Massima
Quando il contratto, piuttosto che prevedere la soddisfazione di interessi contrapposti, ha come obiettivo il perseguimento in comune di un interesse condiviso di carattere non lucrativo (secondo un prototipo di sviluppo collettivo delle personalità singole), il relativo precipitato è una associazione autonoma e distinta dalle persone fisiche che la compongono, seppure in modo “perfetto” o “imperfetto” a seconda della più o meno consistente entificazione – personale e patrimoniale – del nuovo soggetto giuridico all’uopo costituitosi, con specifiche ricadute in termini di responsabilità propria e delle persone fisiche che ne fanno parte.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
La codificazione liberale Codacci Pisanelli all’art.2 non parla di associazioni, quanto piuttosto – in ottica ancora ibrida “pubblico-privato” – di Comuni, di Provincie, di istituti pubblici civili od ecclesiastici ed in generale di “corpi morali” che – giusta fictio iuris (secondo la teoria di Savigny) – laddove legalmente riconosciuti, sono considerati come persone (fisiche) e godono dei diritti civili secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico; non sono dunque previste ancora le c.d. associazioni non riconosciute. Importanti, per quanto concerne il regime dei beni, l’art.433 alla cui stregua i beni degli istituti civili od ecclesiastici e degli altri corpi morali appartengono ai medesimi, in quanto le leggi del Regno riconoscano in essi la capacità di acquistare e possedere, e l’art.434 alla cui stregua i beni degli istituti ecclesiastici sono soggetti alle leggi civili e non si possono alienare senza l’autorizzazione del Governo. L’art.518 prevede poi che l’usufrutto stabilito in favore di Comuni o di altri corpi morali per atto tra vivi o di ultima volontà non può eccedere la durata di 30 anni. Sullo specifico crinale successorio l’art.834 – dopo aver affermato che è nulla ogni disposizione fatta a favore di persona incerta da nominarsi da un terzo – dichiara tuttavia valida la disposizione mortis causa a titolo particolare in favore di persona da scegliersi da un terzo tra più persone determinate dal testatore, ovvero appartenenti a famiglie o corpi morali da lui determinati, assumendo parimenti valida quella a favore di uno o più corpi morali determinati dal testatore; di rilievo massime l’art.932, onde le eredità devolute ai corpi morali non possono essere accettate che con l’autorizzazione del Governo, da accordarsi nelle forme stabilite dalle leggi speciali, l’accettazione dovendo comunque avvenire con beneficio di inventario, secondo le forme stabilite dai rispettivi regolamenti; del pari, alla stregua del successivo articolo 1060, le donazioni fatte ai corpi morali non possono essere accettate se non con l’autorizzazione del Governo: si tratta di disposizioni intese a fronteggiare la c.d. “manomorta”, ovvero la sottrazione alla circolazione ed al traffico giuridico dei beni immobili. Infine, ai sensi dell’art.1457, onde scongiurare possibili conflitti di interessi, gli amministratori dei beni dei Comuni o degli istituti pubblici affidati alla relativa cura – salve le particolari circostanze, indicate nell’atto di vendita, in cui siano (eccezionalmente) autorizzati a concorrere negli incanti – non possono essere compratori di tali beni, né in via diretta né per interposta persona, sotto pena di nullità del pertinente contratto.
1930
Il codice penale, all’art.115, inizia col prevedere che – salvo che la legge disponga altrimenti (si tratta dei reati c.d. a partecipazione od associazione necessaria) – qualora 2 o più persone si accordino “episodicamente” allo scopo di commettere 1 reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo (quand’anche, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice possa applicare una misura di sicurezza). Tuttavia, ai sensi del successivo art.416, quando ad associarsi – con struttura più articolata, stabile e complessa – siano 3 o più persone allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo (e dunque per il solo fatto di aver promosso, costituito od organizzato la compagine), con la reclusione da tre a sette anni, mentre per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni; la stessa norma precisa che i capi dell’associazione a delinquere soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori, e che se gli associati “scorrono in armi” le campagne o le pubbliche vie, si applica ad essi la reclusione da cinque a quindici anni; la pena è altresì aumentata se il numero degli associati è di 10 o più.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile, che agli articoli 11 e seguenti, disciplina le associazioni assieme alle fondazioni, dettando norme in parte comuni ad entrambi gli enti privati ed in parte riferite a ciascuno di essi. Di rilievo in particolare l’art.17 che – sulla scia del codice del 1865, ed al fine di scongiurare la c.d. manomorta sugli immobili (diritti perpetui su immobili a favore di enti morali, specie ecclesiastici, che ne comportavano la sottrazione alla circolazione giuridica per lungo periodo di tempo, a causa dell’impossibilità di trasmetterli mortis causa) – impone per l’acquisto di immobili e per l’accettazione di donazioni, eredità o legati da parte delle persone giuridiche, e dunque anche delle associazioni riconosciute, la previa autorizzazione governativa, senza la quale l’acquisto viene dichiarato non avere effetto (pur rimanendo valido). La medesima ratio presenta l’articolo 600 – alla cui stregua le disposizioni testamentarie a favore di un ente non riconosciuto non hanno efficacia, se entro 1 anno dal giorno in cui il testamento è eseguibile non è fatta l’istanza per ottenere il riconoscimento (pur potendo essere medio tempore promossi gli opportuni provvedimenti conservativi) –, l’art.782, comma 4 – alla cui stregua se una donazione è fatta ad una persona giuridica, il donante non può revocare la sua dichiarazione dopo che gli è stata notificata la domanda diretta a ottenere dall’autorità governativa l’autorizzazione ad accettare (mentre può revocarla dopo 1 anno dalla notificazione senza che l’autorizzazione sia stata concessa) – e l’art. 786 – alla cui stregua la donazione a favore di un ente non riconosciuto non ha efficacia se entro 1 anno non è notificata al donante l’istanza per ottenere il riconoscimento (notifica che rende irrevocabile la donazione): da queste disposizioni si evince che gli enti riconosciuti (persone giuridiche) hanno bisogno, per acquistare a titolo gratuito, dell’autorizzazione governativa, mentre ai medesimi fini quelli non riconosciuti debbono prima chiedere il riconoscimento e poi – una volta divenute persone giuridiche – ottenere la prescritta autorizzazione governativa medesima. Significative, su altro versante, le scarne norme (articoli 36-39) dedicate proprio alle associazioni non riconosciute, come tali compendianti soggetti non dotati di personalità giuridica, che si riveleranno particolarmente importanti in sede di disciplina di partiti e sindacati. Di rilievo infine l’art.1332 in tema di contratti c.d. plurilaterali, e come tali aperti all’adesione di terzi, onde se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità dell’adesione, questa deve essere diretta all’organo che sia stato costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari: da questa norma traspare la peculiare causa del contratto associativo, da identificarsi nell’interesse che coagula gli associati, e che a propria volta si identifica nello scopo che essi perseguono, in relazione al quale non può essere distonico il neo-innesto personale di cui all’aspirante socio che chiede di aderire ad una compagine già costituita.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana che, all’art.2, addìta le “formazioni sociali” quale peculiare luogo di sviluppo della personalità dell’uomo e di esercizio dei propri diritti inviolabili. Norma cardine in tema di diritto di associarsi è l’art.18, alla cui stregua i cittadini (e dunque non anche, a rigore, gli stranieri) hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale, onde lo scopo non penalmente sanzionato per il singolo individuo non può esserlo neppure laddove venga raccolto e fatto proprio da più soggetti che si associno per perseguirlo; per la Costituzione sono tuttavia proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Venendo alle singole “cause” associative lecite, gli articoli 7 e 8 della Carta disciplinano le confessioni religiose, quali tutt’affatto peculiari formazioni sociali; con specifico riferimento a quelle diverse dalla cattolica, esse – ai sensi dell’art.8, comma 2 – hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano: in questa norma lo statuto viene dunque visto dalla Costituzione come atto di auto-organizzazione di una associazione, nel caso di specie, con finalità religiose; peraltro, ai sensi del successivo articolo 20, il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione (od istituzione) non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la relativa costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività, con ciò chiarendosi come la precipua causa “religiosa” di un contratto associativo non può costituire discrimine in peius per l’ente in termini, fra gli altri, di relativa capacità giuridica. Rimanendo sul crinale della religione, ai sensi dell’art.19 tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, oltre che di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Particolarmente importante, su altro versante, l’art.39 della Carta che, dopo aver solennemente affermato che l’organizzazione sindacale è libera, sancisce come ai sindacati non possa essere imposto altro obbligo se non la relativa registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge, ponendo come condizione per tale registrazione che i relativi statuti sanciscano un ordinamento interno a base democratica; i sindacati registrati hanno personalità giuridica e possono (solo se registrati, appunto), rappresentati unitariamente in proporzione ai relativi iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce; si tratta di una norma che rimarrà sostanzialmente inattuata, optando i sindacati, fondamentalmente, per la forma giuridica dell’associazione non riconosciuta (come tale, meno soggetta a controllo pubblico), e trovandosi vari espedienti per conferire in ogni caso ai contratti collettivi da essi firmati efficacia erga omnes. Altrettanto importante – ed in gran parte parimenti inattuato – è l’art.49 della Carta onde tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale: anche i partiti – come i sindacati – rimarranno, nella sostanza, associazioni non riconosciute, come tali disciplinate dalle scarne norme di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile. Tanto per i partiti che per i sindacati la Costituzione ha previsto la democraticità interna come valore indefettibile, conferendo peculiare importanza allo statuto associativo, quale atto auto-organizzativo (che dovrebbe essere) capace di garantire tale democraticità interna. Da rammentare anche il divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Carta, e che costituisce un limite specifico ed indefettibile alla libertà di associazione, con particolare riguardo ai partiti politici.
1958
Il 20 ottobre esce la sentenza del Consiglio di Stato n.1013 che, nel chiarire come nel contesto di una associazione privata l’approvazione del bilancio sia di competenza dell’Assemblea, e non degli amministratori, soggiunge come tutti gli associati debbano avere i medesimi diritti ed obblighi con particolare riguardo al diritto di voto, non potendosi dunque distinguere categorie di soci con diritti ulteriori e diversi rispetto a tutti gli altri soci (o ad altre categorie di essi), come nel caso di categorie di soci che possono votare e altre categorie di soci prive di tale diritto.
1969
Il 29 marzo esce la sentenza della Cassazione n.1037 che afferma come la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, pur essendo qualificata ex art.38 c.c. quale responsabilità da inadempimento di obbligazioni (c.d. “contrattuale”), deve intendersi operativa anche in fattispecie di illecito aquiliano ex art.2043 e seguenti c.c. Si tratta di un orientamento che rimarrà costante nel tempo.
1971
*Il 10 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.3579 che ribadisce come la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, pur essendo qualificata ex art.38 c.c. quale responsabilità da inadempimento di obbligazioni (c.d. “contrattuale”), deve intendersi operativa anche in fattispecie di illecito aquiliano ex art.2043 e seguenti c.c.
1980
Il 29 agosto esce la sentenza della Cassazione n.5020 che, inserendosi in un filone pretorio consolidato, afferma la responsabilità personale e solidale ex art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute operare solo a favore di creditori “non soci”, potendo il creditore socio valutare la consistenza patrimoniale dell’associazione di cui fa parte, con conseguente non necessità di prevedere la responsabilità aggiuntiva di chi ha agito in nome e per conto dell’ente.
1981
Il 22 luglio esce la sentenza della Cassazione n.4710 alla cui stregua la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta ai sensi dell’art.38 c.c. non si estende a quei soci che si siano limitati a decidere il compimento dell’atto generatore di obbligazione all’interno degli organi associativi e che dunque i creditori non abbiano personalmente conosciuto, non potendone così valutare la affidabilità.
1982
Il 13 settembre viene varata la legge n.646, c.d. Rognoni – La Torre, che con l’art.1 innesta nel sistema del codice penale il nuovo articoli 416.bis in tema di associazione mafiosa, onde chiunque fa parte per l’appunto di un’associazione “di tipo mafioso” formata da 3 o più persone è punito per ciò solo con la reclusione da 10 a 15 anni, mentre coloro che promuovono, dirigono o organizzano questo tipo di associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da 12 a 18 anni. La norma chiarisce che l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti e per perseguire tutta una serie di scopi che saranno via via implementati dal legislatore nel corso degli anni, con elencazione da assumersi nondimeno tassativa. L’associazione di stampo mafioso si differenzia dalla comune associazione per delinquere di cui all’art.416 c.p. proprio con riguardo alle (tassative) finalità che essa persegue atteso come – oltre alla commissione di delitti – l’associazione con tale foggia possa perseguire anche finalità lecite avvalendosi nondimeno del mezzo illecito della forza di intimidazione, che la qualifica penalmente.
Il 23 dicembre esce la sentenza del Tribunale di Napoli che ammette la legittimità di clausole dello statuto associativo che riconoscano il diritto di voto solo a determinate categorie di associati (nel caso di specie, i soci fondatori), escludendolo per altri.
1985
Il 27 febbraio viene varata la legge n.52, recante modifiche al libro VI del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento alla introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari. Si tratta di un importante provvedimento che all’art.1 modifica l’art.2659 c.c. in tema di nota di trascrizione e consente la trascrizione di acquisti immobiliari direttamente a nome di associazioni non riconosciute, così implicitamente ammettendo la possibilità per tali enti senza personalità giuridica di assumere la titolarità di diritti reali immobiliari (al pari delle associazioni riconosciute) senza tuttavia toccare il resto della scarna disciplina per esse prevista dal codice civile; del pari, l’art.14 della legge modifica l’art.2839 c.c. in tema di formalità per l’iscrizione dell’ipoteca, anche in questo caso annoverando innovativamente le associazioni non riconosciute e così confermando appunto la possibilità per le stesse di essere titolari di diritti reali immobiliari (oggetto di potenziale garanzia ipotecaria). La dottrina commenta il provvedimento come inteso a favorire partiti politici e sindacati, con particolare riferimento al relativo (spesso ingente) patrimonio immobiliare. In sostanza, viene prevista la possibilità per le associazioni non riconosciute di trascrivere acquisti immobiliari inter vivos a titolo oneroso, così implicitamente confermando la sottrazione di tali acquisti al controllo (autorizzazione governativa) previsto dall’art.17 che, essendo norma eccezionale perché limitatrice dell’esercizio di diritti, va assunta riferita (per le associazioni non riconosciute) ai soli acquisti a titolo gratuito. Da questo momento in poi dunque, l’incapacità immobiliare non è più con certezza elemento distintivo tra persone giuridiche riconosciute ed associazioni non riconosciute, potendo queste ultime acquistare senza controllo governativo, seppure solo a titolo oneroso; la distinzione, tradizionalmente fondata sulla autonomia patrimoniale imperfetta delle associazioni non riconosciute rispetto agli enti-persone giuridiche (se non addirittura su una presunzione di incapacità immobiliare delle prime, rispetto alla piena capacità immobiliare delle seconde), si impernia ormai sulla sola incapacità per le associazioni non riconosciute di operare acquisti a titolo gratuito, capacità garantita invece alle associazioni riconosciute.
1991
L’11 agosto viene varata la legge n.266, legge quadro sulle organizzazioni di volontariato, che prevede la possibilità per tali organizzazioni, laddove iscritte in appositi registri, di accettare donazioni e, con beneficio di inventario, lasciti testamentari in deroga agli articoli 786 e 600 c.c.: viene dunque consentito ad associazioni di volontariato, ancorché prive di personalità giuridica, e laddove iscritte in appositi registri, di accettare donazioni e lasciti testamentari senza essere costrette a chiedere previamente il riconoscimento e dunque la personalità giuridica.
1992
Il 7 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 4266 alla cui stregua la responsabilità aggiuntiva, personale e solidale, di cui all’art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute concerne non già solo coloro cui risulti attribuita la rappresentanza o la direzione della compagine, quanto piuttosto coloro che abbiano concretamente agito contraendo obbligazioni in nome e per conto dell’associazione, in modo indipendente dalla specifica carica ricoperta.
1997
Il 7 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3980 alla cui stregua, anche laddove l’aspirante socio possegga i requisiti previsti nell’atto costitutivo o nello statuto dell’associazione, non può assumersi configurabile a carico dell’associazione medesima un obbligo di accogliere le domande di ammissione ricevute, la decisione afferente a ciascuna ammissione rimanendo sempre – tanto da parte dell’associazione quanto da quella dell’aspirante socio – un atto di autonomia contrattuale per il quale è richiesto, a pena di nullità, l’accordo delle parti ex art.1325 c.c.
Il 15 maggio viene varata la legge n.127 il cui art. 13 abroga l’art.17 del codice civile, eliminando così la previa autorizzazione governativa per l’accettazione di donazioni ovvero eredità o legati, nonché per l’acquisto di immobili, da parte delle persone giuridiche.
1998
*Il 21 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 5089 alla cui stregua la responsabilità aggiuntiva, personale e solidale, di cui all’art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute concerne non già solo coloro cui risulti attribuita la rappresentanza o la direzione della compagine, quanto piuttosto coloro che abbiano concretamente agito contraendo obbligazioni in nome e per conto dell’associazione, in modo indipendente dalla specifica carica ricoperta.
2000
Il 10 febbraio viene varato il D.p.R. n.361, ovvero il regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto (ex n. 17 dell’allegato 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59). Importante quanto viene richiesto ai fini del riconoscimento dell’associazione, con riguardo al relativo patrimonio: alla domanda di riconoscimento va infatti allegata documentazione idonea che dimostri la consistenza patrimoniale dell’associazione che chiede il riconoscimento, in relazione evidentemente allo scopo che essa si prefigge; l’importanza riconosciuta al patrimonio è riconnessa alla funzione dello stesso che non è solo quella di consentire l’adeguato perseguimento dello scopo associativo, ma anche quella di garantire i creditori della futura associazione riconosciuta.
Il 4 marzo esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.2471 alla cui stregua la responsabilità di chi ha agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.38 c.c., ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’ente, e non concerne dunque – neppure pro quota od in parte – un debito proprio del socio; si tratta di una riaffermazione dell’autonomia patrimoniale, seppure imperfetta, dell’associazione non riconosciuta quale autonomo soggetto di diritto.
*Il 16 maggio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.6350 alla cui stregua la responsabilità aggiuntiva, personale e solidale, di cui all’art.38 c.c. in tema di associazioni non riconosciute concerne non già solo coloro cui risulti attribuita la rappresentanza o la direzione della compagine, quanto piuttosto coloro che abbiano concretamente agito contraendo obbligazioni in nome e per conto dell’associazione, in modo indipendente dalla specifica carica ricoperta.
Esce il 22 giugno la legge n.192 che ribadisce l’abrogazione dell’art.17 del codice civile, rinforzandone il disposto: vengono infatti abrogati anche l’articolo 600, il quarto comma dell’articolo 782 e l’articolo 786 del codice civile, nonché ogni altra disposizione che prescriva autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredita’ e legati da parte di persone giuridiche, ovvero il riconoscimento o autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredita’ e legati da parte delle associazioni, fondazioni e di ogni altro ente non riconosciuto.
2002
*Il 6 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11759 alla cui stregua la responsabilità di chi ha agito in nome e per conto di una associazione non riconosciuta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.38 c.c., ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’ente, e non concerne dunque – neppure pro quota od in parte – un debito proprio del socio; si tratta di una riaffermazione dell’autonomia patrimoniale, seppure imperfetta, dell’associazione non riconosciuta quale autonomo soggetto di diritto.
2003
L’11 agosto viene varata la legge n.228, il cui articolo 4 aggiunge un comma all’art.416 bis c.p., onde se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti in tema di riduzione in schiavitù di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applicano pene più severe rispetto alle altre ipotesi di associazione per delinquere.
2004
Il 4 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.17907 che si occupa della delicata questione del sindacato affidato al GO sulle delibere associative di esclusione del socio; si tratta di un giudizio che, per la Corte (sulla scia degli impulsi dottrinali), non può assumersi di mera legittimità formale, non dovendosi indagare dunque solo se la delibera abbia rispettato le regole di procedura previste dalla legge o dall’atto costitutivo, connotandosi anche come sindacato di legittimità sostanziale dovendo, come tale, accertare se l’esclusione sia stata disposta in presenza delle condizioni legali e statutarie che la giustificano quale provvedimento escludente. Da questo punto di vista, i “gravi motivi” si atteggiano per la Corte a concetto relativo per intendere il quale occorre fare riferimento all’autonomia organizzatoria propria di ciascuna compagine e dunque al modo in cui i soci della associazione considerata lo hanno di volta in volta inteso. Da questo punto di vista, gli organi associativi – e segnatamente l’assemblea – godono di una discrezionalità escludente che può essere sindacata dal GO in via meramente estrinseca, giusta controllo della legittimità formale e sostanziale della pertinente delibera in relazione agli specifici fini sociali perseguiti, senza giungere ad un sindacato di tipo intrinseco, che toccando l’autonomia associativa si atteggerebbe ad indebitamente invasivo della medesima. Il GO deve dunque verificare, scandagliando la motivazione dell’esclusione, se la pertinente delibera sia o meno manifestamente contraddittoria, ovvero affetta da sviamento di potere perché resa per il perseguimento di fini o per il soddisfacimento di interessi che esulano da quelli associativi. Si è al cospetto, come chiosa la dottrina, di un interesse legittimo di diritto privato giustapposto ad un potere dell’associazione, e per essa dei relativi organi, che si atteggia a discrezionale, ma non già ad arbitrario, non essendo libero nei pertinenti fini.
2010
Il 14 aprile esce l’importante sentenza della Corte costituzionale n.138 che, nel definire il concetto di “formazione sociale” ai sensi dell’art.2 della Costituzione, addìta per tale ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona umana nella vita di relazione, in un contesto di valorizzazione del modello pluralistico.
2012
Il 01 ottobre viene varata la legge n.172, il cui articolo 4 aggiunge un comma all’art.416 bis c.p., onde se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti in tema di prostituzione minorile e di violenza sessuale previsti dagli articoli 600.bis, 600.ter, 600.quater, 600.quinquies, 609.bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609.quater, 609.quinquies, 609.octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609.undecies, si applicano pene più severe rispetto alle altre ipotesi di associazione per delinquere.
2015
Il 27 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1451 alla cui stregua il principio dell’apparenza del diritto nella relativa declinazione di apparenza colpevole – operante, in materia di rappresentanza negoziale, con riguardo al rappresentato apparente laddove si configuri una situazione di fatto difforme da quella di diritto in una con la buona fede del terzo che abbia stipulato con il falso rappresentante ed al cospetto di un comportamento colposo del rappresentato oggettivamente idoneo ad ingenerare nel terzo medesimo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente – trova applicazione anche nei confronti delle associazioni non riconosciute al fine di rendere le stesse obbligate in via principale, ai sensi dell’art. 38 cod. civ., per l’attività posta in essere da soggetto privo dei poteri rappresentativi ed appartenente all’associazione stessa.
Il 17 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 12508 onde, in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale di chi abbia agito in nome e per conto dell’associazione è inquadrabile tra le garanzie “ex lege” assimilabili alla fideiussione, sicché trova applicazione l’art. 1957 cod. civ. e il termine di decadenza ivi stabilito, senza che tale assetto, comportando una sorta di avvalimento di una garanzia personale, menomi alcun diritto, determini un trattamento deteriore per eventuali terzi ovvero – attesa la durata semestrale (e, dunque, non meramente apparente) del termine decadenziale – leda il diritto di azione del creditore. Per la Corte, nell’associazione non riconosciuta la responsabilità personale grava esclusivamente sui soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, attesa l’esigenza di tutela dei terzi che, nell’instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti; onde l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile tra le garanzie ed è ex lege assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli artt. 1944 (solidarietà e beneficio di escussione) e 1951 (regresso in caso di più condebitori solidali) del codice civile.
Il 16 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 23401 alla cui stregua le associazioni, ancorché non riconosciute e dunque prive di personalità giuridica, sono considerate dall’ordinamento come centri di imputazione di situazioni giuridiche e dunque come soggetti di diritto distinti dagli associati, dotate di un proprio patrimonio costituito dal fondo comune, di una propria capacità sostanziale e processuale e di una propria organizzazione regolata dai patti dell’accordo associativo o, in difetto, ove non incompatibili, dalle norme che disciplinano le associazioni riconosciute e le società. L’art. 2 della Costituzione infatti – prosegue la Corte – garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e tra questi vi è il diritto alla tutela del nome e dell’identità, che è da intendersi spettante non solo alle persone fisiche o giuridiche, ma anche alle associazioni non riconosciute.
Il 9 dicembre esce il parere della I sezione del Consiglio di Stato n. 2581 che riconosce alle associazioni non riconosciute che abbiano nel proprio statuto l’espressa finalità di fornire assistenza legale gratuita alle persone senza fissa dimora, ovvero la promozione di iniziative volte ad affermare e promuovere i diritti fondamentali delle persone senza fissa dimora e svantaggiate, la legittimazione ad impugnare un’ordinanza contingibile ed urgente con la quale il sindaco di un Comune abbia fatto divieto nel territorio comunale di porre in essere forme di accattonaggio, con qualunque modalità, in ogni spazio pubblico o aperto al pubblico ed abbia disposto altresì l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
2017
Il 30 gennaio esce la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 160 onde è applicabile anche ai debiti di natura tributaria il principio elaborato dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di responsabilità personale e solidale, ex art. 38 c.c., di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta e secondo cui detta responsabilità non è legata alla sola titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori tra questa e i terzi. La CTR si conforma dunque al consolidato orientamento della Cassazione in tema di responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta ex art. 38 c.c., accogliendo l’appello del contribuente – l’ex presidente di una associazione non riconosciuta – e statuendo che nell’identificare il soggetto o i soggetti solidalmente responsabili per il debito di imposta non è sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita, ma occorre individuare chi, in forza del ruolo concretamente rivestito, ha diretto la complessa gestione della compagine nel periodo considerato.
Il 3 luglio viene varato il decreto legislativo n.117, il cui articolo 98, comma 1, inserisce nel codice civile l’art.42.bis alla cui stregua – se non è espressamente escluso dall’atto costitutivo o dallo statuto – le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni (esclusi dunque i comitati) possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni. La trasformazione produce gli effetti di cui all’articolo 2498 onde con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione. L’organo di amministrazione deve predisporre una relazione relativa alla situazione patrimoniale dell’ente in via di trasformazione contenente l’elenco dei creditori, aggiornata a non più di 120 giorni precedenti la delibera di trasformazione, nonché la relazione di cui all’articolo 2500-sexies, secondo comma, c.c. in tema di trasformazione di società per azioni. Più in generale, alle trasformazioni si applicano gli articoli 2499, 2500, 2500-bis, 2500-ter, secondo comma, 2500-quinquies e 2500-nonies del codice civile, in quanto compatibili, ed alle fusioni e alle scissioni – parimenti – si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alle sezioni II e III del capo X, titolo V, libro V del codice civile, sempre in quanto compatibili. Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V del codice civile (in tema di società) prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore.
Il 2 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 26066 che, in tema di poteri degli amministratori di un’associazione, ribadisce l’orientamento secondo cui il divieto di compiere nuove operazioni previsto dall’art. 29 c.c. non si estende all’impugnazione giurisdizionale del provvedimento di messa in liquidazione, giacché tale attività rientra tra quelle di mera gestione e di conservazione del patrimonio dell’ente.
Il 13 dicembre esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 29886 che ritiene le pubblicazioni di un’associazione religiosa, se prodotte per la vendita, attività commerciale, come tale assoggettata alla relativa disciplina fiscale. Unica eccezione può considerarsi la fattispecie in cui la cessione di tale materiale avvenga prevalentemente nei confronti degli associati.
2018
Il 4 gennaio esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.92 che precisa come ciascun gruppo parlamentare non può ritenersi prosecuzione o continuazione di un gruppo parlamentare della precedente legislatura: non va infatti trascurato di considerare, per la Corte, che si e’ al cospetto di soggetti giuridici diversi, sicché l’estinzione di uno di essi (ovvero di un gruppo parlamentare) non comporta alcun fenomeno di successione nel debito in capo al diverso soggetto, venuto a giuridica esistenza successivamente. La Corte richiama poi il proprio orientamento che, negando l’autodichia, disconosce ogni pretesa di giurisdizione domestica ed attribuisce al giudice ordinario le controversie dei gruppi parlamentari con i loro dipendenti, siccome ribadito – anche in relazione ai dipendenti dei gruppi parlamentari del Senato della Repubblica (il cui regolamento contiene, sul punto, disposizioni analoghe a quelle presenti nel regolamento della Camera dei deputati) – dalla sentenza a SS.UU. n. 27396 del 2014, laddove si è statuito come dette controversie spettino appunto alla cognizione del GO, quale giudice comune dei diritti che nascono dal rapporto di lavoro, giacché nei confronti dei relativi dipendenti i gruppi parlamentari si configurano non come organi dell’istituzione parlamentare, ma come associazioni non riconosciute, e quindi come soggetti privati, analogamente ai partiti politici dei quali sono peraltro espressione.
Il 25 gennaio esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia, Brescia, n. 105, alla cui stregua va esclusa da una competizione elettorale una lista nel caso in cui, sia nel simbolo (il fascio), sia nella dizione letterale (fasci italiani del lavoro), sia, infine, nelle finalità statutarie del collegato movimento politico, vi sia un riferimento e/o un richiamo ideologico al disciolto partito fascista, il diritto di associarsi in un partito politico, scolpito all’art. 49 Cost., e quello di accesso alle cariche elettive, ex art. 51 Cost., trovando un limite indefettibile nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione; si tratta per il Tar di un precetto costituzionale che, fissando un’impossibilità giuridica assoluta e incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche.
Il 4 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 14247 sugli enti ecclesiastici. Secondo la Corte, è riconosciuta la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto ai sensi dell’art. 7, comma 2, l. 121/1985. Gli altri enti ecclesiastici non riconosciuti dallo Stato, sono soggetti di diritto per l’ordinamento statuale assumendo, perciò, la natura di enti di fatto con conseguente applicazione delle norme di diritto comune.
L’8 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 14954 che ritiene necessaria e indispensabile, ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 460 del 1997, affinché l’associazione possa legittimamente dirsi Onlus e quindi avere diritto all’iscrizione nell’apposito registro l’uso dell’espressione «organizzazione lucrativa di utilità sociale» nell’attività con la quale la fondazione si denomina verso gli altri, nelle comunicazioni da lei rivolte al pubblico o nei segni distintivi da lei utilizzati
Il 13 giugno esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 120 che scrutina la legittimità della norma che vieta di costituire associazioni professionali di militari a carattere sindacale, ovvero di aderire ad altre associazioni sindacali. La Costituzione repubblicana ha superato radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e ha ricondotto anche quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini, militari oppure no. In un precedente la Corte era chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma, della L. n. 382 del 1978, in relazione all’art. 39, letto in sistema con l’art. 52, terzo comma, Cost.. La disposizione, abrogata a seguito dell’adozione del D.Lgs. n. 66 del 2010, era sostanzialmente identica a quella oggetto di scrutinio, prevedendo che “I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali“, e la Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha affermato la sussistenza di peculiari esigenze di “coesione interna e neutralità”, che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali; ha rilevato in particolare che l’art. 52, terzo comma, Cost. “parla di “ordinamento delle Forze armate”, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione“. Le specificità dell’ordinamento militare giustificano, pertanto, la esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unità degli organismi che tale ordinamento compongono. Analogamente, prosegue la Consulta, l’inammissibilità di tale limite non può desumersi dalla disposizione della Carta sociale europea, la cui formulazione − come si è visto − non si discosta da quella convenzionale. Né in senso contrario può essere addotta la decisione assunta dal Comitato europeo dei diritti sociali il 27 gennaio 2016 e pubblicata il 4 luglio 2016, Conseil Européen des Syndicats de Police (CESP) contro Francia (reclamo n. 101/2013). A differenza della CEDU, la Carta sociale europea non contiene una disposizione di effetto equivalente all’art. 32, paragrafo 1, secondo cui “La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa …“. A sua volta, il Protocollo addizionale alla Carta sociale europea, che istituisce e disciplina il sistema dei reclami collettivi, non contiene una disposizione di contenuto analogo all’art. 46 della CEDU, ove si afferma che “Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti“, disposizione che fonda l’autorità di res iudicata delle sentenze rese dalla Corte EDU relativamente allo/agli Stato/Stati in causa ed alla controversia decisa dalla Corte stessa. Pertanto, rispetto alle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, non può trovare applicazione quanto affermato dalla Corte medesima nella sentenza n. 348 del 2007: “Poiché … le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea, la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata“. Nel contesto dei rapporti così delineati fra la Carta sociale europea e gli Stati sottoscrittori, le pronunce del Comitato, pur nella loro autorevolezza, non vincolano i giudici nazionali nella interpretazione della Carta, tanto più se − come nel caso in questione − l’interpretazione estensiva proposta non trova conferma nei nostri princìpi costituzionali. Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale nella parte che investe il divieto di “aderire ad altre associazioni sindacali“, divieto dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e che esse non possano aderire ad associazioni diverse. La corretta attuazione della disciplina costituzionale della materia impone alla Corte un’ulteriore verifica; difatti i valori che essa sottende sono di tale rilevanza da rendere incompatibile con la disciplina stessa un riconoscimento non specificamente regolamentato del diritto di associazione sindacale. La previsione di condizioni e limiti all’esercizio di tale diritto, se è infatti facoltativa per i parametri internazionali, è invece doverosa nella prospettiva nazionale, al punto da escludere la possibilità di un vuoto normativo, vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale. Occorre dunque accertare se tale evenienza nella specie si verifica, ovvero se sono rinvenibili nell’ordinamento disposizioni che, in attesa dell’intervento del legislatore, siano idonee a tutelare questi valori. Quanto alla costituzione delle associazioni sindacali, trova allo stato applicazione la non censurata disposizione dell’art. 1475, comma 1, del D.Lgs. n. 66 del 2010, secondo cui “La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa“. Si tratta di una condizione di carattere generale valida a fortiori per quelle a carattere sindacale, sia perché species del genere considerato dalla norma, sia per la loro particolare rilevanza. In ogni caso gli statuti delle associazioni vanno sottoposti agli organi competenti, e il loro vaglio va condotto alla stregua di criteri che senza dubbio è opportuno puntualizzare in sede legislativa, ma che sono già desumibili dall’assetto costituzionale della materia. A tal fine fondamentale è il principio di democraticità dell’ordinamento delle Forze armate, evocato in via generale dell’art. 52 Cost., che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari. Sotto altro profilo tale principio viene in evidenza nella prospettiva del personale interessato, quale titolare della libertà di associazione sindacale sancita dal primo comma dell’art. 39 Cost.: l’esercizio di tale libertà è infatti possibile solo in un contesto democratico. Altresì rilevante è il principio di neutralità previsto dagli artt. 97 e 98 Cost. per tutto l’apparato pubblico, e valore vitale per i Corpi deputati alla “difesa della Patria“; anch’esso ha come necessario presupposto il rigoroso rispetto della democrazia interna all’associazione. La verifica dell’esistenza di questi requisiti comporta in particolare l’esame dell’apparato organizzativo, delle sue modalità di costituzione e di funzionamento; ed è inutile sottolineare che tra tali modalità spiccano per la loro rilevanza il sistema di finanziamento e la sua assoluta trasparenza. Quanto ai limiti dell’azione sindacale, va anzitutto ricordato il divieto di esercizio del diritto di sciopero. Si tratta indubbiamente di una incisione profonda su di un diritto fondamentale, affermato con immediata attuazione dall’art. 40 Cost. e sempre riconosciuto e tutelato da questa Corte, ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti (sentenza n. 31 del 1969). Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, è indispensabile una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, la Consulta ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del D.Lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza “le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale”. Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato, adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.
Lo stesso giorno esce la sentenza della VI sezione penale della Cassazione n. 27202 onde la qualifica di soggetto di incaricato di pubblico servizio non può conseguire né alla semplice attività socio-assistenziale, né alla ricezione del corrispettivo per le prestazioni rese. Per tale ragione, anche in caso di esercizio di attività convenzionata da enti pubblici, non può configurarsi il reato di peculato a carico del gestore di una Onlus, giacché siffatta entità giuridica non acquisisce in nessun caso natura pubblicistica.
Il 18 giugno esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 16031 che stabilisce la non applicabilità dell’art. 4 4, L. n. 108 del 1990, l’associazione che, per statuto, non persegue un fine ideologicamente orientato di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto ed operi con criteri di economicità, ossia non semplicemente rivolti al perseguimento dei fini sociali dell’ente ma finalizzati al tendenziale pareggio tra costi e ricavi, restando, a tal fine, irrilevante la distribuzione di utili. Di conseguenza, in caso di licenziamento del dipendente si applicherà la tutela reale.
Il 20 luglio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 170 che dichiara non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», nel testo sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), nella parte in cui prevede quale illecito disciplinare l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del ruolo organico della magistratura perché collocati in aspettativa per motivi elettorali.
Il 26 settembre esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n- 22861 che stabilisce come la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 38 c.c., si applica anche ai debiti di natura tributaria.
Il 15 ottobre esce la sentenza della III sezione del TAR Veneto n. 951 onde è illegittima la indizione, da parte di un’Azienda Sanitaria, di una apposita gara per l’affidamento del servizio di trasporto con ambulanza in emergenza; infatti, l’art. 17, 1° comma, lett. h) del D.Lgs. n. 50/2016 ha stabilito, in conformità con l’art. 10 della direttiva n. 2014/24/UE – derogando alla regola generale secondo cui i servizi pubblici sono affidati attraverso una gara volta ad individuare il soggetto che garantisca le condizioni ottimali -, che i “servizi di ambulanza” (servizi di soccorso sanitario in emergenza da attuarsi mediante ambulanza) sono esclusi dalle disposizioni del codice; di conseguenza, il servizio potrà essere affidato mediante stipula di una convenzione diretta, con un’organizzazione di volontariato iscritta nel registro regionale delle OdV ed accreditata per l’esercizio del trasporto e soccorso con ambulanza.
L’11 dicembre esce la sentenza della I sezione del TAR Emilia Romagna – Parma n. 340 che ribadisce come la somministrazione di alimenti e bevande all’interno dei circoli privati è consentita in favore dei soli soci e la qualità di socio si acquisisce unicamente a seguito del perfezionamento della procedura di iscrizione, a nulla rilevando il fatto che sia stata già presentata la domanda di iscrizione e si sia quindi in attesa di accoglimento da parte dell’Associazione.
Il 17 dicembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 32618 onde la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti, vista la natura essenzialmente pubblicistica di tali gruppi in relazione alla funzione strumentale da essi svolta.
Il 18 dicembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n. 32727 che ribadisce come a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 396 del 1988 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un’istituzione privata), la natura pubblica o privata degli enti di assistenza e beneficenza deve essere accertata, in concreto, dal giudice ordinario, facendo ricorso ai criteri indicati dal d.p.c.m. 16 febbraio 1990 (ricognitivo dei principi generali dell’ordinamento, e ritenuto legittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 1990), indipendentemente dalle denominazioni assunte dagli enti, dalla volontà dei loro organi direttivi e dall’esito delle procedure amministrative eventualmente esperite.
2019
Il 4 gennaio esce l’ordinanza delle VI sezione della Cassazione n. 100 onde Laddove non venga individuato l’autore materiale dell’affissione di una locandina contente un messaggio sindacale in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 507/1993, la prova del rapporto di avvalimento configura la responsabilità solidale dell’organizzazione sindacale.
Il 15 gennaio esce la sentenza della sezione III quater del TAR Lazio n. 500 onde l’esplicita legittimazione, ai sensi degli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, delle Associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all’azione giudiziale non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in un ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i comitati che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio. Le previsioni normative citate hanno introdotto un criterio di legittimazione “legale” “aggiuntivo”, e non “sostitutivo”, rispetto ai criteri elaborati precedentemente dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. “interessi diffusi”.
Questioni intriganti
Cosa si intende in genere per associazione?
- il codice civile non ne fornisce una definizione precipua;
- si tratta di una formazione sociale ai sensi dell’art.2 della Costituzione;
- dal punto di vista strutturale, si tratta di una organizzazione a base soggettiva e personale; in sostanza più soggetti si organizzano per perseguire un interesse che hanno in comune; si è al cospetto di una organizzazione interna di tipo corporativo o “collettivistico”;
- la caratteristica spiccatamente personale dell’organizzazione consente che essa sia aperta all’adesione di membri ulteriori rispetto ai soci fondatori, purché vogliano perseguire il medesimo interesse già comune ai soci fondatori medesimi;
- all’interesse da perseguire è connesso lo scopo dell’associazione, di natura non lucrativa, che distingue l’associazione dalla società;
- lo scopo non può consistere nella mera gestione di cose comuni, ricadendosi in quest’ultima evenienza nella comunione;
Cosa si intende per associazione riconosciuta, e quale ne è la disciplina?
- per la relativa costituzione occorre l’atto pubblico (art.14 c.c.), onde in difetto di atto pubblico l’associazione esiste ed è validamente costituita, ma non può essere riconosciuta;
- lo scopo deve essere non lucrativo, onde non deve essere prevista la distribuzione di utili tra gli associati;
Cosa occorre rammentare dell’atto costitutivo e dello statuto di una associazione?
- sono atti che vanno a braccetto tra loro, e che possono contenere entrambi gli elementi (tanto obbligatori che facoltativi) previsti dalla legge;
- più in particolare, l’atto costitutivo ha natura contrattuale, e precisamente di contratto plurilaterale ex art.1332 c.c.; esso è in genere poco articolato ed individua semplicemente l’associazione rinviando per la disciplina dell’ente allo statuto, che è dunque per tale via integrato nell’atto costitutivo e ne condivide la natura contrattuale plurilaterale, la eventuale modifica dello statuto riverberandosi dunque sull’atto costitutivo in modo omogeneo e pertinente;
- vi partecipano più soggetti, che mettono in comune un certo patrimonio per il perseguimento di uno scopo che coltivano in comune;
- il contenuto dell’atto costitutivo è in parte obbligatorio e in parte facoltativo (art.16 c.c.);
- contenuto obbligatorio: scopo e patrimonio devono essere indicati nell’atto costitutivo, quale contratto plurilaterale che fonda l’associazione; il patrimonio si compendia tanto di diritti reali quanto di diritti personali, essendone esclusi secondo accreditata dottrina solo quelle peculiari situazioni giuridiche soggettive di vantaggio incompatibili con un titolare privo di fisicità, come è il caso dei diritti di uso e di abitazione; vanno indicate nell’atto costitutivo anche la denominazione dell’associazione – tutelata allo stesso modo del nome nella persona fisica (art.7 c.c.), e che è il predicato di identificazione della compagine – e la relativa sede, quale luogo di prevalente svolgimento dell’attività della compagine, che è il corrispondente della residenza e del domicilio per le persone fisiche (ai pertinenti effetti di legge), tenendo conto del fatto che, secondo il disposto dell’art.46 c.c., laddove la sede effettiva sia diversa da quella indicata nell’atto costitutivo, nello statuto o nel registro delle persone giuridiche, i terzi (che provino tale effettività) possono considerare come sede anche, appunto, tale diversa sede effettiva; l’atto costitutivo indica poi i diritti ed obblighi degli associati e le condizioni per l’ammissione di nuovi soci, configurando l’associazione un ente a struttura aperta; sempre nell’atto costitutivo vanno indicate le regole che disciplinano l’amministrazione dell’associazione, con particolare riferimento ai nomi degli amministratori (ove da subito nominati) ed i limiti ai relativi poteri di rappresentanza della compagine: ai terzi che non ne abbiano conoscenza specifica, sono inopponibili i limiti ai poteri degli amministratori che non risultino dall’atto costitutivo dell’associazione;
- contenuto facoltativo: possono essere indicati nell’atto costitutivo la disciplina dell’estinzione dell’associazione e le regole attinenti alla conseguente devoluzione del relativo patrimonio.
Cosa occorre rammentare dei rapporti tra socio (o aspirante tale) e associazione?
- si fa riferimento al c.d. rapporto associativo;
- esso si acquista: b.1) sottoscrivendo ab origine il contratto associativo; b.2) aderendo ex post al medesimo, quale contratto plurilaterale aperto; ex art.16 c.c., proprio la natura “aperta” del contratto associativo viene assunta dalla dottrina un elemento essenziale del pertinente negozio istitutivo, dovendo atto associativo e statuto prevedere non solo i diritti e gli obblighi degli associati, ma anche le condizioni di relativa ammissione, così prefigurando giocoforza possibili nuovi soci, onde un contratto associativo che non prevedesse l’adesione possibile successiva di terzi, escludendola a priori, sarebbe da assumersi giuridicamente nullo;
- la situazione giuridica soggettiva dell’aspirante socio, più che al diritto soggettivo “puro” (incondizionato), appare maggiormente assimilabile all’interesse legittimo, ovvero al diritto condizionato alla compatibilità con l’interesse (collettivo) associativo;
- l’eventuale diniego di ammissione nell’associazione deve essere motivato, ma non appare giustiziabile innanzi al GO, proprio perché l’acquisizione dello status di associato non è oggetto di un diritto soggettivo dell’aspirante socio (pur potendo gli amministratori deneganti essere assoggettati alle sanzioni eventualmente previste dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto);
- per quanto concerne i diritti che può vantare il socio, occorre distinguere: e.1) quelli di fonte legale, generalmente assunti non derogabili in funzione delle categorie di soci: diritto di voto; diritto di impugnativa delle delibere assembleari invalide; diritto di recesso dall’associazione; e.2) quelli di fonte convenzionale, che dipendono fondamentalmente dallo scopo che ciascuna associazione si prefigge e che possono essere derogati ratione socii, potendo essere attribuiti dunque a particolari categorie di soci e non a tutti;
- per quanto riguarda gli obblighi gravanti sui soci, essi si ricollegano allo scopo associativo e possono essere di natura personale o, più spesso, patrimoniale (versamento di quote associative, contributi o simili);
- l’estinzione del rapporto associativo – esclusa in ogni caso la possibilità per il socio cessato di ripetere le quote versate, o comunque di vantare diritti sul patrimonio associativo – è effetto che può prodursi (art.24 c.c.): g.1) per recesso del socio: lo status di socio ha natura strettamente personale, onde il socio che non voglia più far parte della compagine non può cedere il proprio status a terzi, ma può sempre recedere esercitando, in negativo, quella libertà di associazione che gli garantisce l’art.18 della Costituzione; salvo il caso in cui il socio si sia obbligato a rimanere tale per un tempo determinato (o la diversa ipotesi in cui lo stesso contratto associativo preveda effetti del recesso posticipati rispetto alla data della pertinente domanda), egli può dunque recedere ad nutum dalla compagine, senza dover motivare la propria scelta proprio perché espressione del proprio diritto costituzionalmente garantito di “non associarsi”; altra figura di recesso configurata dalla dottrina è quella del recesso per giusta causa, ipotesi nella quale il recesso viene motivato sulla base di un sopraggiunto deficit di fiducia rispetto al perseguimento degli scopi associativi; g.2) per esclusione deliberata dall’Assemblea: condizione per la legittima adozione di tale delibera di esclusione sono “gravi motivi” che possono avere foggia patrimoniale (mancato pagamento delle quote associative) ovvero personale (contegno reiterato in grave frizione con gli scopi dell’associazione); dalla notifica della delibera assembleare che lo esclude il socio ha a disposizione un termine di decadenza di 6 mesi per impugnare la propria esclusione innanzi al GO, secondo uno schema assimilabile a quello che presiede l’impugnativa degli atti amministrativi; importante, correlativamente, la consistenza del sindacato affidato al GO sulla delibera di esclusione, potendone egli indagare la legittimità – in termini di non scarsa importanza (“gravi motivi”) dell’inadempimento del socio, analogamente a quanto previsto dall’art.1455 c.c. in tema di risoluzione per inadempimento nei contratti commutativi a prestazioni corrispettive – ma non anche, secondo l’impostazione tradizionale, la mera opportunità e dunque il “merito” dell’esclusione, affidato alla discrezionalità dell’associazione che esclude; in sostanza, quella dei “gravi motivi” è una clausola generale che si risolve nella possibilità per il GO di indagare la legittimità della delibera assembleare escludente assumendo a parametro tanto la legge quanto il contratto associativo, seppure intesa sempre più come legittimità sostanziale e non già meramente procedurale e formale.
Quali sono gli organi dell’associazione e cosa occorre rammentare del relativo regime?
- l’Assemblea; quanto alla pertinente natura giuridica: a.1) si tratta, secondo l’opinione prevalente, di un organo collegiale, con conseguente natura collegiale unilaterale anche della delibera assembleare che ne costituisce il precipitato, e che è espressione della volontà unica dell’ente; a.2) non si tratta, per la tesi minoritaria, di organo collegiale, onde la manifestazione di volontà di ciascun socio resta distinta ed autonoma rispetto a quella degli altri soci, configurandosi un fascio di atti di epifania volontaria autonomi e separati; il quorum strutturale (art.21 c.c.) è in prima convocazione almeno la metà degli associati e, in seconda convocazione, qualunque sia il numero dei soci presenti; il quorum funzionale è invece costituito sempre dalla maggioranza dei partecipanti; riunisce tutti i soci e va convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per approvare il bilancio associativo; deve essere convocata anche quando se ne ravvisi la necessità; deve essere altresì convocata quando lo chiedano motivatamente almeno 1/10 dei soci, circostanza nella quale, in difetto di convocazione da parte degli amministratori, essa può essere ordinata dal Presidente del Tribunale competente; modifica l’atto costitutivo e lo statuto; nomina amministratori diversi da quelli indicati nell’atto costitutivo o nello statuto, e promuove l’azione di responsabilità nei relativi confronti (art.24, comma 3, c.c.); delibera lo scioglimento dell’associazione, in via integrale o limitatamente ad uno o più soci, escludendoli per gravi motivi; gli organi dell’ente, qualunque socio ed il PM (art.23 c.c.) possono fare istanza di annullamento delle delibere associative contrarie alla legge, all’atto costitutivo ed allo statuto, senza che tale impugnazione implichi automatica sospensione della esecutività della delibera gravata, che può tuttavia essere disposta sia – per gravi motivi – con decreto motivato del Giudice, sia dell’Autorità governativa laddove si tratti di delibere contrarie all’ordine pubblico o al buon costume, in tal caso anche in difetto di gravi motivi; importante anche il disposto del comma 2 dell’art.23, onde l’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima (norma che è stata chiamata in causa in ambito amministrativo con riguardo alla sorte del contratto “a valle” in caso di annullamento dell’aggiudicazione di una gara); in tema di patologia della delibera assembleare occorre distinguere: a.1) la delibera inesistente, ad esempio presa da soggetti estranei all’assemblea, come tale non vincolante; a.2) la delibera annullabile, che per dottrina maggioritaria è l’unica forma di invalidità prevista dal sistema, analogamente a quanto accade ex art.2377 c.c. in tema di annullabilità della delibera di società per azioni; più in particolare, non sarebbe configurabile una delibera assembleare nulla, neppure laddove essa confligga con norme imperative, non potendo in simili ipotesi scattare l’art.1418 , comma 1, c.c. in tema appunto di nullità ma appunto il solo art.23 c.c. in tema di annullabilità; peraltro, mentre in tema di società per azioni l’art.2379 c.c. prevede la delibera nulla laddove il relativo oggetto sia impossibile o illecito, non esiste una analoga disposizione in tema di associazioni riconosciute, onde la delibera associativa sarebbe sempre annullabile e mai nulla; a.3) la delibera nulla, che per dottrina minoritaria è invece predicabile quanto meno nei casi più gravi di contrarietà a norme imperative, come nelle ipotesi di oggetto illecito (in analogia a quanto previsto dall’art.2379 c.c. per le società per azioni); laddove sia invalida la manifestazione di volontà del singolo associato in sede di assemblea (voto), solo in caso di superamento della c.d. “prova di resistenza” (per incidenza sul quorum strutturale o su quello funzionale) tale invalidità si riverbera sulla delibera assembleare;
- gli amministratori: sono l’organo esecutivo della compagine; possono essere uno o più, in quest’ultimo caso (più frequente) parlandosi di consiglio di amministrazione; i relativi poteri di rappresentanza sono pubblicizzati e, in difetto, eventuali limiti che vi afferiscano non possono essere opposti ai terzi dei quali non si provi l’effettiva conoscenza dei poteri medesimi e delle pertinenti limitazioni; gestiscono l’associazione e ne sono responsabili verso la compagine secondo le norme in tema di mandato (art.18 c.c.), con responsabilità di natura contrattuale (art.1218 c.c.), ad esclusione – in caso di pluralità – di quello tra gli amministratori che non abbia partecipato all’atto dannoso per l’associazione o che, essendo a conoscenza del prossimo compimento dell’atto dannoso medesimo, se ne sia dissociato manifestando il proprio, pertinente dissenso; secondo l’opinione prevalente in dottrina, decidono in ordine all’ammissione di nuovi associati, trattandosi di attuare in tal modo il contratto associativo, necessariamente “aperto”.
Cosa occorre rammentare dell’estinzione dell’associazione?
- le cause di estinzione ex art.27 c.c.: a.1) cause formali: quelle previste esplicitamente dall’atto costitutivo o dallo statuto; a.2) cause soggettive: vengono a mancare tutti gli associati; a.3) cause oggettive: lo scopo è stato raggiunto, ovvero non sia più raggiungibile;
- i rapporti tra causa di estinzione ed effettiva estinzione: decorre tra questi due poli un torno temporale, onde alla causa estintiva non consegue immediatamente l’estinzione dell’associazione, dovendo quest’utlima essere liquidata giusta definizione dei rapporti attivi e passivi pendenti; gli amministratori non possono in questa fase compiere nuove operazioni, potendo compiere i soli atti di ordinaria amministrazione orientati a meramente gestire e conservare il patrimonio della persona giuridica in vista della relativa liquidazione; in caso di nuove operazioni (vietate), gli amministratori rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni contratte;
- gli effetti post liquidazione ex art.31 c.c.: esaurita la liquidazione, i creditori che siano rimasti tali per non aver fatto valere i propri diritti in tale sede possono richiedere – entro 1 anno dalla liquidazione – l’adempimento ai soggetti cui siano stati devoluti i beni associativi residui, in proporzione e nei limiti del valore di quanto ricevuto; a valle della liquidazione, gli eventuali beni residui pertinenti rispetto allo scopo perseguito dall’ente estinto sono devoluti in conformità del relativo atto costitutivo, mentre i beni donati o lasciati all’ente per scopi eterodossi rispetto ai fini dell’ente medesimo sono devoluti dall’autorità governativa, con il medesimo onere, ad altre persone giuridiche con fini analoghi.
Cosa occorre rammentare delle associazioni non riconosciute o “di fatto”?
- hanno la medesima struttura delle associazioni riconosciute;
- si contrappongono due tesi: b.1) si applicano direttamente le norme (compatibili) sulle associazioni riconosciute; b.2) si applicano le norme sulle associazioni riconosciute solo in via analogica;
- per la costituzione non occorre forma ad substantiam (salva l’applicazione dell’art.1350 c.c. allorché il contratto associativo preveda la confluenza nel fondo comune di diritti reali immobiliari ovvero di diritti di godimento oltre i nove anni);
- gli esempi più noti sono: partiti, sindacati, associazioni di volontariato, associazioni ambientaliste, associazioni di consumatori e utenti;
- sono governate dal principio di libertà e di auto-organizzazione, essendo gli accordi tra gli associati (art.36 c.c.) a disciplinare la relativa amministrazione e, più in generale, il relativo ordinamento interno;
- dal punto di vista processuale, stanno in giudizio in persona di coloro che ne hanno la presidenza o la direzione;
- dal punto di vista sostanziale, il potere di rappresentanza spetta del pari a chi ha la presidenza o la direzione della compagine, anche laddove atto costitutivo e statuto restino muti in proposito (dovendosi sopperire all’assenza di pubblicità previsto per le persone giuridiche e lì compendiantesi in appositi registri);
- il fondo comune (art.37) è costituito dai contributi degli associati e dai beni che con essi vengono acquistati, potendo ormai la compagine operare acquisti immobiliari e ricevere per donazione o per testamento senza bisogno di chiedere il riconoscimento (e quindi senza necessità di divenire persona giuridica); occorre in proposito distinguere due fasi temporali precise: h.1) il periodo di vita dell’associazione: i soci non possono chiedere la divisione del fondo comune, né – in caso di recesso – pretendere la liquidazione della propria quota; h.2) il periodo successivo all’estinzione della compagine: la liquidazione può essere prevista anche in forma di ripartizione del patrimonio comune tra gli associati, stante la relativa, ampia libertà di accordarsi in tal senso ex art.36 c.c.; proprio queste disposizioni consentono di predicare per l’associazione non riconosciuta la natura giuridica di autonomo soggetto di diritto, dotato di una propria dotazione patrimoniale, assai più che un esempio di comunione di tipo germanico tra i soci (che pure è stata da parte della dottrina adombrata); quando chi rappresenta l’associazione contrae obbligazioni, di esse risponde dunque la compagine con il proprio patrimonio, configurandosi una forma di autonomia patrimoniale che è tuttavia imperfetta giacché – ai sensi dell’art.38 c.c. – rispondono delle obbligazioni contratte anche, personalmente e solidalmente, coloro che abbiano agito in nome e per conto dell’associazione, spendendone dunque il nome e dichiarando di agire nel relativo interesse, che per la più recente giurisprudenza si atteggiano a fideiussori ex lege dell’associazione medesima; ciò al fine di tutelare l’affidamento di chi entra in contatto con esponenti della compagine e che, non potendo avvalersi di un regime di pubblicità idoneo a consentire una verifica della garanzia patrimoniale spendibile dall’ente, devono poter contare (anche) sul patrimonio di coloro che hanno agito per esso; si tratta – testualmente – di una responsabilità ex art.1218 c.c. che tuttavia viene univocamente assunta operare anche nell’ipotesi di illecito aquiliano ex art.2043 c.c.