Massima
I protagonisti del fatto inadempimento reato, calati nella storia che li vede di volta in volta, per l’appunto, “protagonisti”, portano seco ciascuno qualità e caratteristiche di natura personale, prima fra tutte la loro età; essa rileva tanto sul crinale del soggetto attivo del crimine (massime in termini di pertinente “imputabilità”) quanto, ed in misura progressivamente sempre maggiore, sul versante del pertinente soggetto passivo che, massime quando compendia una vittima di minore età, trova una tutela tutt’affatto speciale nel Legislatore penale, con peculiare riguardo alle fattispecie “sessualmente orientate”, come la violenza sessuale e la pedopornografia (quivi con eventuale significatività del “consenso dell’avente diritto” ex art.50 c.p. e, più a monte, del concetto di “utilizzazione” del minore); ne affiora una generale rilevanza “anagrafica” sovente in ottica circostanziale ma anche, non di rado, in termini di precisa connotazione quale elemento costitutivo di fattispecie criminosa, in entrambe le ipotesi con importanti, possibili ricadute dell’eventuale “error aetatis” siccome commesso dal soggetto attivo del crimine.
Crono-articolo
Nella fase arcaica del Diritto Romano, le XII tavole (tavola 8.14) prevedono – sul crinale dell’età del soggetto attivo del crimine – una sanzione per il puer impubes che abbia commesso un furto, senza tuttavia dover accertare se egli sia capace di dolo (doli capax), circostanza che la dottrina riconduce alla scarsa importanza che in questa fase storica assai remota viene annessa all’elemento soggettivo dell’illecito.
Quando tuttavia si giunge alla giurisprudenza del II e III secolo d.C., un pupillo può essere assunto responsabile per i delitti privati del ius civile (come il furto o la rapina) solo laddove si accerti che abbia raggiunto una relativa maturità mentale, atteggiandosi a capace di dolo o colpa (doli o culpae capax); è invece esclusa la imputabilità del c.d. infans (il bimbo che ancora non parla) e, perché si possa parlare di una potenziale imputazione di responsabilità, occorre avere raggiunto almeno lo stadio del c.d. pupillus pubertate proximus.
Sul crinale della vittima, è intorno al 200 a.C. (altri datano 191 a.C.) che vede la luce la lex Laetoria de circumscriptione adulescentium, con la quale si introduce un’azione (penale, infamante, popolare) contro chi abbia raggirato un minore di 25 anni e gli abbia così arrecato un danno; si tratta di una lex minus quam perfecta perché – almeno in origine – non ne segue la nullità (e, dunque, l’inefficacia) del pertinente atto.
1889
Il 30 giugno viene varato il R.D. n.6133, codice Zanardelli, di impianto liberale, che intitola il Titolo IV del libro I “Della imputabilità e delle cause che la escludono e la diminuiscono”: l’imputabilità sembra essere avvinta strettamente al reato, se è vero che gli articoli da 44 a 60 – compendianti tale Titolo IV – disciplinano anche le c.d. scriminanti, l’errore di diritto e l’error in persona.
Quest’ultimo trova specifico disciplina all’art.52, onde quando alcuno, per errore o per altro accidente, commetta un delitto in pregiudizio di persona diversa da quella contro la quale aveva diretta la propria azione, non sono poste a carico di lui le circostanze aggravanti che derivino dalla qualità dell’offeso o del danneggiato (è da intendersi, anche in termini di pertinente età) e gli sono invece valutate (a favore) le circostanze che avrebbero diminuito la pena per i delitto, se l’avesse commesso in pregiudizio della persona contro la quale la sua azione era diretta.
Sul crinale dell’età del soggetto agente, ai sensi dell’art.53 non si procede contro colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 9 anni e tuttavia ove il fatto sia preveduto dalla legge come un delitto che importi l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il presidente del tribunale civile, su richiesta del PM, può ordinare, con provvedimento revocabile, che il minore sia rinchiuso in un istituto di educazione e di correzione per un tempo che non oltrepassi la maggiore età ovvero può ingiungere ai genitori, o a coloro che abbiano obbligo di provvedere all’educazione del minore, di vigilare sulla relativa condotta sotto pena, in caso d’inosservanza ed ove il minore commetta un delitto qualsiasi, di un’ammenda sino a lire duemila.
Ancora, alla stregua dell’art.54, colui che nel momento in cui ha commesso il fatto ha già compiuto i 9 anni, ma non ancora i 14, se non risulti che abbia agito con discernimento, non soggiace a pena (in sostanza, viene presunto non imputabile); nondimeno, ove il fatto sia preveduto dalla legge come un delitto che importi l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il giudice può dare l’uno o l’altro dei provvedimenti indicati nel capoverso del precedente articolo 53; qualora invece risulti che il giovane tra i 9 e i 14 anni ha agito con discernimento, la pena stabilita per il reato commesso viene diminuita secondo specifici parametri; si precisa che se la pena è restrittiva della libertà personale, ancorché sostituita ad una pena pecuniaria, il colpevole che al tempo della condanna non abbia ancora compiuto i diciotto anni la sconta in una casa di correzione (e non si applicano l’interdizione dai pubblici uffici e la sottoposizione alla vigilanza speciale dell’Autorità di pubblica sicurezza).
Per l’art.55 colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, è punito secondo specifiche norme, ovvero: se al tempo della condanna il colpevole non abbia ancora compiuto i 18 anni, il giudice può ordinare che la pena restrittiva della libertà personale sia scontata in una casa di correzione; e l’interdizione dai pubblici uffici e la sottoposizione alla vigilanza speciale dell’Autorità di pubblica sicurezza non sono applicate.
Ancora, alla stregua del successivo art.56 colui che nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i 18 anni, ma non ancora i 21, soggiace alla reclusione da venticinque a trent’anni se la pena stabilita per il reato commesso sia l’ergastolo, e negli altri casi alla pena stabilita per il reato commesso diminuita di un sesto; compiuti i 21 anni il soggetto è considerato pienamente imputabile, senza godere di alcuna riduzione di pena e di alcun trattamento penitenziario più favorevole.
In tema di sordomutismo, l’art.57 statuisce che non si procede contro il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni (con facoltà tuttavia di applicargli la disposizione contenuta nel capoverso dell’art. 53, con facoltà di ordinare che rimanga nell’istituto di educazione e di correzione sino all’età dei 24 anni); per il successivo art.58 il sordomuto che nel momento in cui ha commesso il fatto ha compiuto i 14 anni, ove non risulti che abbia agito con discernimento, non soggiace a pena (e dunque si presume non imputabile); nondimeno, qualora il fatto sia preveduto dalla legge come un delitto che importi l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il giudice, se il sordomuto non abbia ancora compiuto i 24 anni, può applicargli la disposizione contenuta nel capoverso dell’art. 53, con facoltà di ordinare che rimanga nell’istituto di educazione e di correzione sino all’età dei 24 anni; se ha compiuto gli anni 24, il giudice può ordinarne la consegna all’ Autorità competente per i provvedimenti di legge.
Infine, ove risulti che abbia agito con discernimento, se il sordomuto non ha ancora compiuto i 18 anni, si applicano le disposizioni contenute nei capoversi dell’art. 54; se ha compiuto i 18 anni ma non ancora i 21, si applicano quelle dell’art. 55; e se ha compiuto i 21, si applicano le disposizioni dell’art. 56; in sostanza dunque il sordomutismo fa “spostare” in avanti gli effetti della inimputabilità o della ridotta imputabilità previsti per la minore età.
Sul versante dei reati a sfondo sessuale, ai sensi dell’art.331 chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona dell’uno o dell’altro sesso a congiunzione carnale è punito con la reclusione da 3 a 10 anni (comma 1); alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona dell’uno o dell’altro sesso, la quale al momento del fatto: 1) non abbia compiuto gli anni 12; 2) non abbia compiuto gli anni 15, se il colpevole ne sia l’ascendente, il tutore o l’istitutore; 3) essendo arrestata o condannata, sia affidata al colpevole per ragioni di trasporto o di custodia; 4) non sia in grado di resistere, per malattia di mente o di corpo o per altra causa indipendente dal fatto del colpevole, ovvero per effetto di mezzi fraudolenti da esso adoperati (comma 2).
Quando alcuno dei fatti preveduti nella prima parte e nei numeri 1 e 4 del capoverso dell’arrt.331 sia commesso con abuso di autorità, di fiducia o di relazioni domestiche, il colpevole è punito – ai sensi dell’art.332 – nel caso preveduto dalla prima parte, con la reclusione da 6 a 12 anni e, negli altri casi, con la reclusione da 8 a 15 anni.
Ancora, stando al successivo art.333, chiunque, usando dei mezzi o profittando delle condizioni o delle circostanze indicate nell’art.331, commette su persona dell’uno o dell’altro sesso atti di libidine, che non siano diretti al delitto preveduto in detto articolo (violenza carnale), è punito con la reclusione da 1 a 7 anni (comma 1); se il fatto sia commesso con abuso di autorità o di fiducia o di relazioni domestiche, la reclusione, in caso di violenza o minaccia, è da 2 a 10 anni; e, nei casi preveduti nei numeri 1 o 4 del capoverso dell’art.331, è da 4 a 12 anni.
Per l’art.334, quando alcuno dei fatti preveduti negli articoli precedenti sia commesso con simultaneo concorso di due o più persone, le pene in essi stabilite sono aumentate di 1/3.
Infine, stando all’art.335 chiunque, mediante atti di libidine, corrompe una persona minore dei 16 anni è punito con la reclusione sino a 30 mesi e con la multa da lire 50 a lire 1500 (comma 1); se il delitto sia poi commesso con inganno, ovvero se il colpevole sia un ascendente della persona minore o se a lui sia affidata la cura, l’educazione, l’istruzione, la vigilanza o la custodia, anche temporanea, di essa, la pena è della reclusione da 1 a 6 anni e della multa da lire 100 a lire 3000.
1930
Il 19 ottobre viene varato il R.D. n.1398, nuovo codice penale, che all’art.97 dichiara non imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni.
Stando al successivo art.98 è invece imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere (che va, dunque, provata), ma la pena è diminuita (comma 1); quando la pena detentiva inflitta è inferiore a 5 anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono peraltro pene accessorie, mentre se si tratta di pena più grave, la condanna imposta soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a 5 anni e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della patria potestà o dell’autorità maritale.
Nel contesto del c.d. doppio binario, anche la disciplina delle misure di sicurezza si occupa del crimine minorile; stando ad esempio all’art.223, il ricovero in un riformatorio giudiziario è misura di sicurezza speciale per i minori, e non può avere durata inferiore a un anno (comma 1); qualora tale misura di sicurezza debba essere, in tutto o in parte, applicata o eseguita dopo che il minore abbia compiuto gli anni 21, ad essa è sostituita la libertà vigilata, salvo che il giudice ritenga di ordinare l’assegnazione a una colonia agricola, o ad una casa di lavoro (comma 2).
Per il successivo art.224 (che subirà poi modifiche e interventi della Corte costituzionale), qualora il fatto commesso da un minore degli anni 14 sia preveduto dalla legge come delitto, ed egli sia pericoloso, il giudice, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, ordina che questi sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata (comma 1); se per il delitto, la legge stabilisce la pena di morte o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni, e non si tratta di delitto colposo, è sempre ordinato il ricovero del minore nel riformatorio per un tempo non inferiore a 3 anni (comma 2); tali disposizioni si applicano anche al minore che, nel momento in cui ha commesso il fatto preveduto dalla legge come delitto, aveva compiuto gli anni 14, ma non ancora i 18, se egli sia riconosciuto non imputabile a norma dell’art.98 (comma 3).
Ancora, stando all’art.225 quando il minore che ha compiuto gli anni 14, ma non ancora i 18, sia riconosciuto imputabile, il giudice può ordinare che, dopo l’esecuzione della pena, egli sia ricoverato in un riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata, tenuto conto delle circostanze indicate nella prima parte dell’art.224 (comma 1); è tuttavia sempre applicata una delle predette misure di sicurezza al minore che sia condannato per delitto durante l’esecuzione di una misura di sicurezza, a lui precedentemente applicata per difetto di imputabilità (comma 2).
Per l’art.227, quando la legge stabilisce che il ricovero in un riformatorio giudiziario sia ordinato senza che occorra accertare che il minore è socialmente pericoloso, questi è assegnato ad uno stabilimento speciale o ad una sezione speciale degli stabilimenti ordinari (comma 1); può altresì essere assegnato ad uno stabilimento speciale o ad una sezione speciale degli stabilimenti ordinari il minore che, durante il ricovero nello stabilimento ordinario, si sia rivelato particolarmente pericoloso (comma 2).
In tema di concorso di persone nel reato, da rammentare gli articoli 111 (determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile), e 112, comma 1, n.4 (circostanza aggravante per chi, fuori del caso preveduto dall’articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato d’infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza).
Più in specie, chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una condizione o di una qualità personale, risponde del reato da questa commesso, con aumento di pena (art.111).
Inoltre, la pena è aumentata per chi, fuori del caso previsto dal precedente art.111, ha determinato a commettere il reato un minore degli anni 18, ovvero una persona in stato di infermità o di deficienza psichica (art.112, comma 1, n.4).
In tema di circostanze reali ma non conosciute ovvero erroneamente supposte, campeggia l’imputazione rigidamente oggettiva ex art.59, onde, salvo che la legge disponga altrimenti, le circostanze che aggravano ovvero attenuano o escludono la pena sono valutate, rispettivamente, a carico o a favore dell’agente, anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti (comma 1), mentre se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui (comma 2); infine, se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui; tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (comma 3).
Sul versante dell’errore, rilevante tuttavia ratione materiae l’art.60 – rubricato “errore sulla persona dell’offeso” – alla cui stregua, nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, ed in deroga rispetto a quanto previsto dal precedente art.59, non sono poste a carico dell’agente (operando dunque pro reo) le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole (comma 1), venendo invece valutate a proprio favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti (comma 2).
Di rilievo, nondimeno, la precisazione del comma 3 onde le disposizioni in parola (inoperatività delle circostanze aggravanti reali; operatività delle circostanze attenuanti erroneamente supposte) non si applicano se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa; l’età della vittima – specie se minore – imprime dunque maggior rigore alla disciplina in parola.
L’età minore è sovente elemento costitutivo di fattispecie criminose, come nel classico caso dell’abbandono – per l’appunto – di “minore” ex art.591 onde, chiunque abbandona una persona minore degli anni 14, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (comma 1); alla stessa pena soggiace chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni 18, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro (comma 2).
La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte (comma 3); le pene sono poi aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato (comma 4).
Sul crinale specifico dei reati a sfondo sessuale, essi vengono collocati nel Titolo IX del Libro II del codice, rubricato “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” ed articolato in tre capi (delitti contro la libertà sessuale; offese al pudore e all’onore sessuale; disposizioni comuni), agli articoli da 519 a 544.
Sono fattispecie incriminatrici che a vario titolo coinvolgono i minori: in guisa meramente esemplificativa, stando all’art.519 chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da 3 a 10 anni (comma 1), pena che si applica anche a chi si congiunge carnalmente (pur dunque sena violenza o minaccia) con persona la quale al momento del fatto non ha compiuto gli anni 14, ovvero non ha compiuto gli anni 16, quando il colpevole ne è l’ascendente o il tutore, ovvero è un’altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione di vigilanza o di custodia (comma 2, numeri 1 e 2).
Ancora, e sempre a titolo esemplificativo, l’art.530 punisce la c.d. corruzione di minorenne, onde chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli 519, 520 e 521, commette atti di libidine su persona o in presenza di persona minore degli anni 16, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (comma 1), pena alla quale soggiace anche chi induce persona minore degli anni 16 a commettere atti di libidine su sé stesso, sulla persona del colpevole o su altri (comma 2), con punibilità esclusa se il minore è persona già moralmente corrotta (comma 3).
Per l’art.531 chiunque, per servire all’altrui libidine, induce alla prostituzione una persona di età minore, o in stato d’infermità o deficienza psichica, ovvero ne eccita la corruzione, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da lire 3000 a 10000; se soltanto nel agevola la prostituzione o la corruzione, la pena è della reclusione da 6 mesi a 3 anni e della multa da lire 3000 a lire 10000 (comma 1).
La pena è poi aumentata se il fatto è commesso in danno di una minorenne coniugata, ovvero di una persona minore affidata al colpevole per ragione di servizio o di lavoro (comma 2), ed è raddoppiata: 1) se il fatto è commesso in danno di persona che non ha compiuto gli anni 14; 2) se il colpevole è un ascendente, un affine in linea retta ascendente, il padre o la madre adottivi, il marito, il fratello, la sorella, il tutore; 3) se al colpevole la persona è affidata per ragione di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia (comma 3).
Tralasciando altre fattispecie analoghe in cui rileva la minore età della vittima, particolarmente significativo ratione materiae l’art.528 alla cui stregua chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni e con la multa non inferiore a lire 1000 (comma 1).
Alla stessa pena soggiace poi chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente (comma 2), con pari pena che si applica inoltre a chi: 1) adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte dell’articolo; 2) dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità, con pena in quest’ultimo caso aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell’Autorità (comma 3 e 4).
Stando all’art.529, agli effetti della legge penale si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore (comma 1), non considerandosi nondimeno oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni 18 (comma 2).
Dal punto di vista delle scriminanti, infine, non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne, circostanza che chiama in causa la potenziale, “valida” disposizione dell’interesse penalmente protetto da parte del minore di età che ne sia, di volta in volta, portatore.
1948
Viene varata la Costituzione che prevede la natura personale della responsabilità penale, cui è connessa la funzione tendenzialmente rieducativa della pena (art.27): il condannato deve percepire la pena come tendenzialmente rieducativa per la commissione di un fatto penalmente rilevante che gli viene rimproverato, circostanza da escludersi in presenza di fattispecie in cui la condotta (azione od omissione) non è in nessun modo riconducibile alla coscienza e volontà del relativo autore; e che è invece particolarmente significativa (proprio in termini di rimproverabilità) quando lambisce la sfera sessuale di soggetti particolarmente fragili come i minori.
Di rilievo anche l’art.31, comma 2, che chiama la Repubblica a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo, con ciò conferendo presidio costituzionale alla tutela, anche penale, dei minori.
1989
Il 20 novembre viene firmata a New York la Convenzione sui diritti del fanciullo che, all’art. 34, impegna gli Stati aderenti a proteggere “il fanciullo” da ogni forma di violenza e sfruttamento sessuale e, quindi, dallo sfruttamento ai fini di prostituzione o di produzione di spettacoli o di materiale pornografico.
1990
Il 7 febbraio viene varata la legge n.19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti.
Il relativo art.1, assai significativamente, scinde l’art.59, comma 1, c.p. in due nuovi comma onde mentre le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti (comma 1), quelle che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa (comma 2).
Per l’imputazione delle circostanze aggravanti viene dunque introdotto un nuovo regime più compatibile con il principio di colpevolezza siccome scolpito nella Carta costituzionale (art.27), ponendosi tuttavia problemi di coordinamento con il successivo art.60 che, in tema di error in persona, già prevedeva (in guisa derogatoria rispetto al regime generale di imputazione delle circostanze aggravanti) una disciplina più favorevole al reo (comma 2) e, al contempo, una più rigida proprio per quanto concerne l’errore sull’età o su altre qualità fisiche o psichiche della persona (comma 3).
1991
Il 13 maggio viene varato il decreto legge n.152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita’ organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa che – giusta art.11 – modifica l’art.111 del c.p. aggiungendovi un ulteriore periodo onde, se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, la pena è aumentata da 1/3 alla metà.
Viene inoltre sostituito il n.4 dell’art.112 c.p. onde la pena è ora aumentata per chi, fuori del caso preveduto dall’art.111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.
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Il 27 maggio viene varata la L. 27 maggio 1991, n. 176, che ratifica la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, firmata nel 1989.
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Il 12 luglio viene varata la legge n.203 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.152 inserendo all’art.112 c.p., dopo il comma 1, un nuovo comma 2 onde la pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.
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Il 31 dicembre viene varato il decreto legge n.419, recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive, il cui art.7 aggiunge un nuovo comma all’art.111 c.p. onde, se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la potestà, la pena è aumentata fino alla metà o, se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, da 1/3 a 2/3.
Inoltre, viene aggiunto un nuovo comma all’art.112 c.p. onde, se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione del delitto ne è il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal n.4 del comma 1 la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal comma 2 (reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza) fino ai 2/3.
1992
Il 18 febbraio viene varata la legge n.172 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge 419.91.
1996
Il 15 febbraio viene varata la legge n.66 in tema di violenza sessuale che introduce (articoli da 3 a 11) nel codice penale, dopo l’art.609 c.p., gli articoli da 609 bis a 609 decies, con contestuale abrogazione delle norme del codice penale originario in tema di offesa alla “libertà sessuale” ed emblematico innesto delle fattispecie sessualmente orientate nell’ambito dei reati contro la libertà personale e significativo rilievo assegnato – ancora una volta – proprio all’età (minore) della vittima.
Ai sensi del nuovo art. 609-bis (Violenza sessuale) chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni (comma 1); alla stessa pena soggiace poi chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona (comma 2); nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi (comma 3).
Stando al successivo art. 609-ter (circostanze aggravanti) la pena è poi della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609-bis sono commessi: 1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici; 2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; 3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; 4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale; 5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore. La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.
Ancora, l’art. 609-quater punisce gli atti sessuali con minorenne, onde soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (comma 1); non è tuttavia punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni (comma 2). Nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi (comma 4) e si applica la pena di cui all’articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci (comma 5).
Per l’art. 609-quinquies (corruzione di minorenne), chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
L’art. 609-septies disciplina la querela di parte, onde i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter e 609-quater sono punibili a querela della persona offesa (comma 1) e, salvo quanto previsto dall’articolo 597, terzo comma, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi (comma 2). La querela proposta è irrevocabile (comma 3), e si procede tuttavia d’ufficio: 1) se il fatto di cui all’articolo 609-bis è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici; 2) se il fatto è commesso dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia; 3) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni; 4) se il fatto è commesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio; 5) se il fatto è commesso nell’ipotesi di cui all’articolo 609-quater, ultimo comma (comma 4).
Stando al successivo art. 609-octies la violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis (comma 1); chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni (comma 2), con pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609-ter (comma 3), e diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato e per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112 (comma 4).
Per l’art. 609-nonies (pene accessorie ed altri effetti penali) la condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies comporta: 1) la perdita della potestà del genitore, quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato; 2) l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela; 3) la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa.
Ancora, in forza dell’articolo 609-decies (comunicazione al tribunale per i minorenni) quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni (comma 1); nei casi previsti dal primo comma l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede (comma 2); n ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali (comma 3), servizi dei quali si avvale altresì l’autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento (comma 4).
Particolarmente significativo infine il nuovo articolo 609 sexies onde – quando i delitti “sessualmente orientati” previsti negli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-ter (circostanze aggravanti), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) sono commessi in danno di persona minore di anni 14, nonché nel caso del delitto di cui all’articolo 609-quinquies (corruzione di minorenne, con età per l’appunto inferiore agli anni 14) – il colpevole non può (mai) invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa.
Si tratta di norme che, pur destinate in seguito a subire qualche modifica, compendiano un impianto di fondo che rimarrà sostanzialmente intatto, fortemente improntato com’è ad una progressiva tutela penale, in ambito sessuale, delle vittime (e, talvolta, anche degli stessi colpevoli) più fragili perché in età minore.
1998
Il 3 agosto viene varata la legge n.269, recante norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù.
Il relativo art.2 introduce nel codice penale un nuovo art.600 bis (prostituzione minorile) onde chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni 18 ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione e’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni; salvo poi che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i 14 ed i 16 anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire dieci milioni; la pena e’ ridotta di un terzo se colui che commette il fatto e’ persona minore degli anni 18.
Dopo l’articolo 25 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, viene poi inserito un nuovo art. 25-bis. (minori che esercitano la prostituzione o vittime di reati a carattere sessuale) alla cui stregua il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, qualora abbia notizia che un minore degli anni 18 esercita la prostituzione, ne dà immediata notizia alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che promuove i procedimenti per la tutela del minore e può proporre al tribunale per i minorenni la nomina di un curatore; il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti utili all’assistenza, anche di carattere psicologico, al recupero e al reinserimento del minore; nei casi di urgenza il tribunale per i minorenni procede d’ufficio (comma 1).
Qualora poi un minore degli anni diciotto straniero, privo di assistenza in Italia, sia vittima di uno dei delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter e 601, secondo comma, del codice penale, il tribunale per i minorenni adotta in via di urgenza le misure di cui al comma 1 e, prima di confermare i provvedimenti adottati nell’interesse del minore, avvalendosi degli strumenti previsti dalle convenzioni internazionali, prende gli opportuni accordi, tramite il Ministero degli affari esteri, con le autorità dello Stato di origine o di appartenenza (comma 2).
Il successivo art.3 introduce nel codice penale un nuovo art. 600-ter. (pornografia minorile), onde chiunque sfrutta minori degli anni 18 al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico e’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni (comma 1); alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma (comma 2).
Chiunque poi , al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni (comma 3).
Infine chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni (comma 4).
Ancora, l’art.4 introduce nel codice penale un nuovo art.600 quater (detenzione di materiale pornografico) onde chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18 è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a lire tre milioni.
Il successivo art.5 introduce nel codice penale un nuovo art. 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) alla cui stregua chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni.
Ancora, l’art.6 introduce nel codice penale un nuovo art.600-sexies. (circostanze aggravanti ed attenuanti) onde, nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo comma, e 600-quinquies la pena e’ aumentata da un terzo alla metà se il fatto e’ commesso in danno di minore degli anni 14; nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter la pena e’ aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto e’ commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore e’ stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni ovvero se e’ commesso in danno di minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata; nei casi previsti poi dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter la pena e’ aumentata se il fatto e’ commesso con violenza o minaccia e nei casi previsti dagli articoli 600-bis e 600-ter la pena e’ ridotta da un terzo alla metà per chi si adopera concretamente in modo che il minore degli anni diciotto riacquisti la propria autonomia e libertà.
L’art.7 aggiunge al codice penale un nuovo art. 600-septies (pene accessorie) alla cui stregua, nel caso di condanna per i delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater e 600- quinquies è sempre ordinata la confisca di cui all’articolo 240 ed e’ disposta la chiusura degli esercizi la cui attività risulti finalizzata ai delitti previsti dai predetti articoli, nonché la revoca della licenza d’esercizio o della concessione o dell’autorizzazione per le emittenti radio- televisive.
Ancora, l’art. 8 in tema di tutela delle generalità e dell’immagine del minore inserisce nell’articolo 734-bis del codice penale, prima delle parole: “609-bis” le parole “600-bis, 600-ter, 600 -quater, 600-quinquies”.
Infine, l’art.9 aggiunge all’art.601 c.p. un ulteriore comma onde chiunque commette tratta o comunque fa commercio di minori degli anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione e’ punito con la reclusione da sei a venti anni.
Si tratta di disposizioni nel cui contesto rileva l’età del minore, che subiranno in seguito plurime modifiche ed integrazioni e che si inseriscono in un contesto di marcata presa di coscienza, da parte del Legislatore penale, della peculiare gravità dei reati a sfondo sessuale (peraltro già palesata con la legge 66.96), massime laddove coinvolgenti minori: tra di esse spicca l’art.600 ter c.p. in tema di c.d. pornografia minorile.
2000
Il 5 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.13, Bove, che afferma come – poiché il delitto di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del relativo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia, ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.
Il Collegio, in una realtà in cui la captazione dell’immagine ancora non implica necessariamente la successiva diffusione, assume dunque che l’espressione “produce materiale pornografico” contenuta nell’art. 600 ter c.p., comma 1 n. 1), stia ad indicare che, per l’integrazione del reato, il pertinente materiale debba essere necessariamente destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia.
Rimangono dunque escluse dall’ambito applicativo dell’art. 600 ter c.p., comma 1, le ipotesi nelle quali difetta il pericolo concreto di circolazione del materiale stesso.
2003
Il 22 dicembre viene varata la Decisione Quadro 2003/68/GAI del Consiglio d’Europa, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile.
Essa ricomprende nel genus pornografia minorile, sia la pornografia reale (ossia realizzata con un bambino reale coinvolto o implicato in una condotta sessuale), sia la pornografia realizzata con una persona che sembra un bambino o con un bambino inesistente, in modo da ritenere penalmente rilevante anche l’ipotesi di elaborazione grafica parziale di minori esistenti e adulti fatti apparire come minori.
L’art. 3, par. 2 della Convenzione GAI/2003/68 consente agli Stati di prevedere la non punibilità della condotta di produzione del materiale pornografico “nel caso di produzione e possesso di immagini di bambini che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale prodotte e detenute con il loro consenso e unicamente a uso privato“.
La medesima disposizione precisa tuttavia, “che, anche nel caso in cui sia stabilita l’esistenza del consenso, questo non può essere considerato valido se, ad esempio, l’autore del reato l’ha ottenuto avvalendosi della sua superiorità in termini di età, maturità, stato sociale, posizione, esperienza, ovvero abusando dello stato di dipendenza della vittima dall’autore“.
Anche in questo caso, viene dunque annessa una – seppur prudenzialmente contingentata – rilevanza all’eventuale consenso del minore coinvolto in fattispecie a sfondo sessuale.
2006
Il 6 febbraio viene varata la legge n.38 che modifica il testo dell’art.603 ter c.p. in tema di pornografia minorile onde chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228 (comma 1), ed alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1 (comma 2).
Chiunque poi , al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645 (comma 3).
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al comma 1, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.549 a Euro 5.164 (comma 4).
Infine, nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità (comma 5).
2007
Il 25 ottobre viene conclusa a Lanzarote la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuali.
Il relativo art. 20, par. 3 afferma che le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1 lettere a ed e alla produzione e al possesso di materiale pedopornografico raffigurante minori che abbiano raggiunto l’età fissata in applicazione dell’art. 18, paragrafo 2, se tali immagini sono prodotte o possedute da essi stessi, con il loro consenso ed esclusivamente per loro uso privato.
Viene dunque annesso un certo (potenziale) valore al consenso del minore coinvolto in fattispecie a sfondo sessuale.
2009
Il 15 luglio viene varata la legge n.94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, il cui art.3, comma 15, modifica l’art.112 del c.p. nel senso di equiparare a chi “si sia avvalso” chi abbia “partecipato con” persona non imputabile o non punibile.
2011
Il 13 dicembre viene varata la Direttiva 2011/93/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio.
All’art. 8, comma 3, vi viene prevista la facoltà per gli Stati di non attribuire rilevanza penale alla “produzione, all’acquisto o al possesso di materiale pedo-pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, purchè l’atto non implichi alcun abuso“.
Anche in questo caso viene dunque annesso un certo (potenziale) valore al consenso del minore coinvolto in fattispecie a sfondo sessuale.
2012
Il 01 ottobre viene varata la legge n.172, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno, che modifica in primis il testo dell’art.609 sexies c.p. nel senso onde – quando i delitti previsti negli articoli 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 609 undecies sono commessi in danno di un minore degli anni 18, e quando è commesso il delitto di cui all’articolo 609 quinquies – il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo tuttavia – si aggiunge – che si tratti di ignoranza “inevitabile”.
L’ignoranza “inevitabile” sull’età della vittima esclude dunque ora la punibilità del soggetto agente, ma la rigorosa norma viene estesa anche al neo-introdotto reato di adescamento di minori (art.609 undecies c.p.) e a quello di corruzione di minorenne (art.609 quinquies c.p.).
La legge interviene anche – tra gli altri – sull’art.600 ter c.p. sostituendo il comma 1 nel senso onde è punito con la reclusione da 6 a 12 anni e con la multa da euro 24 mila a euro 240 mila chiunque: 1) “utilizzando” minori di anni 18, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni 18 a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli altrimenti trae profitto.
Il concetto di “sfruttamento” di minore viene dunque significativamente sostituito da quello di “utilizzazione” (e, dunque, di più generica strumentalizzazione, anche non economica) di minore.
Vengono poi aggiunti due comma alla norma, il sesto ed il settimo; per il sesto, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.500 ad Euro 6.000; per il settimo, che contiene la definizione di pornografia minorile, essa si compendia in “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
Ancora, con l’innesto nel codice penale del nuovo art.602 quater c.p., quando (anche) i delitti previsti dalla sezione pertinente sono commessi in danno di un minore degli anni 18, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile: anche le fattispecie criminose in tema di sfruttamento della prostituzione minorile, di pornografia e di turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù, vengono dal Legislatore penale “allineate” alle più generali fattispecie in tema di delitti contro la libertà personale “sessuale” (primo fra tutti, la violenza sessuale ex art.609 bis c.p.) quanto a totale irrilevanza dell’error aetatis (laddove) “evitabile”.
Infine, viene introdotto nel codice penale un nuovo art.414 bis, rubricato “istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia”, alla cui stregua, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articoli 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater 1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater e 609 quinquies è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni (comma 1); alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma (comma 2), non potendo in entrambi i casi essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume (comma 3).
2014
Il 14 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.16207 alla cui stregua – con riferimento all’art. 600 bis c.p., che, al comma 1, n. 1, sanziona la condotta di chi “recluta o induce alla prostituzione persona di età inferiore agli anni diciotto” – l’induzione va assunta come “quell’attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione“, con la precisazione che “l’opera di convincimento può consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore“.
2015
Il 21 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.16616, onde l’eventuale consenso del minore all’atto sessuale non include di per sé anche quello alla registrazione dell’attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica.
Tale attività, chiosa la Corte, pure riconducibile all’autonomia sessuale del minore, rappresenta un quid che si aggiunge all’atto sessuale, e che richiede dunque un (valido) consenso ulteriore ed esplicito.
2016
Il 21 marzo esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.11675 che si occupa dell’esegesi dell’art. 600 ter c.p., comma 1, con specifico riferimento alla previsione “produce materiale pornografico“.
Al riguardo, il Collegio precisa che la pertinente formulazione presuppone indubbiamente la diversità dell’autore della condotta criminosa dal soggetto ripreso, difettando diversamente l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo, cui fa riferimento l’art. 600 ter c.p., comma 1,
Rimane, pertanto, esclusa dal concetto di produzione penalmente rilevante, ai sensi del comma 1, “l’autoproduzione” del materiale da parte del minore.
2017
*Il 13 luglio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.34357 che si occupa dell’esegesi dell’art. 600 ter c.p., comma 1, con specifico riferimento alla previsione “produce materiale pornografico“.
Al riguardo, il Collegio precisa che la pertinente formulazione presuppone indubbiamente la diversità dell’autore della condotta criminosa dal soggetto ripreso, difettando diversamente l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo, cui fa riferimento l’art. 600 ter c.p., comma 1,
Rimane, pertanto, esclusa dal concetto di produzione penalmente rilevante, ai sensi del comma 1, “l’autoproduzione” del materiale da parte del minore.
2018
Il 15 novembre esce l’importante sentenza delle SSUU della Cassazione n.51815 alla cui stregua, ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale.
La fattispecie va invece per il Collegio ricostruita in termini di reato di danno, muovendo dalla diversa premessa che l’attualità impone di considerare la pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smart-phone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata e ha reso normali il collegamento ad Internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione di reti sociali.
Sul piano ermeneutico va negata per la Corte l’autonomia concettuale della nozione di produzione rispetto a quella di realizzazione, rilevando che a quest’ultimo termine il legislatore ricorre in maniera alternativa negli artt. 600 quater e 600 quater.1 c.p. per indicare la creazione di materiale pornografico.
L’art. 600 quater c.p., ha riguardo alla condotta di chi “consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori“, mentre l’art. 600 quater 1 c.p., concerne il “materiale pornografico che rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori“.
Valenza centrale viene, invece, attribuita dal più recente orientamento alle modalità di realizzazione del materiale pornografico. Si è rilevato in proposito che la nozione di “utilizzazione“ evoca la strumentalizzazione del minore e la pertinente riduzione a res per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti o per conseguire un utile.
La “utilizzazione” del minore – prosegue il Collegio – circoscrive l’ambito applicativo del reato dell’art. 600 ter c.p., comma 1, e lede il bene giuridico tutelato dalla norma, identificabile nella immagine, nella dignità e nel corretto sviluppo psico fisico dello stesso minore.
Sotto altro profilo, prosegue il Collegio, il termine “utilizzando” contenuto nella formulazione attuale dell’art. 600 ter c.p., comma 1, ha sostituito il termine “sfruttare“ presente nell’originaria stesura della norma per chiarire, in linea con quanto già affermato nella sentenza Bove, che l’assoggettamento del minore non deve essere necessariamente determinato da finalità di lucro. Richiede, tuttavia, pur sempre, sul piano concettuale, la verifica della condizione di asservimento del minore per un vantaggio altrui.
La nozione di utilizzazione, con la quale il legislatore ha inteso circoscrivere la sfera applicativa della disposizione in esame, ha portata più ristretta rispetto al concetto di “impiego” evocato, nel medesimo capo, all’art. 600 octies c.p., per indicare la condotta di “chi si avvale” del minore.
Se ricorre la “l’utilizzazione” del minore nessuna valenza – esimente o scriminante – può essere riconosciuta al pertinente consenso. In questo caso, infatti, il consenso non può essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall’abusività della condotta dell’adulto. In quest’ottica si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell’art. 600 ter c.p., comma 1, al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali che riconnettono la liceità della condotta dell’adulto al “consenso” del minore, purché non ottenuto mediante comportamenti “abusivi” dell’adulto.
Al di là delle apparenze, nondimeno, la interpretazione dell’art. 600 ter c.p., comma 1, siccome operata dal Collegio, non determina in realtà, sul piano sostanziale, effetti diversi da quelli perseguiti dalle Convenzioni internazionali, in quanto le condizioni per escludere la validità del consenso del minore rilevano comunque sul piano interno per la verifica dell’elemento della “utilizzazione del minore” medesimo; il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante non è difatti il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell’utilizzazione, con ciò intendendosi che si ha penale irrilevanza solo in caso di non strumentalizzazione del minore medesimo (per vero, non agevolmente configurabile).
Per la Corte peraltro, sussistono tutta una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” penalmente rilevante del minore, da individuarsi nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell’età dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale.
2019
Il 18 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.26862 che si occupa delle condotte induttive rilevanti per la nozione di “utilizzazione” del minore in orbita pedopornografica.
Per il Collegio, in particolare, che risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo.
2020
Il 12 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5522 alla cui stregua non rileva mai che la richiesta di divulgazione del materiale pedopornografico provenga o sia comunque assentita dal minore, quest’ultimo non potendo mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato.
Quanto al rapporto che intercorre tra il comma 1 e quelli successivi dell’art. 600 ter c.p., il Collegio rappresenta che il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 4, è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore medesimo (c.d. autoproduzione o pornografia domestica).
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Il 01 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.27326, alla cui stregua, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità (si rinvia, in proposito, al CRONOPERCORSO elaborato all’uopo ratione materiae) presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali.
2021
Il 20 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.2252 alla cui stregua il concetto di “utilizzazione” del minore in ambito pedo-pornografico presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest’ultimo.
La Corte precisa in proposito che non rileva la familiarità del minore medesimo alla divulgazione delle proprie immagini erotiche in quanto la stessa è spesso sintomo della relativa, particolare fragilità.
Per il Collegio poi l’utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l’agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale (ad esempio scattando fotografie dal contenuto erotico) ma anche quando induca o istighi a tali azioni il minore.
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Il 01 luglio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.25334, che rimette alle SSUU la questione «se il reato di cui all’art. 600-ter, comma 1, n. 1, cod. pen. risulti escluso nell’ipotesi in cui il materiale pedo-pornografico sia prodotto, ad esclusivo uso privato delle persone coinvolte, con il consenso di persona minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, in relazione ad atti sessuali compiuti nel contesto di una relazione affettiva con persona minorenne che abbia la capacità di prestare un valido consenso agli atti sessuali, ovvero con persona maggiorenne».
L’ordinanza di rimessione mette in guardia – tra le altre cose – da eventuali vuoti di tutela con riferimento al rapporto intercorrente tra il comma 1 ed i successivi comma 2, 3 e 4. dell’art. 600 ter c.p., aventi ad oggetto, questi ultimi, la circolazione e la diffusione del materiale pedopornografico.
Il riferimento contenuto in ciascuno dei comma ridetti al “materiale di cui al comma 1” potrebbe lasciare intendere infatti, per il Collegio, che il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, diffusione, cessione, ecc. non possa essere esteso al materiale realizzato nell’ambito della “pornografia domestica“, in quanto il comma 1 fa riferimento esclusivo al materiale prodotto attraverso l’utilizzazione del minore.
In merito al rapporto che intercorre tra il comma 1 e quelli successivi dell’art. 600 ter c.p., la Terza Sezione – rammenta il Collegio – nell’affermare, da ultimo, che “Il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 4, è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore” (Sez. 3, n. 5522 del 21.11.2019, Rv. 278091; Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021, Rv. 281972 – 01), ha svolto importanti considerazioni.
Ha precisato nell’occasione che “l’art. 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico. E’ necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica“.
Secondo la decisione in esame non rilevano, dunque, per l’art. 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, le modalità di produzione, bensì le caratteristiche del materiale prodotto e l’inclusione di esso nella nozione di pornografia dettata al comma 7, che comprende “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
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Il 19 luglio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n.27926 alla cui stregua, con riferimento al delitto ex art. 591 c.p. (abbandono di minore), è configurabile il dolo eventuale.
Per la Corte, esso sussiste quando l’agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento medesimo.
La pronuncia lambisce il profilo dell’età del minore vittima dell’abbandono laddove – con l’ammettere la compatibilità della pertinente fattispecie con il dolo eventuale – evidenzia il possibile rilievo del “dubbio” appunto sull’età del soggetto passivo del reato, quale potenzialità di un errore che non esclude la responsabilità penale del soggetto agente.
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Il 6 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.36198, che si occupa in particolare degli eventuali vuoti di tutela che potrebbero presentarsi con riferimento al rapporto intercorrente tra il comma 1 ed i successivi comma 2, 3 e 4. dell’art. 600 ter c.p., aventi ad oggetto, questi ultimi, la circolazione e la diffusione del materiale pedopornografico.
Il riferimento contenuto in ciascuno dei comma ridetti al “materiale di cui al comma 1” potrebbe lasciare intendere infatti, per il Collegio, che il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, diffusione, cessione, ecc. non possa essere esteso al materiale realizzato nell’ambito della “pornografia domestica“, in quanto il comma 1 fa riferimento esclusivo al materiale prodotto attraverso l’utilizzazione del minore.
Sul punto il Collegio – nell’affermare, che “Il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 4, è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore” – precisato nell’occasione che “l’art. 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico. E’ necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica“.
Secondo la decisione in esame non rilevano, dunque, per l’art. 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, le modalità di produzione, bensì le caratteristiche del materiale prodotto e l’inclusione di esso nella nozione di pornografia dettata al comma 7, che comprende “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
Vengono richiamati dalla Corte, tra gli altri, l’art. 5, della Direttiva 2011/92/UE che, nel prevedere il divieto di circolazione, fa riferimento unicamente al materiale pornografico prescindendo dalle modalità della pertinente realizzazione e l’art. 612 ter c.p., – introdotto dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 – che, per la cessione a terzi di immagini o video sessualmente espliciti, prescinde anch’esso dalle modalità di realizzazione. E’ indubbio, inoltre, che, come affermato dal Collegio, la tipologia del materiale cui si intende fare riferimento nei commi 2, 3 e 4, sia quella definita dall’art. 600 ter c.p., comma 7.
Il 23 dicembre viene varata la legge n.238, il cui art.20 ridefinisce i limiti dell’eventuale consenso del minore nei reati a sfondo sessuale, modificando l’art.609 quater c.p., stando al cui comma 1 soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto, tra gli altri (n.1) “non ha compiuto gli anni quattordici“.
Attraverso l’incipit “soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste da detto articolo” indica una serie di situazioni nelle quali l’accordo del minore è da ritenere inesistente, in quanto sicuramente viziato dalla situazione di costrizione in cui versa. assumono, in particolare, rilevanza le condotte di violenza, minaccia, abuso di autorità, abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto e l’inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona, indicati nell’art. 609 bis c.p..
Sempre all’art. 609 quater c.p., comma 1, al n. 2), vengono poi elencate altre situazioni che per la natura del rapporto esistente con l’autore del reato escludono anch’esse qualsiasi validità al consenso del minore infrasedicenne che “non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza“.
Per il minore che abbia compiuto i sedici anni la norma richiede al comma 2, che sostanzialmente riproduce la formulazione del comma 1, n. 2), l’abuso dei poteri connessi all’esercizio dei compiti di vigilanza, educazione, e così via.
Dopo l’art. 609 quater c.p., comma 2, viene poi introdotta un’ulteriore previsione, anch’essa rilevante, che ha riguardo all’abuso della fiducia del minore, punendosi: “Fuori dai casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità“.
Infine, l’art. 20 della legge introduce una specifica circostanza aggravante all’art. 609 quater, comma 3, con riguardo alla specifica fattispecie in cui “… il compimento degli atti sessuali con il minore degli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solamente promessa“.
2022
Il 9 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.4616 che si occupa di pornografia minorile in rapporto alla c.d. “utilizzazione” di minore penalmente rilevante, anche con riguardo alla possibile diffusione ex post verso terzi di materiale pornografico realizzato con il consenso del minore medesimo.
La questione rimessa alle Sezioni Unite – principia la Corte – è la seguente: “se, e in quali limiti, la condotta di produzione di materiale pornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1“.
Il necessario riferimento normativo – afferma il Collegio – è costituito dall’art. 600 ter c.p., che costituisce la prima disposizione dell’articolato sistema di fattispecie incriminatrici introdotto dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, finalizzata ad armonizzare l’ordinamento penale interno ai principi sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, che, all’art. 34, impegnava gli Stati aderenti a proteggere “il fanciullo” da ogni forma di violenza e sfruttamento sessuale e, quindi, dallo sfruttamento ai fini di prostituzione o di produzione di spettacoli o di materiale pornografico.
L’attuale formulazione dell’art. 600 ter c.p., chiosa la Corte, è il frutto di plurimi interventi legislativi.
Nella formulazione originaria del 1998, l’art. 600 ter c.p. (pornografia minorile) recitava: “Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni“.
A seguito della modifica apportata con la L. 6 febbraio 2006, n. 38, vigente dal 2 marzo 2006, la formulazione dell’articolo – prosegue il Collegio – è la seguente: “Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al comma 1, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.549 a Euro 5.164. 5. Nei casi previsti dal terzo e dal comma 4 la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità”
L’art. 600 ter c.p., rammenta ancora la Corte, ha subito ulteriori interventi per effetto del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla L. 23 aprile 2009, n. 38; del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, ma soprattutto della L. 1 ottobre 2012, n. 172 che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007.
In virtù della L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, lett. h), per quanto qui interessa, l’art. 600 ter c.p., comma 1, è stato modificato come segue: “E’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 24.000 a Euro 240.000 chiunque 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto“.
Sono stati poi aggiunti due commi alla norma, il sesto ed il settimo.
Il sesto recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.500 ad Euro 6.000“.
Il settimo contiene la definizione di pornografia minorile come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
L’art. 600 ter c.p. si articola dunque, chiosa ancora il Collegio, su una pluralità di ipotesi di reato tra loro autonome e diversamente strutturate, ordinate secondo un criterio gerarchico di gravità decrescente ricavabile dalle clausole di esclusione contenute nei commi 3 e 4, nonchè di graduazione delle pene edittali. Il legislatore ha così inteso realizzare un sistema che, nel relativo complesso, assicuri la più ampia tutela del minore sanzionando non solo chi ha con lo stesso un rapporto finalizzato alla produzione del materiale erotico, ma anche colui che, pur non abusando direttamente della persona del minore, con la propria domanda alimenta l’offerta e la mercificazione del minore stesso.
In sé la norma appare dunque, chiosa la Corte, completa ed esente da imprecisioni, indeterminatezze o contraddizioni.
Il comma 1, ha riguardo, infatti, alla fase di realizzazione del materiale pornografico mediante utilizzo del minore, nonché al reclutamento ed all’induzione del minore stesso; il comma 2 alla condotta “di chi fa commercio del materiale di cui al comma 1“; il comma 3 reprime le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, ovvero di distribuzione, divulgazione o diffusione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale del minore; il comma 4 sanziona, infine, quei comportamenti di offerta o cessione a terzi, a titolo oneroso o gratuito, del materiale pornografico.
La definizione del materiale pornografico, rilevante per tutti i comma dell’art. 600 ter c.p., la si ricava dal comma 7 dalla Corte in precedenza citato.
Tutti i reati in questione hanno natura comune e possono essere commessi anche da minori in danno di altri minori.
Le questioni poste nell’ordinanza di rimessione – rappresenta a questo punto il Collegio – impongono anzitutto di ritornare sull’esegesi dell’art. 600 ter c.p., comma 1, con specifico riferimento alla previsione “produce materiale pornografico“.
Al riguardo occorre chiarire in premessa che la formulazione del comma 1 sul punto presuppone indubbiamente la diversità dell’autore della condotta dal soggetto ripreso, difettando diversamente l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo, cui fa riferimento l’art. 600 ter c.p., comma 1, (Sez. 3, n. 11675 del 18/2/2016, Rv. 266319-01; Sez. 3 n. 34357 del 11/4/2017, Rv. 270719-01). Rimane, pertanto, esclusa dal concetto di produzione penalmente rilevante, ai sensi del comma 1, “l’autoproduzione” del materiale da parte del minore.
Ciò posto – prosegue la Corte – si deve rilevare che le medesime Sezioni Unite, con la sentenza n. 51815 del 31/5/2018, Rv. 274087-01 hanno affermato che “ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale“.
E’ stato così superato – chiosa ancora il Collegio – l’orientamento in precedenza espresso da Sez. U 31/5/2000, n. 13, Bove, Rv. 216337-01.
Nell’occasione le Sezioni Unite avevano argomentato che “poichè il delitto di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto“.
La sentenza Bove, in una realtà in cui la captazione dell’immagine non implicava necessariamente la successiva diffusione, riteneva che l’espressione “produce materiale pornografico” contenuta nell’art. 600 ter c.p., comma 1 n. 1), stesse ad indicare che, per l’integrazione del reato, il materiale doveva essere necessariamente destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia. E, dunque, rimanevano escluse dall’ambito applicativo dell’art. 600 ter c.p., comma 1, le ipotesi nelle quali mancava il pericolo concreto di circolazione del materiale stesso.
Il più recente orientamento espresso da Sez. U, n. 51815 del 2018 – riprende a questo punto il Collegio – costruisce, invece, la fattispecie in termini di reato di danno, muovendo dalla diversa premessa che l’attualità impone di considerare la “pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smart-phone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata e ha reso normali il collegamento ad Internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione di reti sociali“.
Sul piano ermeneutico si nega l’autonomia concettuale della nozione di produzione rispetto a quella di realizzazione, rilevando che a quest’ultimo termine il legislatore ricorre in maniera alternativa negli artt. 600 quater e 600 quater.1 c.p. per indicare la creazione di materiale pornografico.
L’art. 600 quater c.p., ha riguardo alla condotta di chi “consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori“, mentre l’art. 600 quater 1 c.p., concerne il “materiale pornografico che rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori“.
Valenza centrale viene, invece, attribuita dal più recente orientamento alle modalità di realizzazione del materiale pornografico. Si è rilevato in proposito che la nozione di “utilizzazione“ evoca la strumentalizzazione del minore e la pertinente riduzione a res per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti o per conseguire un utile.
La “utilizzazione” del minore circoscrive l’ambito applicativo del reato dell’art. 600 ter c.p., comma 1, e lede il bene giuridico tutelato dalla norma, identificabile nella immagine, nella dignità e nel corretto sviluppo psico fisico dello stesso minore.
Le conclusioni cui perviene la sentenza n. 51815 del 2018 poggiano – prosegue la Corte – su premesse ermeneutiche inconfutabili. Il termine “utilizzando” contenuto nella formulazione attuale dell’art. 600 ter c.p., comma 1, ha sostituito il termine “sfruttare“ presente nell’originaria stesura della norma per chiarire, in linea con quanto già affermato nella sentenza Bove, che l’assoggettamento del minore non deve essere necessariamente determinato da finalità di lucro. Richiede, tuttavia, pur sempre, sul piano concettuale, la verifica della condizione di asservimento del minore per un vantaggio altrui.
La nozione di utilizzazione, con la quale il legislatore ha inteso circoscrivere la sfera applicativa della disposizione in esame, ha portata più ristretta rispetto al concetto di “impiego” evocato, nel medesimo capo, all’art. 600 octies c.p., per indicare la condotta di “chi si avvale” del minore.
Se ricorre la “l’utilizzazione” del minore nessuna valenza – esimente o scriminante – può essere riconosciuta al pertinente consenso. In questo caso, infatti, il consenso non può essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall’abusività della condotta dell’adulto. In quest’ottica si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell’art. 600 ter c.p., comma 1, al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali che riconnettono la liceità della condotta dell’adulto al “consenso” del minore, purché non ottenuto mediante comportamenti “abusivi” dell’adulto.
Si richiama, al riguardo, l’art. 20, par. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuali conclusa a Lanzarote il 25 ottobre 2007 secondo il quale “Le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1 lettere a ed e alla produzione e al possesso di materiale pedopomografico raffigurante minori che abbiano raggiunto l’età fissata in applicazione dell’art. 18, paragrafo 2, se tali immagini sono prodotte o possedute da essi stessi, con il loro consenso ed esclusivamente per loro uso privato“.
Nella medesima ottica – prosegue la Corte – deve essere, inoltre, ricordato l’art. 3, par. 2 della Convenzione GAI/2003/68 che consentiva agli Stati di prevedere la non punibilità della condotta di produzione del materiale pornografico “nel caso di produzione e possesso di immagini di bambini che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale prodotte e detenute con il loro consenso e unicamente a uso privato“. La medesima disposizione precisava, tuttavia, “che, anche nel caso in cui sia stabilita l’esistenza del consenso, questo non può essere considerato valido se, ad esempio, l’autore del reato l’ha ottenuto avvalendosi della sua superiorità in termini di età, maturità, stato sociale, posizione, esperienza, ovvero abusando dello stato di dipendenza della vittima dall’autore“.
La Direttiva 2011/93/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che ha sostituito la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio all’art. 8, comma 3, prevede solamente la facoltà per gli Stati di non attribuire rilevanza penale alla “produzione, all’acquisto o al possesso di materiale pedo-pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, purchè l’atto non implichi alcun abuso“.
La interpretazione dell’art. 600 ter c.p., comma 1, operata dalla sentenza n. 51815 del 2018 – prosegue il Collegio – non determina in realtà, sul piano sostanziale effetti diversi da quelli perseguiti dalle Convenzioni internazionali, in quanto le condizioni per escludere la validità del consenso del minore rilevano comunque sul piano interno per la verifica dell’elemento della “utilizzazione del minore”.
Va, dunque, ribadito, anche in questa sede, quanto già affermato da Sez. U, n. 51815 del 2018 e, cioè, che “il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante…non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell’utilizzazione“.
In una linea di continuità con quanto già affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 51318 del 31/5/2018) è possibile affermare per il Collegio che, dalla sfera applicativa della previsione dell’art. 600 ter c.p., comma 1, fuoriesce, dunque, soltanto la produzione di materiale pornografico realizzato senza la “utilizzazione” del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l’età per manifestarlo.
Con riguardo al primo profilo, il termine “utilizzazione” sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento. Con specifico riferimento al secondo aspetto è richiesto al giudice un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui è stato espresso il consenso del minore ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti.
Ciò posto, riprendono le SSUU, come evidenziato anche nell’ordinanza di rimessione, si deve rilevare che la sentenza n. 51815 del 2018 ha già indicato una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” del minore.
Essi sono stati individuati nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell’età dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale.
In successive decisioni – proseguono le SSUU – si è precisato che il concetto di utilizzazione “presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest’ultimo” (Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020, Rv. 280825-01) e si è affermato, inoltre, che non rileva la “familiarità alla divulgazione delle proprie immagini erotiche in quanto la stessa è spesso sintomo della particolare fragilità del minore” (Sez. 3, n. 2252, del 23/10/2020, cit.; Sez. 3, n. 1509 del 16/10/2018, Rv. 274342-01).
L’indicazione contenuta nella sentenza n. 51815 del 2018 – riprende a questo punto il Collegio – deve assumersi avere carattere necessariamente esemplificativo.
La Corte ritiene di evidenziare che la declinazione del concetto di “utilizzazione del minore” deve armonizzarsi e trovare coerenza interpretativa con le disposizioni contenute nel Titolo XII, Capo III “dei delitti contro la libertà individuale“, Sezione I “dei delitti contro la personalità individuale” e Sezione II “dei delitti contro la libertà personale“, rientrando in una comune logica di sistema sorretto dalle medesime finalità.
La relazione al Parlamento per gli anni 1998/1999 sullo stato di attuazione della L. 3 agosto 1998, n. 269, che ha introdotto nel codice la normativa sulla pedopornografia e sulla prostituzione minorile, precisa che la stessa tiene conto “non solo della L. 3 agosto 1998, n. 269, ma anche della L. 15 febbraio 1996, n. 66, sulla violenza sessuale in quanto i problemi affrontati dalle due leggi sono strettamente connessi; gli obiettivi da perseguire – consistenti in sostanza nella tutela dell’integrità non solo fisica ma anche psichica dei soggetti più esposti all’aggressione ed allo sfruttamento – non possono non essere comuni e si sovrappongono spesso nella eziologia come nelle specifiche manifestazioni; gli interventi, sia di aiuto alle vittime sia repressivi, sono caratterizzati da analoga ispirazione e da omologhe metodologie…”
A riprova di ciò l’art. 602 quater c.p., introdotto nell’ordinamento dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, ha esteso anche ai reati in materia di pornografia la regola contenuta nell’art. 609 sexies c.p., secondo cui “il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile” e sono state introdotte nel codice disposizioni comuni per prevenire l’insorgenza dei fenomeni di prostituzione minorile, pedopornografia e violenza sessuale sui minori.
Assumono specifico rilievo in proposito per il Collegio le seguenti disposizioni:
– art. 600 ter c.p., comma 3: “Chiunque…pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga, diffonde notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori di anni 18“;
– art. 414 bis c.p., (Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia) “chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli artt. 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui agli artt. 600 quater 1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater e 609 quinquies“;
– art. 609 undecies c.p., (Adescamento di minorenni) che ricorre ad una formulazione sostanzialmente sovrapponibile a quella dell’art. 414 bis c.p., per sanzionare “Chiunque…. adesca un minore di anni sedici“.
Le disposizioni contenute nel Capo III del Titolo XII – chiosa a questo punto la Corte – perseguono anzitutto la finalità di assicurare che la determinazione del minore sia “libera ed incondizionata” nelle scelte di natura sessuale. Assumono, pertanto, rilevanza penale quelle condotte finalizzate alla coercizione della volontà del minore determinate da costringimento, inteso come abuso o approfittamento delle relative condizioni, o da induzione e, cioè, attraverso il condizionamento delle scelte.
La disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla pertinente sfera sessuale è rappresentata dall’art. 609 quater c.p., recentemente modificato dalla L. 23 dicembre 2021, n. 238, art. 20, che disciplina il consenso del minore.
Il comma 1, recita: “Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici;” attraverso l’incipit “Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste da detto articolo” vengono indicate una serie di situazioni nelle quali l’accordo del minore è da ritenere inesistente, in quanto sicuramente viziato dalla situazione di costrizione in cui versa. Assumono, in particolare, rilevanza le condotte di violenza, minaccia, abuso di autorità, abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto e l’inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona, indicati nell’art. 609 bis c.p..
Sempre all’art. 609 quater c.p., comma 1, al n. 2), vengono poi elencate altre situazioni che per la natura del rapporto esistente con l’autore del reato escludono anch’esse qualsiasi validità al consenso del minore infrasedicenne che “non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza“.
Per il minore che abbia compiuto i sedici anni la norma richiede al comma 2, che sostanzialmente riproduce la formulazione del comma 1, n. 2), l’abuso dei poteri connessi all’esercizio dei compiti di vigilanza, educazione, ecc..
La L. 23 dicembre 2021, n. 238, art. 20 – proseguono le SSUU – ha introdotto, dopo l’art. 609 quater c.p., comma 2, un’ulteriore previsione, anch’essa rilevante, che ha riguardo all’abuso della fiducia del minore: “Fuori dai casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità è punito….”.
Sul concetto di abuso di autorità – rammenta il Collegio – erano peraltro già intervenute le Sezioni Unite di questa Corte precisando che “In tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità…presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali” (Sez. U, n. 27326 del 16/07/2020, Rv. 279520 – 01).
L’art. 609 quater c.p. dunque, riprende il Collegio, già consente di evidenziare una serie di contesti nei quali la volontà del minore deve ritenersi certamente coartata e, pertanto, nel caso in cui ricorrano le condizioni di approfittamento, di abuso di poteri o di fiducia al momento della richiesta formulata al minore di riprendere o registrare immagini della sua sfera sessuale, si versa certamente in ipotesi di “utilizzazione” del medesimo.
Il contesto normativo del Capo III, Titolo XII impone di aggiungere alla elencazione dei casi nei quali la volontà del minore non può essere ritenuta scevra da condizionamenti, la dazione o la promessa di denaro in cambio dell’attività di ripresa o di registrazione delle immagini e l’approfittamento delle condizioni di natura economica del minore.
E’ indubbio che la volontà del minore subisca forte condizionamento per effetto della dazione di corrispettivo di denaro o di altra utilità, anche se solo promessa. Occorre in proposito richiamare per la Corte l’art. 600 bis c.p., comma 2, (Prostituzione minorile): “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito…”.
Tale disposizione persegue la finalità di reprimere anche isolati episodi di mercimonio muovendo dal presupposto della incapacità del minore ad opporsi validamente alla offerta di denaro o di altre utilità per la condizione di particolare fragilità in cui versa e che, infatti, non trova corrispondenza nella normativa relativa alla prostituzione del maggiorenne.
L’insidiosità dell’approfittamento delle condizioni economiche del minore, tanto più se assurgano a vero e proprio stato di necessità, si desume per il Collegio dall’intero panorama normativo di riferimento.
L’art. 602 ter c.p., comma 4, nei casi previsti dall’art. 600 bis c.p., commi 1 e 2, art. 600 ter c.p., comma 1, e art. 600 quinquies c.p., prevede, infatti, un aggravamento di pena “se il fatto è commesso approfittando della situazione di necessità del minore“.
La L. 23 dicembre 2021, n. 238, art. 20, ha introdotto una specifica circostanza aggravante all’art. 609 quater, comma 3, “se il compimento degli atti sessuali con il minore degli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solamente promessa“.
Va da sè per le SSUU che anche nei casi da ultimo indicati, per le ragioni in precedenza espresse, debba essere esclusa qualsiasi rilevanza al consenso del minore per le riprese o le registrazioni dei suoi aspetti di intimità sessuale.
Anche le condotte induttive rilevano per la nozione di “utilizzazione” del minore.
Si è già affermato al riguardo che “l’utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l’agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale (ad esempio scattando fotografie dal contenuto erotico) ma anche quando induca o istighi a tali azioni il minore” (Sez. 3, n. 2252 del 23/10/2020, Rv. 280825-01) e che “risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo” (Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019, Rv. 276231 – 01).
Il concetto di istigazione viene inteso nelle sentenze citate come rafforzamento di un proposito già presente nel minore, in linea con l’orientamento espresso in altre decisioni della Corte (Sez. 4, n. 38107 del 17/09/2010, Rv. 248406. – 01).
Con il termine di induzione si è voluto avere riguardo – precisa il Collegio – al caso in cui la determinazione del minore dipenda esclusivamente dalla condotta dell’agente.
Sulle modalità dell’induzione, in mancanza di decisioni che abbiano esaminato specificamente la questione in relazione all’art. 600 ter c.p., potrà aversi riguardo, per la sovrapponibilità dei profili di interesse in questa sede, agli approdi cui si è pervenuti con riferimento all’art. 600 bis c.p., che, al comma 1, n. 1, sanziona la condotta di chi “recluta o induce alla prostituzione persona di età inferiore agli anni diciotto“.
In quel contesto – precisa la Corte – l’induzione è stata descritta come “quell’attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione“, con la precisazione che “l’opera di convincimento può consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore” (Sez. U, n. 16207 del 19/12/2013, Rv. 258757).
Le disposizioni relative alla pornografia ed alla prostituzione minorile sono accomunate dalla necessità di proteggere il minore da richieste legate a fenomeni di perversione sessuale, a volte interdipendenti, potendo essere la produzione di materiale pornografico uno degli epiloghi del fenomeno della prostituzione del minore.
Le tecniche di persuasione del minore per raggiungere l’obiettivo possono essere comuni, in quanto finalizzate allo sfruttamento ed all’approfittamento della condizione di fragilità del minore necessariamente più sensibile a forme di pressioni subdole da parte dell’adulto.
L’esegesi della nozione di “utilizzazione” – proseguono le SSUU – non può, inoltre, prescindere da una specifica riflessione sulla maturità del minore. E’ importante rilevare che al Capo III del titolo XII il legislatore opera più volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualità dello sviluppo del minore. Questa differenziazione, che si coglie anzitutto nell’art. 609 quater c.p., come in precedenza evidenziato, assume – chiosa ancora il Collegio – carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile.
Indicative al riguardo sono per la Corte le seguenti previsioni normative:
– art. 600 ter c.p., comma 5, che per i casi previsti dall’art. 600 bis c.p., commi 1 e 2, art. 600 ter c.p., comma 1, e art. 600 quinquies c.p., prevede un aggravamento di pena “se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici”;
– art. 602 ter c.p., comma 6, che, anche per i reati di cui agli artt. 600 bis e 600 ter c.p., detta i criteri di aggravamento della pena per situazioni omologhe a quelle indicate nell’art. 609 quater c.p..
Va rilevato, inoltre, che proprio per rafforzare la tutela del minore infrasedicenne, il legislatore, recependo le indicazioni delle Convenzioni internazionali, ha introdotto una specifica disposizione di “sbarramento” finalizzata a prevenire iniziative rivolte al coinvolgimento del minore stesso nei contesti della pornografia e della prostituzione minorile. Si tratta dell’art. 609 undecies c.p. (Adescamento di minorenni) che recita: “Chiunque allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter e quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater, 1, 600 quinquies,…adesca un minore di anni sedici, è punito…”.
La tutela rafforzata del minore per la fascia di età ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di età comporta per la Corte la necessità di una più specifica analisi dei fattori di condizionamento della relativa volontà nell’assentire le richieste dell’adulto.
Sul piano sistematico e concettuale non è possibile per il Collegio pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello infrasedicenne, ma è indubbio che anche per quest’ultimo è molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturità necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico.
Ed allora l’accertamento sulla “utilizzazione” del minore infrasedicenne deve essere per la Corte particolarmente rigoroso. Esso richiede un’attenta valutazione in ordine all’abuso del rapporto di fiducia da parte dell’adulto – specificamente evocato nella nuova formulazione dell’art. 609-quater c.p. – ed alle modalità di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l’insidiosità degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla propria, limitata capacità di cogliere le situazioni per sè svantaggiose.
Si ritiene utile richiamare in proposito per la Corte la definizione del concetto di adescamento contenuta dell’art. 609 undecies c.p., sintetizzata “in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce“.
La necessità di un’attenta verifica di tutti gli aspetti sinora illustrati è per la Corte indispensabile anche in presenza di una relazione affettiva tra adulto e minore. Si rende, infatti, necessario verificare specificamente che l’adulto non abbia vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva, sfruttando la superiorità in termini di età, esperienza, posizione sociale o la condizione di inferiorità del minore.
Quest’ultimo, nell’ambito della relazione, è suscettibile di essere esposto a varie forme di condizionamento che includono il “ricatto affettivo“, potendo l’adulto fare leva sulla paura dell’abbandono, sul “senso del dovere“, sulla colpevolizzazione del rifiuto o su paragoni impropri, per raggiungere il proprio obiettivo. E’ inoltre importante per la Corte verificare anche che il minore non sia rimasto vittima, nell’assentire le richieste dell’adulto, di minacce velate o di altre pressioni subdole o insidiose.
L’accertamento della condizione di “utilizzazione” nell’ambito di un rapporto tra minori – prosegue a questo punto la Corte – richiede il confronto con un contesto necessariamente più fluido, fatto di rapporti più difficilmente inquadrabili. Le riprese o le registrazioni possono essere determinate da motivazioni diverse rispetto a quelle rinvenibili nel rapporto adulto-minore, quali l’esibizionismo, la vanteria, o altro. Per l’età ravvicinata dei protagonisti manca, infine, una figura di riferimento per definizione “prevalente“.
A riprova di ciò l’art. 609 quater c.p., comma 3, fatti salvi i casi di violenza, esclude la punibilità del minore che compia atti sessuali con altro minorenne che abbia raggiunto i tredici anni – e che, dunque, non abbia nemmeno l’età per prestare il consenso sessuale -, alla sola condizione che la differenza di età tra i minori non sia superiore ai tre anni.
Il consenso del minore all’atto sessuale – riprende a questo punto la Corte – non include di per sé anche quello alla registrazione dell’attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica. Tale attività, pure riconducibile all’autonomia sessuale del minore, rappresenta un quid che si aggiunge all’atto sessuale, come già rilevato in alcune decisioni della Corte (Sez. 3 n. 16616 del 23/3/2015, Rv. 263116-01).
Si rende, dunque, necessario che il minore esprima il proprio consenso anche in relazione alla ulteriore attività di ripresa delle immagini. Tale aggiuntiva richiesta potrebbe, infatti, trovare nel minore resistenze determinate, ad esempio, dal timore che il materiale realizzato possa essere successivamente diffuso, da remore di ordine morale o di altra natura.
Fino a quando non si sia proceduto alle riprese dunque, precisa la Corte, il minore rimane libero di revocare l’iniziale consenso. Se l’adulto prosegue nell’attività di ripresa o di registrazione, nonostante la revoca da parte del minore dell’iniziale consenso, ricorre senz’altro la condizione di “utilizzazione” di quest’ultimo.
Ancora, per il Collegio il consenso del minore deve necessariamente avere riguardo anche alla successiva conservazione delle immagini da parte di chi le ha realizzate nell’ambito della relazione o del rapporto. Vanno richiamate in proposito per le SSUU anzitutto le disposizioni sulla tutela dei dati personali.
Il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 23, (Codice in materia di protezione dei dati personali) recita: “1. Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato.” L’art. 4 (Definizioni) precisa che: “1. Ai fini del presente codice si intende per: a) “trattamento“, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, di dati, anche se non registrati in una banca di dati“.
Alla lettera d) include, inoltre, i dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona tra quelli sensibili: “d) “dati sensibili”, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale…, nonchè i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.”
L’art. 9, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la Direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati) – Trattamento di categorie particolari di dati personali – dispone che: “1. E’ vietato trattare dati relativi…. alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.” ed evoca al par. 75 del preambolo i rischi peri diritti e le libertà delle persone fisiche che possono derivare dal trattamento dei dati personali – tra i quali espressamente menziona quelli relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona – in quanto suscettibili di cagionare un danno fisico, materiale o immateriale a quest’ultima.
La mancanza del consenso – riprende la Corte – assume autonoma rilevanza penale in base al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, cit. (Trattamento illecito di dati): “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione…”.
Al minore l’ordinamento interno ha, inoltre, da ultimo riconosciuto il diritto di cautelarsi contro il rischio di diffusione delle immagini rivolgendosi direttamente al Garante per la protezione dei dati personali.
Il D.L. 8 ottobre 2021, n. 139, art. 9, comma 1, lett. e), convertito dalla L. 3 dicembre 2021, richiamando il predetto Regolamento UE, ha introdotto, infatti, nel D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, l’art. 144 bis che al comma 1, recita: “1. Chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso ha facoltà di segnalare il pericolo al Garante, il quale, nelle quarantotto ore dal ricevimento della segnalazione, decide ai sensi degli artt. 143 e 144, del presente codice.”.
A prescindere dalla autonoma rilevanza penale che la conservazione delle immagini senza il consenso del minore può assumere in relazione alla violazione del Codice in materia di protezione dei dati personali, si osserva – prosegue la Corte – che il mancato accordo del minore alla conservazione delle immagini specificamente incide anche sulla valutazione in ordine alla “utilizzazione” del medesimo. Il disaccordo del minore sulla conservazione dei dati, inficia, infatti, anche l’iniziale consenso di quest’ultimo alle riprese, in quanto concordate sulla base di premesse diverse in ordine ad un aspetto importante, essendo insito nella conservazione delle immagini il rischio di una loro successiva diffusione.
Per la validità del consenso del minore alla conservazione dei dati da parte dell’adulto, valgono evidentemente le considerazioni sviluppate nei precedenti paragrafi. Si rende anche per questo aspetto necessario assicurare che il consenso del minore sia stato effettivamente consapevole e libero, scevro, cioè, da influenze da parte dell’adulto derivanti da abuso o approfittamento delle condizioni del minore stesso. Al principio “volenti non fit iniuria” va contrapposta, infatti, l’ispirazione pubblicistica della norma penale, indice della risonanza collettiva dell’interesse alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore.
Si può conclusivamente affermare per le SSUU il principio di diritto onde si ha “utilizzazione“ del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso.
L’ordinanza di rimessione mette inoltre in guardia – prosegue la Corte – da eventuali vuoti di tutela con riferimento al rapporto intercorrente tra il comma 1 ed i successivi comma 2, 3 e 4. dell’art. 600 ter c.p., aventi ad oggetto, questi ultimi, la circolazione e la diffusione del materiale pedopornografico. Il riferimento contenuto in ciascuno dei comma ridetti al “materiale di cui al comma 1” potrebbe lasciare intendere, infatti, secondo l’ordinanza di rimessione, che il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, diffusione, cessione, ecc. non possa essere esteso al materiale realizzato nell’ambito della “pornografia domestica“, in quanto il comma 1 fa riferimento esclusivo al materiale prodotto attraverso l’utilizzazione del minore.
In merito al rapporto che intercorre tra il comma 1 e quelli successivi dell’art. 600 ter c.p., la Terza Sezione nell’affermare, da ultimo, che “Il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 4, è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore” (Sez. 3, n. 5522 del 21.11.2019, Rv. 278091; Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021, Rv. 281972 – 01), ha svolto importanti considerazioni.
Ha precisato nell’occasione che “l’art. 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico. E’ necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica“.
Secondo la decisione in esame non rilevano, dunque, per l’art. 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, le modalità di produzione, bensì le caratteristiche del materiale prodotto e l’inclusione di esso nella nozione di pornografia dettata al comma 7, che comprende “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
Le motivazioni di questo orientamento – chiosa a questo punto la Corte – sviluppano un percorso argomentativo sicuramente condivisibile per i profili che in questa sede rilevano. Vengono richiamati, tra gli altri, l’art. 5, della Direttiva 2011/92/UE che, nel prevedere il divieto di circolazione, fa riferimento unicamente al materiale pornografico prescindendo dalle modalità della pertinente realizzazione e l’art. 612 ter c.p., – introdotto dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 – che, per la cessione a terzi di immagini o video sessualmente espliciti, prescinde anch’esso dalle modalità di realizzazione. E’ indubbio, inoltre, che, come affermato dalla Terza Sezione, la tipologia del materiale cui si intende fare riferimento nei commi 2, 3 e 4, sia quella definita dall’art. 600 ter c.p., comma 7.
La questione di fondo esaminata nelle citate decisioni tuttavia, precisa il Collegio – va oltre la problematica che in questa sede essa è chiamata ad affrontare. In quelle decisioni è stato infatti necessario valutare se anche il materiale “autoprodotto” dal minore possa essere ricompreso nelle fattispecie dei commi 3 e 4, per effetto del richiamo “al materiale del comma 1“, essendosi in altre decisioni affermato che “In tema di pornografia minorile, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 3, è necessario che il produttore del materiale pornografico sia persona diversa dal minore raffigurato” (Sez. 3, n. 34357 del 11/04/2017, Rv. 270719 – 01).
Non si rende, tuttavia, necessario in questa sede procedere – chiosano le SSUU – all’approfondimento specifico della questione affrontata in quelle sentenze, in quanto la definizione di “pornografia domestica“, nell’accezione indicata nella sentenza delle Sez. U, n. 51815 del 2018, si riferisce solo al materiale etero prodotto.
Il presupposto necessario della “pornografia domestica” è per la Corte, come detto in precedenza, che il materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto. Esso non può mai, dunque, essere posto in circolazione. Se tale ultima condizione si avvera, il minore, ancorchè non “utilizzato” nella fase iniziale, deve essere ritenuto strumentalizzato, come evidenziato anche in dottrina, successivamente, e, cioè, nella fase di cessione o diffusione delle immagini.
E, dunque, il materiale realizzato, se posto, in circolazione, deve essere ritenuto – indipendentemente dal momento della realizzazione e da chi ne procuri la diffusione – prodotto attraverso la “utilizzazione” del minore.
Questa ricostruzione comporta per le SSUU che, se la circuitazione del materiale abusivamente prodotto è contestuale o, comunque, anche se successiva, sin dall’inizio voluta da chi lo ha realizzato, ricorre senz’altro la fattispecie dell’art. 600 ter c.p., comma 1. Se, invece, la circolazione del materiale è frutto di successiva determinazione di chi lo ha creato, dovranno trovare applicazione i comma seguenti dell’art. 600 ter c.p.. In questo caso deve essere escluso, infatti, che possa rivivere la disposizione del comma 1, in quanto si tratterebbe di restituire tipicità ad una condotta che tipica non era al momento della realizzazione del materiale.
Come detto in precedenza, prosegue il Collegio, l’art. 600 ter c.p. è articolato su una pluralità di fattispecie incriminatrici indipendenti l’una dall’altra ed ordinate secondo una scala di disvalore e l’incriminazione di una condotta è subordinata alla circostanza che essa non integri già di per sé reato in base alle fattispecie previste nei commi precedenti. Lo stesso meccanismo regola la norma di “chiusura” dell’art. 600 quater c.p., rispetto all’art. 600 ter c.p..
La circostanza che colui che realizza il materiale non debba rispondere del reato del comma 1, poichè la condizione di “utilizzazione” del minore si è solo successivamente realizzata, implica per il Collegio l’imputazione di responsabilità per i comma successivi, in quanto la clausola di esclusione dell’incipit dei commi 3 e 4, “al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2“, vale solo nel caso in cui il produttore sia concretamente punibile.
Diversamente argomentando infatti, insegna il Collegio, verrebbe completamente frustrata la finalità di fondo del sistema articolato sugli artt. 600 ter e quater c.p., che persegue la tutela del minore attraverso un meccanismo che condensa l’intero spettro delle condotte punibili, che vanno dalla produzione alla detenzione del materiale realizzato, senza vuoti di tutela, basato su un meccanismo di assorbimento delle ipotesi meno gravi in quelle di maggiore gravità.
La responsabilità dell’adulto per la successiva diffusione del materiale resterà esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo nel caso dimostri di avere adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non averla potuto impedire. Se la circolazione del materiale realizzato sarà imputabile all’iniziativa esclusiva del minore, la responsabilità della circolazione incomberà su quest’ultimo.
L’art. 600 ter c.p., per tutte le ipotesi regolate ai commi 3 e 4, fa indistintamente riferimento, infatti, a “chiunque” e non consente, dunque, di operare distinzioni tra minore ed adulto. Rimane ovviamente esclusa la diffusione strumentale a denunce o alla tutela dei diritti del minore.
Non rileva infine, precisa ancora la Corte, che la richiesta di divulgazione del materiale provenga o sia comunque assentita dal minore; quest’ultimo, infatti, non può mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato, come condivisibilmente da ultimo riaffermato anche da Sez. 3, n. 5522 del 21/11/2019, cit.
Ciò in quanto soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute negative della mercificazione del proprio corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche, anche in considerazione del fatto che la circolazione stessa potrebbe essere ritardata nel tempo rispetto al momento della realizzazione delle immagini o dei video.
In più – conclude la Corte sul punto – va considerato che, come si rileva dalla formulazione dell’art. 600 ter c.p., comma 3, l’interesse tutelato non è unicamente individuale e, cioè, circoscritto ai soli minori materialmente utilizzati, rilevando anche quello collettivo e, cioè, di tutti i minori, anche non direttamente coinvolti. Attraverso l’art. 600 ter c.p., il legislatore ha inteso evidentemente scongiurare, infatti, che i minori siano ridotti a mero strumento di soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione.
Si deve dunque affermare il principio di diritto onde la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600 ter c.p., commi 3 e 4, ed il minore non può prestare consenso ad essa.
- Venendo all’esame del ricorso si rileva che lo stesso è fondato.
I tre motivi dedotti sono sostanzialmente incentrati sulla errata applicazione dei principi enunciati dalla sentenza n. 51815 del 2018 e sulla omessa considerazione della ritrattazione delle accuse inizialmente formulate in querela dalla minore F. a proposito della quale la Corte di appello aveva disatteso anche la richiesta di rinnovazione del dibattimento formulata ai sensi dell’art. 603 c.p.p..
Quest’ultima aveva dichiarato al g.u.p., nel corso del dibattimento, di avere sporto querela in quanto condizionata dai genitori e di essere stata lei a spingere il ricorrente ad inviare le immagini di contenuto erotico all’ex fidanzato M..
Dalla ritrattazione è scaturito un procedimento penale nei confronti della minore per la falsità della testimonianza resa, accusa dalla quale la F. è stata assolta con sentenza, oramai definitiva, perchè il fatto non sussiste.
Il Tribunale di Roma ha ritenuto nell’occasione credibile quanto affermato dalla F. al g.u.p. e, cioè, che aveva deliberatamente “appesantito” le circostanze illustrate nella querela.
La minore ha spiegato di avere sporto la querela in presenza dei genitori e di avere amplificato il ruolo del D.S. sia per la vergogna nei confronti dei genitori per comportamenti “spregiudicati” tenuti quando aveva solo sedici anni, sia per continuare a celare loro la relazione con il D.S. (proseguita anche dopo i fatti); sia, infine, per contenere le ire del nuovo fidanzato destinatario delle immagini – con il quale aveva peraltro solo una “relazione di facciata”.
Allo stato, richiamando i principi in precedenza espressi, emergerebbe, dunque, la responsabilità del ricorrente unicamente in relazione al reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4, avendo quest’ultimo, seppure aderendo alla richiesta della minore, inoltrato le foto al M. e non avendo il consenso della minore efficacia scriminante.
Tale reato è tuttavia oramai prescritto.
Per quanto riguarda, invece, la contestazione dell’art. 600 ter c.p., comma 1, – che avrebbe carattere assorbente rispetto alla minore fattispecie della comunicazione delle immagini realizzate -, si deve rilevare quanto segue.
La sentenza del g.u.p., antecedente alla sentenza n. 51815 del 2018, esclude in via di principio l’efficacia scriminante o esimente del consenso della minore alla realizzazione del materiale in contestazione senza, quindi, alcun ulteriore approfondimento sulle modalità di esso e sul contesto in cui è maturato.
La Corte di appello ha rigettato l’impugnazione continuando a non confrontarsi – come correttamente rilevato nel primo motivo di ricorso – con le deduzioni del ricorrente che facevano leva sulla assenza di fattori condizionanti la volontà della minore, sicuramente consenziente alla realizzazione del materiale; con la riconducibilità del fatto all’autonomia sessuale della coppia; con il fatto che il materiale era stato realizzato nell’ambito di un rapporto sentimentale ancora perdurante e con le motivazioni della sentenza assolutoria emessa dal tribunale per il reato di cui all’art. 372 c.p..
La Corte di merito non ha ritenuto, inoltre, nemmeno necessario procedere all’audizione della F. per chiarire le circostanze in cui è maturata la decisione di realizzare il materiale erotico.
Si è limitata a svolgere, infatti, considerazioni di principio, richiamando decisioni di legittimità sulla mancanza di efficacia scriminante del consenso della minore, insistendo sul mancato recepimento dell’art. 8, della Direttiva 2011/93/UE nell’ordinamento interno, ritenendo di per sè sintomo di fragilità della minore la predisposizione alla realizzazione e divulgazione del materiale pornografico.
La sentenza, dunque, si pone in evidente contrasto con i principi già affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 52815 del 2018 e con quelli in precedenza sviluppati non avendo proceduto a verifiche di sorta, in ordine ai profili indicati.
L’eventuale rinvio del processo per nuovo esame alla Corte di merito appare, tuttavia, superfluo, in quanto occorre considerare che la sentenza del Tribunale di Roma in data 22 marzo 2018, oramai definitiva, ha già dato credito alla sostanziale ritrattazione delle accuse inizialmente rivolte al D.S. e che la F. continua ad intrattenere la relazione sentimentale con il ricorrente.
Ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), il ricorrente deve essere assolto, dunque, in questa sede dal reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, perchè il fatto non sussiste.
* * *
Il 22 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9735, in tema di c.d. adescamento di minorenni.
In punto di diritto, principia la Corte, la difesa dell’imputato prende le mosse nel caso di specie dall’affermazione giurisprudenziale relativa alla natura e all’ambito di applicazione del reato di cui all’art. 609-undecies c.p., secondo cui la fattispecie non pone problemi di legittimità costituzionale, perché, integrando un reato di pericolo concreto, volto a neutralizzare il rischio di commissione dei più gravi reati a sfondo sessuale lesivi del corretto sviluppo psicofisico del minore e della relativa autodeterminazione, non contrasta con il principio di offensività.
Necessitando, ai fini della verifica del dolo specifico, del ricorso a parametri oggettivi, dai quali possa dedursi il movente sessuale della condotta, essa non viola il principio di determinatezza della fattispecie penale; punendo, con una cornice edittale equa proporzionatamente inferiore rispetto a quella prevista per i reati fine, comportamenti idonei a mettere, in pericolo un bene giuridico primario, meritevole di intensa tutela, è compatibile con il principio della rieducazione della pena (Sez. 3, n. 32170 del 15/03/2018, Rv. 273815).
La stessa difesa evidenzia inoltre, precisa la Corte, che l’oggetto del dolo specifico previsto dalla disposizione incriminatrice deve riguardare anche gli atti sessuali che l’agente intende compiere carpendo la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce e, cioè, per mezzo dell’attività di adescamento descritta dalla fattispecie (ex multis, Sez. 3, n. 17373 del 31/01/2019, Rv. 275946).
Nella vicenda in esame, riprende a questo punto il Collegio, come ampiamente evidenziato dai giudici di primo e secondo grado, con conforme argomentata valutazione, il quadro probatorio fa emergere con chiarezza la responsabilità penale del soggetto agente, proprio sulla base dei criteri interpretativi sopra delineati (e abbracciati dalla difesa), sussistendo dati oggettivi dai quali appare dimostrato, ogni oltre ogni ragionevole dubbio, il movente sessuale della condotta, che investe anche gli atti sessuali che l’imputato intendeva compiere attraverso l’adescamento.
Del tutto correttamente la Corte d’appello ha valorizzato in senso negativo la conversazione tenuta sul social, nella quale l’imputato domandava la “fattibilità” di incontri a scopo sessuale, non essendo plausibile la ricostruzione difensiva secondo cui tale richiesta era riferita ad incontri a carattere religioso. Del tutto artificiosa risulta, infatti, la ricostruzione difensiva secondo cui l’imputato aveva un (generico) intento di educare il ragazzo e avvicinarlo alla Chiesa, deponendo in senso contrario il tono e la terminologia utilizzati – ivi compreso il termine “pisellino“, a chiaro sfondo sessuale nel complessivo contesto di riferimento – e lo stacco temporale tra il momento in cui il minore aveva respinto il presunto tentativo di approccio e quello nel quale l’imputato aveva cercato, maldestramente, di dare un senso a tale approccio riconducendolo ad un invito a partecipare – in una maniera non meglio precisata perché mai oggetto di precedenti approfondimenti nel corso delle conversazioni – alla comunità religiosa cristiana.
E pienamente corretta sul piano logico giuridico è anche – chiosa ancora il Collegio – la considerazione relativa alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato-scopo di atti sessuali con minorenni, trattandosi di un minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni di età nei confronti del quale vi era un chiaro rapporto di affidamento.
Tale rapporto derivava sia dal ruolo di vicario del preside assunto dall’imputato, insegnante nell’istituto scolastico frequentato dal minore, sia dalla funzione che in concreto l’insegnante svolgeva, secondo la stessa prospettazione difensiva, per cui egli si occupava di aiutare la persona offesa a superare i problemi disciplinari che aveva, ben delineati anche dalle testimonianze richiamate dalla stessa difesa.
Ed è evidente che nel caso concreto l’imputato abbia agito nella piena consapevolezza della propria posizione di autorità nei confronti del minore a lui affidato per ragioni di educazione, rilevante ai fini dell’art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2).
Nè può ritenersi che tale rapporto venga meno in presenza di un reato consumato al di fuori della scuola, posto che le conversazioni oggetto di contestazione sono avvenute in ambito extrascolastico, perché la persona offesa era in ogni caso limitata nella propria autodeterminazione, pur utilizzando il mezzo informatico per i colloqui, mentre l’imputato si era rappresentato ed aveva voluto fin dall’inizio il compimento di atti sessuali nell’ambito di detto rapporto di affidamento.
Anzi, dal tenore delle conversazioni riportate dalla stessa difesa emerge come l’imputato facesse ambiguamente leva sul proprio ruolo di educatore, che aveva richiamato ad esempio al fine di tentare di fornire l’implausibile spiegazione della finalizzazione a non meglio precisati scopi religiosi dell’incontro che aveva richiesto al minore.
E, in punto di diritto, si è precisato che la condizione di affidamento per ragioni di istruzione, di vigilanza o di custodia prevista per il reato di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2), può avere carattere temporaneo o occasionale, potendo configurarsi anche quando il soggetto attivo non sia l’insegnante diretto del minore, ma appartenga comunque alla stessa struttura scolastica, all’interno della quale venga a diretto contatto con la vittima in ragione dell’incarico di svolgere lezioni o sostituzioni nelle varie classi (ex multis, Sez. 3, n. 27282 del 14/03/2012, Rv. 253053).
Si è altresì più volte affermato – prosegue la Corte – che il rapporto di affidamento per ragioni di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, che assume rilievo in tema di reati sessuali relativi a minorenni, attiene a qualunque rapporto fiduciario, anche temporaneo od occasionale, che si instaura tra affidante e affidatario mediante una relazione biunivoca e che comprende sia l’ipotesi in cui sia il minore a fidarsi dell’adulto, sia quella in cui il minore sia affidato all’adulto da un altro adulto per specifiche ragioni (ex plurimis, Sez. 3, n. 43705 del 24/09/2019, Rv. 278088).
Ne consegue che il rapporto di affidamento esistente tra insegnante ed alunno non può essere ritenuto escluso per il fatto che gli atti illeciti oggetto dell’imputazione si svolgano fuori dall’ambiente e dall’orario scolastico, perché ciò che conta è la relazione che sussiste fra i due soggetti, evidentemente non circoscrivibile al solo contesto in cui nasce e si manifesta principalmente. E ciò vale anche nel caso in cui il reato di atti sessuali con minorenne rilevi come reato-scopo ai fini della configurabilità di quello di adescamento.
Tale essendo il quadro istruttorio, adeguatamente delineato e preso in considerazione dai giudici di merito, la ricostruzione difensiva si risolve per il Collegio in un mero tentativo di proporre in sede di legittimità un’interpretazione alternativa dei fatti, per di più ancorata su elementi palesemente irrilevanti, quale il fatto che l’imputato avrebbe voluto prendere una pizza con la persona offesa al compimento della sua maggiore età, o palesemente smentiti dagli atti, quale la circostanza che l’imputato non avesse utilizzato il suo ruolo di insegnante a fini di adescamento.
Parimenti irrilevanti risultano – conclude la Corte – le considerazioni difensive riferite all’attitudine affettuosa che l’imputato aveva in generale verso i ragazzi, nonché al carattere ribelle della persona offesa, confermato dalle testimonianze richiamate in ricorsi, perché proprio su tale carattere l’imputato aveva fatto leva per la commissione del reato, instaurando una relazione che, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuta andare ben oltre una normale e professionalmente lecita manifestazione di affetto da parte di un insegnante verso gli alunni.
* * *
Il 29 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11305 che decide su una fattispecie di chat sessualmente orientata ed adescamento di minorenne.
È emerso dall’istruttoria dibattimentale – precisa il Collegio – che la minore di anni 10, nel giocare sul web, si era imbattuta nell’imputato con cui aveva intrattenuto delle conversazioni a sfondo sessuale. L’uomo, che la chiamava con vezzeggiativi e la blandiva con lusinghe, le aveva chiesto di scaricare degli applicativi per la trasmissione delle foto, perché la voleva vedere nuda, cosa che la persona offesa non aveva fatto.
Il padre della minore aveva scoperto la chat grazie al controllo periodico del relativo cellulare e aveva subito denunciato i fatti consentendo agli inquirenti di risalire all’imputato.
A differenza di quanto dedotto dalla difesa, i Giudici hanno per la Corte puntualmente individuato i reati fine che l’uomo intendeva commettere, dagli atti sessuali all’acquisizione di materiale pedopornografico, e hanno ben delineato il dolo specifico della condotta (Cass., Sez. 3, n. 17373 del 31/01/2019, P., Rv. 27594601).
Inoltre, hanno ritenuto pienamente credibile la minore, anche con riferimento alla circostanza di aver comunicato all’imputato la pertinente età. Gli argomenti spesi dalla difesa sono generici e fattuali e non valgono a disarticolare il ragionamento dei Giudici.
In particolare, per il Collegio il quarto motivo solleva una questione non congruente con il reato contestato, considerato che l’adescamento si consuma proprio perché non sono configurabili i reati sessuali più gravi indicati nell’art. 609-undecies c.p.. Inconsistente è anche il quinto motivo che non si confronta con l’analisi contenuta in sentenza secondo cui l’operante di polizia giudiziaria aveva interrogato la bambina alla presenza dello psicologo con modalità corrette che non avevano compromesso la genuinità della testimonianza.
Dal racconto erano emerse difficoltà e vergogna, comprensibili per l’età della dichiarante e per l’oggetto imbarazzante della deposizione. Tale contegno non aveva inciso né sull’utilizzabilità della prova – il verbale delle dichiarazioni era stato acquisito su accordo della difesa – né sull’attendibilità poiché il narrato aveva trovato riscontri esterni nel racconto del padre della bambina e nelle conversazioni che era stato possibile recuperare.
Pertanto, per la Corte nel caso di specie non vi è alcun elemento per ritenere che la persona offesa sia stata suggestionata o indotta a rendere dichiarazioni compiacenti.
Questioni intriganti
Cosa si intende in generale per “errore sulla persona offesa” di cui all’art.60 c.p.?
- l’art.60 c.p. si esprime in termini di “errore sulla persona offesa”, identificando – potenzialmente – tanto un errore sulla identità personale del soggetto passivo del fatto inadempimento reato quanto un errore che cada su determinate qualità proprie della vittima (pur correttamente identificata);
- stando ad una prima tesi (maggioritaria), si è dinanzi ad una vicenda che coinvolge tre soggetti, ovvero il soggetto “attivo” agente, la vittima “passiva” designata e la vittima “passiva” realmente colpita; in sostanza, la vittima designata non coincide con la vittima realmente offesa e ciò a causa di una falsa percezione della realtà da parte del soggetto agente; in forza del rinvio che l’art.82, comma 1, c.p. opera all’art.60 c.p. (“… salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’art.60”), tanto in caso di aberratio ictus che di error in persona si applica il medesimo regime delle circostanze, onde le aggravanti che afferiscono alle condizioni o qualità della persona offesa, ovvero i rapporti tra offeso e colpevole non sono poste a carico dell’agente, mentre sono valutate a pertinente favore le attenuanti erroneamente da lui supposte; nondimeno: b.1) in caso di aberratio ictus (art.82 c.p.) la vicenda “a tre” coinvolge la fase esecutiva (a valle) del reato laddove, a cagione di un errore-inabilità del soggetto agente, l’offesa viene a ricadere “esecutivamente” su persona diversa rispetto a quella cui si dirigeva ab origine; b.2) in caso di error in persona (art.60 c.p.) la vicenda, del pari “a tre”, coinvolge la fase intellettiva (a monte) del reato laddove, a cagione per l’appunto del ridetto errore intellettivo del soggetto agente, l’offesa si dirige verso chi si voleva effettivamente offendere (vittima reale), e tuttavia sul falso presupposto (errore) che si trattasse di un’altra (vittima virtuale);
- stando ad una seconda tesi (minoritaria), in realtà l’errore di identificazione sulla “persona” (a monte) deve assumersi – quale errore vizio e dunque falsa rappresentazione della realtà che cade sulla “persona” della vittima – già riconducibile sotto l’egida dell’art.82, comma 1, c.p. in tema di aberratio ictus, riguardante la fattispecie in cui l’offesa sia cagionata “a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta”; l’art.60 c.p. farebbe allora riferimento (solo) ad una vicenda non già “a tre”, quanto piuttosto “a due”, e che vede coinvolti il soggetto agente “attivo” e la vittima “passiva” del reato, con particolare riguardo all’errore sulle condizioni o qualità personali di una vittima designata che è quella medesima poi effettivamente colpita; una tesi che parrebbe confortata tanto dai lavori preparatori del codice penale, quanto dalla stessa dizione del codice penale che, all’art.60, parla di errore non già “di” persona (e dunque, in qualche modo, “identitario”), quanto piuttosto “sulla” persona (e dunque, almeno a prima vista, afferente a qualità personali di una vittima che sia stata tuttavia correttamente “identificata”); pare nondimeno assumere una funzione tranchant sul punto l’aberratio ictus plurilesiva ex art.82, comma 2, c.p. che – coinvolgendo anche la vittima designata (e non solo quella che non si voleva colpire) – si mostra compatibile con il solo errore esecutivo “a valle”,e non anche con l’errore intellettivo “a monte” o scambio di persona, quale vicenda “a tre” che sarebbe invece disciplinata, per l’appunto, dall’art.60 c.p.;
- l’art.60 c.p. si riferisce allora certamente (anche) allo scambio di persona, e dunque all’ipotesi in cui si colpisca una persona diversa da quella che si intendeva colpire per un errore sulla pertinente identità; parte della dottrina si pone tuttavia l’interrogativo se il pertinente regime sia applicabile anche laddove la vicenda non sia “a tre”, ma piuttosto “a due”, con la vittima effettivamente colpita pienamente coincidente con quella designata, e tuttavia con errore ricaduto sulle condizioni o qualità personali della vittima designata (e poi effettivamente colpita); si tratta della tesi assunta in dottrina preferibile, massime a valle della riforma delle circostanze operata dal Legislatore nel 1990 (su cui subito ultra), con conseguente imputazione “soggettiva” delle circostanze aggravanti che coinvolgono l’errore sulla persona della vittima: d.1) tanto nel caso in cui esso investa l’identità della vittima stessa (rapporto “a tre”, dove la vittima designata non corrisponde a quella effettivamente colpita); d.2) quanto in quello in cui esso investa invece condizioni o qualità personali – tra le quali l’età – della vittima stessa (rapporto “a due”, dove la vittima designata corrisponde a quella effettivamente colpita);
- quest’ultima appare considerazione assai significativa laddove letta alla luce delle plurime fattispecie via via introdotte nel codice penale nel corso dei decenni (specie nell’ambito dei reati a sfondo sessuale), laddove sovente campeggia – quale condizione o qualità personale (soprattutto) della vittima – l’età di uno dei protagonisti, sul crinale soggettivo, della vicenda criminosa.
In che modo – nel regime del c.d. error in persona – rilevano condizioni o qualità personali, ed in specie l’età, dei soggetti coinvolti nel fatto inadempimento reato?
- sul crinale del soggetto agente, l’età campeggia come “misura” della capacità di tale soggetto di essere assunto responsabile del commesso fatto inadempimento reato; significativo dunque a tal fine – ratione aetatis – l’istituto dell’imputabilità, con riguardo al quale si rinvia per considerazioni più diffuse all’apposito CRONOPERCORSO;
- sul versante del soggetto passivo del fatto inadempimento reato, ma con importanti riflessi anche sul soggetto attivo, rileva invece, in via generale, proprio la tematica del c.d. error in persona, massime con riguardo al discorso della imputazione delle circostanze del reato;
- fino al 1990, le circostanze – tanto aggravanti quanto di attenuazione o esclusione della pena – sono state imputate al soggetto agente in guisa oggettiva, e dunque a prescindere dal relativo atteggiamento psicologico;
- muovendo da questa considerazione, l’art.60, comma 1, c.p. – alla cui stregua, in caso di error in persona, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o le qualità (non fisiche, né psichiche: giuridiche o altro) della persona offesa, ovvero i rapporti tra colpevole e offeso – veniva assunto come la deroga più consistente al regime, per l’appunto, di imputazione oggettiva delle circostanze, operando pro reo pur a fronte di dati oggettivi sulla persona dell’offeso che avrebbero dovuto essergli imputati, per l’appunto, “oggettivamente”;
- quando nel 1990 è mutato il regime di valutazione delle circostanze, con particolare riguardo alle aggravanti, ormai imputabili al soggetto agente solo se conformi al principio di colpevolezza (art.27 Cost.) e, dunque, solo se necessariamente assistite da un certo grado di “rimproverabilità” colposa, la questione che si è posta è stata quella di capire quale ruolo potesse essere assegnato proprio al regime – già più favorevole – di cui all’error in persona ex art.60 comma 1 c.p., massime nei pertinenti rapporti con l’art.59, comma 2, c.p., alla cui stregua per l’imputazione in generale delle circostanze aggravanti si impone ora in capo al reo, in generale, un certo coefficiente, per l’appunto, di colpevolezza in termini di rimproverabilità colposa;
- secondo una prima e più semplicistica tesi, l’art.60 comma 1 c.p. va inteso “abrogato” dalla riforma del 1990, ripetendo pleonasticamente con riguardo alla “persona offesa” quanto più in generale afferma il precedente art.59, comma 2, c.p. in relazione a tutte le circostanze aggravanti (imputabili solo con un coefficiente almeno colposo); tale opzione ermeneutica sarebbe confermata dall’esame di tutti i progetti di legge di riforma del regime di imputazione delle circostanze aggravanti anteriori a quello poi sfociato nella legge 19.90, dal quale affiora l’intenzione del legislatore “potenziale” di abrogare, contestualmente al varo della riforma dell’art.59 ridetta, l’art.60, comma 1, c.p.;
- stando ad una tesi più attenta all’esatto tenore delle due norme, l’art.60, comma 1, c.p. continua invece a svolgere una qualche funzione pur al cospetto della modifica intervenuta nel 1990 sull’art.59, comma 2, c.p., laddove esclude in modo perentorio, tassativo e dunque senza eccezioni la rilevanza delle aggravanti in caso di error in persona, quand’anche dunque tale errore (in termini di mancata conoscenza delle ridette aggravanti) risulti assistito da colpa; in sostanza, nel caso di error in persona, secondo questa tesi – anche in presenza di colpa del soggetto agente – le circostanze aggravanti pertinenti non potrebbero essere valutate contro di lui;
- l’età entra in gioco quando si compara l’art.59, comma 2, c.p. in termini di imputazione “non più oggettiva” delle circostanze aggravanti con l’art.60, comma 3, c.p., che prevede per l’appunto l’error aetatis con una disciplina – già ab origine – assai rigorosa, onde le disposizioni tradizionalmente derogatorie pro reo in tema di error in persona non si applicano al soggetto agente del fatto inadempimento reato qualora esse concernano, per l’appunto, l’età o altre condizioni o qualità “fisiche o psichiche” (stavolta, specificate per tali) della persona offesa, palesandosi pertanto del tutto indifferente la conoscenza o conoscibilità delle stesse in capo al soggetto attivo ridetto;
- secondo parte della dottrina (più rigoristica), laddove l’errore del soggetto agente ricada per l’appunto sull’età o su qualità o condizioni “psicofisiche” del soggetto passivo, queste sarebbero valutate contro di lui in guisa rigorosamente oggettiva, e dunque a prescindere del fatto che egli le abbia conosciute o abbia comunque potuto conoscerle; da questo punto di vista dunque, l’art.60, comma 3, c.p. consentirebbe di affermare che in tema di circostanze del tipo di quelle in parola (condizioni e qualità psicofisiche, tra le quali l’età, della vittima), il regime è rimasto di rigida imputazione oggettiva anche dopo l’intervento riformatore del 1990, riferibile solo a tutte le altre aggravanti; ciò tenuto conto anche del particolare regime che regge l’error aetatis in particolare nella materia della violenza sessuale, ex art.609 sexies c.p., laddove l’errore esplicitamente non rileva; si tratta tuttavia di una opzione ermeneutica criticata da chi osserva che – oltre a non avere alcun fondamento normativo – essa si pone in decisa rotta di collisione con la ratio del nuovo art.59, comma 2, c.p., orientato ad escludere dal sistema qualunque ipotesi di imputazione meramente oggettiva delle circostanze aggravanti, come testimonierebbe tra l’altro l’espunzione dall’incipit della norma della clausola di sussidiarietà prima campeggiante (“salvo che la legge disponga altrimenti”) e capace potenzialmente, per l’appunto, di autorizzare deroghe contra reum; peraltro lo stesso art.609 sexies come rinovellato, e la nuova versione dell’art.600 ter c.p. in tema di pornografia minorile ammettono la scusabilità dell’error aetatis, laddove inevitabile (e, dunque, non assistito da alcun coefficiente colposo);
- stando dunque alla tesi dottrinale più accreditata (e più garantista), anche le circostanze previste dall’art.60, comma 3, c.p. (ed afferenti ad età, condizioni o qualità “psichiche o fisiche” della persona offesa) sono rette dal regime generale di cui all’art.59, comma 2, c.p. nella pertinente nuova versione che richiede, a fini di relativo addebito, il fatto che siano conosciute o comunque conoscibili (e, dunque, erroneamente ignorate per colpa del soggetto agente);
- riassumendo: k.1) la regola generale si rinviene all’art.59, comma 2, c.p. (nuova versione), alla cui stregua le circostanze aggravanti sono unitariamente imputabili al soggetto agente solo se conosciute ovvero ignorate per errore determinato da colpa (e, dunque, conoscibili in difetto di colpa); in questa regola generale rientrano anche le circostanze aggravanti di cui all’art.60, comma 3, c.p., concernenti come tali età ed altre condizioni o qualità “psichiche o fisiche” della persona offesa; k.2) le circostanze aggravanti afferenti a condizioni o qualità (non fisiche né psichiche) della persona offesa, ovvero ai rapporti tra offeso e colpevole, per essere imputate, richiedono invece la piena conoscenza in capo al soggetto agente, non potendo essergli imputate neanche laddove ignorate per errore determinato da colpa (art.60, comma 1, c.p.: deroga pro reo);
- si tratta ancora una volta di considerazioni che potrebbero spiegare peculiare rilievo alla luce della più recente giurisprudenza in tema di prostituzione e pedopornografia minorile, laddove età, condizioni o qualità psichiche o fisiche della persona offesa, e rapporti tra colpevole e offeso si atteggiano ad elementi poliedrici sovente “costitutivi” (e non già solo circostanziali) dell’illecito penalmente rilevante.
Quale peculiare rilievo va annesso all’età della vittima, in particolare, nei reati c.d. sessualmente orientati e, ancor più in specie, nella pedopornografia?
- l’età della vittima rileva sempre più spesso – laddove “avanzata” – in termini di possibile configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, in ordine alla quale si rinvia specificamente all’apposito CRONOPERCORSO;
- quanto alle fattispecie criminose “sessualmente orientate”, occorre muovere dall’art.609 sexies c.p., alla cui stregua quando i delitti previsti negli articoli 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 609 undecies sono commessi in danno di un minore degli anni 18, e quando è commesso il delitto di cui all’articolo 609 quinquies, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile e, dunque, rimproverabile quanto meno a titolo di colpa;
- si tratta: c.1) della fattispecie criminosa di violenza sessuale ex art.609 bis c.p.; c.2) delle circostanze aggravanti di cui all’art.609 ter c.p.; c.3) della fattispecie criminosa degli atti sessuali con minorenne, di cui all’art.609 quater c.p.; c.4) della fattispecie criminosa di corruzione di minorenne ex art.609 quinquies c.p.); c.5) della fattispecie criminosa di violenza sessuale di gruppo ex art.609 octies c.p.; c.6) della fattispecie criminosa di adescamento di minorenni ex art.609 undecies c.p.;
- sono tutte fattispecie di reato nelle quali rileva l’età minore della vittima, tanto come elemento costitutivo quanto come circostanza aggravante, ed in relazione alle quali l’errore sul “fatto” dell’età viene disciplinato come l’errore di diritto di cui all’art.5 del c.p. e dunque in guisa ossequiosa del principio di colpevolezza ex art.27 Cost., con possibile rilievo dell’ignoranza rimproverabile (almeno) per colpa; ciò secondo una disciplina che ricalca quella generale dettata – per l’error aetatis in ottica circostanziale – dall’art.60, comma 3, c.p., in combinato disposto con l’art.59, comma 2, c.p. e che fa perno sulla “evitabilità” dell’errore sull’età della vittima, tale appunto da autorizzare un rimprovero del soggetto agente per colpa;
- nel 1998 il codice penale subisce poi un altro significativo innesto di fattispecie criminose in materia di lotta allo sfruttamento della prostituzione, alla pornografia ed al turismo sessuale in danno di minori (intese quali nuove forme di riduzione in schiavitù); i neointrodotti articoli 600 bis e seguenti vengono successivamente più volte rivisitati e limati, annoverando tra i relativi elementi costitutivi la minore età della vittima, con particolare rilevanza della fattispecie di “pornografia minorile” ex art.600 ter c.p., ritoccata alfine nel 2012 con la previsione – anche in relazione a tale fattispecie e a quelle “contermini” – della totale irrilevanza dell’error aetatis laddove accampato dal soggetto agente, ed escluso ancora una volta il solo caso in cui l’ignoranza sia “inevitabile”;
- proprio a valle della riformulazione dell’art.600 ter, comma 1, c.p., si è posto in giurisprudenza il problema di individuare il concetto penalmente rilevante di “utilizzazione” di minore, nel più ampio contesto della pornografia minorile, e con riguardo all’eventuale consenso prestato dal minore medesimo (che coinvolge in qualche modo anche la scriminante – prevista dall’art.50 c.p. – del c.d. “consenso dell’avente diritto”); tale consenso è stato infatti assunto a lungo idoneo ad escludere la rilevanza penale del contegno del soggetto agente, a valle di una nota sentenza delle SSUU del 2000 alla cui stregua poteva considerarsi “produzione” di materiale pedopornografico, ex art.600 ter c.p. comma 1, solo quella avvinta all’accertamento di un “concreto pericolo” di diffusione di tale materiale, e non già dunque dove esso fosse destinato a rimanere in ambito privato, col “consenso” ridetto del minore;
- già nel 2018 una importante revirement delle SSUU ha chiarito che, ai fini dell’integrazione del reato di “produzione” di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, così superandosi il precedente, ridetto orientamento siccome espresso nel 2000 allorché – in una diversa temperie tecnologica, nella quale la captazione dell’immagine ancora non implicava necessariamente la successiva diffusione dell’immagine stessa – la captazione medesima poteva appunto non essere (o comunque non essere “facilmente” e, quasi, “automaticamente”) destinata alla successiva diffusione; tale più recente orientamento costruisce piuttosto la fattispecie “produttiva” in termini di reato di danno, muovendo dalla diversa premessa onde, d’attualità, si impone di considerare la tutt’affatto pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione e la connessa diffusione di cellulari smart-phone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata, circostanza che ha reso a propria volta “normali” il collegamento ad Internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione di reti sociali;
- sotto altro profilo, il termine “utilizzando“ (il minore), contenuto nella formulazione attuale dell’art. 600 ter, comma 1, c.p. ha sostituito il termine “sfruttare“ presente nell’originaria stesura della norma per chiarire che l’assoggettamento del minore “utilizzato” non deve essere necessariamente determinato da finalità di lucro, richiedendo tuttavia pur sempre, sul piano concettuale, la verifica della condizione di asservimento del minore medesimo per un vantaggio altrui; la nozione di utilizzazione, con la quale il legislatore ha inteso circoscrivere la sfera applicativa della disposizione in esame, ha portata più ristretta rispetto al concetto di “impiego” evocato, nel medesimo capo, all’art. 600 octies c.p., per indicare la condotta di “chi si avvale” del minore; se dunque ricorre la “l’utilizzazione” del minore, nessuna valenza – esimente o scriminante – può essere riconosciuta al pertinente consenso; in questo caso infatti, il consenso non può essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall’abusività della condotta dell’adulto; in quest’ottica si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell’art. 600 ter, comma 1, c.p. al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali laddove riconnettono la liceità della condotta dell’adulto – per l’appunto – al “consenso” del minore, purché non ottenuto mediante comportamenti “abusivi” dell’adulto;
- quale acquisizione finale della giurisprudenza dunque, dalla sfera applicativa della previsione dell’art. 600 ter, comma 1, c.p. (pornografia minorile) fuoriesce soltanto la produzione di materiale pornografico realizzato senza la “utilizzazione” del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l’età per manifestarlo; e dunque: i.1) con riguardo al primo profilo, il termine “utilizzazione” sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento; i.2) con specifico riferimento al secondo aspetto è richiesto al giudice un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui è stato espresso il consenso del minore ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti;
- sussistono, più in specie, tutta una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” penalmente rilevante del minore, da individuarsi: j.1) nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; j.2) nelle modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); j.3) nel fine commerciale perseguito; j.4) nell’età dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale;
- è su questo sfondo che intervengono le SSUU del 2022, approfondendo ulteriormente il tema ed evidenziando peraltro come la declinazione del concetto di “utilizzazione del minore” debba armonizzarsi e trovare coerenza interpretativa con le disposizioni – globalmente e sistematicamente considerate – di cui al Titolo XII, Capo III “dei delitti contro la libertà individuale“, Sezione I “dei delitti contro la personalità individuale” e Sezione II “dei delitti contro la libertà personale“, rientrando esse in una comune logica di un sistema sorretto dalle medesime finalità; a riprova di ciò, viene citato dalle SSUU proprio l’art. 602 quater c.p., introdotto nell’ordinamento dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, che ha esteso anche ai reati in materia di pornografia la regola contenuta nell’art. 609 sexies c.p., secondo cui “il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile“, oltre a talune disposizioni comuni neointrodotte nel codice per prevenire l’insorgenza dei fenomeni di prostituzione minorile, pedopornografia e violenza sessuale sui minori; il tutto tenuto conto, in specie, di come pornografia e prostituzione minorile siano accomunate dalla necessità di proteggere il minore da richieste legate a fenomeni di perversione sessuale sovente interdipendenti, ben potendo atteggiarsi la “produzione” di materiale pornografico – e la connessa “utilizzazione” del minore – ad uno degli epiloghi proprio del fenomeno della prostituzione del minore ridetto;
- venendo ormai alle specifiche ipotesi nelle quali il consenso del minore – in rapporto alla pertinente “utilizzazione” – non può assumersi in alcun modo rilevante a fini di esclusione della responsabilità penale: l.1) tutto ciò che afferisce al concetto di utilizzazione “per coercizione” del minore medesimo può ben rintracciarsi nella lettura del novellato art.609 quater c.p., quand’anche tale coazione si imperni, approfittandone, sulla dazione (o mera promessa) di denaro al minore in parola; l.2) tutto ciò che afferisce al concetto di utilizzazione “per induzione” del minore ridetto può invece ben rintracciarsi nella lettura dell’art.600 ter c.p., (anche in combinato disposto con il precedente art.600 bis), laddove la determinazione del minore a contegni pornografici dipenda esclusivamente dalla condotta (“induttiva” appunto) dell’agente;
- l’interpretazione della nozione di “utilizzazione” non può peraltro prescindere per le SSUU 2022 da una specifica riflessione sulla maturità del minore, e ciò muovendo dalla constatazione onde al Capo III del titolo XII il legislatore opera più volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualità del pertinente sviluppo; differenziazione, che si coglie anzitutto (ma non solo) nell’art. 609 quater c.p., e che assume carattere di generalità per i reati tanto di pornografia quanto di prostituzione minorile; proprio per rafforzare la tutela del minore infrasedicenne, il legislatore, recependo le indicazioni delle Convenzioni internazionali, ha per giunta introdotto una specifica disposizione di “sbarramento” finalizzata a prevenire iniziative rivolte al coinvolgimento del minore stesso nei contesti della pornografia e della prostituzione minorile: si tratta dell’art. 609 undecies c.p. (adescamento di minorenni) che punisce chiunque – allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter e quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater, 1, 600 quinquies – adesca un minore di anni sedici, da ciò affiorando ancora una volta la stretta connessione tra la disciplina di cui agli articoli 600 bis e seguenti c.p. e quella di cui agli articoli 609 bis e seguenti c.p.; la tutela rafforzata del minore per la fascia di età ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di età comporta allora la necessità di una più specifica analisi dei fattori di condizionamento della relativa volontà nell’assentire le richieste dell’adulto; pur non essendo possibile sul piano sistematico e concettuale pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello infrasedicenne, appare tuttavia indubbio alle SSUU che anche per quest’ultimo sia molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturità necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico, con conseguente necessità che anche l’accertamento sulla “utilizzazione” del minore infrasedicenne sia (pur nel contesto di una eventuale relazione affettiva tra soggetto attivo del contegno potenzialmente criminoso e relativa vittima minore) particolarmente rigoroso, giusta attenta valutazione in ordine all’abuso del rapporto di fiducia da parte dell’adulto – specificamente evocato nella nuova formulazione dell’art. 609-quater c.p. – ed alle modalità di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l’insidiosità degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla propria, limitata capacità di cogliere le situazioni per sé svantaggiose; da questo punto di vista, particolarmente significativa appare la definizione del concetto di adescamento, siccome contenuta nell’art. 609 undecies c.p., di più recente introduzione, e sintetizzata “in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce“;
- su altro versante, l’accertamento della condizione di “utilizzazione” nell’ambito di un rapporto tra soggetti entrambi (o tutti) minori richiede il confronto con un contesto necessariamente più fluido, fatto di rapporti più difficilmente inquadrabili, le riprese o le registrazioni potendo in simili casi essere determinate da motivazioni diverse rispetto a quelle rinvenibili nel rapporto adulto-minore, quali l’esibizionismo, la vanteria, o altro; stante l’età ravvicinata di tutti i protagonisti (tutti minori) manca peraltro una figura di riferimento che sia per definizione “prevalente” rispetto alle altre; questo è il motivo per il quale l’art. 609 quater c.p., comma 3 – fatti salvi i soli casi di violenza – esclude la punibilità del minore che compia atti sessuali con altro minorenne che abbia raggiunto i tredici anni – e che, dunque, non abbia nemmeno l’età per prestare il consenso sessuale – alla sola condizione che la differenza di età tra i minori non sia superiore ai tre anni;
- l’eventuale (valido) consenso del minore all’atto sessuale non include di per sé anche quello alla registrazione dell’attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica, attività che – pure riconducibile all’autonomia sessuale del minore – rappresenta un quid pluris rispetto all’atto sessuale; si rende dunque necessario che il minore esprima il proprio (valido) consenso anche in relazione alla ulteriore attività di ripresa delle immagini, considerando come tale aggiuntiva richiesta potrebbe trovarvi resistenze determinate, ad esempio, dal timore che il materiale realizzato possa essere successivamente diffuso, da remore di ordine morale o di altra natura; fino a quando non si sia proceduto alle riprese dunque, il minore rimane libero di revocare l’iniziale consenso e, se l’adulto prosegue nell’attività di ripresa o di registrazione nonostante la revoca da parte del minore dell’iniziale consenso, ricorre senz’altro per le SSUU la condizione di “utilizzazione” di quest’ultimo;
- il consenso del minore deve poi necessariamente avere riguardo anche alla successiva conservazione delle immagini da parte di chi le ha realizzate nell’ambito della relazione o del rapporto, dovendo essere richiamate in proposito anche tutte le molteplici disposizioni sulla tutela dei dati personali, in specie dei minori; anche a prescindere dalla autonoma rilevanza penale che la conservazione delle immagini senza il consenso del minore può assumere in relazione alla violazione del Codice in materia di protezione dei dati personali, il mancato accordo del minore alla conservazione delle immagini specificamente incide ancora una volta sulla valutazione in ordine alla “utilizzazione” del medesimo, dacché il disaccordo del minore sulla conservazione dei dati inficia anche l’eventuale, iniziale consenso di quest’ultimo alle riprese, in quanto concordate sulla base di premesse diverse in ordine ad un aspetto importante, essendo insito nella conservazione delle immagini il rischio di una loro successiva diffusione; si rende anche per questo aspetto (conservazione immagini) necessario assicurare che l’eventuale consenso del minore sia stato effettivamente consapevole e libero, scevro, cioè, da influenze da parte dell’adulto derivanti da abuso o approfittamento delle condizioni del minore stesso, dacché al principio “volenti non fit iniuria” va contrapposta, l’ispirazione pubblicistica della norma penale, indice della risonanza collettiva dell’interesse alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore;
- si ha dunque “utilizzazione“ del minore allorquando – all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore – si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso;
- quanto al materiale pedopornografico “autoprodotto” e alla c.d. “pornografia domestica”, presupposto necessario di quest’ultima è che il materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto, non potendo dunque mai essere posto in circolazione; se tale ultima condizione si avvera, il minore, ancorché non “utilizzato” nella fase iniziale, deve essere ritenuto strumentalizzato successivamente, e, cioè, nella fase di cessione o diffusione delle immagini; il materiale realizzato, se posto in circolazione, deve essere ritenuto – indipendentemente dal momento della realizzazione e da chi ne procuri la diffusione – prodotto attraverso la “utilizzazione” del minore; le SSUU distinguono allora le diverse ipotesi: r1) se la circuitazione del materiale abusivamente prodotto è contestuale o, comunque, anche se successiva, sin dall’inizio voluta da chi lo ha realizzato, ricorre senz’altro la fattispecie dell’art. 600 ter c.p., comma 1; r.2) se, invece, la circolazione del materiale è frutto di successiva determinazione di chi lo ha creato, trovano applicazione i comma seguenti dell’art. 600 ter c.p., in questo caso dovendosi assumere escluso che possa rivivere la disposizione del comma 1 (si tratterebbe difatti, inammissibilmente, di restituire tipicità ad una condotta che tipica non era al momento della realizzazione del materiale);
- l’art. 600 ter c.p. (pornografia minorile) – più a monte – va difatti letto come articolato su una pluralità di fattispecie incriminatrici indipendenti l’una dall’altra ed ordinate secondo una scala di disvalore: l’incriminazione di una condotta è subordinata alla circostanza che essa non integri già di per sé reato in base alle fattispecie previste nei comma precedenti (meccanismo che regola anche la norma di “chiusura” dell’art. 600 quater c.p. rispetto all’intero art. 600 ter c.p.); la circostanza che colui che realizza il materiale non debba rispondere del reato del comma 1, poiché la condizione di “utilizzazione” del minore si è solo successivamente realizzata, reca seco l’imputazione di responsabilità per i comma successivi; la finalità di fondo del sistema articolato sugli artt. 600 ter e 600 quater c.p. è infatti per le SSUU quella di perseguire la tutela del minore attraverso un meccanismo che condensa l’intero spettro delle condotte punibili, che vanno dalla produzione alla detenzione del materiale realizzato, senza vuoti di tutela, siccome basato su un meccanismo di assorbimento delle ipotesi meno gravi in quelle di maggiore gravità; la responsabilità dell’adulto per la successiva (e non originaria) diffusione del materiale resta dunque esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo nel caso egli dimostri di avere adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non aver potuto impedirla; se poi la circolazione del materiale realizzato sia imputabile all’iniziativa esclusiva del minore, la responsabilità della circolazione incombe su quest’ultimo, dacché l’art. 600 ter c.p., per tutte le ipotesi regolate ai comma 3 e 4, fa indistintamente riferimento, infatti, a “chiunque” e non consente di operare distinzioni tra minore ed adulto (rimanendo ovviamente esclusa la diffusione strumentale a denunce ovvero comunque alla tutela dei diritti del minore);
- né rileva che la richiesta di divulgazione del materiale provenga o sia comunque assentita dal minore, quest’ultimo non potendo mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato; ciò in quanto si tratta di soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute negative della mercificazione del proprio corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche, anche in considerazione del fatto che la circolazione stessa potrebbe essere ritardata nel tempo rispetto al momento della realizzazione delle immagini o dei video, dovendo essere in più considerato che – come si rileva dalla formulazione dell’art. 600 ter c.p., comma 3, – l’interesse tutelato non è unicamente individuale e, cioè, circoscritto ai soli minori materialmente “utilizzati”, rilevando anche quello collettivo e, cioè, di tutti i minori, anche non direttamente coinvolti; attraverso l’art. 600 ter c.p., il legislatore ha inteso evidentemente scongiurare, per le SSUU 2022, che i minori siano ridotti a mero strumento di soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione; la conclusione è dunque che la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600 ter c.p., commi 3 e 4, e che il minore non può prestarvi consenso;
- rispetto a quanto sin qui detto, resta fermo che – in forza, da un lato, del combinato disposto degli articoli 59, comma 2, e 60, comma 3 c.p. e dall’altro, in tema di error aetatis, della formulazione finale degli articoli 600 ter c.p. (delitti contro la personalità individuale) e 609 sexies c.p. (delitti contro la libertà personale) – il principio di colpevolezza di cui all’art.27, comma 1, Cost. impone in ogni caso di “rimproverare” al soggetto agente, quanto meno a titolo di colpa-evitabilità, il ridetto errore sull’età della vittima (ad esempio, assunta maggiorenne mentre in realtà è minorenne), tanto poi che tale età compendi un elemento costitutivo quanto che compendi una circostanza aggravante della pertinente fattispecie criminosa.