Cass. civ., VI-L, ord., 09.03.2022, n. 7640
MASSIME
“Qualora la domanda di risarcimento del danno sia proposta nei confronti dell’amministrazione pubblica, alla quale si addebita l’errore commesso nell’avviamento al lavoro e la conseguente responsabilità della mancata a razione del rapporto, viene in rilievo una responsabilità che non deriva dal rapporto di lavoro, “ma dall’applicazione dei principi generali relativi alla responsabilità della pubblica amministrazione, dato che l’azione risarcitoria è proposta non già contro il datore di lavoro ma contro un’amministrazione terza, estranea al rapporto lavorativo. Si versa quindi nell’ambito del risarcimento danni per lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi provocati dall’operare della pubblica amministrazione”
“Per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni caratteristiche del rapporto di lavoro ma anche quelle nelle quali la pretesa fatta valere si colleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario – non meramente occasionale – della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. (ndr: testo originale non comprensibile) c.p.c., violazione e falsa applicazione della L. n. 742 del 1969, artt. 1e 3, del R.D. n. 12 del 1941, art. 93,dell’art. 409 c.p.c., nn. 1 e 5 e sostiene, in sintesi, che la cancellazione non era stata disposta a seguito della instaurazione di un rapporto di lavoro, sicché la controversia non poteva essere ricondotta a nessuna delle ipotesi previste dall’art. 409 c.p.c.;
- il ricorso è fondato;
hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte che, qualora la domanda di risarcimento del danno sia proposta nei confronti dell’amministrazione pubblica, alla quale si addebita l’errore commesso nell’avviamento al lavoro e la conseguente responsabilità della mancata a razione del rapporto, viene in rilievo una responsabilità che non deriva dal rapporto di lavoro, “ma dall’applicazione dei principi generali relativi alla responsabilità della pubblica amministrazione, dato che l’azione risarcitoria è proposta non già contro il datore di lavoro ma contro un’amministrazione terza, estranea al rapporto lavorativo. Si versa quindi nell’ambito del risarcimento danni per lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi provocati dall’operare della pubblica amministrazione” (Cass. S.U. n. 24400/2007);
2.1. ne hanno tratto la conseguenza che non si è in presenza di una controversia inerente l’assunzione al lavoro e, pertanto, le ragioni esposte nella decisione, così come rendono inapplicabile il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 68, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, che in quel caso veniva in rilievo, impediscono di ritenere applicabile l’art. 409 c.p.c., n. 5;
- più in generale questa Corte ha affermato che “per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni caratteristiche del rapporto di lavoro ma anche quelle nelle quali la pretesa fatta valere si colleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario – non meramente occasionale – della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale ” (Cass. n. 22818/2009);
3.1. nel caso di specie il danno da perdita di chance del quale si invoca il risarcimento, in relazione ad un rapporto di lavoro mai costituito, è domandato in relazione all’errore commesso dall’amministrazione pubblica nell’adozione degli atti di sua competenza, sicché la mancata costituzione del rapporto non rappresenta nè la causa petendi dell’azione nè un suo presupposto necessario perché, in ipotesi, la responsabilità della pubblica amministrazione avrebbe potuto riguardare anche profili di danno diversi;
- ne discende che la tempestività della riproposizione della causa (cfr. sulla natura dell’atto Cass. S.U. n. 27163/2018) dinanzi al giudice ordinario, che doveva avvenire entro il termine perentorio di mesi tre dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 11,comma 2), doveva essere verificata tenendo conto della sospensione disposta dalla L. n. 742 del 1969, art. 1,che ha carattere generale e si applica a tutti i termini processuali, mentre le eccezioni previste dalla stessa legge, art. 3, sono tassative ed insuscettibili di estensione analogica (Cass. n. 695/2020);
- il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà a nuovo esame attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato: ” l’azione risarcitoria proposta nei confronti della Pubblica Amministrazione in relazione al danno prodotto dalla cancellazione dalle liste di collocamento non rientra fra le controversie previste dall’art. 409 c.p.c., n. 5 e, pertanto, all’atto di riproposizione successivo alla dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo si applica la sospensione dei termini della L. n. 742 del 1969, ex art. 1“;
- non sussistono le condizioni processuali richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.