Massima
Il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto
Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi.
I principi affermato dalla Corte di Giustizia hanno trovato attuazione nelle direttive e poi nella disciplina interna prevista dal codice dei contratti pubblici il quale, in particolare, all’art. 106 ha fra l’altro esemplificato quelle che sono le modifiche sostanziali incompatibili con la trasparenza e la par condicio e ammesso in via generale quelle modifiche il cui valore resti al di sotto del 10% salvo che alterino la natura complessiva del contratto.
Testo rilevante della decisione
Mobit, Società nata per partecipare alla gara indetta dalla regione Toscana per l’affidamento in concessione del servizio TPL ha instaurato con il predetto Ente e la Società Autolinee Toscane un contenzioso inerente la legittimità del provvedimento di aggiudicazione intervenuto a favore di questa. Il predetto provvedimento è stato in una prima fase annullato, poi reiterato e ancora una volta impugnato ma questa volta con esito negativo avendo prima questa Sezione e poi anche il Consiglio di Stato rigettato il secondo ricorso proposto dalla seconda classificata.
Con l’ulteriore iniziativa giudiziaria in epigrafe Mobit impugna con ricorso principale le delibere di cui in epigrafe con cui la Regione Toscana ha apportato alcune variazioni al contratto di concessione prima ancora della sua stipula. In particolare si tratta di adeguamenti economici che vanno a coprire l’aumento del costo della materie prime e i cali di introito derivanti della situazione emergenziale dovuta alla pandemia da Covid-19.
L’intero ricorso si regge sulla tesi secondo cui attraverso i predetti atti la regione avrebbe nella sostanza rinegoziato le condizioni contrattuali a favore dell’aggiudicatario ancor prima della stipula del contratto, modificando in tal modo gli assetti posti alla base del confronto concorrenziale con conseguente affidamento senza gara di un contratto diverso.
Sempre secondo Mobit tale operazione non sarebbe giustificabile alla luce del mutamento della situazione di fatto intervenuta nel periodo intercorso fra la conclusione della gara e la stipula del contratto (che ha coinciso con la durata del contenzioso), posto che se anche tali sopravvenienze avessero inciso sugli equilibri contrattuali la Regione non avrebbe potuto modificare il contratto messo a gara dovendo, invece, indirne una nuova.
Le predette tesi non sono condivise dal Collegio.
Il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto.
Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi.
I principi affermato dalla Corte di Giustizia hanno trovato attuazione nelle direttive e poi nella disciplina interna prevista dal codice dei contratti pubblici il quale, in particolare, all’art. 106 ha fra l’altro esemplificato quelle che sono le modifiche sostanziali incompatibili con la trasparenza e la par condicio e ammesso in via generale quelle modifiche il cui valore resti al di sotto del 10% salvo che alterino la natura complessiva del contratto.
E’ noto poi che la disciplina delle concessioni prevede una elasticità ancora maggiore in tema di rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
Il fatto che la concessione determini il trasferimento in capo al concessionario del rischio operativo non vale a connotarne la causa come aleatoria (Consiglio di Stato sez. IV – 19/08/2016, n. 3653); operano quindi anche in riferimento a tale tipologia contrattuale i rimedi volti a ricalibrare il rapporto qualora siano intervenuti fatti obiettivi che alterino in misura significativa l’equilibrio fissato dal piano economico finanziario, fra i quali è espressamente contemplata la revisione del contratto (art. 165 comma 6 D.lgs 50/2016).
Il Collegio ritiene che il complesso delle regole e principi sopra delineati trova applicazione anche al caso di specie ancorché le sopravvenienze che hanno determinato le modifiche deliberate dalla Regione siano intervenute nella fase fra la aggiudicazione e la stipula del contratto.
In primo luogo perché essendo stata causata la considerevole dilatazione della durata di tale fase dal contenzioso instaurato da Mobit deve trovare applicazione il generale principio secondo cui i tempi del giudizio non devono di per sé incidere sul rapporto controverso, non potendosi ammettere che la instaurazione di lunghi contenziosi possa assumere (anche in via indiretta ed involontaria) connotati strumentali che vadano oltre la reintegrazione delle posizioni soggettive lese.
In secondo luogo, militano a favore della soluzione accolta anche i principi di buona amministrazione ed economia delle risorse pubbliche: la indizione di una gara per l’affidamento della concessione di trasporto pubblico locale costituisce un impegno straordinario per l’amministrazione oltre a rispondere ad esigenze essenziali della collettività. Per questo i suoi esiti non possono essere vanificati in ragione di qualunque sopravvenienza che imponga una revisione delle condizioni contrattuali originariamente fissate, dovendosi pervenire alla sua reiterazione, così come in fase di esecuzione del contratto, solo se le modifiche assumano carattere essenziale.
Ciò, tuttavia, nel caso di specie non accade.
Sotto un primo profilo la delibera impugnata si è, infatti, limitata a dare applicazione all’adeguamento del corrispettivo all’aumento dei costi nei termini espressamente previsti dalla legge di gara (adeguamento che peraltro è stato espressamente richiesto sulla base dei medesimi presupposti anche dai gestori nel corso del periodo ponte fra cui la stessa Mobit)
Si è trattato quindi di una operazione non finalizzata a rimettere in discussione l’originario equilibrio del contratto messo a gara ma a conservarlo secondo un meccanismo noto e predeterminato.
Anche gli interventi causati dalla emergenza covid costituiscono attuazione di meccanismi di riequilibrio previsti dalla legislazione regionale (L.R.T. 22 giugno 2020 n. 41) per far fronte ad una situazione eccezionale ed imprevedibile (e quindi non ascrivile all’ordinario rischio di gestione) che nel periodo in considerazione ha completamente alterato l’ordinario flusso della utenza.
La ricorrente stigmatizza anche la nuova clausola in base alla quale la Regione ha deliberato di riconoscere ad AT il diritto di rivedere le condizioni dell’affidamento, prevedendo che “per gli anni 2023-2030 nel caso di mancato conseguimento degli obiettivi di efficienza stabiliti a livello nazionale in attuazione dell’art. 27 del D.L. n. 50 del 24 aprile 2017, convertito con Legge n. 96 del 21 giugno, si procederà alla eventuale revisione dell’assetto della rete nel rispetto degli artt. 17, 18 e 33 del contratto di gara.
Anche in questo caso si tratta, tuttavia, di una previsione tutt’altro che innovativa degli assetti negoziali in quanto il suo significato non è quello di aprire la strada a qualunque forma di revisione a semplice richiesta della aggiudicataria ma, più semplicemente, quello di inserire nel testo contrattuale un dato di fatto che opererebbe anche a prescindere dal suo recepimento: e cioè la necessità di ridefinire la ampiezza della rete di trasporto nel caso in cui i contributi statali previsti dal decreto legge 50/2017 dovessero essere ridotti.
Con ulteriore censura Mobit si duole del fatto che la Regione Toscana abbia deliberato di stipulare il contratto prima che siano completate le operazioni di trasferimento dei mezzi necessari dal vecchio al nuovo gestore in violazione di quanto previsto dalla lex specialis in base alla quale la stipula avrebbe dovuto seguire e non precedere le acquisizioni dei beni strumentali (la circostanza è posta anche alla base del terzo motivo aggiunto).
Il rilievo è tuttavia inammissibile per difetto di interesse atteso che comunque la Regione ha stabilito di sospendere l’efficacia del contratto fino al completamento del subentro. Non si vede quindi quale vantaggio potrebbe trarre la ricorrente dal suo eventuale accoglimento.
Con il ricorso per motivi aggiunti Mobit, dopo aver ribadito le censure di cui al ricorso principale, ha sottoposto a critica altre previste modifiche contrattuali di cui sarebbe venuta a conoscenza a seguito di accesso agli atti.
Sotto un primo profilo la contestazione investe le anticipazioni che sarebbero state previste per far fronte alla emergenza Covid considerate alla stregua di un ulteriore elemento che andrebbe ad alterare l’equilibrio contrattuale a favore del concessionario.
Tuttavia, come già si è detto, la pandemia da coronavirus costituisce all’evidenza una sopravvenienza imprevedibile che giustifica la revisione del contratto. In questo contesto le anticipazioni non costituiscono una misura irragionevole o eccedente atteso che sono dirette a far fronte ad eventuali cali di liquidità dovuti alla drastica diminuzione del flusso di utenza durante le restrizioni varate dalle autorità.
La ricorrente lamenta che la Regione avrebbe disatteso le indicazioni contenute nel parere dell’Anac che pure è più volte richiamato negli atti impugnati.
In proposito va sottolineato che il parere della Autorità anticorruzione è stato chiesto in ordine alla possibilità di aggiornare il corrispettivo al mutamento di costi intervenuto nella lunga fase di paralisi conseguente al contenzioso. Si tratta di questione giuridica la cui risposta in questa sede giudiziale è già stata data e rispetto alla quale il citato parere (pur assai autorevole) non può avere alcuna rilevanza.
Per il resto ANAC, che peraltro non aveva alcun potere di impartire prescrizioni vincolanti, si è limitata ad esprimere l’avviso che l’aggiornamento dovesse avvenire previa istruttoria sull’effettivo aumento dei costi e dovesse avvenire sulla scorta degli indici dell’aumento dei prezzi o secondo le modalità previste negli atti di gara. La Regione ha seguito tali indicazioni verificando l’effettivo aumento dei costi e applicando gli indici di adeguamento già fissati negli atti di gara,
Lamenta ancora Mobit che la revisione contrattuale avrebbe integrato l’oggetto del contratto aggiungendo nuovi servizi e prevedendo nuove tariffe.
Anche tale doglianza non merita favorevole considerazione posto che oggetto della concessione di cui si discute è un servizio pubblico che rimane nella disponibilità della amministrazione la quale conserva la facoltà di adeguarlo alle esigenze della collettività.
Detta facoltà comporta un diverso atteggiarsi dello ius variandi che trova la sua specifica disciplina nell’art. 175 del codice dei contratti.
Per stessa ammissione della ricorrente la variazione contestata rimane sotto la soglia del 10% del valore del contratto che è ammessa dal menzionato articolo, a nulla rilevando, per le ragioni di cui si è già detto, che la modifica sia stata disposta prima dell’inizio del contratto.
La ricorrente poi si sofferma su altre clausole del contratto che a suo dire ne avrebbero modificato la natura addirittura sgravando il concessionario dal rischio operativo che ne connota la figura.
Si tratta tuttavia di affermazioni del tutto generiche non venendo specificato in che modo la contestata disciplina contrattuale potrebbe sortire un siffatto risultato.
TAR TOSCANA, I – sentenza 25.02.2022 n. 228