Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 27 aprile 2022 n. 13145
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’iva, dall’art. 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- Queste sezioni unite sono interpellate per la soluzione della questione evocata dal quarto motivo di ricorso, col quale la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, perché il giudice d’appello non ha applicato il principio del favor rei, escludendo le sanzioni irrogate. Per affrontare questo tema vanno, tuttavia, esaminati i primi tre motivi di ricorso, che pongono quello, logicamente preliminare, che riguarda la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’aliquota agevolata dell’iva.
2.- Di questi motivi, il primo, col quale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., perché il giudice d’appello avrebbe invertito l’onere della prova, addossandolo a lei, e perdipiù ponendo a base della decisione un documento, ossia la perizia redatta dall’Ufficio del territorio, non allegato all’avviso di liquidazione e prodotto soltanto nel corso del giudizio, è infondato; ciò perché l’onere di provare la spettanza del beneficio, che deroga al regime ordinario, spetta a chi intende valersene (tra varie, Cass. n. 11556/16).
2.1.- Il secondo motivo, col quale si denuncia l’omesso esame del fatto decisivo costituito dal mancato rilievo, da parte del giudice d’appello, del fatto che la perizia dell’Agenzia del territorio non era stata allegata all’avviso di liquidazione, è inammissibile, in quanto non si deduce l’omesso esame di un fatto in senso storico-naturalistico.
2.2.- Inammissibile è altresì il terzo motivo di ricorso, col quale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969, perché il richiamo operato al documento dell’Ufficio del territorio non consentirebbe di comprendere quali superfici fossero state inserite nel computo di quella complessiva. Non v’è difatti specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme che regolano la fattispecie o con l’interpretazione che di esse sia stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (tra varie, Cass. n. 16132/05; n. 25419/14; n. 287/16).
3.- A fondamento del quarto motivo, dunque, la contribuente espone che le caratteristiche assunte dal d.m. del 1969 per la qualificazione di immobile di lusso non rilevano più, per effetto della novella introdotta dall’art. 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, in vigore dal 13 dicembre 2014. Con questa norma il legislatore ha modificato il n. 21 della Tabella A, parte II, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e ha per conseguenza rideterminato i criteri per la fruizione del beneficio per l’acquisto della prima casa: sicché il riconoscimento di esso è impedito non già dal fatto che l’immobile sia da qualificare di lusso in base ai parametri stabiliti dal suddetto d.m. (ossia che abbia una superficie superiore ai 240 mq), bensì dalla circostanza che esso rientri nell’ambito delle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, corrispondenti alle abitazioni signorili, a quelle in ville e ai castelli e ai palazzi di eminenti pregi architettonici e storici.
3.1.- Sul piano sistematico, il diritto sopravvenuto rileva anche sul fronte dell’imposta di registro, applicabile in base al principio di alternatività stabilito dall’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (c.d. TUR): in relazione a quest’imposta l’art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, nel modificare l’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, ha stabilito che debba essere assoggettato all’imposta di registro nella misura del 2% il trasferimento che ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione, appunto, di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis al richiamato art. 1 della parte prima della Tariffa.
4.- Per godere del beneficio l’acquirente deve dichiarare la sussistenza delle condizioni fissate dal comma 1 della nota II-bis nell’atto pubblico di acquisto (o anche nel contratto preliminare, in caso di cessioni soggette ad imposta sul valore aggiunto, pur se in riferimento al momento in cui si realizza l’effetto traslativo: comma 2 della medesima nota) di case di abitazione dotate delle caratteristiche oggettive indicate. Si tratta, dunque, come questa Corte ha sottolineato, di un beneficio “a fruizione automatica” (Cass. n. 10656/21, punto 10.8).
4.1.- Comune è la norma sanzionatoria, che si rinviene nel comma 4 della nota II-bis, secondo la quale «In caso di dichiarazione mendace…, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte. Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima…». Ad avviso della contribuente, dunque, il diritto sopravvenuto avrebbe eliso la rilevanza della condotta in precedenza sanzionata, di modo che la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto prenderne atto e disapplicare la sanzione irrogata.
5.- Sull’incidenza del diritto sopravvenuto sul regime sanzionatorio la sezione tributaria di questa Corte ha censito con l’ordinanza interlocutoria un contrasto d’interpretazioni. Da un lato, si afferma che non sussistono più i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni. Le modifiche legislative, benché non abbiano abolito né l’imposizione, né le previsioni sanzionatorie derivanti dalla dichiarazione mendace, si argomenta, hanno comunque cancellato dall’ordinamento l’oggetto della dichiarazione, che costituisce elemento normativo della fattispecie, di modo che si potrebbe verificare che l’agevolazione spetti in base ai nuovi parametri, benché non spettasse secondo quelli vecchi. Il diritto sopravvenuto avrebbe dunque spezzato il collegamento fra la norma sanzionatoria e quella impositiva, caducando il titolo per l’applicazione della sanzione (Cass. n. 13235/16; nn. 2889, 2890, 2893, 2900, 3357, 3358, 3359, 3360, 3361, 3362, 11621, 11624, 11636, 11639/17; n. 2010/18, n. 14964/18; n. 26423/18; nn. 32304 e 32305/18; n. 354/19; n. 2414/19; n. 24343/19; n. 29390/19; n. 30902/19; nn. 31489 e 31490/19; n. 1164/21; n. 10656/21; n. 12392/21; nn. 12467 e 12468/21; n. 30761/21).
5.1.- Sul piano della ricostruzione di sistema, quest’indirizzo oscilla tra la dichiarata applicazione del principio del favor rei (al quale fa pressoché esclusivamente riferimento l’ordinanza che ha inaugurato l’orientamento, ossia Cass. n. 13235/16), stabilito dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, secondo cui «se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo», e l’affermazione dell’inesigibilità delle sanzioni per intervenuta abolitio criminis (cui si riferiscono, evocandola insieme col favor rei, talora declinato come generale favore per il contribuente, le altre pronunce), in base all’art. 3, comma 2, del medesimo decreto, a norma del quale «Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile».
6.- Apparentemente minoritario è, poi, dall’altro lato, l’orientamento (espresso da Cass. nn. 18421/17 e 8148/21), che afferma la persistenza della sanzione, derivante dalla permanenza della norma precetto, posto che l’abitazione acquistata dal contribuente che sia da qualificare di lusso ai sensi dell’art. 6 del d.nn. 2 agosto 1969 non può comunque godere dei benefici «prima casa», poiché la normativa sopravvenuta ancora lo vieta per le abitazioni acquistate in epoca precedente all’entrata in vigore di essa. Questa seconda opzione è soltanto apparentemente minoritaria, perché in realtà s’inserisce nella più vasta elaborazione della sezione tributaria relativa alla portata dell’abolitio criminis. Costante è, difatti, l’affermazione che, qualora da una certa data un’imposta non sia più dovuta, ma lo resti per il periodo precedente, non si verifica alcuna abolitio criminis, la quale richiede la radicale eliminazione del presupposto impositivo. Se, dunque, l’imposta continua a essere dovuta per il periodo antecedente all’intervento normativo che l’ha poi esclusa, per quel periodo sono dovute anche le sanzioni. Si è fatta applicazione del principio, in via d’esempio, a proposito dell’abolizione dell’invim (Cass. nn. 6189/06, 24991/06, 2226/15 e n. 29328/21), in riferimento alla soppressione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini ici con decorrenza dall’anno 2007 (Cass. n. 12936/19), in relazione al subentro di un aspetto della disciplina dell’imu a quella dell’ici (Cass. nn. 8554 e 8555/16). Armonico con quest’indirizzo è altresì quello, consolidato e mai smentito, in base al quale la violazione formale dell’obbligo di separata indicazione, nella dichiarazione annuale dei redditi, delle spese e degli altri componenti negativi inerenti a operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”), quando commessa anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 144, legge n. 208 del 2015, è comunque soggetta alla sanzione amministrativa di cui all’art. 8, comma 3-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, senza che rilevi l’avvenuta abrogazione dei commi da 10 a 12-bis dell’art. 110 del d.P.R. n. 917 del 1986 ad opera della citata I. n. 208, priva di efficacia retroattiva, secondo cui le disposizioni dell’indicato art. 1, commi 142 e 143, si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 (tra varie, Cass. n. 4030/15, n. 15285/15; n. 27613/18; n. 8068/20; n. 9338/20; n. 9723/21; n. 16522/21; n. 24648/21; n. 34278/21; n. 10652/22).
6.1.- A maggior ragione si è esclusa l’abolitio criminis al cospetto della continuità normativa, che comporta la punibilità degli illeciti commessi prima del diritto sopravvenuto, qualora questo abbia soppiantato l’obbligo in precedenza previsto e sanzionato con altro omologo. Sono state dunque ritenute ferme le sanzioni nel caso della successione dell’irap all’ilor (Cass. nn. 8717/03, 25053/06, 21168/08, 17981/12, 16610/15), nonché con riguardo alla modifica degli adempimenti del cedente/prestatore disposta dall’art. 20 del d.lgs. n. 175/2014, che ha modificato l’art. 7, comma 4-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 (Cass. n. 19738/21; n. 202/22).
7.- La soluzione della questione va ricercata applicando i principi che governano il microcosmo del diritto sanzionatorio. La sanzione tributaria postula la violazione e la violazione, a propria volta, implica l’inosservanza, disciplinata dalla legge, di una norma che prevede un obbligo attinente alla materia fiscale: occorre dunque una norma concernente la fattispecie legale astratta, che descrive la condotta rilevante e sintetizza il precetto, e una norma che fissa la disciplina, cioè le conseguenze dell’infrazione del precetto sul piano sanzionatorio (cfr., in termini, Cass. n. 5897/13).
7.1.- Il diritto sanzionatorio ha manifestato vocazione all’autonomia (Cass., sez. un., n. 2145/21): al centro del microcosmo della sanzione v’è l’infrazione, sanzionata con l’inflizione di svantaggi non immediatamente correlati alla soddisfazione dell’interesse pubblico pregiudicato (Corte cost. n. 151/21).
8.- Nel caso in esame il precetto consiste nell’obbligo di rendere la dichiarazione in ordine ai presupposti dell’agevolazione, che dev’essere vera, in ragione della fruizione automatica del beneficio, e l’infrazione consiste nella dichiarazione mendace. A fronte dell’infrazione, la sanzione, come regolata dalla richiamata nota II-bis, è rimasta immutata. Non si discute, dunque, dell’applicazione di un trattamento sanzionatorio mitigato e quindi più favorevole, ma si assume che il trattamento sanzionatorio debba essere escluso, in ragione della sopravvenuta eliminazione dell’oggetto della dichiarazione, dovuta all’espunzione dei criteri stabiliti dal d.m. del 1969. E poiché non rileva la mitigazione del trattamento sanzionatorio, non viene in considerazione il principio del favor rei, il quale postula che, a seguito di una successione di leggi, l’infrazione continui a sussistere, ma è regolata in modo diverso.
8.1.- L’oggetto della dichiarazione riguarda, peraltro, l’antecedente di fatto dell’infrazione: a essere cambiata è la disciplina normativa dell’agevolazione, mediante la modifica del criterio d’individuazione degli immobili che possono fruirne. Ciò che occorre determinare è, allora, se sia configurabile un’abolitio criminis, ossia se l’infrazione sia stata o no abolita in esito alla modificazione della norma riguardante i presupposti oggettivi del riconoscimento del beneficio per l’acquisto della prima casa. Si deve quindi stabilire se l’intervento legislativo posteriore abbia alterato, anche mediatamente, il precetto e, quindi, abbia escluso la figura di infrazione scaturente dalla violazione di esso.
9.- In realtà, nessuna abolitio criminis si è verificata. Indubbio è, anzitutto, che, nel caso in esame, la dichiarazione fosse e sia rimasta mendace. Per affermare che il mendacio, benché sussistente, sia divenuto irrilevante, e non debba essere sanzionato, occorre allora verificare se la dichiarazione che ne è oggetto sia diventata ininfluente ai fini impositivi. Sono di utile applicazione, allo scopo, i principi fissati dalla giurisprudenza penale di questa Corte: l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico, sia pure modellato, qualora incida sulle materie di competenza dell’Unione, dai principi unionali di adeguatezza, proporzionalità ed effettività; e quest’impianto s’impernia sul principio di legalità, del quale la regola dell’abolitio criminis è architrave.
9.1.- Ebbene, la giurisprudenza delle sezioni unite penali, inaugurata dalla sentenza Giordano (n. 25887/03), sviluppata, a proposito delle modifiche mediate, dalla sentenza Magera (n. 2451/08), e ribadita dalle sentenze Niccoli (n. 19601/08) e Rizzoli (n. 24468/09), ha ormai ripudiato, ai fini dell’abolitio criminis, il criterio della doppia punibilità in concreto (conf., tra le più recenti, Cass. pen. n. 3269/19, T.).
10.- È, allora, decettivo l’argomento, su cui fa leva l’orientamento della sezione tributaria favorevole alla sopravvenuta inapplicabilità della sanzione, il quale sottolinea la circostanza che l’agevolazione possa risultare spettante in base ai nuovi parametri, benché non spettasse secondo quelli vecchi: in questo modo si evoca giustappunto la doppia punibilità in concreto, poiché si richiede, per poter lasciar ferma la sanzione, che il fatto, punito in base alla legge anteriore, lo sia anche in base a quella posteriore. Al contrario, se, nonostante la modificazione normativa, l’imposta, per il passato, continua ad essere dovuta, la modificazione segna il passaggio tra due contesti giuridici, con le correlate situazioni di fatto: fare applicazione al primo contesto del trattamento riservato al secondo, sia pure ai soli fini sanzionatori, si traduce in un’inammissibile applicazione della norma nuova a una situazione diversa da quella alla quale essa si riferisce.
10.1.- Che, nel caso in esame, resti dovuta la maggiore imposta pretesa perché l’immobile acquistato col beneficio della prima casa non rispondeva alle caratteristiche dell’immobile di lusso, è stabilito dal legislatore: basti il richiamo al comma 5 dell’art. 10 del d.lgs. n. 23/11, a norma del quale «Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2014». Non ne dubitano, d’altronde, la sezione tributaria con le pronunce che, pure, reputano inapplicabile la sanzione, e la stessa contribuente, la quale riconosce che la modifica normativa non ha abolito l’imposizione, né le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione.
11.- Il mendacio, dunque, oltre che sussistente, resta rilevante. E lo resta perché quel che conta è la fattispecie astratta della dichiarazione mendace, e non l’oggetto di essa, che, in quanto antecedente di fatto, rappresenta un elemento esterno alla struttura della violazione. È difatti con riguardo alla struttura della fattispecie che va condotta l’indagine sugli effetti della successione di norme che hanno regolato quell’elemento, al pari dell’indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali.
11.1.- Hanno chiarito sul punto le sezioni unite penali, con riguardo alla successione di norme extrapenali (si veda, in particolare, Cass. pen. n. 19601/2008, Niccoli, cit., a proposito del mutamento del presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e dei presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, ai fini del giudizio sul reato di bancarotta), che l’atto giuridico richiamato in una fattispecie penale conta per gli effetti giuridici che esso produce e non per i fatti con esso definiti; sicché, se muta, per ius superveniens, la definizione legale dei presupposti di un certo atto, non può dirsi che le norme sopravvenute, che quei presupposti mutino, incidano sulla struttura del reato.
12.- La modifica dell’elemento avrebbe acquistato rilevanza, ai fini dell’abolitio criminis, soltanto se avesse comportato l’eliminazione del mendacio. Il che sarebbe potuto accadere se la norma successiva, che ha diversamente disciplinato l’oggetto della dichiarazione, fosse stata retroattiva: in tal caso la norma non avrebbe soltanto qualificato un elemento di fatto, ma avrebbe mutato l’assetto giuridico della fattispecie astratta.
12.1.- Ed è appunto ciò che la giurisprudenza penale di questa Corte ha ritenuto che sia avvenuto con riguardo alla fattispecie dell’omesso versamento della tassa di soggiorno (Cass. pen., n. 9213/22, Khvostova, in part. punto 4, secondo cui, in virtù dell’art. 5- quinquies del d.l. n. 146/21, aggiunto lin sede di conversione con I. n. 215/21, che ha attribuito con effetto retroattivo la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva, il mancato, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, anche per i fatti antecedenti al 19 maggio 2020, non è più sussumibile nel delitto di peculato, perché è venuta meno retroattivamente la veste giuridica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio).
13.- La sanzione in questione resta dunque dovuta. Essa, d’altronde, risponde ai canoni di adeguatezza, proporzionalità ed effettività in chiave unionale, rilevanti nel caso in esame poiché afferisce all’iva, tributo armonizzato. La sanzione è adeguata, avuto riguardo al suo scopo, che è quello d’indurre i soggetti passivi a regolarizzare il più rapidamente possibile i casi di pagamento insufficiente dell’imposta e, pertanto, di raggiungere l’obiettivo di assicurarne l’esatta riscossione (Corte giust., causa C-935/19, Grupa Warzywna Sp. z o.o., punto 31). Risponde, inoltre, al canone di effettività una sanzione d’importo elevato, perché volta a evitare che lo Stato membro d’imposizione sia privato della possibilità di controllare efficacemente le condizioni di applicazione dell’imposta (Corte giust., grande sezione, causa C-482/18, Google).
13.1.- Il legislatore ha poi tenuto conto del principio di proporzionalità commisurando la gravità del trattamento sanzionatorio all’effettivo pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta tenuta in relazione all’esercizio di un’efficace azione di controllo, soprattutto considerando che si discute di mendacio relativo alie caratteristiche oggettive dell’immobile, delle quali entrambe le parti non possono non essere a conoscenza (si veda ancora Cass. n. 10656/21, cit.).
14.- Il motivo in questione va quindi respinto, con applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’iva, dall’art. 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis“. Il ricorso è rigettato.
14.1.- Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva dell’Agenzia. Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/02.