Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, ordinanza 28 dicembre 2021, n. 41749
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
Il primo motivo è inammissibile.
In punto di diritto, giova in particolare rimarcare che la sentenza impugnata si conforma, per gli aspetti che qui vengono in considerazione, all’insegnamento di questa Corte (v. per tutte Cass. nn. 2477 – 2482 del 2018) secondo il quale:
– quando la condotta del danneggiato non assuma i caratteri del fortuito, sì da elidere il rapporto causale fra cosa e danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, in virtù del richiamo compiuto dall’art. 2056 c.c.), che potrà essere apprezzato – al pari del fortuito – anche sulla base di una valutazione officiosa (per tutte, Cass. n. 20619/2014);
– quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso; se è vero, infatti, che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità custodiale si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare, è altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex art. 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile;
– il giudizio di prevedibilità e prevenibilità attraverso l’adozione di normali cautele è un giudizio di fatto, come tale sindacabile in cassazione solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Nella specie, osserva la Corte, gli argomenti di critica, lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie, impingono per l’appunto in tale giudizio di fatto.
Essi però si appalesano di natura meramente oppositiva ed estranei al paradigma dettato dalla citata norma, come modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.
Nel nuovo regime, infatti, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).
Nella specie tale specificazione manca.
Il concorso di colpa, precisa la Corte, è coerentemente motivato sul rilievo della prevedibilità delle condizioni della strada: il ragionamento probatorio è validamente fondato sugli elementi considerati (in sé non contestati: caduta causata dalla ghiaia e sabbione presenti sul suolo, conoscenza dei luoghi e consapevolezza dei lavori da poco ultimati) e la critica che ad esso si muove è apodittica e comunque non è svolta nei modi in cui questa Corte la dice deducibile (v. Cass. Sez. U. 24/01/2018, n. 1785).
Il fatto che la ghiaia e il sabbione presenti sul terreno non fossero visibili: a) non emerge dalla affermazione estrapolata dal testo della motivazione (la quale si limita a dire che non valeva a ritenere possibile che essa non fosse chiaramente ritratta dalle foto prodotte non che non fosse visibile all’occhio umano); b) rimane comunque anch’essa circostanza non decisiva per la ragione testè detta.
Il secondo motivo, prosegue la Corte, è parimenti inammissibile.
Non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata che ha negato l’esistenza di danno risarcibile da riduzione della capacità lavorativa specifica per difetto di prova di nesso causale tra la rappresentata percezione di redditi inferiori rispetto a quelli anteriori al sinistro e il sinistro medesimo (ciò in considerazione della mancata produzione di prova dei redditi percepiti nell’anno in cui lo stesso si è verificato e nei due anni anteriori).
Si osserva, infatti, nella sentenza impugnata (pag. 34) che, ai fini della quantificazione del danno in questione, “incombe sul danneggiato l’onere di provare concretamente che i redditi derivanti dalla attività lavorativa che egli stava svolgendo al tempo dell’evento lesivo hanno subito una riduzione a seguito del danno riportato nel sinistro” con la precisazione che “il giudice, se non risulta provata l’attività già svolta, non può liquidare in via equitativa ex art. 1226 c.c., anche su base prognostica, in quanto modalità che “riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito” (così, Cass. sez. 3, Ordinanza n. 15737 del 15/06/2018).
Nella fattispecie in esame, il P. ha provato unicamente l’attività da lui svolta negli anni 2006 e 2007 e i relativi redditi percepiti (v. docc. 14 e 15 del fascicolo attoreo) e quelli percepiti negli anni 2011 e 2012 (di cui ai docc. 16 e 17 del fascicolo attoreo), tempo successivo al sinistro avvenuto nel 2010″.
Alla luce di tale premessa appare evidente che la lacuna probatoria che la corte di merito ha ritenuto ostativa, rappresentata dalla mancata dimostrazione dei redditi da attività lavorativa negli anni 2009 e 2010, non è tale per ragioni di mero calcolo del risarcimento liquidabile, come postulato in ricorso, ma perché afferente proprio all’an della pretesa.
Inconferenti, pertanto, sono gli argomenti che in tale erronea prospettiva sono svolti in ricorso sul piano dell’esegesi dell’art. 137 cod. ass..
È dunque appena il caso di soggiungere che tale disposizione non trova applicazione diretta nella fattispecie, trattandosi, secondo costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, di norma eccezionale che si riferisce solo all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore per i danni da sinistro stradale (Cass. 21/02/2001, n. 2512; 11/02/1999, n. 1166; 11/06/1990, n. 5672; v. già, con riferimento al D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 4 convertito dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, di cui l’art. 137 cod. ass. costituisce trasposizione quasi integrale, Cass. 20/02/1982, n. 1084).
La memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.
Il ricorso, conclude la Corte, deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore degli enti controricorrenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.