Cass. pen., sez. I, ud. 28 gennaio 2022 (dep. 22 febbraio 2022), n. 6300
MASSIMA
Il differimento facoltativo della pena è applicabile, in ossequio ai principi affermati dagli artt. 27, comma terzo, e 32 Cost., quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni: 1) lo stato patologico del detenuto consenta di configurare una prognosi infausta quoad vitam ravvicinata; 2) vi sia una affezione che determini la probabilità di rilevanti conseguenze dannose per il soggetto, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti non praticabili in regime inframurario, neppure mediante ricovero in luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11, Ord. pen.; 3) ricorrano condizioni di salute talmente gravi da porre la espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità o comunque da non consentire al condannato di partecipare consapevolmente al processo rieducativo, tenuto conto della durata della pena e dell’età del condannato comparativamente con la sua pericolosità sociale.
Al fine di verificare l’eventuale incompatibilità tra il regime carcerario e le condizioni di salute del detenuto, è necessario compiere un giudizio articolato in più fasi. Una volta esaurita la ricognizione sul versante delle condizioni di salute in rapporto allo specifico contesto detentivo (anche in rapporto al divieto di trattamenti disumani o degradanti), occorre ulteriormente verificare se l’eventuale differimento dell’esecuzione possa consentire al condannato di commettere nuovi reati. L’apprezzamento sul rischio di recidiva deve essere realizzato tenendo conto della possibilità di far luogo, ricorrendo le condizioni per il differimento, all’applicazione della detenzione domiciliare speciale; e ciò nel caso in cui l’applicazione di tale misura contenitiva sia necessaria, e sufficiente, a contenere una residua pericolosità sociale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
- Il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena può essere disposto qualora, secondo la previsione contenuta nell’art. 147, primo comma, n. 2, cod. pen., il condannato risulti affetto da «una grave infermità fisica»; e, nella stessa ipotesi, l’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. stabilisce che il tribunale di sorveglianza può applicare la detenzione domiciliare (definita, in tal caso, come «umanitaria»), nel caso in cui vi siano esigenze di contenimento della pericolosità sociale del soggetto e tale misura risulti in concreto adeguata, con le restrizioni e le limitazioni possibili, a fronteggiare il rischio residuo.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il differimento facoltativo della pena è applicabile, in ossequio ai principi affermati dagli artt. 27, comma terzo, e 32 Cost., quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni: 1) lo stato patologico del detenuto consenta di configurare una prognosi infausta quoad vitam ravvicinata; 2) vi sia una affezione che determini la probabilità di rilevanti conseguenze dannose per il soggetto, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti non praticabili in regime inframurario, neppure mediante ricovero in luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11, Ord. pen. (così Sez. 1, n. 37216 del 5/3/2014, Carfora, Rv. 260780; Sez. 1, n. 30945 del 5/7/2011, Vardaro, Rv. 251478; Sez. 1, n. 8936 del 22/11/2000, dep. 2001, Rv. 218229); 3) ricorrano condizioni di salute talmente gravi da porre la espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità o comunque da non consentire al condannato di partecipare consapevolmente al processo rieducativo (Sez. 1, n. 16681 del 24/1/2011, Buonanno, Rv. 249966; Sez. 1, n. 22373 del 8/5/2009, Aquino, Rv. 244132), tenuto conto della durata della pena e dell’età del condannato comparativamente con la sua pericolosità sociale (Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018, Cina’, Rv. 274879).
1.1. Al fine di verificare l’eventuale incompatibilità tra il regime carcerario e le condizioni di salute del detenuto, è necessario compiere un giudizio articolato in più fasi (v. Sez. 1, n. 50998 del 17/10/2018, Martinelli, non massimata).
In primo luogo, è necessario verificare la compatibilità in astratto, tenendo conto dell’inquadramento nosografico della patologia che affligge il detenuto e della sua obiettiva gravità. In seconda battuta, occorre accertare se la patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle concrete caratteristiche dell’istituto in cui egli è ristretto (tenendo conto delle esigenze diagnostiche e delle modalità di somministrazione delle terapie di cui il soggetto necessita) e alle, eventuali, ulteriori strutture carcerarie dove poterlo trasferire. Indi, è necessario verificare se, in ogni caso, sia possibile assicurare i suddetti interventi diagnostico e terapeutici attraverso il ricorso allo strumento del ricovero in luogo esterno di cura. E ove si ritenga, all’esito di tale composita valutazione, che non ricorra alcuna delle condizioni predette, è comunque necessario verificare l’incidenza della condizione detentiva sulla dignità della persona, al fine di accertare l’eventuale disumanità della pena.
Una volta esaurita la ricognizione sul versante delle condizioni di salute in rapporto allo specifico contesto detentivo (anche in rapporto al divieto di trattamenti disumani o degradanti), occorre ulteriormente verificare se l’eventuale differimento dell’esecuzione possa consentire al condannato di commettere nuovi reati. Il quarto comma dell’art. 147 cod. pen., infatti, contempla il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena a condizione che l’interessato non sia socialmente pericoloso, ovvero quando non «sussista il concreto pericolo della commissione di delitti». Una valutazione, questa, che non può esaurirsi nella astratta considerazione dei precedenti penali o degli eventuali carichi pendenti, ma deve essere contestualizzata e riferita alle condizioni di salute del soggetto, le quali potrebbero essere talmente scadute da incidere in maniera determinante sulla sua pericolosità. Un apprezzamento, quello sul rischio di recidiva, che deve essere a sua volta realizzato tenendo conto di un ulteriore fattore, ovvero della possibilità, contemplata dall’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., di far luogo, ricorrendo le condizioni per il differimento, all’applicazione della detenzione domiciliare speciale.
E ciò nel caso in cui l’applicazione di tale misura contenitiva sia necessaria, e sufficiente, a contenere una residua pericolosità sociale.
- Tanto premesso in termini generali, occorre sottolineare, quanto al primo tipo di accertamento, che l’ordinanza impugnata si è limitata a prendere atto di alcune valutazioni espresse nella relazione sanitaria redatta in data 8 maggio 2021, senza confrontarsi, pur sollecitata da specifici rilevi espressi dall’interessato, con l’intero elaborato che evidenzia, in sede di conclusioni, criticità legate ad un elemento, l’età avanzata del detenuto, di particolare pregnanza perché considerato dall’ordinamento da solo sufficiente per l’applicazione, in favore del detenuto, di norme derogatorie in tema di detenzione carceraria: l’art. 275 comma 4, cod. proc. pen., che esclude per gli ultrasettantenni la custodia cautelare in carcere, salvo la esistenza di esigenze eccezionalmente rilevanti; l’art. 163, terzo comma cod. pen., che amplia per i rei ultrasettantenni la concedibilità della sospensione condizionale dell’esecuzione della pena; l’art. 47-ter, comma 1, lett. d), Ord. pen., che estende la possibilità di scontare una pena, non superiore ai quattro anni e non superiore ai quattro, in regime di detenzione domiciliare al soggetto di età superiore a sessanta anni anche solo parzialmente inabili, intendendosi per tali gli ultrasessantenni “in condizioni psico – fisiche di decadimento, non temporaneo tale da incidere sulla sua concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana, limitandone apprezzabilmente la vita sociale e di relazione” (Sez. 1, 33339 del 7/7/2021, Marino, Rv. 281789).
Parimenti, sono state ignorate le condizioni psichiche del detenuto nonostante, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019, siano da sole rilevanti, ove assumano le caratteristiche di “grave infermità psichica“, per disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen.
Risulta, infine, solo apparentemente valutata la eventuale incidenza della epidemia da covid-19 nel contesto penitenziario, la cui rilevanza, rispetto alla situazione specifica, è stata apprezzata solo ricorrendo alla massima di esperienza, secondo cui gli effetti della pandemia sarebbero sostanzialmente gli stessi sia in carcere sia all’esterno; impostazione che il legislatore ha chiaramente ritenuto insufficiente quando ha introdotto una disciplina speciale volta a fronteggiare l’emergenza covid-19 in carcere, in particolare con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modíficazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, ma anche con il di. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modíficazioní dalla legge 25 giugno 2020, n. 70. Sono, quindi, necessari accertamenti sull’incidenza del rischio di contagio nel caso specifico, che, dal tenore del provvedimento, non è dato comprendere se siano stati compiuti.
- Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Catania affinché provveda al nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, nel rispetto, però, dei principi di diritto testé puntualizzati e colmando le evidenziate lacune motivazionali.