Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 15 febbraio 2022 n. 4873
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
RAGIONI DELLA DECISIONE Occorre premettere che la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario medio tempore adottata dal Tribunale di Bologna – il quale non ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del regolamento stesso – nel giudizio al quale si riferisce il proposto regolamento preventivo di giurisdizione non elide in alcun modo la ammissibilità del regolamento preventivo, bastando rilevare che l’emissione della sentenza ad opera del giudice di merito non determina la carenza d’interesse alla decisione della Corte di Cassazione sul regolamento preventivo di giurisdizione proposto anteriormente ad essa, dovendosi considerare la decisione del giudice di merito, anche se non impugnata, come resa a cognizione sommaria e pur sempre condizionata al riconoscimento della giurisdizione all’esito della definizione del regolamento preventivo – cfr. Cass., S.U., 11 maggio 2018 n. 11576, Cass., S. U., 14 maggio 2015, n. 9861; Cass., S.U., 16 maggio 2014, n. 10823; Cass., S.U., 13 maggio 2011, n. 10531; Cass., S.U., 23 maggio 2005, n. 10703; Cass., S.U., 22 settembre 2003, n. 14070-.
Ciò posto, giova ricordare che la ricorrente, a sostegno dell’individuazione del plesso giurisdizionale del giudice ordinario, deduce la doverosità insita nell’attuazione delle misure anti-Covid 19, negando la sussistenza di alcuna discrezionalità in capo all’Ente gestore del Centro di accoglienza in ordine all’applicazione delle misure di contenimento positivamente sancite dal legislatore, valevoli a suo dire imperativamente anche nei confronti dei pubblici poteri.
Secondo l’ASGI, quindi, venendo in gioco l’osservanza dei diritti fondamentali degli ospiti ed in particolare di quello alla salute, già definito nel suo nucleo minimo dal legislatore, sub specie di diritto al distanziamento sociale, la p.a. sarebbe tenuta a garantirlo alla stregua di un potere-dovere vincolato volto al mero accertamento di presupposti di fatto e ad attuare un precetto già contenente l’assetto finale degli interessi coinvolti, frutto di un’opera di bilanciamento effettuata a monte dal legislatore.
Da ciò conseguirebbe la configurazione della situazione soggettiva azionata dal privato in termini di “diritto soggettivo perfetto”, come tale devoluta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto “resistente” al potere amministrativo. In questo senso si sarebbe orientata e consolidata, secondo la ricorrente, la più recente giurisprudenza di legittimità in tema di servizi pubblici in ambito scolastico e sanitario cui è tenuta la p.a., qualificando le controversie relative come rientranti nella giurisdizione del g.o.
Il Ministero dell’Interno sostiene per converso la giurisdizione del giudice amministrativo assumendo che, rispetto al diritto al distanziamento sociale azionato dall’ASGI – corollario del diritto alla salute -, l’attività amministrativa dei soggetti responsabili del Centro di accoglienza, tenuti ad attuarlo, non integrerebbe l’esercizio di un potere vincolato e, in ogni caso rilevando che ai fini del riparto delle giurisdizioni sarebbe determinante la consistenza della situazione giuridica azionata.
Reputano queste Sezioni Unite che nel caso qui in esame sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
Occorre premettere che la giurisdizione si determina sulla base della domanda e che, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto “petitum sostanziale”, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto sulla base della “causa petendi”, ossia sui soli fatti dedotti a fondamento della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo della lite, di cui essi sono manifestazione, e dal quale la domanda viene identificata -Cass., S.U., 11 aprile 2006 n. 8374; Cass., S.U., 27 giugno 2003 n. 10243; Cass., S.U., 7 marzo 2003 n. 3508, Cass., S.U. 19 dicembre 2018 n. 32774-.
Orbene, con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive inquadrabili nell’ambito dei diritti fondamentali della persona e, in particolare, del diritto alla salute queste Sezioni Unite hanno da tempo risalente escluso, ai fini del riparto delle giurisdizioni, la possibilità di affievolimento e di degradazione, con l’effetto di radicare la giurisdizione del giudice ordinario in ragione della pienezza della tutela da accordare in presenza di situazioni soggettive cc.dd. “a nucleo rigido”, corrispondenti ad “interessi superiori” assolutamente incomprimibili da parte del potere amministrativo -Cass. S.U. 9 marzo 1979 n.1463 e Cass.S.U. 6 ottobre 1979 n.5172-.
Si è così sostenuto che allorquando si prospettino motivi di urgenza suscettibili di esporre le situazioni predette a pregiudizi gravi ed irreversibili, alla pubblica amministrazione manca qualsiasi potere discrezionale di incidere su tali diritti -Cass. S.U. n.1463/1979, cit.-.
E proprio in questa direzione Cass., S.U., 1 agosto 2006 n.17461, muovendo dalla ritenuta assolutezza e incomprimibilità del diritto alla salute, quale posizione soggettiva “a nucleo rigido” inderogabile e indegradabile, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda volta ad ottenere la tutela urgente nei confronti della p.a., al fine di scongiurare il concreto pericolo di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione della stessa. Tale prospettiva si è andata peraltro progressivamente affinando sulla spinta del progressivo mutamento del quadro normativo e giurisprudenziale, riconoscendosi che la natura fondamentale di un diritto prospettata in giudizio non incardina necessariamente la giurisdizione del giudice ordinario.
È stata, infatti, la Corte costituzionale a ritenere compatibile con il quadro costituzionale la legislazione adottata tra il 2005 ed il 2008 in materia di localizzazioni di opere pubbliche, di infrastrutture energetiche, di emergenza e di rifiuti, rispetto alle quali il coinvolgimento di diritti fondamentali non si è ritenuto costituire elemento ostativo a tale devoluzione, anzi affermandosi espressamente che “Il giudizio amministrativo, infatti, in questi casi assicura la tutela di ogni diritto: e ciò non soltanto per effetto dell’esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa” -Corte cost. n.140/2007-.
Tendenza confermata dall’art. 55 del codice del processo amministrativo – d. Igs.n.104/2010 – concernente i provvedimenti cautelari del giudice amministrativo «anche coinvolgenti diritti fondamentali della persona o altri beni di primario rilievo costituzionale», come anche dall’art. 133, co.1, lett. p), c.p.a., che devolve alla giurisdizione esclusiva le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, «quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati».
Peraltro queste Sezioni Unite, con riferimento a situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente tutelate, lese da un «comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della Pubblica Amministrazione di cui sia denunciata l’illegittimità», hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo chiarendo che “compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie in ordine alla sussistenza in concreto dei diritti vantati, al contemperamento o alla limitazione di tali diritti in rapporto all’interesse generale pubblico all’ambiente salubre, nonché all’emissione dei relativi provvedimenti cautelari che siano necessari per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti” – Cass., S.U., 28 dicembre 2007 n. 27187-.
Ed è proprio tale ultima prospettiva, essenzialmente collegata ad una valutazione dei diritti fondamentali sistemica e non isolata o frazionata (cfr. Corte cost. n.264/2012; Corte cost., n.85/2013; Corte cost. n.235/2014; Corte cost. n.254/2020) ed alla verifica in concreto del quadro normativo e delle modalità con le quali è preso in considerazione il diritto fondamentale in gioco, a risultare decisiva ai fini del riparto delle giurisdizioni, dovendosi ritenere che ove il legislatore abbia delineato e predefinito in modo assoluto e cogente un determinato diritto fondamentale e le modalità della sua protezione, non prevedendo alcuna mediazione da parte del potere pubblico, la giurisdizione vada senza alcun dubbio attribuita al giudice ordinario, a diverse conclusioni dovendosi per contro giungere laddove il diritto fondamentale venga considerato nella sua dimensione solidale e, per ciò stesso, richieda l’intervento del potere pubblico in modo che esso possa eventualmente bilanciarlo con altri interessi e valori parimenti fondamentali.
Si è in tal modo confermato che a seconda delle modalità con le quali il legislatore prende in considerazione situazioni giuridiche fondamentali, sia ben possibile che lo stesso introduca forme di protezione che affidano al potere amministrativo la concreta determinazione e conformazione del livello di tutela del diritto fondamentale che si realizza, in un quadro pluralistico, attraverso il bilanciamento, ragionevole e proporzionato, con altri valori costituzionali, ferma ovviamente l’incomprimibilità del nucleo minimo essenziale, del nocciolo duro, del diritto stesso. Tanto che tale tematica si è riproposta, in tempi recentissimi, proprio nella regolazione delle questioni emerse per effetto della crisi pandemica da Covid-19, allorché risultino coinvolti una pluralità di interessi fondamentali (libertà personale -art. 13 Cost.-, di circolazione -art. 16- Cost.-, di riunione -art. 17 Cost.-, d’impresa – art. 41 Cost.-, diritto alla salute -art. 32 Cost-) -v. Cons. Stato, n. 7045/2021-.
Orbene, quel che risulta decisivo, ai fini del riparto delle giurisdizioni, è la puntuale interpretazione del quadro normativo di riferimento, per comprendere se sia stata effettivamente conferita alla p.a. la facoltà di incidere su un diritto costituzionale, operando una mediazione tra interessi parimenti fondamentali, ovvero se la norma abbia predefinito ex ante l’assetto di interessi e configurato un diritto già pienamente in grado di affermarsi senza alcuna mediazione da parte del potere amministrativo, con un correlativo obbligo in capo all’amministrazione di rispettarlo.
Ciò posto e tornando alla questione qui in esame, occorre muovere dalla disciplina normativa del distanziamento sociale e delle misure a protezione della salute introdotte dalla legislazione emergenziale di contrasto alla pandemia da Covid-19, fra le quali ultime spiccano gli artt.1 e 3 del d.l.n.6/2020, convertito con modificazioni dalla I.n.13/2020, il d.P.C.M. 8 marzo 2020 – «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19- nonché l’art.1, co.2, d.l. n.19/2020, convertito con modificazioni dalla L. 22 maggio 2020, n. 35 ed altresì le circolari adottate dal Ministero dell’Interno in materia di organizzazione dei centri di accoglienza straordinaria nel periodo emergenziale.
Ora, proprio dall’esame congiunto di tali fonti emerge che la misura del distanziamento sociale individuata per prevenire la diffusione del virus da Covid-19 risulta disciplinata con modalità fisse e predeterminate in modo da non consentirne attuazioni differenziate. Ed invero il decreto-legge n. 6/2020, all’art. 3 autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri ad adottare – per quel che qui importa – uno, o più decreti, su proposta del Ministro della Salute, sentiti i Ministri competenti nonché sentiti i Presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardassero esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardassero il territorio nazionale.
Tali atti trovavano il loro limite nello scopo indicato dall’art. 1 dello stesso d.l.n.6 e cioè “evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus”. La medesima disposizione aggiungeva che “le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica.” Ora, l’allegato n.1 al d.P.C.M. 8 marzo 2020, reso in attuazione del d.l.n.6/2020, tra le stringenti misure igienico-sanitarie prescritte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha individuato, all’interno di un compendio di prescrizioni, quella, indicata alla lett.d) del ” mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro”.
Anche l’art.1, co.2, lett.gg) d.l.n.19/2020 ha poi menzionato “…la previsione che le attività consentite si svolgano previa assunzione da parte del titolare o del gestore di misure idonee a evitare assembramenti di persone, con obbligo di predisporre le condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; …” (corsivi aggiunti n.d.r.). Giova poi ricordare che il riferimento alla necessità del distanziamento sociale è stato successivamente ribadito dall’art.1 D.P.C.M. 26 aprile 2020 recante Ulteriori disposizioni attua tive del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale, adottato anche in attuazione del ricordato d.l. n. 19/2020-
Orbene, nella stessa direzione e con specifico riferimento alla materia dell’accoglienza dei richiedenti asilo rilevano le circolari del Ministero dell’Interno (prot. n. 3393 del 18.3.2020 recante “Interventi di prevenzione della diffusione del virus COVID-19 nell’ambito del sistema di accoglienza e dei centri di permanenza per il rimpatrio. Ulteriori indicazioni” e prot. n. 3728 del 1.4.2020 recante “Interventi di prevenzione della diffusione del virus COVID-19 nell’ambito del sistema di accoglienza”) adottate con specifico riferimento alla situazione dei centri di accoglienza straordinaria. In tali atti, come detto provenienti dall’autorità ministeriale centrale funzionalmente competente alla gestione dei flussi di richiedenti asilo, “…si sottolinea l’esigenza di assicurare, nell’ambito dei centri, le dovute distanze interpersonali e di evitare forme di assembramento, anche nel momento dell’erogazione dei pasti, anche garantendo il decongestionamento dei centri maggiormente affollati attraverso un’eventuale redistribuzione dei migranti in altri centri della provincia” -v. circolare prot. n. 3393 del 18.3.2020, cit.- (corsivi aggiunti n.d.r.).
Ed è particolarmente significativo che in piena crisi pandemica la medesima amministrazione centrale indicasse “…la necessità di assicurare nelle strutture di accoglienza il rigoroso rispetto delle misure di contenimento della diffusione del virus previste a livello nazionale, onde evitare l’esposizione ai rischi di contagio per i migranti accolti e per gli operatori, nonché di generare situazioni di allarme sociale dovute al mancato rispetto, da parte dei primi, dell’obbligo di rimanere all’interno delle rispettive strutture”, poi aggiungendo che “…è inoltre opportuno mantenere un costante collegamento con gli enti gestori dei centri, sotto il duplice obiettivo di monitorare il rispetto delle prescrizioni imposte e di intercettare eventuali difficoltà operative.” Indicazione ulteriormente ed inequivocabilmente chiarita ove si afferma “…la necessità di assicurare che nell’ambito dei centri vengano adottate le necessarie misure di carattere igienico-sanitario e di prevenzione, nonché evitate forme di particolare concentrazione di ospiti.” -v. circolare prot. n. 3728 del 1.4.2020, cit.- (corsivi aggiunti n.d.r.).
Orbene, dal composito esame delle disposizioni primarie e secondarie appena ricordate si desume l’assenza di alcun margine di discrezionalità in ordine all’applicazione o meno della misura del distanziamento, il che appare confermato dalle prescrizioni minime del distanziamento sociale -aventi base normativa nel richiamato d.P.C.M. 8 marzo 2020, nonché nel menzionato d.l. n.19/2020. In definitiva, ritengono queste Sezioni Unite che il diritto alla salute preso in considerazione sub specie di diritto al distanziamento sociale è già stato conformato dal composito quadro normativo di riferimento.
Ed è appena il caso di ricordare che in questa direzione milita univocamente anche la fonte normativa rappresentata dal ricordato d.P.C.M. che, per quel che riguarda le misure volte a prevenire i contagi, fa corpo e sistema con il d.l. n.6/2020 come richiamato da quest’ultimo, essendo quindi la fonte primaria che conforma il diritto fondamentale alla salute. Sul punto, è sufficiente ricordare che proprio la Corte costituzionale ha avuto modo di riconoscere la piena legittimità del d.P.C.M. -recte della sequenza decreti-legge/d.P.C.M. adottati nel periodo dell’emergenza epidemiologica – quale strumento di regolazione del fenomeno pandemico, per l’un verso indicando in via generica la legittimità dell’intervento del legislatore statale che nel fronteggiare “un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, scelga di introdurre nuove risposte normative e provvedimentali tarate su quest’ultima” -Corte cost., sent. 12 marzo 2021, n. 37- e poi dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt.1, 2 e 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35-“- v., Corte cost., n. 198/2021-.
In tale ultima occasione il giudice costituzionale ebbe appunto a precisare che il d.l. n. 19 del 2020, lungi dal dare luogo a un conferimento di potestà legislativa al Presidente del Consiglio dei ministri in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., si limita ad autorizzarlo a dare esecuzione alle misure tipiche previste, essendosi posto l’obiettivo di “sottoporre a una più stringente interpretazione del principio di legalità la tipizzazione delle misure potenzialmente applicabili per la gestione dell’emergenza”, e tale obiettivo ha perseguito “…con una compilazione che riconduce a livello di fonte primaria il novero di tutte le misure applicabili all’emergenza stessa, nel cui ambito i singoli provvedimenti emergenziali attuativi potranno discernere, momento per momento e luogo per luogo, quelle di cui si ritenga esservi concretamente maggiore bisogno per fronteggiare nel modo più efficace l’emergenza stessa”- v., Corte cost., n. 198/2021, cit.-
Ad ulteriore conferma del rilievo per cui la p.a. rispetto alle modalità concrete di esercizio del servizio straordinario di accoglienza si trovi di fronte ad una cogente necessità di salvaguardare la salute dei richiedenti asilo secondo moduli predeterminati dall’ordinamento positivo e secondo modalità che non consentono alcuna forma di discrezionalità si colloca il principio, già espresso da queste Sezioni Unite in materia di riparto delle giurisdizioni, che riconosce in capo alla p.a. la sussistenza di un obbligo di garanzia derivante da “contatto sociale qualificato” idoneo come tale a incardinare la giurisdizione del g.o. a fronte del suo inadempimento -v. Cass. S.U. 28 aprile 2020 n. 8236; Cass. S.U., 17 dicembre 2020 n. 28979 e Cass. S.U., 15 gennaio 2021 n. 615-.
Ed è appena il caso di sottolineare che proprio con riguardo alla vicenda qui esaminata rileva la posizione di garanzia e di protezione nella quale viene a trovarsi il gestore del servizio pubblico rispetto ai richiedenti asilo ospiti delle strutture di accoglienza straordinaria circa la tutela del diritto alla salute dei medesimi, nella duplice accezione presa in considerazione dall’art. 32 Cost. Ne consegue che nessun potere pubblico può incidere sul diritto alla salute degli ospiti, sub specie di diritto al distanziamento sociale, fino al punto da degradarlo ad interesse legittimo.
Rispetto al diritto a che ci sia un certo distanziamento, la p.a. e con essa il gestore dei centri di accoglienza sono dunque mere longae manus di quel diritto, tenute a garantirlo alla stregua dell’adempimento di un rapporto obbligatorio nel quale il gestore è mero intermediario tra la legge ed i destinatari della protezione – nel caso di specie i richiedenti asilo ospiti del CAS Mattei – e garante del rispetto di siffatta situazione giuridica soggettiva.
Può quindi concludersi nel senso che il servizio di accoglienza straordinaria in favore dei soggetti ospitati nelle strutture di accoglienza straordinaria risulta improntato, per espressa volontà delle fonti normative, alla protezione dei bisogni basilari delle “persone richiedenti asilo” e al perseguimento di una rete di sicurezza sociale che, per il tramite di parametri normativi predeterminati dal legislatore, sono espressione dei canoni di ragionevolezza e solidarietà, i quali informano il sistema costituzionale interno. Sicché, il dovere di salvaguardare la salute dei soggetti richiedenti asilo accolti nei CAS risulta intimamente legato al principio di solidarietà nella sua proiezione verticale, pubblica ed istituzionale, e per ciò stesso improntato ad impedire forme discriminatorie di tutela, quando appunto entrano in gioco posizioni soggettive riferibili a persone che versano, spesso, in situazione di evidente vulnerabilità proprio in ragione della condizione di richiedente asilo e dell’impossibilità di regolare autonomamente la propria esistenza all’interno delle strutture di accoglienza.
Seguendo tale prospettiva risulta chiaro che la ricordata disciplina positiva si inquadra nel perseguimento dei canoni costituzionali di uguaglianza e parità di trattamento che impediscono di valorizzare, a giustificazione di un livello più o meno stringente di bilanciamento di diritti fondamentali, l’eccezionalità e le difficoltà insite nella gestione di un servizio come quello all’accoglienza essendo comunque imprescindibile, in un ordinamento democratico costituzionale, l’esigenza “…di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività” (cfr. Corte cost. n. 37/2021) e di impedire qualunque forma di discriminazione indiretta – v. Cass., S.U., 25 novembre 2014 n. 25011-.
Quando dunque è lo stesso legislatore a prendere in considerazione certi valori cardine ed a regolarne la reciproca convivenza con altri parimenti fondamentali, le autorità amministrative, nei singoli casi, non fanno altro che applicare la prescrizione legislativa, spettando alle autorità giurisdizionali il compito di controllare il bilanciamento già effettuato a monte, accertando il rispetto della Costituzione, la coerenza, la logicità, la completezza, la corrispondenza tra mezzi e fini. Compiti che, per le considerazioni dianzi espresse, risultano riservati al giudice ordinario. L’affermata giurisdizione del giudice ordinario non risiede, allora, nella negazione dell’esistenza di un potere amministrativo nella gestione del servizio di accoglienza, quanto nel fatto che tale potere è talmente circoscritto e vincolato che l’amministrazione è unicamente tenuta ad eseguire un comportamento prefissato dal quadro normativo di riferimento.
Non può condurre a diversi risultati, in punto di giurisdizione, la circostanza che l’attuazione del diritto al distanziamento sociale si inserisca nel sistema pubblicistico disegnato dal d.lgs. n.142/2015, poi integrato parzialmente dal d.l. n. 113/2018, all’interno di un compendio di misure volte a disciplinare, fra i centri di prima e di seconda accoglienza, appunto i Centri di accoglienza straordinaria riservati ai richiedenti asilo che, secondo la difesa erariale, involgerebbe “profili di elevata discrezionalità tecnica e amministrativa, caratteristici proprio della potestà organizzativa di qualsivoglia servizio pubblico”. Tale ultima prospettiva non è infatti persuasiva, se solo si consideri che la causa petendi della controversia non riguarda la modificazione delle procedure amministrative di cui al richiamato decreto legislativo né l’invasione di un potere discrezionale, bensì il rischio di lesione del diritto alla salute, ex art. 32, Cost.
Ne consegue che, impregiudicate le peculiari caratteristiche della gestione del servizio improntato all’accoglienza straordinaria – art.11 d.lgs. n.142/2015-, in linea generale non ostative al riconoscimento di una certa autonomia decisionale dell’ente gestore dei centri, risultano decisive ai fini della individuazione della giurisdizione del g.o. le previsioni precise e puntuali adottate a livello normativo a protezione della salute dei richiedenti asilo. Va altresì chiarito che nemmeno rileva, per giustificare la devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la configurazione dell’inerzia della p.a. rispetto alla garanzia del distanziamento sociale quale ipotesi di “silenzio- inadempimento”, come pure prospettato dal Tribunale di Bologna nel rigettare il reclamo cautelare dell’associazione ricorrente essendo dirimente, ai fini dell’individuazione del plesso giurisdizionale, la circostanza che l’inerzia lamentata riguardi il diritto fondamentale alla salute per come esso si è visto essere declinato.
Occorre infine precisare che non assume alcuna valenza ai fini dell’individuazione del giudice dotato di giurisdizione la circostanza che nell’azione promossa dall’ASGI innanzi al Tribunale di Bologna sia stato altresì richiesto l’ordine all’amministrazione di trasferire i richiedenti – se e quando fosse accertata la lesione del diritto alla salute – in quanto l’oggetto principale della domanda è rappresentato dalla prospettata lesione del diritto alla salute, rispetto al quale le modalità di protezione adottate dal giudicante attengono al merito del giudizio e non risultano in alcun modo rilevanti ai fini dell’individuazione della giurisdizione, essendo dunque demandata al g.o., in una fase postuma rispetto alla verifica preliminare sull’an e sul quomodo del rispetto delle misure minime di contenimento, l’individuazione delle misure idonee a tutelare il diritto alla salute in maniera uniforme per tutti i destinatari.
Non è da ultimo superfluo rammentare il consolidato indirizzo di questa Corte per cui “l’inosservanza da parte della p.a. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della p.a. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della p.a. ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere” (cfr. Cass. S.U., 12 ottobre 2020 n.21993; Cass., S.U., n.17461/2006, cit..)
Sulla base di tali considerazioni va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, dovendosi per l’effetto ritenere caducata la sentenza declinatoria della giurisdizione ordinaria medio tempore pronunciata dal Tribunale di Bologna in sede di merito.