Tar Puglia, Lecce, Sezione I, ordinanza 11 maggio 2022 n.743
QUESTIONI RIMESSE
Vanno rimesse alla Corte di Giustizia UE le seguenti questioni:
1) Se la direttiva 2006/123 risulti valida e vincolante per gli Stati membri o se invece risulti invalida in quanto – trattandosi di direttiva di armonizzazione – adottata solo a maggioranza invece che all’unanimità, in violazione dell’art 115 T.F.U.E.
2) Se la direttiva 2006/123 c.d. Bolkestein presenti o meno oggettivamente ed astrattamente i requisiti minimi di sufficiente dettaglio della normativa e di conseguente assenza di spazi discrezionali per il legislatore nazionale tali da potersi ritenere la stessa auto-esecutiva e immediatamente applicabile;
3) qualora ritenuta la direttiva 2006/123 non self-executing, se risulti compatibile con i principi di certezza del diritto l’effetto di mera esclusione o di disapplicazione meramente ostativa della legge nazionale anche nell’ipotesi in cui non risulti possibile per il giudice nazionale il ricorso all’interpretazione conforme ovvero se invece, in siffatta ipotesi, non debba o possa trovare applicazione la legge nazionale, ferme restando le specifiche sanzioni previste dall’ordinamento unionale per l’inadempimento dello stato nazionale rispetto agli obblighi derivanti dalla adesione al trattato (art. 49), ovvero derivanti dalla mancata attuazione della direttiva (procedura di infrazione);
4) se l’efficacia diretta dell’art. 12, paragrafi 1,2,3 della Direttiva 2006/123 equivalga al riconoscimento della natura self-executing o immediata applicabilità della direttiva medesima ovvero se, nell’ambito di una direttiva di armonizzazione quale quella in esame (“si deve ritenere che gli artt. da 9 a 13 della direttiva provvedano ad una armonizzazione esaustiva …” ex sentenza c.d. Promoimpresa), debba intendersi come prescrizione per lo stato nazionale di adottare misure di armonizzazione non generiche, ma vincolate nel loro contenuto;
5) se la qualificazione di una direttiva come auto-esecutiva o meno e, nel primo caso, la disapplicazione meramente ostativa della legge nazionale possa o debba ritenersi di esclusiva competenza del giudice nazionale (al quale sono all’uopo attribuiti specifici strumenti di supporto interpretativo quali il ricorso al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ovvero al giudizio di legittimità costituzionale) ovvero anche del singolo funzionario o dirigente di un comune;
6) qualora invece ritenuta la direttiva 2006/123 self-executing, premesso che l’art. 49 TFUE risulta ostativo alla proroga automatica delle concessioni-autorizzazioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo solo “nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”, se la sussistenza di tale requisito costituisca o meno un presupposto necessario anche con riferimento all’applicazione dell’art. 12 paragrafi 1 e 2 della direttiva Bolkestein;
7) se risulti coerente rispetto ai fini perseguiti dalla direttiva 2006/123 e dallo stesso art. 49 TFUE una statuizione da parte del giudice nazionale relativa alla sussistenza, in via generale ed astratta, del requisito dell’interesse transfrontaliero certo riferito tout-court all’intero territorio nazionale ovvero se, viceversa, stante in Italia la competenza dei singoli comuni, tale valutazione non debba intendersi riferita al territorio costiero di ciascun comune e, quindi, riservata alla competenza comunale;
8) se risulti coerente rispetto ai fini perseguiti dalla direttiva 2006/123 e dallo stesso art. 49 TFUE una statuizione da parte del giudice nazionale relativa alla sussistenza, in via generale ed astratta, del requisito della limitatezza delle risorse e delle concessioni disponibili riferito tout-court all’intero territorio nazionale ovvero se, viceversa, stante in Italia la competenza dei singoli comuni, tale valutazione non debba intendersi riferita al territorio costiero di ciascun comune e, quindi, riservata alla competenza comunale;
9) qualora in astratto ritenuta la direttiva 2006/123 self-executing, se tale immediata applicabilità possa ritenersi sussistere anche in concreto in un contesto normativo – come quello italiano – nel quale vige l’art. 49 Codice della Navigazione (che prevede che all’atto di cessazione della concessione “tutte le opere non amovibili restano acquisite allo Stato senza alcun compenso o rimborso”) e se tale conseguenza della ritenuta natura self-executing o immediata applicabilità della direttiva in questione (in particolare con riferimento a strutture in muratura debitamente autorizzate ovvero a concessioni demaniali funzionalmente collegate ad attività turistico ricettiva, come hotel o villaggio) risulti compatibile con la tutela di diritti fondamentali, come il diritto di proprietà, riconosciuti come meritevoli di tutela privilegiata nell’Ordinamento dell’U.E. e nella Carta dei Diritti Fondamentali.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
II-IL CONTESTO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
La normativa nazionale in tema di concessioni demaniali marittime ha subito nel corso degli anni rilevanti modifiche, in relazione alle esigenze di adeguamento della legislazione interna ai principi espressi dalla normativa euro-unionale.
Il Codice della Navigazione (approvato con Regio Decreto del 30 marzo 1942 n. 327) prevedeva l’esperimento di un procedimento finalizzato alla valutazione comparativa tra gli aspiranti solo in via eventuale, ovvero nell’ipotesi di più domande di rilascio di concessione sul medesimo bene demaniale (art. 37). Il medesimo articolo, al secondo comma, contemplava tuttavia in tal caso la preferenza in favore del soggetto già titolare della concessione (c.d. diritto di insistenza).
Con decreto legge n. 400 del 1993 è stato previsto il rinnovo automatico delle concessioni in essere di sei anni in sei anni e con legge 296/2006 è stato fissato il termine massimo di durata della concessione demaniale in anni venti.
In siffatto contesto è intervenuta la direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein) che all’articolo 12 ha previsto:
“1. qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi di interesse generale conformi al diritto.”
Peraltro l’articolo 49 del TFUE fa espresso divieto a tutti gli stati membri di prevedere restrizioni o limitazioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di altro stato dell’Unione, ai quali deve quindi essere garantito “l’ accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini…”.
A seguito dell’avvio della procedura di infrazione n. 2008/4908, lo Stato italiano, nelle more di una preannunciata riforma del settore delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative, con l’art. 1 c. 18 del DL 194/2009, convertito con modificazioni con Legge 26.2.2010 n. 25, ha abrogato l’art. 37 secondo comma del Codice della Navigazione (relativo al cd. diritto di insistenza del concessionario); l’art. 1 co. 18 del citato D.L. ha disposto altresì una proroga delle concessioni in essere fino al 31 dicembre 2012, termine differito fino al 31 dicembre 2015 con la legge di conversione n. 25/2010.
A seguito della legge di delega n. 88/2009 (art. 41), è intervenuto il decreto legislativo 26.3.2010 n. 59, di formale recepimento della direttiva 2006/123.
La Commissione Europea, pur formulando ulteriori rilievi alla succitata normativa, ne ha preso atto e ha disposto l’archiviazione della procedura di infrazione n.2008/4908, ritenendo congruo il termine di proroga di sei anni per l’approvazione di una normativa di riordino del settore e di attuazione della direttiva Bolkestein.
L’articolo 34-duodecies del D.L. 18.10.2012 n. 179, introdotto dalla legge di conversione 17.12.2012 n. 221 ha ulteriormente previsto proroga delle concessioni demaniali marittime dal 31.12.2015 al 31.12.2020.
La normativa nazionale suindicata è stata ritenuta non compatibile con l’ordinamento dell’Unione Europea dalla Corte di Giustizia (decisione 14 luglio 2016 pronunciata sulla causa C-458/14, c.d. Promoimpresa).
Lo Stato italiano, al fine di evitare le conseguenze connesse alla probabile apertura di una nuova procedura di infrazione, con l’art. 24 c. 3 –septies del D.L. 113/2016 convertito con legge 160/2016 ha previsto – in via interinale e “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea” – una ulteriore proroga dei rapporti concessori in essere.
La nuova normativa volta a garantire compatibilità con l’ordinamento unionale non è tuttavia mai intervenuta e, approssimandosi la scadenza del 31 dicembre 2020, con l’art. 1 commi 682 e 683 della Legge 145/2018 ha disposto ulteriore proroga delle concessioni demaniali in vigore fino al 31 dicembre 2033.
Con la citata Legge 145/2018 (articolo 1 commi da 675 a 677) sono stati previsti i termini per l’espletamento di una serie di attività preliminari funzionalmente necessarie alla definizione della auspicata riforma della normativa di settore, quali la ricognizione e la mappatura del litorale e il censimento delle concessioni demaniali in essere, le diverse tipologie delle strutture esistenti sul demanio, la ricognizione degli investimenti effettuati e dei tempi di ammortamento, dei canoni, nonché infine la valutazione del rating d’impresa, la modifica delle norme del codice della navigazione, i criteri e le regole di aggiudicazione nonché i requisiti soggettivi e la durata delle concessioni.
Il regime di proroga ulteriore introdotto con la Legge Finanziaria 2019 ed avente durata di 13 anni a decorrere dal 31 dicembre 2020, in assenza della approvazione della normativa di riordino della materia, integrando evidente violazione delle prescrizioni contenute nella direttiva servizi ove applicabile e, comunque, dello stesso art. 49 del Trattato, ha determinato uno stato di assoluta incertezza per gli operatori e per le pubbliche amministrazioni, anche in ragione della elevata probabilità di avvio di ulteriore procedure di infrazione.
III-GLI EFFETTI SULL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Occorre premettere che nell’ordinamento italiano la competenza in materia di concessioni sul demanio, originariamente in capo allo Stato, in virtù di due successivi decreti legislativi, è stata oggetto dapprima di delega alle Regioni e, successivamente, di sub-delega ai Comuni.
Deve in proposito osservarsi che il presupposto stesso della ritenuta attrazione delle concessioni demaniali marittime nell’ambito della direttiva servizi è costituito proprio dalla esigenza di assicurare il rispetto dei principi di concorrenza e di libero accesso al mercato.
La materia della concorrenza è tuttavia riservata in via esclusiva allo Stato ex art. 117 Costituzione, come costantemente statuito dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato in più occasioni l’illegittimità costituzionale delle varie leggi regionali dispositive di proroghe automatiche delle concessioni in essere, proprio ed esclusivamente sotto tale profilo (come si evince facilmente dalla mera lettura della parte motiva e del dispositivo).
Sebbene l’attuazione della direttiva in materia di concorrenza non sembri rientrare nell’ambito delle ordinarie competenze relative alla gestione delle concessioni demaniali marittime, oggetto della sub-delega ai comuni, l’azione amministrativa in materia di attuazione della direttiva Bolkestein nel settore delle concessioni demaniali marittime si è concretamente attuata nel sistema italiano attraverso la competenza dei singoli comuni.
La riconosciuta e radicata competenza dei comuni e, per essi, dei singoli dirigenti di settore non avrebbe tuttavia integrato profili di criticità qualora lo Stato Italiano avesse provveduto ad approvare una specifica normativa di effettiva attuazione della direttiva Bolkestein, idonea a garantirne effettiva ed uniforme applicazione sull’intero territorio nazionale.
Viceversa, come sopra già evidenziato, lo Stato Italiano ha approvato norme (tra cui il D.L. 194/2009, convertito con Legge 26/2/2010 n.25) recanti recepimento solo formale della direttiva e dichiarazioni di massima sostanzialmente ripetitive dei principi generali espressi dall’atto unionale, rinviando – per la concreta disciplina di attuazione – ad ulteriori atti normativi invece mai intervenuti (avendo evidentemente lo Stato Italiano perseguito unicamente l’intento di paralizzare la procedura di infrazione n.2008/4908, nel frattempo avviata).
In definitiva, la normativa di secondo livello non è mai infatti intervenuta e, per contro, il termine di proroga delle concessioni in essere, originariamente fissato al 31/12/2015, è stato quindi ulteriormente differito dapprima al 31/12/2020 e, successivamente, al 31/12/2033 (Legge 145/2018).
In assenza di una effettiva legge di attuazione della direttiva e di una regolazione della materia con norme vincolanti ed efficaci sull’intero territorio nazionale, la competenza dei singoli dirigenti comunali ha intanto determinato uno stato di caos e di assoluta incertezza del diritto, con gravi ricadute negative sull’economia dell’intero settore, un settore strategico per l’economia nazionale.
Così, ad esempio, alcuni comuni hanno applicato la legge nazionale e concesso la proroga fino al 31 dicembre 2033, altri hanno espresso diniego disapplicando la norma nazionale (senza tuttavia applicare quella unionale), altri ancora, dopo aver accordato la proroga, ne hanno disposto l’annullamento in autotutela, altri infine sono rimasti semplicemente inerti rispetto alle istanze di proroga avanzate dai concessionari.
IV-PREMESSE DI ORDINE GENERALE: GERARCHIA DELLE FONTI E DIRETTIVE SELF-EXECUTING
Il sistema di integrazione e di omogeneizzazione degli Stati nel contesto dell’Unione Europea è in una fase intermedia e probabilmente di transizione, caratterizzata spesso da incertezze e da latenti conflittualità tra ordinamento unionale e ordinamenti nazionali.
Nel caso di conflitto tra due norme, una nazionale ed una unionale, se entrambe idonee a disciplinare la medesima fattispecie, l’interprete non può che fare riferimento alla scala di gerarchia delle fonti del diritto nell’ambito dell’ordinamento giuridico così come etero-integrato dalla normativa dell’Unione europea.
La scala di gerarchia delle fonti del diritto vede al primo posto la Costituzione e le leggi costituzionali, seguite nell’ordine dalle norme unionali immediatamente efficaci ed applicabili (come i Regolamenti), dalle leggi nazionali ordinarie, dalle Direttive U.E., dai regolamenti nazionali, ecc. Ciò costituisce per l’interprete una assoluta priorità logica per la soluzione della questione proposta.
Occorre in particolare stabilire l’esatta collocazione delle direttive (autoesecutive e non) all’interno del sistema di gerarchia delle fonti.
Secondo i principi generali, applicativi delle norme del trattato, a differenza di quanto previsto per i regolamenti U.E. (aventi diretta ed immediata efficacia vincolante ai sensi dell’articolo 298 co. 2 T.F.U.E.), le direttive infatti richiedono il recepimento nell’ordinamento interno a mezzo di apposita legge nazionale (art. 288 T.F.U.E.), in quanto obbligano lo Stato al conseguimento di un determinato risultato, lasciando tuttavia allo Stato medesimo di determinare autonomamente e liberamente gli strumenti e le norme necessari per il raggiungimento del fine prestabilito, prevedendo all’uopo un congruo termine per l’adeguamento e per il conseguimento degli obiettivi (l’art. 291 TFUE prevede: “gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l’attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione Europea”).
La direttiva, in quanto non immediatamente e direttamente applicabile nello Stato interno, si colloca pertanto in posizione sotto-ordinata rispetto alla legge nazionale, mentre la direttiva – se self-executing (cioè immediatamente applicabile) – pur avendo natura e forza di legge ordinaria, si colloca tuttavia (al pari dei Regolamenti U.E.) al di sopra della legge nazionale, in quanto norma rafforzata, nel senso che la legge ordinaria non può modificarne o derogarne il contenuto.
La direttiva auto-esecutiva, decorso il termine di moratoria concesso allo Stato nazionale per l’adeguamento – limitatamente a quelle statuizioni che risultino compiutamente definite e che non richiedano esercizio di alcuna discrezionalità da parte del legislatore nazionale (CGUE 25.5.93 causa 193/91) – trova immediata e diretta applicazione pur in assenza di una normativa nazionale di recepimento (ancorché limitatamente all’efficacia solo verticale ascendente).
Una direttiva può ritenersi auto-esecutiva solo in presenza di due necessari presupposti: 1) disposizioni specifiche e dettagliate tali da non lasciar residuare alcuna discrezionalità allo Stato membro, risultando in tal modo la direttiva tecnicamente idonea a regolare in via diretta e automatica i rapporti tra pubblica amministrazione e privato, sia pure entro i limiti sopra evidenziati; 2) l’inutile decorso del termine di moratoria concesso allo Stato membro per recepire ed attuare la direttiva, con il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Prima di valutare se la direttiva Bolkestein possa definirsi o meno auto-esecutiva, occorre anzitutto chiedersi se la predetta direttiva risulti o meno applicabile alle concessioni demaniali marittime, in quanto l’eventuale inapplicabilità della direttiva servizi alle concessioni demaniali renderebbe chiaramente inammissibile la presente ordinanza di rinvio pregiudiziale per irrilevanza ai fini del decidere dei quesiti proposti.
Sotto tale profilo appare dirimente il chiaro riferimento in proposito contenuto nella nota sentenza della CGUE del 14 luglio 2016 c.d. “Promoimpresa”
V-DIRETTIVA BOLKESTEIN E CONCESSIONI-AUTORIZZAZIONI DEMANIALI MARITTIME. LA SENTENZA c.d. PROMOIMPRESA DEL 14 LUGLIO 2016
Con riferimento alla preliminare questione della applicabilità o meno della direttiva servizi alle concessioni demaniali marittime, la Corte, dopo aver premesso che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, ha testualmente affermato: “non spetta alla Corte, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dall’articolo 267 TFUE, rimettere in questione o verificare l’esattezza dell’interpretazione del diritto nazionale operata dal giudice del rinvio, poiché detta interpretazione rientra nella competenza esclusiva di quest’ultimo. Perciò la Corte, quando è adita per via pregiudiziale da un giudice nazionale, deve attenersi all’interpretazione del diritto nazionale che le è stata esposta da detto giudice.”
La Corte premette:
– che l’articolo 12 della direttiva 2006/123 riguarda la specifica ipotesi in cui l’accesso ad una determinata attività sia soggetto a regime di autorizzazione nel caso in cui il numero di autorizzazioni a tal fine disponibili risulti limitato in ragione della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili;
-che, ai sensi dell’articolo 4.6 della direttiva, deve intendersi come regime di autorizzazione qualsiasi procedura che obblighi un soggetto privato a richiedere ed ottenere da una autorità amministrativa una decisione o un titolo per poter esercitare o accedere ad una attività;
-che, ai sensi del considerando n. 39 della direttiva, la nozione di regime di autorizzazione deve intendersi includere le procedure amministrative volte al rilascio di concessioni, in quanto queste ultime qualificabili come autorizzazioni indipendentemente dalla loro qualificazione nel diritto nazionale.
Quanto sopra premesso, la Corte ha precisato che la valutazione relativa alla circostanza se le concessioni in questione debbano considerarsi come di numero limitato per via della scarsità delle risorse naturali spetta esclusivamente al giudice nazionale e che sotto tale profilo deve essere considerato il fatto che le concessioni demaniali in questione nello stato italiano siano rilasciate a livello non nazionale, bensì comunale, dovendo evidentemente costituire, l’ambito di territorio costiero di competenza dello specifico comune, il parametro di riferimento quanto alla valutazione della scarsità delle risorse e del numero limitato di autorizzazioni-concessioni disponibili.
La Corte quindi, dopo aver chiarito il diverso ambito di applicazione della direttiva 2006/123 (art. 12) rispetto alla direttiva 2014/23, che attiene specificamente alle concessioni–autorizzazioni di servizi pubblici, statuisce testualmente: “Nell’ipotesi in cui le concessioni di cui ai procedimenti principali (cfr. concessioni demaniali lacuali, marittimi) rientrassero nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 della direttiva 2006/123 – circostanza che spetta al giudice del rinvio determinare, come risulta dal punto 43 della presente sentenza – occorre rilevare che, secondo il paragrafo 1 di tale disposizione, il rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, una adeguata pubblicità.”
Anche sulla base di quanto statuito sul punto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato (Sent. A.P. 17 e18 del 2021), ritiene il Collegio l’applicabilità dell’articolo 12 della direttiva in questione alle concessioni demaniali marittime, oggetto del ricorso principale.
Proprio tale ragione rende anzi evidente la rilevanza ai fini del decidere sul procedimento principale della presente ordinanza di rinvio pregiudiziale per i particolari quesiti così come di seguito specificati.
La Corte di Giustizia nella sentenza Promoimpresa ha così statuito “l’art. 12, paragrafi 1 e 2. della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come di quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsivoglia procedura di selezione tra i potenziali candidati; l’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che preveda una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.
Tale pronuncia costituisce all’evidenza tipica espressione di esercizio della funzione di interpretazione autentica della direttiva con effetto vincolante per il giudice dello stato nazionale di ogni ordine e grado, atteso che le sentenze della Corte di Giustizia, pur se non sussumibili tra le fonti del diritto in senso tecnico, costituiscono fonti di integrazione del diritto unionale.
Rileva tuttavia il Collegio che gli effetti del rilevato contrasto della normativa nazionale di proroga automatica delle concessioni demaniali sono nei due casi ben diversi.
L’art. 49 T.F.U.E. (ex art. 43 T.C.E.) costituisce infatti una norma di carattere generale che sancisce l’obbligo degli stati membri di rispettare i valori di cui all’art. 2 T.F.U.E. e, quindi, ad esempio, di assicurare nell’ambito del proprio territorio la libertà di stabilimento e la par condicio tra cittadini dello stato medesimo e cittadini degli altri stati dell’Unione Europea.
Appare invece problematico il rilevato contrasto della normativa nazionale con l’art. 12 della Direttiva Bolkestein nell’ipotesi in cui la stessa si ritenga auto-esecutiva e di immediata applicabilità, per quanto di seguito si dirà.
VI- NATURA SELF-EXECUTING O MENO DELLA DIRETTIVA BOLKESTEIN NELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ITALIANA: LA GIURISPRUDENZA T.A.R. PUGLIA LECCE E LE SENTENZE C.D.S. ADUNANZA PLENARIA 17 E 18 DEL 2021
Premesso il chiaro conflitto delle leggi nazionali dispositive di proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime con la direttiva 2006/123 (articolo 12), oltre che con l’articolo 49 del Trattato, occorre a questo punto stabilire se la direttiva Bolkestein possa o meno ritenersi auto-esecutiva e quindi di immediata e diretta applicabilità, secondo gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa italiana e, soprattutto, della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Occorre muovere in proposito dalla espressa statuizione in tal senso contenuta nelle citate sentenze gemelle del C.d.S. Ad. Plen. 17 e 18 del 2021, nelle quali si afferma il carattere auto-esecutivo della direttiva con la seguente motivazione: “perché tale carattere è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia nella sentenza Promoimpresa (C–174/06), oltre che da una copiosa giurisprudenza nazionale che ad essa ha fatto seguito”.
Tale assunto non è condiviso dal Collegio sotto duplice profilo:
1)Sotto il primo profilo deve rilevarsi che, viceversa, nella giurisprudenza nazionale il tema dell’auto-esecutività della direttiva 2006/123 non è mai stato affrontato specificamente, atteso che nelle varie pronunce dei giudici amministrativi nazionali la natura auto-esecutiva o meno della direttiva è stata data per scontata sia in senso affermativo, sia in senso negativo, in assenza comunque di alcuno specifico approfondimento.
Ed invero, accanto a pronunce che hanno semplicemente dato per scontata e presupposta la natura auto-esecutiva, ricorrono altre sentenze di segno diametralmente opposto, così ad esempio in Consiglio di Stato sentenza Sez. VI 27.12.2012 n. 6682: “la richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, previa diretta disapplicazione dell’art. 1 comma 18 del DL 194/2009, come convertito in legge 25/2010 (ovvero sia pure implicitamente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia) per incompatibilità di tale disposizione con le norme ed i principi del diritto comunitario, non può trovare accoglimento sia perché la procedura di infrazione è stata archiviata,…ma soprattutto perché la direttiva 123/06/CE che integra i principi di diritto comunitario non è di diretta applicazione” (CDS VI n. 6682/2012).
2)Sotto ulteriore profilo rileva il Collegio che l’affermazione circa la natura auto-esecutiva della direttiva servizi non sembra contenuta nella sentenza Promoimpresa, nella quale si legge che “gli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123 prevedono una serie di disposizioni che devono essere rispettate dallo Stato membro qualora l’attività di servizio sia subordinata al rilascio di un’autorizzazione” e che: “si deve ritenere che gli articoli da 9 a 13 della direttiva provvedano ad una armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel loro campo di applicazione”.
Appare anzitutto non condivisibile la tesi che ritiene di circoscrivere la natura self-executing al solo disposto di cui all’articolo 12 paragrafi 1 e 2, come invece ritenuto dal Consiglio di Stato nelle sentenze Ad. Plen 17 2 18 del 2021 (par. 26), atteso che l’articolo 12, paradossalmente, al paragrafo 3 espressamente prevede che gli Stati membri debbano “stabilire le regole della procedura di selezione”, tenendo conto in tale sede “di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto (dell’Unione Europea)”.
Anche l’art. 12, infatti, nel suo contenuto dispositivo ribadisce ed afferma la necessarietà di una normativa nazionale di attuazione della direttiva 2006/123, in quanto evidentemente quest’ultima non immediatamente e direttamente applicabile; il contrario opinare incorre – ad avviso del Collegio – in una evidente petizione di principio.
Fortunatamente invece una puntuale individuazione delle specifiche necessarie per qualificare o meno una direttiva come auto-esecutiva si rinviene nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che fin dal 1994 nella sentenza sul procedimento C-236/92 del 23.2.1994 ha statuito che la direttiva (nel caso di specie, la n. 75/442/CEE) non risultava né incondizionata né sufficientemente precisa e che pertanto non poteva ritenersi auto-esecutiva. E in particolare la Corte ha così statuito:
-Paragrafo 8:“secondo una costante giurisprudenza (sentenze 19.1.1982 causa 8/81 Becker; 22.6.1989 causa 103/88 Fratelli Costanzo), in tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, sotto il profilo sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, sia che l’abbia recepita in modo inadeguato”;
-Paragrafo 9: “una norma comunitaria è incondizionata se sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni della Comunità o degli Stati membri (sent. 3.4.1968 causa 28/67 Molkerei-Zentrale Westfalen)”;
-Paragrafo 10: “peraltro una norma è sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo ed applicata dal Giudice allorché sancisce un obbligo in termini non equivoci (Sentenza 26.2.1986 causa 152/84 Marshall; sentenza 4.12.1986, causa 71/85 Federatie Nederlandse Vahbeweging)”.
La giurisprudenza del T.A.R. Puglia – Sezione di Lecce (tra le tante, T.A.R. Puglia – Sezione di Lecce 71/2021) ha ritenuto invece di escludere la natura auto-esecutiva della direttiva 2006/123.
In particolare l’orientamento giurisprudenziale espresso da questo T.A.R. Puglia Sezione di Lecce – fermo restando l’evidente inadempimento dello Stato Italiano rispetto agli obblighi derivanti dall’adesione al trattato – ha ritenuto la natura non auto-esecutiva della direttiva 2006/123 e la conseguente impossibilità di immediata applicazione sul territorio nazionale in assenza della previa approvazione di una legge recante specifiche disposizioni attuative, ovvero regole uniformi per l’effettuazione delle gare, relative anche ai requisiti di partecipazione e ai criteri di aggiudicazione, nonché criteri uniformi di determinazione di eventuale “indennizzo” in favore del concessionario uscente.
Questo Tribunale ha ritenuto quindi che, in ossequio ai principi fondamentali di completezza dell’ordinamento giuridico (così come etero integrato dal diritto unionale) e di certezza del diritto, stante la natura non auto-esecutiva della direttiva, dovesse – nelle more – trovare applicazione la normativa nazionale dispositiva della proroga automatica.
Ha ritenuto peraltro che il potere di c.d. disapplicazione in senso assoluto, ovvero il c.d. effetto di mera esclusione, con specifico riferimento alla direttiva ed in assenza di alcuna specifica formale attestazione circa la natura auto-esecutiva della stessa, non potesse ritenersi attribuito – stante la competenza comunale – al singolo dirigente del comune, consentendo la violazione della legge nazionale, sulla base di un proprio soggettivo e personale (quanto opinabile) convincimento della natura auto-esecutiva della direttiva, ritenendo invece tale potere spettare esclusivamente al giudice nazionale, al quale – a tal fine – risultano attribuiti specifici strumenti di supporto interpretativo, quali l’incidente di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale ovvero il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, strumenti dei quali non dispone ovviamente il dirigente comunale.
Siffatto orientamento è stato sconfessato dalle succitate sentenze del C.d.S. Ad. Plenaria 17 e 18 del 2021. Il Consiglio di Stato in particolare – e sinteticamente – ha ritenuto:-l’estraneità della direttiva rispetto alla materia del turismo; -la qualificabilità della direttiva come di liberalizzazione e non di armonizzazione; -la natura auto-esecutiva e l’immediata applicabilità della direttiva Bolkestein; -l’obbligo di disapplicazione della legge nazionale anche ad opera del singolo dirigente di ciascun comune; -in via generale e astratta la sussistenza dell’interesse frontaliero certo, in ragione del particolare pregio dell’intero territorio nazionale costiero; – in via generale e astratta la sussistenza del requisito della scarsità della risorsa naturale e del numero conseguentemente limitato di autorizzazioni-concessioni disponibili con riferimento all’ intero territorio costiero complessivamente considerato.
Peraltro, il Consiglio di Stato – Ad. Plen., nonostante la ritenuta immediata applicabilità della direttiva, ha disposto tuttavia un differimento degli effetti della sentenza (con l’effetto sostanziale di determinare una ulteriore proroga automatica e generalizzata del termine di scadenza del 31/12/2020 delle concessioni demaniali in essere fino al 31.12.2023); e ciò al dichiarato fine di sollecitare un intervento del legislatore, ritenendo evidentemente – se non dichiaratamente necessaria – comunque opportuna la previa approvazione di una normativa nazionale di concreta attuazione della direttiva (con una serie di indicazioni conformative per il legislatore – sostanzialmente equivalenti a quelle già individuate dalla giurisprudenza anche di questo Tribunale – e relative tra l’altro alla predeterminazione di regole uniformi per l’effettuazione delle gare, ai requisiti di partecipazione, ai criteri di aggiudicazione, alle regole per eventuale “indennizzo” in favore del concessionario uscente).
Con riferimento all’orientamento espresso dalle citate sentenze C.d.S. Ad. Plenaria 17 e 18 /2021, il Collegio rileva quanto segue.
Premessa l’applicabilità dell’articolo 12, paragrafi 1, 2 e 3 alle concessioni demaniali marittime, il Collegio condivide la ritenuta estraneità della direttiva Bolkestein alla materia del turismo, in quanto la direttiva attiene all’accesso e all’esercizio di attività imprenditoriale in sé considerata, risultando non significativo che tale attività si svolga in un settore di interesse turistico, materia del turismo, nella quale gli articoli 195 e 352 T.F.U.E. non consentono di adottare direttive di armonizzazione.
Sotto tale profilo il Collegio non condivide l’orientamento espresso dall’Adunanza Plenaria che qualifica la direttiva Bolkestein come di liberalizzazione e non di armonizzazione.
Deve in proposito rilevarsi che siffatta qualificazione sembra in contrasto con l’interpretazione autentica della direttiva così come desumibile dalla stessa sentenza C.G.U.E. cd. Promoimpresa, nella quale, come già sopra evidenziato, al paragrafo 61 si legge: deve ritenersi che “gli articoli da 9 a 13 di questa stessa direttiva provvedano ad una armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel loro campo di azione”.
Nell’ambito di una direttiva di armonizzazione, quale quella in esame, le norme sopra citate mirano infatti a determinare una armonizzazione esaustiva, nel senso che le stesse non si limitano a prescrivere generiche misure di armonizzazione, bensì l’adozione da parte dello Stato membro di disposizioni attuative di contenuto specifico e determinato.
La qualificazione della direttiva Bolkestein come direttiva di armonizzazione trova peraltro supporto nella stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, atteso che nella sentenza C.G.U.E. Grande Sezione del 30 gennaio 2018 sulle cause C-360/15 e C-31/16 (paragrafo 106) si legge: “al fine di attuare un autentico mercato interno dei servizi, l’approccio scelto dal legislatore dell’Unione nella direttiva 2006/123 si basa, come enunciato al suo considerando n. 7, su un quadro giuridico generale, formato da una combinazione di misure diverse destinate a garantire un grado elevato di integrazione giuridica nell’Unione per mezzo, in particolare, di una armonizzazione vertente su precisi aspetti della regolamentazione delle attività di servizio”.
Proprio il chiaro tenore letterale del Considerando n. 7 della direttiva Bolkestein, ad avviso del Collegio, comprova ulteriormente che la Bolkestein è una direttiva di armonizzazione, in quanto il legislatore dell’Unione, proprio muovendo dalla rilevante diversità delle situazioni esistenti all’interno dei vari Stati, ha ritenuto di pervenire alla piena integrazione delle differenti normative solo in via mediata.
In ciò, ad avviso del Collegio, anche l’ulteriore conferma della natura non auto-esecutiva della direttiva Bolkestein, anche in relazione all’oggettivo contenuto dell’articolo 12 che, appunto, prescrive l’adozione di una specifica e determinata normativa nazionale di attuazione, ipotizzandola evidentemente come necessaria e imprescindibile (in tal senso dovendosi intendere il senso dell’efficacia diretta dell’articolo 12).
Premesso quanto sopra ritiene quindi il Collegio non manifestamente infondata non solo la questione interpretativa della direttiva nei termini puntualmente di seguito prospettati, ma anche e preliminarmente necessaria una statuizione della Corte di Giustizia in ordine alla validità o meno della direttiva per violazione dell’articolo 115 T.F.U.E..
VII-DIRETTIVA BOLKESTEIN E ARTICOLO 115 T.F.U.E.
Premesso che la Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E. è competente ad esprimere un giudizio vincolante sia relativamente all’interpretazione del diritto dell’Unione Europea, sia relativamente alla valutazione della legittimità e validità degli atti unionali, rileva il Collegio che la direttiva 2006/123, qualificabile come direttiva di armonizzazione, pur citando nelle premesse la consultazione del Parlamento Europeo e del Comitato Economico e Sociale, risulta tuttavia adottata solo a maggioranza e non all’unanimità, in violazione del citato articolo 115 del Trattato che individua la deliberazione all’unanimità come necessario presupposto e requisito di validità delle direttive di armonizzazione, ovvero di quelle direttive “volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno”.
VIII-LA DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA INTERNA. EFFETTO DI SOSTITUZIONE ED EFFETTO DI ESCLUSIONE
In realtà, a ben considerare, il contrasto tra i diversi orientamenti giurisprudenziali sopra riportati appare riconducibile soprattutto ad un diverso considerare il rapporto tra norma nazionale e norma unionale non immediatamente applicabile, sotto il profilo della c.d. disapplicazione meramente ostativa della norma dello Stato nazionale o effettività di esclusione e della stessa teoria degli effetti diretti.
Appare in proposito opportuno esporre alcune riflessioni del Collegio relative al concetto di “disapplicazione”. Appare quasi superfluo evidenziare che in generale disapplicazione della legge equivale a violazione della legge. Il termine disapplicazione può essere inteso in due modi: in senso assoluto o in senso relativo. La disapplicazione di una legge in senso assoluto integra semplicemente aperta violazione della legge e, come tale, risulta inammissibile sia per il dirigente dell’amministrazione, sia per il giudice. La disapplicazione di una legge in senso relativo, ovvero la disapplicazione di una legge finalizzata all’applicazione di altra legge, risulta invece logicamente inconcepibile ed inconsistente già sul piano terminologico.
Ed invero, premesso che per il principio di completezza dell’ordinamento giuridico ogni fattispecie deve necessariamente trovare una sua disciplina normativa, il momento disapplicativo di una norma risulta in tal caso mero presupposto per l’applicazione di altra norma, pertanto – in tale ipotesi – ciò che dovrebbe venire in rilievo sul piano definitorio – prima che sul piano della logica e del buonsenso – non è tanto la presupposta disapplicazione di una norma, quanto l’applicazione dell’altra norma, quella prevalente e idonea a regolare la fattispecie (applicazione selettiva).
In definitiva, il concetto di disapplicazione in senso relativo risulta perfettamente inutile ed anzi fuorviante, in quanto ciò che viene in rilievo è in definitiva l’applicazione della norma prevalente, da individuarsi attraverso i noti e consolidati canoni ermeneutici deputati a dirimere il concorso di norme, tenuto conto della scala di gerarchia delle fonti del diritto (ex multis T.A.R. Puglia -Sezione di Lecce n. 71/2021).
La tesi, come sopra espressa da questo Tribunale, si inserisce nel più ampio dibattito relativo alla necessarietà o meno di effetti diretti della norma unionale come presupposto per la disapplicazione delle norme nazionali in conflitto, in particolare proprio con specifico riferimento alle direttive.
Il concetto di disapplicazione in senso assoluto della norma nazionale corrisponde all’invocabilità di esclusione (secondo la dottrina francese) e all’effetto di esclusione (secondo la dottrina anglosassone), così come il concetto di applicazione selettiva (o disapplicazione in senso relativo) risulta equivalente al principio di invocabilità di sostituzione o effetto di sostituzione.
In virtù del primato del diritto unionale, il giudice nazionale è tenuto ad applicare la norma unionale che, ove immediatamente applicabile, costituirà l’unico parametro di riferimento in sostituzione della norma nazionale, secondo il rigoroso rispetto della scala di gerarchia delle fonti del diritto.
Viceversa, a differenza dei regolamenti e con specifico riferimento alle direttive, il rapporto tra norma nazionale e direttiva appare più incerto e problematico, atteso che di regola la direttiva non è immediatamente esecutiva ed applicabile, necessitando di una norma interna di attuazione.
- A) Nell’ipotesi di norme unionali auto-esecutive e immediatamente applicabili che siano in contrasto con norme nazionali l’obbligo di realizzare l’applicazione selettiva o l’invocabilità di sostituzione o effetto di sostituzione sussiste sia per il giudice sia per gli organi della pubblica amministrazione, come chiaramente indicato nella sentenza CGUE 22.6.1989 C103/88 “Fratelli Costanzo”, ove si stabilisce che tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, siano tenuti ad applicare le norme unionali auto-esecutive, disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi.
In tal senso devono essere interpretate – ad avviso del Collegio – le statuizioni contenute nella giurisprudenza della Corte di Giustizia nelle quali si afferma che “la primazia del diritto unionale sul diritto interno deve essere assicurata dallo stato membro in tutte le sue articolazioni”, ovvero sul presupposto logico della immediata e diretta applicabilità della norma dell’Unione Europea.
- B) Nell’ipotesi in cui invece la norma unionale non risulti di immediata applicabilità il giudice nazionale, in disparte la possibilità di rinvio pregiudiziale o di questione di costituzionalità, è tenuto ad applicare la norma nazionale, facendo tuttavia ricorso – ove possibile – al principio della c.d. interpretazione conforme, al fine di realizzare sostanzialmente un effetto il più aderente possibile ai principi espressi dalla direttiva e agli obiettivi dalla stessa perseguiti.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha peraltro delineato i limiti di applicazione del principio di interpretazione conforme, in particolare con sentenza Corte di Giustizia – Grande Sezione 15.4.2008 n. 268 C-268/06, statuendo che l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può servire da fondamento ad una interpretazione contra legem del diritto nazionale (CGUE 8.10.1987 causa 80/86; 16.6.2005 causa C 105/03).
Appare rilevante considerare che la Corte di Giustizia, con riferimento al conflitto di norma nazionale con norma unionale non immediatamente applicabile, ha ritenuto di precisare che l’interpretazione conforme non è ammissibile qualora la stessa pregiudichi i principi fondamentali di certezza del diritto e che la stessa non possa comunque giustificare di pervenire ad una interpretazione contra legem del diritto nazionale, dovendosi conseguentemente ritenere tali principi e, in particolare, quello di certezza del diritto come il principio generale e fondamentale dell’ordinamento unionale.
Ad avviso del Collegio il principio di certezza del diritto, che presuppone quello di completezza dell’ordinamento giuridico, costituisce un limite non solo all’obbligo di interpretazione conforme, ma anche un limite ostativo all’effetto di mera esclusione, atteso che la disapplicazione o violazione della legge nazionale – in assenza di una norma unionale sostitutiva idonea a disciplinare la fattispecie e nelle ipotesi in cui non sia possibile il ricorso all’interpretazione conforme – determina un vulnus nell’ordinamento giuridico e una soluzione di continuità nella tutela giurisdizionale.
La teoria degli effetti diretti e lo stesso principio dell’effetto di mera esclusione, ovviamente con esclusivo riferimento al conflitto della norma interna con norma unionale non self-executing, risulta oggetto di particolare attenzione nella stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, così come si evince dalla sentenza sulla causa C- 579/15 Poplawski, con cui è stata esclusa la possibilità di disapplicazione della legge nazionale in conflitto con norma unionale non immediatamente applicabile.
Già con la sentenza sulla causa C322/88 la Corte di Giustizia aveva ritenuto che una norma unionale non sufficientemente chiara, precisa e incondizionata inidonea a determinare un effetto diretto non potesse giustificare, sul mero presupposto del primato del diritto unionale, la disapplicazione della legge nazionale da parte del giudice di uno Stato membro.
Ad avviso del Collegio, in presenza di conflitto con norma unionale non immediatamente applicabile e nell’ipotesi in cui non risulti possibile il ricorso all’interpretazione conforme, la disapplicazione della norma di legge nazionale (l’unica applicabile) non è consentita al giudice nazionale (e, a maggior ragione, al funzionario della pubblica amministrazione), potendo in tal caso il giudice soltanto sollevare questione di costituzionalità innanzi alla Corte Costituzionale, alla quale in via esclusiva compete di determinare l’effetto abrogativo o additivo di una norma di legge. In tale ipotesi l’effetto di mera esclusione va riguardato come meramente facoltativo per il giudice nazionale e non già come automatico e doveroso, ma sempre che la disapplicazione meramente ostativa o effetto di esclusione non comprometta l’esigenza primaria di salvaguardia della certezza del diritto, principio fondamentale ed imprescindibile anche nell’ordinamento dell’U.E.
Premesso che la Corte di Giustizia ha considerato l’esigenza di salvaguardia della certezza del diritto come limite ostativo allo stesso principio dell’interpretazione conforme, escludendo peraltro che quest’ultimo possa spingersi fino ad una interpretazione contra legem del diritto nazionale, deve conseguentemente ritenersi che la certezza del diritto debba intendersi come necessario presupposto logico anche con riferimento all’ipotesi in cui il ricorso all’interpretazione conforme non risulti accessibile per il giudice nazionale per assenza di una normativa di riferimento, come nel caso in esame.
Ed invero la mera disapplicazione della legge nazionale dispositiva della proroga (ad es. L. 145/2018), in applicazione del cosiddetto effetto di mera esclusione (disapplicazione ostativa), risulterebbe – per un verso – contra legem e – per altro verso – determinerebbe uno stato di assoluta incertezza del diritto nella materia in questione.
Nel caso di specie, infatti, la legge nazionale di proroga risulta chiara ed inequivoca nel suo dato letterale (in claris non fit interpretatio), mentre – sotto altro profilo – l’effetto di mera disapplicazione determinerebbe semplicemente un vuoto normativo, tale da impedire il ricorso all’interpretazione conforme proprio in ragione dell’assenza di una specifica normativa di riferimento.
La qualificazione della certezza del diritto come limite ostativo all’interpretazione conforme comporta di conseguenza l’applicazione della legge nazionale, con conseguente negazione in tal caso dell’effetto di mera esclusione.
IX-RILEVANZA DEL RINVIO PREGIUDIZIALE AI FINI DEL DECIDERE
Come sopra esposto, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha impugnato gli atti con i quali il Comune di Ginosa ha preso atto della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa, nonché con i motivi aggiunti le singole proroghe fino al 31 dicembre 2033, sul presupposto di una ritenuta natura self-executing della direttiva Bolkestein (art. 12) e della conseguente e doverosa disapplicazione (ndr: meramente ostativa) della legge nazionale di proroga (L. 145/2018).
La difesa del Comune di Ginosa, dei controinteressati e degli intervenienti ad opponendum rappresenta viceversa in via generale la natura non self-executing della direttiva con conseguente doverosa applicazione della legge nazionale di proroga, sia in ragione della salvaguardia del principio di certezza del diritto, sia in ragione – nello specifico – di fondamentali presupposti necessari per l’applicazione della direttiva Bolkestein, contestando in particolare che possa ravvisarsi nel territorio costiero del Comune di Ginosa il requisito di scarsità della risorsa e conseguentemente, del limitato numero di autorizzazioni-concessioni disponibili, sussistendo numerose ulteriori aree disponibili oltre quelle assentite in concessione ai controinteressati.
Il Comune di Ginosa, i controinteressati e le due associazioni di categoria assumono inoltre il difetto assoluto di prova di un interesse transfrontaliero certo, la cui valutazione presupporrebbe una normativa nazionale di individuazione dei parametri di stima, fondati anche sulla rilevanza economica e sulla redditività delle singole aree, in specie con riferimento alle aree demaniali in cui si svolge attività di stabilimento balneare in forma di piccola impresa familiare; assumono inoltre taluni controinteressati che il diniego generalizzato di proroga correlato alla mera disapplicazione della norma nazionale, in assenza di previsione di alcun indennizzo degli investimenti effettuati e dell’avviamento commerciale (stante l’espresso divieto di corresponsione di indennizzi in favore del concessionario uscente previsto dal vigente Codice della Navigazione) determinerebbe una chiara violazione del diritto di proprietà dell’azienda (intesa come complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività di impresa ex art 2055 Codice Civile), nonché del principio del legittimo affidamento; assumono inoltre che il diniego generalizzato di proroga, connesso alla disapplicazione ostativa della legge nazionale, non consentirebbe di valutare caso per caso i tempi di ammortamento degli investimenti effettuati, nonché – in taluni casi – di specifiche situazioni nelle quali l’area demaniale in concessione risulti funzionalmente collegata con l’esercizio di attività turistico- ricettiva, come hotel o villaggi turistici e – in altri casi – dell’insistenza sul demanio di strutture in muratura realizzate ad opera dei concessionari e a suo tempo debitamente autorizzate.
In tale contesto si inseriscono le recenti pronunce Consiglio di Stato Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021, con cui – come sopra evidenziato – si è ritenuta in via generale ed astratta la sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo, la scarsità delle risorse e quindi il limitato numero di autorizzazioni disponibili, facendo da ciò derivare – quasi come necessaria ed ineluttabile conseguenza – l’effetto di esclusione o disapplicazione meramente ostativa della legge nazionale.
Il Collegio non condivide ovviamente, per la ragioni sopra evidenziate, i presupposti logici, l’argomentare e le conclusioni espressi dalle citate sentenze gemelle, ritenendo necessario avvalersi della facoltà per il giudice nazionale di adire la Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, in ragione dello specifico ed esclusivo ruolo alla stessa attribuito dall’ordinamento euro-unionale con riferimento alla natura di interpretazione autentica delle relative sentenze e del conseguente effetto vincolante per il giudice nazionale di ogni ordine e grado.
Si è già detto dello stato di assoluta incertezza che si è determinato e che risulta destinato ad aggravarsi ulteriormente anche e soprattutto a seguito delle citate sentenze dell’Adunanza Plenaria, con le quali è stato peraltro inibito al legislatore di poter disporre di ulteriore proroga finalizzata all’espletamento delle complesse quanto necessarie attività istruttorie prodromiche all’effettiva attuazione della direttiva e al conseguimento degli obiettivi prestabiliti.
È stato già evidenziato che, stante la competenza comunale, alcuni comuni hanno riconosciuto la proroga ex lege fino al 2033 in applicazione della legge 145/2018, altri comuni hanno negato la proroga in via stratta e generalizzata. Altri ancora hanno riconosciuto la proroga che hanno tuttavia successivamente ritirato in autotutela; ciò sulla base del diverso personale opinare dei singoli dirigenti di settore di ogni comune circa la natura autoesecutiva o meno della direttiva Bolkestein.
Altri comuni (come ad esempio il Comune di Roma) hanno indetto gare per l’affidamento di concessioni demaniali non solo per la durata di un solo anno (termine inadeguato ed inidoneo a garantire l’ammortamento degli investimenti) ma anche ricorrendo alle regole di gara e di aggiudicazione previste per la materia degli appalti, in contrasto con pronunce della giustizia amministrativa che hanno ritenuto nella specie, doversi invece fare riferimento alla procedura di gara prevista dal Codice della Navigazione (procedura non idonea ad attuare la direttiva Bolkestein atteso che non prevede una adeguata forma di pubblicità dell’avviso pubblico e che riserva la valutazione comparativa solo in caso di compresenza di più domande).
Ricorrono peraltro particolari situazioni connesse ai tempi di ammortamento degli investimenti, a strutture in muratura realizzate dal concessionario con regolare titolo edilizio, nonché a concessioni demaniali funzionalmente collegate all’esercizio di attività turistico-ricettiva (hotel, villaggi turistici).
In siffatto contesto lo stato di caos e di assoluta incertezza del diritto, connesso all’effetto di esclusione o disapplicazione meramente ostativa, risulta devastante e non necessita di ulteriore argomentare.
Appare a questo punto necessario e rilevante ai fini del decidere disporre il rinvio in via pregiudiziale al fine di ottenere l’interpretazione autentica del diritto U.E. e, nella specie, della direttiva 2006/123, con effetto vincolante, nonché una preliminare valutazione circa la validità o meno della Direttiva in questione.
Ritiene pertanto il Collegio opportuno ed anzi necessario sospendere il giudizio sul ricorso in esame e trasmettere gli atti alla Eccellentissima Corte di Giustizia dell’Unione Europea in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 II comma T.F.U.E., sottoponendo i quesiti come di seguito indicati in dispositivo.