Corte di Cassazione, III Sezione Penale, ordinanza 20 gennaio 2022, n. 2234
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
Il primo motivo, secondo la Corte, si connota per manifesta infondatezza e genericità posto che l’accertamento della natura di rifiuto ai sensi dell’art. 183 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 costituisce una “quaestio facti“, come tale demandata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (Sez. 3, n. 7037 del 18/01/2012, Fiorenza, Rv. 252445; Sez. 3, n. 14762 del 05/03/2002, Amadori e a., Rv. 221575 e da ultimo Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schepis, Rv. 27600902).
La deduzione è inoltre riproduttiva della doglianza proposta in sede di gravame, analiticamente approfondita dalla Corte territoriale che, con motivazione corretta in diritto e immune da vizi logici, ha qualificato la “virgin nafta”, accidentalmente riversata al suolo, quale rifiuto, conformemente alle disposizioni nazionali e comunitarie in materia ambientale e dei principi enunciati in proposito dalla giurisprudenza nazionale e eurounitaria. Come è noto, secondo la definizione contenuta nell’art. 183, comma 1, lettera a) d.lgs. 152 del 2006, nell’attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi».
Tale definizione rispecchia quella contenuta nell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 che definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi”. L’ allegato prevede elenchi di sostanze e di oggetti qualificabili come rifiuti. Esso ha tuttavia soltanto un valore indicativo, posto che la qualifica di rifiuto discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine “disfarsi” (v., in tal senso, sentenze 18 dicembre 1997, causa C129/96, InterEnvironnement Wallonie, Racc. pag. 17411, punto 26, e 18 aprile 2002, causa C9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyitin kuntayhtyrnàn hallitus, Racc. pag. 3533, punto 22).
E’ altrettanto noto che la corretta individuazione del significato del termine “disfarsi” ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza, nazionale e eurounitaria. Per la giurisprudenza sovranazionale, il verbo “disfarsi” va interpretato alla luce della finalità della direttiva 75/442, che è, ai sensi del suo terzo considerando, la protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, nonché alla luce dell’art. 174, paragrafo 2, del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, il quale stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva. Pertanto, il verbo “disfarsi”, che determina l’ambito applicativo della nozione di rifiuto, non può essere interpretato restrittivamente (v., in tal senso, Corte di Giustizia 15 giugno 2000, ARCO Chemie Nederland; Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli; Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit).
In ambito nazionale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la necessità di interpretare l’azione di “disfarsi”, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, e alla luce della finalità della normativa europea, volta ad assicurare un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente secondo i principi di precauzione e prevenzione e la ulteriore necessità che la qualificazione alla stregua di rifiuti dei materiali di cui l’agente si disfa consegua a dati obiettivi connaturanti la condotta tipica, anche in rapporto a specifici obblighi di eliminazione, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettivamente incentrate sulla mancanza di utilità, per il medesimo, dei predetti materiali (Sez. 3, n. 19206 del 16/03/2017, Costantino, Rv. 269912).
Pertanto, la circostanza che l’allegato I della direttiva 75/442, intitolato “Categorie di rifiuti”, menzioni, al punto Q4, le “sostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente in questione”, costituisce soltanto un indizio dell’inclusione di tali sostanze e materie nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuto.
Ciò premesso, in relazione al caso di specie la sola previsione di cui al punto Q4 non consente di per sé di qualificare rifiuti gli idrocarburi che siano stati accidentalmente sversati e che siano all’origine di un inquinamento del terreno e delle acque sotterranee, poiché è altresì necessario verificare se detto sversamento accidentale sia un atto mediante il quale il detentore “si disfa” di tali sostanze. La corte di Giustizia ha precisato che ove la sostanza o l’oggetto in questione, costituiscano un residuo di produzione, ovvero un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale al fine di un utilizzo ulteriore e che il detentore non può riutilizzare a condizioni economicamente vantaggiose senza prima sottoporlo a trasformazione, debbono considerarsi come un onere del quale il detentore “si disfa” (v., in tal senso, sentenza Palin Granit cit., punti 3237).
Con specifico riferimento agli idrocarburi accidentalmente sversati che siano all’origine di un inquinamento del terreno e delle acque sotterranee, la Corte di Giustizia ha specificato che essi non costituiscono un prodotto riutilizzabile senza trasformazione. Infatti, la loro commercializzazione è assai aleatoria e, anche ammesso che si volesse intraprenderla, presupporrebbe operazioni preliminari che non sono economicamente vantaggiose per il loro detentore. Pertanto, tali idrocarburi costituiscono sostanze che quest’ultimo non aveva l’intenzione di produrre e delle quali egli “si disfa”, quand’anche involontariamente, in occasione di operazioni di produzione o di distribuzione ad esse attinenti. (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24/06/2008, Proc. C-188/07)
A tali argomentazioni la Corte aggiunge che una soluzione interpretativa di senso opposto vanificherebbe la direttiva 75/442, posto che l’art. 4 della stessa, prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo, “senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora”, nonché le misure necessarie “per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti”. In forza dell’art. 8 della medesima direttiva, gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un operatore incaricato del loro recupero o smaltimento ovvero provveda egli stesso a tali operazioni. L’art. 15 della direttiva individua il soggetto tenuto a sopportare il costo dello smaltimento dei rifiuti, “conformemente al principio chi inquina paga“.
Infatti, se gli idrocarburi che sono all’origine di un inquinamento non venissero considerati rifiuti per il fatto che sono stati sversati in modo involontario, il loro detentore sarebbe sottratto agli obblighi che la direttiva 75/442 prescrive agli Stati membri di porre a suo carico, in contrasto con il divieto di abbandono, scarico e smaltimento incontrollato dei rifiuti.
Da quanto sopra chiarito è possibile affermare il principio di diritto secondo il quale gli idrocarburi sversati accidentalmente ed inquinanti il terreno e le acque sotterranee devono essere qualificati come rifiuti ai sensi della direttiva 75/442, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, trattandosi di sostanze di delle quali il detentore “si disfa”, non costituendo un prodotto riutilizzabile senza trasformazione ed essendo la sua commercializzazione aleatoria e, implicante operazioni preliminari che non sono economicamente vantaggiose. Occorre precisare che gli idrocarburi accidentalmente sversati sono peraltro considerati rifiuti pericolosi, ai sensi della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20), e della decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/904/CE, che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689 (GU L 356, pag. 14).
La corte territoriale ha, in maniera immune da censure, risposto positivamente al quesito relativo alla possibilità di ritenere uno sversamento accidentale di idrocarburi, quale atto mediante il quale il detentore si disfa di tali beni. A pagina 45 della decisione si osserva che lo sfruttamento e la commercializzazione di idrocarburi sversati o emulsionati con l’acqua o, ancora, agglomerati con sedimenti è un’operazione molto aleatoria se non addirittura ipotetica e, anche ammettendo che sia tecnicamente attuabile, presupporrebbe comunque operazioni preliminari di trasformazione che, lungi dall’essere economicamente vantaggiose per il detentore di tale sostanza, comporterebbero considerevoli oneri finanziari.
I giudici d’appello, inoltre, evidenziano che, in realtà, la stessa Raffineria di Gela era consapevole della natura di rifiuto della nafta eventualmente fuoriuscita dai serbatoi e riversata sul terreno, atteso che tutte le aree maggiormente soggette a questa evenienza erano state pavimentate e dotate di spanti che avrebbero convogliato il prodotto sversato in una destinazione finale quale la fogna oliaria, sicuramente non compatibile con la natura di sottoprodotto.
Il secondo motivo di ricorso, prosegue la Corte, è parimenti manifestamente infondato. La Corte territoriale si è attenuta ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, che trovano in materia del dolo eventuale la loro massima espressione nella sentenza delle Sezioni unite n. 38343 del 24/04/2014 (P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261105). Secondo tale pronunzia il dolo eventuale partecipa, al pari delle altre forme di dolo, sia dell’elemento della rappresentazione che della volontà, in piena corrispondenza con la definizione generale di cui all’art. 43 cod. pen.
Quando sussiste il dolo eventuale la volontà si esprime nella consapevole e ponderata adesione all’evento, sicché non si può più parlare di mera accettazione del rischio come nella colpa cosciente. Le difficoltà per l’interprete non sono tanto di definizione, di inquadramento dommatico, quanto di accertamento, per cui le Sezioni unite ne hanno sottolineato la particolare complessità.