale utilità consista nel neutralizzare l’esercizio del potere amministrativo, a tutela di un patrimonio giuridico già esistente che verrebbe altrimenti compresso; sia se volta ad ottenere l’esercizio del potere amministrativo negato dall’amministrazione, attraverso il quale si intende(va) conseguire un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.
In ambedue le ipotesi, quindi, esiste un rapporto diretto ed immediato tra l’esercizio del potere amministrativo (e ciò in cui esso si sostanzia, cioè il provvedimento amministrativo) e l’interessato all’esercizio del potere medesimo, Tale relazione diretta si concretizza nel fatto che il provvedimento amministrativo e suoi effetti interessano direttamente (ed univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in senso compressivo o ampliativo.
Il primo riflesso di tale relazione diretta ed immediata è rappresentato dalla cd. partecipazione procedimentale, dalla possibilità, cioè, riconosciuta a titolari di posizioni qualificate (dall’essere interessate all’esercizio del potere) al modo stesso, epifanico, del “farsi” del potere amministrativo, alla costruzione delle determinazioni della pubblica amministrazione, nel luogo a ciò destinato, il procedimento amministrativo.
Proprio in virtù della relazione diretta ed immediata che deve intercorrere tra potere amministrativo e sitauzione di interesse legittimo, l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 individua i soggetti che, in quanto titolari di determinate posizioni che saranno interessate dal provvedimento finale, devono essere destinatari della comunicazione di avvio del procedimento, onde essere messi in condizione di partecipare al medesimo, svolgendovi attività riconducibile ad una forma di tutela – anticipata e “procedimentale” – della propria posizione giuridica.
A fronte di ciò, il successivo art. 9, come si è già avuto modo di accennare, individua ancora – quali soggetti distinti dai precedenti – coloro che possono partecipare al processo, in quanto vi hanno interesse, in tal modo dimostrandosi come, anche nell’ambito del procedimento amministrativo, l’esercizio del potere amministrativo non determina di per sé posizioni indifferenziate, come tali tutte meritevoli dell’identica tutela a questo riconosciuta.
Ulteriore riflesso della relazione diretta ed immediata tra soggetto titolare di interesse legittimo e pubblica amministrazione è rappresentato dal potere di agire in giudizio per la tutela del proprio interesse legittimo compromesso dall’esercizio o dal mancato esercizio (provvedimento negativo) del potere amministrativo.
In tal senso, il giudizio amministrativo, nella sua forma di giudizio impugnatorio di atti, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che, attraverso l’eliminazione del provvedimento lesivo, consiste o nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico ovvero nel conseguire (o tentare di conseguire) attraverso l’esercizio del potere amministrativo un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.
Ma, in ambedue le ipotesi, l’effetto proprio della sentenza costitutiva di annullamento si produce direttamente (e solo) sul patrimonio giuridico del soggetto per il quale si è instaurata – volente o nolente – una particolare relazione con la pubblica amministrazione, vuoi perché è l’amministrazione stessa che, unilateralmente e procedendo ex officio, ha intercettato la sua situazione giuridica, vuoi perché, al contrario, è stato il soggetto, attraverso una propria iniziativa di avvio procedimentale, a postulare l’esercizio (poi negato) del potere amministrativo.
Alla luce di quanto sin qui esposto, può allora affermarsi che le caratteristiche di “personale” e “diretto”, che devono assistere l’interesse legittimo, svolgono, sul piano sostanziale, anche il ruolo di definire l’ambito della (possibile) titolarità della posizione giuridica, il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell’ordinamento giuridico.
Nell’ambito della situazione dinamica in cui si pone l’esercizio del potere amministrativo, dunque, l’interesse è “personale” in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l’esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell’atto e/o per avere nei confronti dell’atto una posizione opposta, speculare a quella del destinatario diretto).
Ne consegue che non possono esservi posizioni di interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo conferitole dall’ordinamento, che non siano quelle (e solo quelle) che sorgono per effetto dello stesso statuto normativo del potere, nell’ambito del rapporto giuridico di diritto pubblico, (pre)configurato normativamente.
L’interesse legittimo prevede, dunque, l’instaurazione di un rapporto giuridico con la pubblica Amministrazione; un rapporto giuridico che, per di più, non è ipotizzabile come potenziale, ma che si instaura al momento stesso dell’insorgenza della posizione.
Laddove, dunque, gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all’interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità, l’ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l’azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice.
E’ tale posizione giuridica, nei sensi sopra descritti, che legittima al ricorso avverso l’atto amministrativo lesivo, se ed in quanto, attraverso l’annullamento dell’atto, si conserva o consegue (o si può conseguire, anche attraverso il riesercizio del potere amministrativo) quella utilità di cui si è, o si ritiene di dovere diventare, o si intende diventare, “titolare”.
Al contrario, laddove non è individuabile tale posizione, ma purtuttavia sono enucleabili generiche posizioni di interesse (anche derivanti da rapporti, quale che ne sia la fonte, intercorrenti tra soggetto in relazione con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti), queste ultime – che ben possono ricevere indirettamente e/o di riflesso, un “pregiudizio”- legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici.
L’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico, come si è già avuto modo di osservare, devono derivare direttamente dall’esercizio del potere amministrativo e solo questo determina, in sede processuale, la legittimazione ad agire.
13, Nel caso oggetto del presente giudizio, non può non rinvenirsi carenza di legittimazione attiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica colpita da interdittiva antimafia.
Come ha condivisibilmente affermato il prevalente orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (si veda, inter alia, Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2019 n. 539) “il decreto prefettizio può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti, e quindi, dal destinatario dell’atto, e cioè dalla società, in quanto solo il destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.”.
Si è anche affermato come laddove “la lesione lamentata dal ricorrente riveste ed è stata da egli stesso qualificata come lesione del suo “diritto” alla reputazione, alla dignità, situazione giuridica soggettiva che non ha natura di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo”, vi è carenza di titolarità di interesse legittimo “il che comporta ulteriori profili di inammissibilità del ricorso sotto altro aspetto”.
Più specificamente, con riferimento alla posizione degli appellanti nella presente sede, è la posizione degli stessi in rapporto alla persona giuridica/società per azioni che, alla luce di quanto innanzi esposto, esclude la loro legittimazione ad agire, non essendo individuabile una loro titolarità di interesse legittimo.
Se, come essi stessi affermano (v. pag. 3 memoria del 15 ottobre 2021), “il carattere di persona giuridica attribuito alla società non può eliderne la natura contrattuale e dunque il legame indissolubile con i contraenti, ossia i soci, o con le persone fisiche che, come gli amministratori, svolgono alcuni ruoli indispensabili perché la società possa determinarsi ad operare”, appare evidente come gli amministratori e/o i soci non siano destinatari diretti dell’esercizio del potere amministrativo, essendovi relazione diretta solo tra potere amministrativo e persona giuridica, ma essi emergono con un proprio (possibile e riflesso) pregiudizio solo per effetto di un diverso rapporto (di natura contrattuale o di altro tipo) che li lega al destinatario diretto (la società).
Ma questo rapporto, estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell’atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo e impedisce, quindi, di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia.
Ciò non significa che tale provvedimento non possa produrre “pregiudizi” sulla loro sfera giuridica, ma che, in ogni caso, questi ultimi non possono sorreggere la legittimazione ad impugnare, ma solo, nell’ambito del sindacato giurisdizionale di legittimità e ricorrendone i presupposti, un intervento in giudizio.
- Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza Plenaria formula il seguente principio di diritto:
“gli amministratori ed i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento”.
La soluzione data al primo quesito dispensa l’Adunanza Plenaria dall’esaminare il secondo quesito, sottopostole in via subordinata per il caso in cui venisse riconosciuta la sussistenza di legittimazione ad agire da parte di amministratori e soci contro il provvedimento di informativa antimafia interdittiva emesso nei confronti della società.
- L’Adunanza Plenaria dispone la restituzione del giudizio al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, per ogni ulteriore decisione nel merito e sulle spese ed onorari del giudizio, ivi compresi quelli inerenti alla presente fase.