Corte di Cassazione, I Sezione Civile, sentenza 24 febbraio 2022, n. 6279
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ad avviso della Corte, nell’ambito del procedimento di opposizione allo stato passivo disciplinato dall’art. 99 l. fall., sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, senza che possa trovare applicazione il principio dell’ammissibilità, nel giudizio di primo grado, entro il primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., della mutatio di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- – Il primo mezzo è fondato.
8.1. – Il quesito al quale la Corte è chiamata a rispondere è se, nel procedimento di opposizione allo stato passivo, possa trovare applicazione il principio affermato da Cass., Sez. Un., 13 settembre 2018, n. 22404, secondo cui: «Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’articolo 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta».
Tale principio si colloca a valle di Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, che, immutando il precedente orientamento, ha affermato che la modificazione della domanda ammessa ex articolo 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
8.2. – Secondo la giurisprudenza del tutto prevalente di questa Corte, formatasi in riferimento all’articolo 345 c.p.c., la domanda di arricchimento senza causa è nuova a fronte di quella di adempimento (Cass. 6 ottobre 1999, n. 11123; Cass. 9 marzo 2000, n. 2677; Cass. 24 maggio 2000, n. 6810; Cass. 29 marzo 2001, n. 4612; Cass. 27 novembre 2001, n. 15028; Cass. 6 dicembre 2002, n. 17335; Cass. 24 ottobre 2003, n. 16005; Cass. 2 dicembre 2004, n. 22667; Cass. 26 maggio 2004, n. 10168; da ult. nello stesso senso dell’inammissibilità Cass. 19 ottobre 2016, n. 21190; Cass. 9 febbraio 2021, n. 3058).
Questa impostazione è ampiamente richiamata e recepita nella stessa decisione del 2018 delle Sezioni Unite, le quali hanno però ritenuto che, nel quadro di applicazione dell’articolo 183 c.p.c., il passaggio dalla domanda di adempimento a quella di ingiustificato arricchimento si atteggi quale «domanda modificata» nel contesto della medesima vicenda sostanziale, come tale ammissibile in conformità alla decisione delle Sezioni Unite del 2015; il che consente di tenere per fermo che l’una e l’altra domanda differiscono quanto a due degli elementi identificativi delle azioni, petitum e causa petendi.
8.3. – Nell’esaminare il quesito, osserva la Corte, vale allora anzitutto osservare che l’ammissibilità di domande nuove è confinata entro l’ambito del giudizio di primo grado, ed è destinata a collocarsi all’esordio della scansione processuale disciplinata dall’articolo 183 c.p.c..
La decisione delle Sezioni Unite del 2015, difatti, nel procedere alla ridefinizione delle nozioni di mutatio ed emendatio, condotta in riferimento all’articolo 183 c.p.c., ha già avuto modo di evidenziare che ciò non si ripercuote sulla disciplina dello ius novorum in appello, giacché, anzi, l’ampliamento degli spazi per la modificazione della domanda, ai sensi di detta disposizione, è motivato, tra l’altro, proprio sul differente dato testuale di essa, in cui non è dato rinvenire un esplicito divieto di domande nuove come quello riscontrabile nell’articolo 345 c.p.c..
Sicché, anche dopo la decisione delle Sezioni Unite, è stata ribadita l’inammissibilità delle domande formulate per la prima volta in appello (Cass. 21 novembre 2017, n. 27566; per l’inapplicabilità in appello del principio formulato dalle Sezioni Unite v. pure Cass. 10 gennaio 2018, n. 535, in motivazione).
Parimenti, prosegue la Corte, la pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 ha ribadito che il principio dell’ammissibilità di domande nuove con la prima memoria di cui all’articolo 183 c.p.c., secondo il precedente del 2015, si fonda, tra l’altro, sull’assenza, in tale norma, di «un esplicito divieto di domande nuove nell’ambito dell’udienza di cui all’articolo 183 c.p.c. paragonabile a quello espresso dell’articolo 345 c.p.c.».
8.4. – Il procedimento di opposizione allo stato passivo, il quale mostra evidenti tratti di peculiarità, che non ne consentono la completa assimilazione ad alcuno dei procedimenti tipici regolati dal secondo e quarto libro del codice di rito, non si presta, così come l’appello, all’introduzione di domande nuove, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, più volte ribadito anche dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 2015.
8.5. – Si tratta difatti senz’altro di un procedimento di natura impugnatoria, secondo l’opinione stabilmente condivisa in giurisprudenza (Cass. 30 luglio 2021, n. 21991; Cass. 4 dicembre 2020, n. 27902; Cass. 10 maggio 2018, n. 11366; Cass. 3 novembre 2017, n. 26225; Cass. 13 settembre 2017, n. 21201; Cass. 30 novembre 2016, n. 24489; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3110; Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; Cass. 9 maggio 2013, n. 11026; Cass. 22 marzo 2013, n. 7278; Cass. 12 dicembre 2012, n. 22765; Cass. 4 luglio 2012, n. 11146; Cass. 8 giugno 2012, n. 9341; Cass. 4 giugno 2012, n. 8929; Cass. 18 maggio 2012, n. 7918; Cass. 23 marzo 2012, n. 4744; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677), oltre che ampiamente prevalente in dottrina.
8.6. – Il carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo, precisa la Corte, è reso palese da una semplice constatazione: se non è proposta l’opposizione, il decreto del giudice delegato acquista la stabilità propria del giudicato, sia pure con i limiti del giudicato endofallimentare (di recente, su tali limiti, Cass. 3 dicembre 2020, n. 27709; Cass. 21 ottobre 2020, n. 22954), di guisa che, per rimuoverlo, occorre l’opposizione: opposizione dunque indispensabile per lo scopo di promuovere l’altrimenti precluso riesame del provvedimento, di natura indubbiamente giurisdizionale, adottato dal giudice delegato; opposizione da proporsi dinanzi ad un diverso giudice, il collegio, di cui non può far parte il giudice delegato (articolo 99 della legge fallimentare, commi nono e decimo), ad esclusiva iniziativa del soccombente, il quale abbia visto respinta la propria domanda di ammissione; opposizione da proporsi entro un termine perentorio (articolo 99, primo comma).
Sicché il testo del secondo comma, numero 3, dell’articolo 99 della legge fallimentare, secondo cui il ricorso in opposizione deve contenere «l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione», lungi dal denunciare un’improprietà di linguaggio, appare frutto di una scelta legislativa precisa e consapevole.
8.7. – Ciò detto, è cosa nota che, pur nella sua natura di rimedio impugnatorio, l’opposizione allo stato passivo non è assimilabile all’appello (tra le molte, da ultimo, a mero titolo di esempio, Cass. 30 luglio 2021, n. 21991, concernente l’inapplicabilità all’opposizione allo stato passivo e la sanzione di improcedibilità per mancata comparizione dell’appellante di cui all’articolo 348 c.p.c.): ed è del resto ovvio che sia così, giacché l’appello segue ad un giudizio di primo grado a cognizione piena, ove pure svoltosi nelle forme del rito sommario di cognizione, da intendersi quale rito di cognizione soltanto semplificato, a mezzo del quale le parti hanno avuto modo di far integralmente valere, sotto ogni aspetto, le proprie domande ed eccezioni; ciò accade invece solo in parte nella fase della verifica dello stato passivo, sol che si consideri che il contraddittorio è sì assicurato, ma senza che sia prevista la costituzione del curatore con un difensore, essendo d’altronde la difesa tecnica del creditore solo eventuale, ed altresì che la fase di verifica si connota per la sommarietà della cognizione, sicché non è assimilabile ad un primo grado a cognizione piena (per la prima ricostruzione in tal senso in periodo post-riforme del 2005-2007 v. Cass. 11 settembre 2009, n. 19697).
Ciò però, precisa la Corte, non intacca punto l’affermazione della natura impugnatoria del procedimento in discorso, anche se sovente pone l’interprete dinanzi all’esigenza di coprire gli spazi lasciati vuoti dalla scheletrica descrizione del suo funzionamento: per il che occorre «di volta in volta scrutinare la compatibilità di esse», le regole dettate in materia di impugnazioni dagli articoli 323 e seguenti c.p.c., «con lo strumento in questione, in ragione dalle sue particolari caratteristiche» (Cass. 1° giugno 2016, n. 11392, in motivazione), fermo restando che, considerato il carattere impugnatorio del rimedio, è proprio alla disciplina dell’appello che occorre porre mente, ove non emergano «ulteriori esigenze di specialità e di autonomia della procedura concorsuale che trovino nella relativa disciplina apposita e distinta regolamentazione» (Cass. 10 maggio 2018, n. 11366).
8.8. – Orbene, la certezza raggiunta in ordine al carattere impugnatorio del procedimento di opposizione allo stato passivo non è di per sé risolutiva della questione se nel procedimento possano essere proposte domande nuove.
Difatti non può in astratto escludersi che il legislatore possa prevedere congegni di gravame tali da prevedere l’introduzione di domande nuove. E tuttavia è un fatto che, nel sistema, le impugnazioni non consentono l’introduzione di domande nuove e che, in particolare, il procedimento tipico di impugnazione volto a denunciare così l’illegittimità, come l’ingiustizia della decisione impugnata, l’appello, non ha mai consentito l’introduzione di domande nuove, nelle diverse formulazioni succedutesi dell’articolo 345 c.p.c., eccezion fatta per un ristretto numero di domande ammissibili in appello, in quanto, per così dire, meramente consequenziali, in tema di accessori e danni maturati dopo la sentenza impugnata. Sicché, il riconosciuto carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo, in assenza della espressa previsione, nell’articolo 99 della legge fallimentare, della facoltà dell’opponente di proporre domande nuove, è già di per sé indice significativo dell’inammissibilità delle stesse.
8.9. – È qui il caso di aggiungere, per completezza, anche se le considerazioni svolte in relazione al carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo escludono che essa possa essere ricondotta ad un giudizio di primo grado, che l’opposizione qui in discorso non è neppure assimilabile all’opposizione a decreto ingiuntivo, rilievo, questo, qui necessitato dall’affermazione, che si rinviene nella recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la facoltà di radicale mutatio attraverso la prima memoria di cui all’articolo 183 c.p.c. troverebbe applicazione anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. 13 aprile 2021, n. 9668).
Ebbene, chiarisce la Corte, la distanza tra l’opposizione allo stato passivo e quella a decreto ingiuntivo è incolmabile, non soltanto perché nell’opposizione allo stato passivo il contraddittorio si dispiega fin dall’inizio del procedimento, mentre nel giudizio per decreto ingiuntivo è soltanto eventuale, ove l’ingiunto introduca l’opposizione; non soltanto perché l’opposizione allo stato passivo è intrapresa dal preteso creditore che ha visto respinta la sua domanda, mentre l’opposizione a decreto ingiuntivo è proposta dal debitore ingiunto, a fronte di un provvedimento che ha provvisoriamente accolto la domanda del creditore in monitorio; non soltanto perché il giudice che rilascia il decreto ingiuntivo può essere il medesimo dinanzi al quale si propone l’opposizione: la distanza è segnata soprattutto dal rito che disciplina il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, giudizio che «si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito», ai sensi del secondo comma dell’articolo 645 c.p.c., a fronte del rito che disciplina il giudizio di opposizione allo stato passivo, regolato, invece, dall’art. 99 della legge fallimentare.
8.10. – Si giunge, qui, a completare il ragionamento svolto in precedenza: l’ammissibilità di domande nuove in sede di opposizione a decreto ingiuntivo non discende soltanto dal carattere impugnatorio del rimedio, ma anche dalla positiva disciplina del mezzo, che non lascia spazio, se non per quanto espressamente previsto, allo ius variandi dell’opponente.
L’articolo 99, comma 2, n. 3, stabilisce, come si è detto, che il ricorso deve contenere «l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione e le relative conclusioni». Già tale dato letterale evidenzia che l’atto introduttivo non è destinato ad ospitare domande, bensì solo circostanze di fatto ed argomenti in diritto finalizzati all’accoglimento dell’impugnazione, ossia «motivi», censure dirette a sollecitare l’accoglimento della domanda che, nella fase giurisdizionale precedente, il giudice ha in tutto o in parte disatteso.
Ciò in perfetta aderenza con sistema delineato dagli articoli 93 ss. della legge fallimentare.
L’articolo 93, prosegue la Corte, stabilisce che la domanda di ammissione al passivo di un credito si propone con ricorso contenente la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, e dunque il petitum, nonché la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, e cioè la causa petendi che sostiene quel petitum. Si tratta, dunque, degli elementi caratterizzanti gli atti introduttivi delle domande proposte in procedimenti a cognizione piena, come accade nell’articolo 163, terzo comma, nn. 3 e 4, nell’art. 414, secondo comma, nn. 2 e 3, nell’articolo 702 bis, per il tramite del rinvio all’articolo 163 c.p.c.: in questo caso la domanda introduttiva è collocata in una fase sommaria, ma deve essere dotata di quanto richiesto per dar corso alla eventuale successiva fase a cognizione piena.
Il successivo articolo 94 della legge fallimentare soggiunge, sotto la rubrica «Effetti della domanda», che la domanda di cui all’articolo 93 «produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento», dal che si desume che è quella, prevista dall’articolo 93, diretta alla insinuazione al passivo, la domanda che produce gli effetti suoi propri, effetti che si protraggono per la durata della intera procedura fallimentare e che non hanno modo di prodursi altrimenti, la qual cosa conferma che non vi è altra sede per la proposizione di una domanda nei confronti del fallimento al di fuori della previsione dell’articolo 93 della legge fallimentare. L’articolo 95, poi, prosegue affermando che il curatore, esaminate le domande di cui all’articolo 93, depositato il progetto di stato passivo, «decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati»: dal che si desume ancora sia che la decisione si cristallizza in quella sede, obbedendo al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fatte salve le eccezioni rilevabili d’ufficio, sia che anche gli altri interessati, anzitutto gli altri creditori, devono poter interloquire sulle domande proposte.
L’articolo 98 disciplina poi i rimedi contro lo stato passivo, ossia l’opposizione, che è data al creditore che ha visto disattesa la sua insinuazione e — è importante dire — si propone nei confronti del solo curatore; l’impugnazione, data al curatore e agli altri creditori, per contestare l’accoglimento della domanda di un creditore ammessa; la revocazione data anch’essa al curatore e ai creditori per attaccare in determinati casi provvedimenti sia di accoglimento che di rigetto. Anche quest’aspetto, già da solo dirimente, ineluttabilmente conferma, sul piano sistematico, che l’opposizione non può ammettere domande nuove dell’opponente, giacché su di esse gli altri creditori non potrebbero interloquire, come hanno invece diritto di fare secondo l’articolo 95.
8.11. – Nel complesso, la ratio sottesa alla previsione di un procedimento così contratto, in cui giocano un rilievo sostanzialmente ultimativo gli atti introduttivi, che non consente ulteriori attività volte alla successiva definizione del thema decidendum e del thema probandum, che è radicalmente incompatibile con gli sviluppi scanditi dall’articolo 183 c.p.c., e che è destinato a concludersi con un provvedimento assunto in forma di decreto, tale da esigere il minimo teorico del supporto motivazionale richiesto dalla Costituzione, è del tutto chiara: occorre che la decisione sulle opposizione allo stato passivo sia quanto più possibile semplificata e celere, senza che l’esigenza di celerità della decisione, sempre nel rispetto dell’articolo 24 della Costituzione, possa essere pregiudicata da complicazioni procedurali non indispensabili: ed è per questo che il procedimento di opposizione allo stato passivo non consente l’introduzione di domande nuove, finanche riconvenzionali (p. es. Cass. 8 febbraio 2019, n. 3778), sicché deve aversi per certo che il creditore, assunta la veste dell’opponente, non può proporre domande nuove, per aver consumato la sua chance all’atto dell’insinuazione.
Occorre, chiosa ancora la Corte, che lo stato passivo trovi al più presto una definitiva stabilità, la quale è condizione indispensabile perché il procedimento fallimentare possa attingere il suo esito, questo il senso del procedimento apprestato dal legislatore per la definizione delle opposizioni allo stato passivo. Ma, se si ammettesse la proposizione di domande nuove con l’opposizione allo stato passivo, la stessa utilità della precedente fase verrebbe ad esserne travolta, dal momento che il creditore, se non altro in relazione alla medesima «vicenda sostanziale» che ha dato causa al sorgere del credito insinuato, potrebbe mutare radicalmente la causa petendi, costringendo il giudice a rifare ora lo scrutinio di fondatezza che egli ha già fatto nella fase di verifica.
8.12. – Un’ultima osservazione sembra opportuna. Da un duplice versante.
L’inammissibilità delle domande nuove in sede di opposizione allo stato si ricollega anche al funzionamento delle insinuazioni tardive di cui all’articolo 101 della legge fallimentare.
Ad esempio, tra i tanti possibili, è stato di recente detto che, in tema di ammissione al passivo fallimentare, la domanda di insinuazione tardiva è ammissibile se diversa, per petitum e causa petendi, rispetto a quella di insinuazione ordinaria, poiché il carattere giurisdizionale e decisorio del procedimento di verificazione del passivo esclude che, per il giudicato interno formatosi sull’istanza tempestiva, possa proporsi una nuova insinuazione per un credito, o una parte di esso, che sia stato in precedenza escluso dal passivo. (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4506, che ha ritenuto ammissibile l’insinuazione tardiva relativa a differenze retributive per mansioni superiori nonostante l’accoglimento della domanda tempestiva per la retribuzione calcolata sulla base dell’inquadramento riconosciuto dal datore di lavoro).
Ma ciò sta anche a significare che il meccanismo dell’inammissibilità delle domande nuove in sede di opposizione allo stato passivo non è infine giugulatorio, giacché non esclude il ricorso all’insinuazione tardiva.
8.13. – Ben si comprende, dunque, il principio ribadito secondo cui nel giudizio di opposizione allo stato passivo, che ha natura impugnatoria ed è «retto dal principio dell’immutabilità della domanda, non possono essere introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d’insinuazione al passivo» (Cass. 30 marzo 2012, n. 5167, sulla scia dell’ampia giurisprudenza precedente ivi richiamata, poi ribadita da numerosissime decisioni, tra le quali, di recente, le nn. 25316 e 10990 del 2021, 12179 e 5611 del 2020, 27543, 24587, 24445, 20213, 14937 e 278 del 2019).
Ed ancora, senza pretesa di completezza, l’articolo 99, nel testo novellato dapprima dal d.lgs. n. 5 del 2006, e successivamente dal d.lgs. n. 169 del 2007, «configura il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso inequivocabilmente impugnatorio e quindi non ammette né domande nuove da parte dell’opponente» (Cass. 8 giugno 2012, n. 9341; Cass. 22 marzo 2010, n. 6900) né «domande riconvenzionali del curatore, non previste» (Cass. 4 aprile 2013, n. 8246). Ovvero, «a seguito della novella n. 5 del 2006 l’opposizione del creditore o del titolare di beni mobili o immobili per le domande respinte … è regolata in modo dettagliato con una disciplina autonoma, e non potrebbe essere assimilata ad altri giudizi di opposizione che si propongono davanti allo stesso giudice (significativo, in questo senso, è l’espresso divieto di partecipazione al collegio da parte del giudice delegato al fallimento). La configurazione di tali giudizi in senso inequivocabilmente impugnatorio appare incompatibile con l’ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, quali le domande riconvenzionali» (Cass. 22 marzo 2010, n. 6900).
8.14. – Ha dunque errato il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nell’accogliere la domanda spiegata dal preteso creditore in via subordinata soltanto nell’atto di opposizione allo stato passivo.
- – Il primo mezzo, conclude la Corte, va dunque accolto, con assorbimento degli ulteriori.
Sicché il decreto impugnato deve essere cassato e rinviato al giudice a quo, che, provvedendo altresì sulle spese di questo giudizio di legittimità, si atterrà al seguente principio: «Nell’ambito del procedimento di opposizione allo stato passivo disciplinato dall’articolo 99 della legge fallimentare sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, senza che possa trovare applicazione il principio dell’ammissibilità, nel giudizio di primo grado, entro il primo termine di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c., della mutatio di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio».