Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 28 febbraio 2022, n.6503
MASSIMA
In base al D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, e al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 66, comma 1, nr. 2, il danno biologico risarcibile dall’INAIL è solo quello relativo all’inabilità permanente, ossia alla menomazione permanente dell’integrità psico fisica (che si protrae per tutta la vita), che può essere assoluta o parziale e decorre dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea. Esulano, invece, dal sistema assicurativo sia il «danno biologico temporaneo» che il cd. «danno morale.
È esclusa la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, in ragione dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio. Al contrario, è trasmissibile iure hereditatis il danno non patrimoniale nelle due componenti di danno biologico «terminale», cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, configurabile in capo alla vittima nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo e di danno morale «terminale o catastrofale o catastrofico», ossia del danno consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di un suo stato di coscienza nell’intervallo tra l’evento lesivo e la morte, con conseguente acquisizione di una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi.
La liquidazione del danno biologico terminale ben può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, mentre, per il danno morale terminale o catastrofale o catastrofico, la liquidazione deve affidarsi ad un criterio equitativo puro – correlato alle circostanze del caso concreto – che sappia tener conto della enormità del pregiudizio, atteso che la lesione è così elevata da non essere suscettibile di recupero e da esitare nella morte.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ.- le ricorrenti deducono la violazione dell’art. 132 comma 4 cod.proc.civ., per contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 3 e 32 Cost. Assumono altresì l’errata quantificazione e liquidazione del danno biologico ex art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000.
Sostengono, in sintesi, che l’art. 13 individua l’INAIL «quale soggetto giuridico nei confronti del quale richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale da infortunio sul lavoro («qualsiasi siano gli esiti»); la Corte d’Appello avrebbe errato nel non riconoscere in capo al de cuius Raffaele Trotta il diritto al risarcimento del danno biologico, da liquidarsi nella sua «globalità», con conseguente trasmissione, iure hereditatis, alle eredi.
- Il motivo è, nel complesso, da respingere. Le censure prescindono del tutto dal passaggio motivazionale che costituisce la premessa del percorso argomentativo della sentenza impugnata.
La Corte territoriale, con giudizio di merito, in questa sede non ritualmente censurato, ha accertato che, nel lasso di tempo intercorso tra l’infortunio e la morte, non vi era stata «stabilizzazione» della lesione all’integrità psico fisica, derivante dall’infortunio. In coerenza con tale affermazione, la Corte di appello di Salerno ha, quindi, osservato come, non maturato in capo al de cuius il beneficio all’indennizzo ex art. 13 D.Lgs nr. 46 del 2000 (che postula, invece, una menomazione permanente dell’integrità psico fisica) alcun diritto si fosse trasmesso iure hereditatis.
- Nei termini indicati, la statuizione della Corte d’appello è corretta ed è, dunque, immune dai mossi rilievi. L’attuale sistema assicurativo non copre, infatti, il danno biologico temporaneo.
In base al D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, e al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 66, comma 1, nr. 2, il danno biologico risarcibile dall’INAIL è solo quello relativo all’inabilità permanente (v. Cass., sez. lav., nr. 4972 del 2018; Cass., sez. lav., nr. 20392 del 2018; Cass., sez. III, nr. 24474 del 2020).
L’art. 13 del Decreto Legislativo in commento (secondo il testo in vigore dal 14.06.2001), al secondo comma, stabilisce, in particolare, che «In caso di danno biologico […] l’INAIL, nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all’art. 66, comma 1, n. 2), del testo unico, eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni[…]». A sua volta, l’art. 66 del T.U. (id est: del D.P.R. nr. 1124 del 1965) elenca le prestazioni dell’assicurazione, fornite dall’INAIL, nelle seguenti: 1) un’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea; 2) una rendita per l’inabilità permanente; 3) un assegno per l’assistenza personale continuativa; 4) una rendita ai superstiti e un assegno una volta tanto in caso di morte; 5) le cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici; 6) la fornitura degli apparecchi di protesi.
Dal combinato disposto delle due norme di legge appare, dunque, evidente come il danno biologico coperto dall’Istituto si riferisca esclusivamente e soltanto alla menomazione permanente dell’integrità psico fisica, che si protrae, cioè, per tutta la vita, che può essere assoluta o parziale e decorre dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea (art. 74, secondo comma, T.U. INAIL).
- Esulano, dunque, dal sistema assicurativo, sia il «danno biologico temporaneo» che il cd. «danno morale».
In relazione a detti pregiudizi, per i quali, a seconda delle diverse ricostruzioni, può parlarsi di «danno biologico terminale» e di «danno morale terminale o catastrofale o catastrofico» (v., sul tema, Cass., Sez.un., nr. 15350 del 2015; in particolare, in motivazione, par. 3.1, terzo capoverso; in seguito, tra le altre, v. Cass., sez. lav., nr. 8580 del 2019), trasmissibili iure hereditatis, non viene, dunque, in rilievo la tutela garantita dall’INAIL. Di essi si dirà, più diffusamente, con riferimento al motivo che segue.
- Con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ.- le ricorrenti deducono «la contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 2043 e 2059 cod.civ. nonché (in relazione agli artt.) 2 e 32 Cost. Le censure, che investono la liquidazione del riconosciuto danno non patrimoniale (nella componente del cd. danno biologico «terminale»), nei confronti delle parti private, sono da respingere.
Questa Corte (Cass., sez. un. nr . 15350 del 2015 cit.; v., ex multis, in motiv. Cass. nr. 8580 del 2019 cit.) ha escluso la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, in ragione dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio.
La Corte ha, piuttosto, ritenuto configurabile e trasmissibile iure hereditatis il danno non patrimoniale nelle due componenti di danno biologico «terminale», cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, configurabile in capo alla vittima nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo (Cass. nr. 26727 del 2018; nr. 21060 del 2016; nr. 23183 del 2014; nr. 22228 del 2014; nr. 15491 del 2014) e di danno morale «terminale o catastrofale o catastrofico», ossia del danno consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di un suo stato di coscienza nell’intervallo tra l’evento lesivo e la morte, con conseguente acquisizione di una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi (Cass. nr. 13537 del 2014; nr. 7126 del 2013; n. 2564 del 2012).
Per la liquidazione delle indicate poste di danno, la Corte ha specificato (cfr., oltre alla giurisprudenza già citata, Cass. nr. 18163 del 2007; nr. 1877 del 2006) che, per la componente di danno biologico, la liquidazione ben può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, mentre, per la seconda componente, avente natura peculiare, la liquidazione deve affidarsi ad un criterio equitativo puro – ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso concreto – che sappia tener conto della enormità del pregiudizio, atteso che la lesione è così elevata da non essere suscettibile di recupero e da esitare nella morte.
- Nel caso di specie, come si è detto, la Corte territoriale ha riconosciuto esclusivamente il danno biologico terminale, per la cui determinazione economica si è attenuta ai principi appena richiamati. La liquidazione è stata, infatti, effettuata utilizzando le indicazioni delle tabelle di Milano -tabelle che costituiscono un riferimento in ambito nazionale per la liquidazione dei danni alla persona- e utilizzato i parametri relativi alla menomazione temporanea dell’integrità psicofisica.
Le censure, al di là dei richiami alla violazione e falsa applicazione di legge e alla non più rilevante «contraddittorietà» della motivazione contenuti nella rubrica del motivo, si risolvono in una generica denuncia di erroneità della operata liquidazione senza alcuna specifica deduzione, neppure in termini di omesso esame di alcun «fatto decisivo», ai fini di una diversa e maggiore quantificazione.
- Il ricorso va, dunque, conclusivamente, rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.