L’ordinanza n. 120/2022 emessa dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione affronta il tema della contraffazione per equivalenti in materia di brevetti, disciplinata nel nostro ordinamento all’art. 52, comma 3 bis, del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della Proprietà Industriale).
La pronuncia in esame esordisce rammentando che l’art. 52 del Codice della Proprietà Industriale, al primo comma, stabilisce che nelle rivendicazioni brevettuali viene indicato specificamente ciò che si intende debba formare oggetto della privativa. Al secondo e terzo comma si precisa, inoltre, che i limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni e avendo sempre riguardo all’esigenza di contemperare più interessi contrapposti, garantendo allo stesso tempo un’equa protezione al titolare dell’invenzione e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
Il comma 3 bis, introdotto dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131, aggiunge poi che, per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, si deve tenere nel dovuto conto “ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni”.
Questa disposizione, che pone una regola conforme al Protocollo interpretativo dell’art. 69 della Convenzione sul Brevetto Europeo, codifica in buona sostanza l’istituto della “contraffazione per equivalenti”, già da tempo riconosciuto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
La Corte ricorda che “la dottrina degli equivalenti consiste in una teoria interpretativa secondo cui un prodotto o procedimento, pur formalmente diverso dall’invenzione brevettata, può essere comunque ricondotto nell’ambito di esclusiva conferito dalla privativa, così da garantire al titolare del brevetto una protezione più ampia (e più equa) di quella che gli verrebbe concessa sulla base di una interpretazione strettamente letterale delle stesse, evitando che modeste e non significative varianti, apportate dal contraffattore, possano consentire l’elusione della tutela conferita dal brevetto”.
È opinione unanime che il nuovo impianto normativo abbia segnato il superamento dell’approccio cosiddetto della “central definition theory” e l’approdo alla cosiddetta “peripheral definition theory“.
In sostanza, si è passati da un sistema incentrato sulla valutazione dell’invenzione nel suo complesso, quale ricostruita sulla base delle caratteristiche essenziali della soluzione inventiva attribuita al trovato, senza attribuire rilevanza agli elementi accessori e secondari, anche se riprodotti (valutazione condotta individuando di volta in volta, nell’invenzione e nel prodotto contraffattorio, la medesima “idea inventiva” o “idea di soluzione” o “nucleo inventivo protetto” o “cuore dell’invenzione brevettata”) ad un sistema fondato sulla chiara e precisa identificazione dei limiti e dei confini della protezione brevettuale, funzionali alla determinazione del perimetro della privativa, sulla base delle caratteristiche del trovato espressamente rivendicate nel testo brevettuale, secondo il c.d. esame “elemento per elemento” (c,d. “element by element rule”, a sua volta corollario della “all elements rule” elaborata dalla dottrina statunitense, secondo cui, perché si abbia contraffazione, ogni elemento rivendicato deve ritrovarsi nell’oggetto o letteralmente o per equivalenti).
In questo modo, ne è uscito rafforzato il ruolo delle rivendicazioni, sia nella valutazione dei requisiti di brevettabilità dell’invenzione (giacché soltanto le caratteristiche, come effettivamente rivendicate, debbono essere prese in considerazione per stabilire la differenza tra l’oggetto del brevetto e l’arte nota), sia nella fase di accertamento della contraffazione letterale o per equivalenti. La principale critica mossa alla “central definition theory” era infatti quella di prescindere dal ruolo centrale svolto dalle rivendicazioni e di frustrare, conseguentemente, le esigenze di certezza dei terzi in ordine all’ampiezza dell’esclusiva brevettuale.
Due sono le principali metodologie impiegate per valutare l’equivalenza:
- il “triple test” o “metodo FWR” (function, way, result), di matrice statunitense, secondo cui, in un’analisi di ogni parte dell’invenzione, nella contraffazione per equivalenti rientrano solo quelle soluzioni che realizzano lo stesso risultato dell’invenzione (result), con le stesse modalità (way) e che svolgono sostanzialmente la stessa funzione (function);
- il criterio dell’ovvietà, di derivazione tedesca e recepito dalla prevalente giurisprudenza della stessa Cassazione, secondo cui rientrano nella contraffazione del brevetto per equivalenti tutte le realizzazioni che, in virtù della tecnica nota, costituiscono, per il tecnico del ramo, un’ovvia variante ovvero una risposta banale e ripetitiva rispetto a quanto rivendicato (salvo che il trovato oggetto di contestazione non risolva un problema tecnico diverso, potendo allora rientrare nel campo delle invenzioni dipendenti di cui all’art. 68, comma 2, del Codice della Proprietà Industriale).
Ripercorrendo la propria giurisprudenza, la Cassazione ricorda inoltre che:
- al fine di escludere la contraffazione per equivalenza, non rileva la variazione, seppure originale, apportata ad un singolo elemento del trovato brevettato, se la variazione non consenta di escludere l’utilizzazione, anche solo parziale, del brevetto anteriore, occorrendo, in tal caso, l’autorizzazione all’utilizzo da parte del titolare del brevetto antecedente (Cass. 30234/2011);
- una riproduzione solo parziale del dispositivo brevettato non è idonea ad escludere, di per sé, la contraffazione laddove la parzialità non impedisca, secondo un accertamento che costituisce una questione di fatto, affidata all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici, di ritenere l’utilizzazione del brevetto, nella sua struttura generale, anteriore (Cass. n. 22351/2015);
- si è invece esclusa la contraffazione per equivalenti quando un prodotto o procedimento in contestazione sia significativamente diverso rispetto a quello brevettato, tanto che, presentando una differenza tecnica strutturale, qualitativamente apprezzabile e che investe il nucleo inventivo protetto, non possa essere considerata un mero equivalente (Cass. n. 9548/2012);
- al fine di dare, oggi, effettiva applicazione alla regola di contemperamento contemplata dell’art. 52 c.p.i., commi 3 e 3 bis, l’ambito di tutela del brevetto non può sempre essere determinato sulla base del solo contenuto letterale delle rivendicazioni, che esprimono dichiarazioni di volontà dell’inventore, in quanto “vi sono indubbiamente casi in cui la non coincidenza fra il prodotto e il contenuto oggettivo delle rivendicazioni brevettuali non esclude la contraffazione, allorché la modesta variante incida su di un elemento della rivendicazione che non abbia importanza centrale nell’economia dell’idea inventiva (eliminandolo, o sostituendolo in una diversa soluzione espressiva della stessa idea fondamentale); o allorché il prodotto accusato di contraffazione per equivalenti assolve alla stessa funzione del prodotto brevettato, seguendo sostanzialmente la stessa via e pervenendo allo stesso risultato; o, ancora quando la soluzione sostitutiva adottata dal contraffattore rispetto alla soluzione brevettata appaia ovvia e non originale, tenuto conto, quale parametro di valutazione, delle conoscenze medie del tecnico del settore” (Cass. n. 2977/2020, in motivazione).
All’esito dell’excursus giurisprudenziale sopra compendiato la Corte, nel confermare la sentenza impugnata, ha quindi affermato il seguente principio di diritto: “In tema di brevetti per invenzioni industriali e della loro contraffazione per equivalente, ai sensi dell’art. 52, comma 3 bis, del Codice Proprietà Industriale, di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, come modificato ad opera del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131, il giudice – chiamato a valutare l’esistenza di un illecito contraffattorio – deve preliminarmente determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, poi individuare analiticamente le singole caratteristiche del trovato, così come espressamente rivendicate nel testo brevettuale, interpretate anche sulla base della loro descrizione e dei disegni allegati, e quindi verificare se ogni elemento così rivendicato si ritrovi anche nel prodotto accusato della contraffazione, anche solo per equivalenti, così intendendosi, secondo una delle possibili metodologie utilizzabili, quelle varianti del trovato che possano assolvere alla stessa funzione degli elementi propri del prodotto brevettato, seguendo sostanzialmente la stessa via dell’inventore e pervenendo al conseguimento dello stesso risultato“.