Cass. pen., III, ud. dep. 30.12.2021, n. 47293
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di reati contro la libertà sessuale commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, l’ignoranza da parte del soggetto agente dell’età della persona offesa scrimina la condotta solo qualora egli, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne sia maggiorenne; ne consegue che non sono sufficienti le sole rassicurazioni verbali circa l’età fornite dal minore, o da terzi, soprattutto se fornite in maniera ambigua.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo del ricorso nell’interesse di R.M. è manifestamente infondato. Si invoca nel motivo la mancata assunzione di una prova decisiva.
1.1. Oggetto della richiesta di rinnovazione non è stata l’acquisizione ma la ricerca della prova documentale mediante un’attività volta all’acquisizione degli elenchi.
La rinnovazione ex art. 603 c.p.p. riguarda o la riassunzione di prove già acquisite in dibattimento o l’assunzione di prove nuove: ove si tratti di documenti, l’assunzione della prova nuova consiste esclusivamente nella produzione dell’atto, non nella sua ricerca.
1.2. La prova decisiva, rilevante ex art. 606 c.p.p., lett. d), deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento; la richiesta di rinnovazione implica dunque esclusivamente la produzione di un documento che abbia una capacità dimostrativa tale che, ove acquisito, porterebbe ad una diversa decisione.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza (cfr. Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323) è decisiva, ex art. 606 c.p.p., lett. d), la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante.
Nel giudizio di appello l’acquisizione di una prova documentale, pur non implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti (Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv. 280504 – 01).
1.3. Il ricorrente, dunque, non ha chiesto l’acquisizione della prova documentale, ma un’attività di ricerca della prova documentale il cui esito è incerto, non conoscendosi il contenuto del documento che avrebbe dovuto acquisire nè se tale documento confermi o meno la presenza del ricorrente nella struttura.
La richiesta di rinnovazione era, pertanto, inammissibile perché esplorativa, non volta alla produzione di un dato certo; sulla richiesta non vi era alcun obbligo di risposta da parte della Corte di appello.
Cfr. in tal senso Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016,H., Rv. 267974, per cui nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicché non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente.
1.4. La finalità esplorativa emerge dallo stesso ricorso in cui si indica che lo scopo della richiesta probatoria era sia quella di accertare se il ricorrente fosse presente nell’albergo, sia di verificare l’attendibilità della persona offesa.
1.5. In più, il motivo relativo alla mancata assunzione di una prova decisiva non può essere validamente invocato quando la finalità della richiesta di prova consista nell’acquisizione di un ulteriore mezzo di prova al fine di giungere ad una diversa valutazione degli elementi acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale, come nel caso in cui si intenda sottoporre ad una diversa valutazione l’attendibilità della persona offesa.
1.6. In ogni caso, la Corte di appello, oltre al passo citato dal ricorrente, ha anche motivato sulla completezza del materiale istruttorio e sull’assenza del carattere di novità della prova di cui si chiese l’acquisizione, per altro indicando, nel par. IV, tutte le fonti di prova a carico, escludendo quindi i presupposti per la rinnovazione ex art. 603 c.p.p..
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nel giudizio di appello, è un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203974).
Sussiste tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze o sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228). L’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello; è pertanto incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 3, n. 7908 dei 29/07/1993, Giuffida, Rv. 19448701).
- Con il ricorso nell’interesse di Ri.Ar. si deduce il vizio di violazione di legge con riferimento all’art. 192 c.p.p., quanto alla valutazione dell’attendibilità della persona offesa.
Il motivo è manifestamente infondato.
2.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell’art. 192 c.p.p., non essendo l’inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c), ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame.
2.2. Va rilevato che non risulta dal riepilogo delle fonti di prova contenuto nella sentenza che la querela sia stata acquisita come prova nel processo nè il ricorrente dimostra che ciò sia avvenuto; ne consegue che l’unica fonte di prova dichiarativa è la testimonianza resa nell’incidente probatorio. Le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari al più possono essere utilizzate per le contestazioni e non a fini di prova.
In ogni caso, ai fini della valutazione dell’attendibilità, la Corte di appello ha esplicitamente valutato tali divergenze.
2.3. Il richiamo alla Carta di Noto è poi del tutto irrilevante non avendo valore cogente.
2.4. Per il resto, si contesta il valore delle fonti di prova (i riscontri esterni, le chat, l’individuazione fotografica) valorizzate dai giudici di merito, senza però rilevare concreti vizi di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione; il ricorso propone solo una lettura alternativa delle fonti di prova: in sostanza si critica l’adeguatezza della valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito per ottenerne una diversa rispetto ad una ri. sta compiuta ai motivi di appello.
I ricorsi prospettano, poi, questioni comuni e possono essere analizzati congiuntamente.
- I ricorsi, quanto alla richiesta di applicazione dell’art. 609-sexies c.p., sono manifestamente infondati.
3.1. Va ricordato, quanto all’errore sull’età della vittima, che il testo originario dell’art. 609-sexies c.p., in vigore dal 6 marzo 1996, che disciplina l’ignoranza dell’età della persona offesa, prevedeva che “Quando i delitti previsti negli artt. 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies sono commessi in danno di persona minore di anni quattordici, nonché nel caso del delitto di cui all’art. 609-quinquies, il colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa”.
3.2. Fu sollevata la questione di legittimità costituzionale di tale norma in riferimento all’art. 27 Cost., commi 1 e 3.
Con la sentenza n. 322 del 24/07/2007 la Corte costituzionale dichiarò inammissibile la questione richiamando la propria giurisprudenza precedente sia sull’art. 539 c.p. che sul principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 Cost., comma 1, (che non si esaurisce nel mero divieto della responsabilità per fatto altrui, ma va inteso, amplius, come principio della responsabilità per fatto proprio colpevole), le convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito. La Corte costituzionale ha ritenuto che la norma dovesse essere interpretata dando rilevanza scusante dell’errore incolpevole sull’età.
Secondo la Corte costituzionale, “il giudizio di inevitabilità dell’errore postula in chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appare di giovane età un impegno conoscitivo proporzionato alla pregnanza dei valori in gioco, il quale non può certo esaurirsi nel mero affidamento nelle dichiarazioni del minore: dichiarazioni che secondo la comune esperienza, ben possono risultare mendaci.
E ciò fermo restando, ovviamente, che qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto dispone lascino residuare il dubbio circa l’effettiva età del partner, detto soggetto, al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale: giacché operare in situazioni di dubbio circa un elemento costitutivo dell’illecito (o un presupposto del fatto) – lungi dall’integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non addirittura di dolo eventuale”.
3.3. Con la L. 1. ottobre 2012, n. 172, in vigore dal 23 ottobre 2012, l’art. 609-sexies c.p. è stato così modificato: “Quando i delitti previsti negli artt. 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-octies e 609-undecies sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto, e quando è commesso il delitto di cui all’art. 609-quinquies, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile”.
3.4. Dunque, quanto all’elemento psicologico dei reati indicati nell’art. 609-sexies c.p., al dolo sì affianca la colpa in ordine alla conoscenza di un elemento costituivo del reato – l’età della vittima; da qui la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata con i ricorsi R. e C. .
È costante l’orientamento per cui è sufficiente ad integrare l’ignoranza o l’erronea rappresentazione della stessa una condotta improntata a disattenzione o ad avventatezza o a superficialità.
La giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 775 del 04/04/2017, dep. 2018, V H., Rv. 271862 – 01, sul reato ex art. 609-quater c.p.) ha interpretato l’art. 609-sexies c.p. nel senso che, in tema di reati contro la libertà sessuale commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, l’ignoranza da parte del soggetto agente dell’età della persona offesa scrimina la condotta solo qualora egli, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne sia maggiorenne; ne consegue che non sono sufficienti le sole rassicurazioni verbali circa l’età fornite dal minore, o da terzi, soprattutto se fornite in maniera ambigua (la vittima non aveva indicato con chiarezza la sua età, ma aveva solo lasciato intendere all’imputato di avere quindici anni).
L’imputato non può pertanto allegare di ignorare un elemento della fattispecie di reato qual è l’età della parte offesa, giacché è l’età che reca con sé tutto il disvalore della previsione del fatto come reato, essendo il bene giuridico tutelato dall’art. 609-quater c.p. il corretto sviluppo della personalità del minore che, essendo fino all’età adolescenziale in via di formazione, è stato ritenuto meritevole di una protezione assoluta sotto il profilo dell’integrità psico-fisica che si concretizza nella tutela non tanto della libertà sessuale del minore quanto della maturazione della sua libertà ancora acerba dalle insidie provenienti da soggetti terzi.
Conseguentemente, spetta all’agente attivarsi per superare l’eventuale condizione di ignoranza dell’età del minore, che non può fondarsi soltanto, od essenzialmente, sulla dichiarazione della vittima di avere un’età superiore a quella effettiva, essendo richiesto a chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appare di giovane età, un “impegno” conoscitivo proporzionale alla presenza dei valori in gioco.
Sez. 3, n. 3651 del 10/12/2013, dep. 2014, R., Rv. 259089 – 01, in tema di prostituzione minorile, ha affermato il principio per cui il fatto tipico scusante previsto dall’art. 602-quater c.p. in relazione all’ignoranza inevitabile circa l’età della persona offesa, è configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, possa essere rivolto all’agente, per avere egli fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori.
3.5. Va ribadito quanto affermato dalla Corte costituzionale: fermo restando l’obbligo di attivarsi dell’agente, quando gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto dispone lascino residuare il dubbio circa l’effettiva età del partner, l’unica strada per l’agente, per non incorrere in responsabilità penali, è quella di astenersi dal rapporto sessuale. Il dubbio prova la colpa, se non addirittura il dolo eventuale.
3.6. Ricade su chi invoca l’errore l’onere di provare – o almeno di allegare elementi specifici che consentano una verifica dell’assunto – di aver agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva.
Proprio in ciò sta la manifesta infondatezza dei ricorsi e la correttezza della decisione: si invoca l’applicazione della norma non indicando quali siano stati i diligenti e dovuti accertamenti compiuti dagli imputati per verificare l’età della vittima; la richiesta di applicazione della norma si fonda solo sulla valutazione della condotta della minore o addirittura sulle sue parziali caratteristiche fisiche (l’essere “procace”).
3.7. Inoltre, va affermato che può invocare l’applicazione dell’art. 609-sexies c.p. solo chi ammetta di aver avuto rapporti sessuali con la minorenne e provi di aver svolto, come indicato, i diligenti e dovuti accertamenti.
Negare di aver avuto rapporti sessuali con una minorenne e contemporaneamente affermare che i rapporti sessuali sono avvenuti per l’ignoranza inevitabile sull’età è una insanabile contraddizione che impedisce l’applicazione della norma; soprattutto, non costituisce una esaminabile e valida ricostruzione alternativa.
Gli imputati hanno negato di avere rapporti sessuali con la persona offesa; dalla sentenza impugnata risulta anzi che Arturo Ri. , l’unico a sottoporsi all’esame, ha dichiarato che la persona offesa era piccolina, una “creatura”, in aperto contrasto con la tesi difensiva.
Gli imputati non hanno mai indicato, nell’esame o nelle dichiarazioni spontanee, di aver posto in essere i diligenti e dovuti accertamenti. Dunque, la richiesta di applicazione della norma non si fonda sulle prove emerse in dibattimento, ma su mere congetture.
- I motivi ed i motivi aggiunti sulla riduzione della pena per la circostanza attenuante della minore gravità sono infondati.
4.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza nel caso in cui sia irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo all’adeguatezza, alla congruità, alla non eccessività, all’equità e simili della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. Inoltre, il criterio di determinazione è desumibile anche dal testo della sentenza e non solo nella parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
In tal caso, così come per gli aumenti e le diminuzioni per le circostanze aggravanti ed attenuanti, l’uso del potere discrezionale del giudice è insindacabile ed è inammissibile il ricorso che tenda ad una nuova valutazione della congruità della pena.
4.2. Ad Ri.Ar. è stata applicata una pena inferiore al medio edittale, calcolata secondo il principio espresso da Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 – 01 (la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo); in tal caso non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della.
4.3. Agli altri imputati è stata inflitta una pena di poco superiore al medio edittale.
L’entità della riduzione della pena è stata esplicitamente motivata in base alla gravità della condotta tenuta dagli imputati; R.M. ed Ri.Ar. per avere intrattenuto interlocuzioni sessualmente esplicite e con linguaggio scurrile, C.A. per avere preso lui l’iniziativa di contattare la minore. Tutti per la gravità del comportamento di non essersi sincerati dell’età della persona offesa, icto oculi una adolescente,
Per quanto non siano pertinenti i riferimenti all’assenza di un comportamento collaborativo, tenuto conto della natura della circostanza attenuante, la Corte di appello ha determinato la riduzione della pena in modo corretto, con motivazione immune da vizi logici, perché ha fondato la decisione sugli elementi ex art. 133 c.p..
4.4. Tale motivazione è del tutto sufficiente non essendo necessaria la confutazione di ogni elemento evidenziato della difesa.
Cfr. Sez. 3, n. 6877 dei 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196 – 01 per cui la misura della dìminuzione della pena per ciascuna delle circostanze attenuanti applicate costituisce l’oggetto di una tipica facoltà discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere al relativo obbligo di motivazione, non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento.
4.5. I ricorsi di R.M. e di C.A. sono manifestamente infondati nella parte in cui invocano la disparità di trattamento sulla determinazione della pena.
Va ribadito che sono manifestamente infondate le doglianze che fanno leva sull’ingiustizia di un trattamento sanzionatorio “parificato” a quello del coimputato, in quanto il trattamento sanzionatorio deve essere definito sulla base di parametri squisitamente individuali, non essendo richiesta nessuna valutazione comparativa tra posizioni omogenee. Nè tra i parametri di legittimità per la definizione della pena si rinviene quello della valutazione comparativa tra concorrenti. L’accertamento di responsabilità e la definizione del trattamento sanzionatorio sono infatti il risultato di valutazioni concernenti la posizione dei singoli imputati e sul giudice non grava alcun onere motivazionale in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte (Cfr. in tal senso Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016, dep. 2017, Bonacina, Rv. 269317 – 01).
- Manifestamente infondati sono i motivi dei ricorrenti sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
5.1. Sull’applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice del merito esprime un giudizio di fatto la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini delta concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (così Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è adeguatamente motivata quando il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
5.2. Il rigetto dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche si fonda per ciascun imputato sulla gravità del fatto, quindi sugli elementi ex art. 133 c.p.: l’età della vittima; le modalità dell’approccio, il contesto e la tipologia degli atti sessuali; inoltre, per C.A. per avere lui cercato la minore; per gli altri imputati, per l’invio alla ragazzina di frasi dal contenuto fortemente erotico, per le richieste di invio di foto della minore nuda e delle zone genitali. La gravità delle condotte è stata rilevata anche per l’assenza di qualunque scambio sentimentale. Si è sottolineata altresì la mancanza di revisione critica delle dimostrate condotte.
La motivazione è dunque del tutto corretta in diritto ed immune da vizi logici.
- L’eccezione di incostituzionalità dell’art. 4-bis, comma 1-quater, secondo periodo, dell’ordinamento penitenziario, per violazione degli artt. 3e 27 Cost., nella parte in cui non sottrae al meccanismo dell’ostatività le fattispecie attenuate ex art. 609-quater c.p., comma 4, è irrilevante, trattandosi di norma non applicabile nel giudizio. I motivi, relativi alle questioni di legittimità costituzionale, sono dunque inammissibili e l’inammissibilità si estende ai motivi nuovi.
- Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p.si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.