Cass. civ., sez. I, ord., 23 febbraio 2022, n. 5900
MASSIMA
La destinazione a strada pubblica non è di per sé espressione di un potere di pianificazione esercitato in via astratta e generale ed il carattere conformativo della relativa previsione ricorre soltanto se il P.R.G. ha previsto la strada nell’ambito di una destinazione delle zone del territorio con limitazioni di ordine generale ricadenti su una pluralità indistinta di beni; sussiste, invece, un vincolo preordinato all’espropriazione ove ricorra una localizzazione lenticolare della strada, incidente su specifici beni e con un rilievo all’interno e a servizio delle singole zone.
In tema di espropriazione per pubblica utilità, l’attuale sistema indennitario e risarcitorio è fondato sul valore venale del bene, applicabile non soltanto ai suoli edificabili, da ritenersi tali sulla base del criterio dell’edificabilità legale, ma anche, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, ai suoli inedificabili, assumendo rilievo per tale ultima categoria ai fini indennitari e risarcitori la possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative etc.) sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo ed unico motivo il Comune ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 2 della legge n. 1187/1968 (ora art. 9 del d.P.R. n. 327/2001), avendo errato la Corte di appello nell’affermare che l’Ente non avrebbe dimostrato la natura espropriativa del vincolo apposto sull’area in esame e la sua natura non edificabile, in quanto il fondo era sottoposto a vincolo di inedificabilità assoluta ed era compreso in zona più estesa, vincolata alla viabilità di piano, e sul medesimo fondo era stata realizzata una via di collegamento tra il Ponte S. Anna e la Caserma dei VV. FF.; la stessa Corte di appello aveva riconosciuto che il consulente tecnico d’ufficio, pur ricomprendendo il fondo in zona qualificata centro abitato, aveva confermato che la zona non era del tutto occupata da manufatti privati e che la documentazione in atti confermava la sussistenza del vincolo di viabilità di piano, che comportava un vincolo di inedificabilità assoluta.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. A proposito delle opere di viabilità, come già affermato da questa Corte, nella sentenza 17 maggio 2002, n. 7243 (resa, peraltro, su una controversia avente ad oggetto l’applicazione dei P.R.G. del Comune di Prato), la loro indicazione nel piano regolatore generale (art. 7, secondo comma, n. 1, della legge 17 agosto 1942, n. 1150), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel sistema dell’art. 5 bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, basato sulla edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (art. 13, legge n. 1150/1942), di regola rimesse ad uno strumento di attuazione, come può essere il piano di lottizzazione, e come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo (Cass., 7 dicembre 2001, n. 15519; Cass., 11 gennaio 2002, n. 296).
Più di recente, questa Corte ha affermato che «l’accertamento delle possibilità legali ed effettive di edificazione, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, prescinde dall’incidenza del vincolo preordinato ad esproprio, ma tiene conto del regime urbanistico dell’area al momento del decreto di espropriazione, in attuazione delle cui previsioni generali, mediante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, è stato apposto il vincolo espropriativo, dovendosi escludere che il regime urbanistico debba essere accertato risalendo ad una pianificazione anteriore, non più attuale, o ad una condizione preurbanistica, conseguendone che la natura del suolo va desunta dalla disciplina urbanistica attribuita alla zona dal piano regolatore generale, sempre che ad essa possano riconoscersi i caratteri di generalità ed astrattezza atti ad escludere il carattere espropriativo del vincolo; e riguardo, in particolare, alla qualificazione di suoli destinati alla realizzazione di opere di viabilità, l’indicazione delle opere necessarie nel piano regolatore comporta un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, che non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che non si tratti di destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone, come tali riconducibili a vincolo imposto a titolo particolare, a carattere espropriativo» (Cass., 10 maggio 2013, n. 11236; Cass., 25 settembre 2007, n. 19924; Cass., 5 giugno 2006, n. 13199).
La destinazione a strada pubblica, pertanto, non è di per sè espressione di un potere di pianificazione esercitato in via astratta e generale ed il carattere conformativo della relativa previsione ricorre soltanto se il P.R.G. ha previsto la strada nell’ambito di una destinazione delle zone del territorio con limitazioni di ordine generale ricadenti su una pluralità indistinta di beni; sussiste, invece, un vincolo preordinato all’espropriazione ove ricorra una localizzazione lenticolare della strada, incidente su specifici beni e con un rilievo all’interno e a servizio delle singole zone.
1.3 Ciò posto, nel caso in esame, la Corte territoriale ha correttamente affermato che il vincolo avesse natura conformativa, ma con un iter argomentativo errato ha, poi, ritenuto il fondo in esame di natura edificabile.
Ed invero, il vincolo in esame ha natura conformativa, proprio in ragione della previsione contenuta nel P.R.G., a «viabilità di piano» e dell’effettiva destinazione del terreno occupato alla realizzazione a strada di collegamento tra il Ponte S. Anna e la caserma dei VV.FF., vincolo, dunque, per i principi sopra esposti, che non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, non trattandosi di destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone.
1.4 Detto ciò e fermo restando il principio che l’edificabilità non si esaurisce, nè si identifica in quella residenziale abitativa (Cass., Sez. Un. 23 aprile 2001, n. 172), va ribadito che «nel sistema introdotto dall’art. 5 bis del decreto legge n. 333/1992, (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359/1992) caratterizzato da una rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole o comunque non edificabili, con conseguente esclusione della configurabilità di un tertium genus intermedio – il concetto di edificabilità va inteso come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, evocando, in sostanza, la rendita ricavatale dall’attività di trasformazione dei suoli connessa all’edilizia privata esprimibile dal proprietario, senza poter comprendere gli interventi finalizzati unicamente alla realizzazione dello scopo pubblicistico, i quali, lungi dal costituire espressione dello ius aedificandi, risultino funzionali alla realizzazione dello scopo pubblicistico» (Cass., 28 settembre 2016, n. 19193; Cass., 13 gennaio 2010, n. 404; Cass., 6 agosto 2009, n. 17995; Cass., 20 novembre 2006, n. 24585) e che «in tema di espropriazione per pubblica utilità, l’attuale sistema indennitario e risarcitorio è fondato sul valore venale del bene, applicabile non soltanto ai suoli edificabili, da ritenersi tali sulla base del criterio dell’edificabilità legale ma anche, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, ai suoli inedificabili, assumendo rilievo per tale ultima categoria ai fini indennitari e risarcitori la possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative etc.) sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative» (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25314 e, di recente, anche Cass., Sez. U., 19 marzo 2020, n. 7454).
1.5 La Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, avendo ritenuto l’area edificabile, in ragione della sola circostanza, documentata dal primo e dal secondo consulente tecnico di ufficio, che la stessa era compresa in zona qualificata «centro edificato» e ciò pur avendo affermato che il fondo in esame era stato utilizzato per la realizzazione su di esso del tracciato della via pubblica di collegamento tra il cosiddetto Ponte di S. Anna e la caserma dei VV.FF. e che lo stesso era compreso già in area più estesa vincolata alla cosiddetta viabilità di piano.
- Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.