Corte di Cassazione, II Sezione Civile, ordinanza 11 marzo 2022, n. 7972
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’indennità dovuta dal proprietario del fondo in cui favore è stata costituita la servitù di passaggio coattivo, pur non rappresentando il corrispettivo dell’utilità conseguita dal fondo dominante, costituisce un indennizzo dovuto da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente, sicché, per la sua determinazione, non può aversi riguardo esclusivamente al valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù, dovendosi tenere altresì conto di ogni altro pregiudizio subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione a causa del transito di persone e di veicoli.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Ciò premesso, il collegio ritiene che i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome connessi, attenendo tutti alla contestazione della sentenza di prima grado sulla ravvisata sussistenza delle condizioni per la costituzione coattiva della servitù di passaggio a carico del suo fondo, in ordine alla quale la Corte di appello di Torino ha emesso l’ordinanza di inammissibilità prevista dall’art. 348-bis c.p.c., avendo ritenuto che l’appello sul punto non presentava una ragionevole probabilità di essere accolto.
Essi sono infondati per le ragioni che seguono.
Va osservato che questi motivi si risolvono, in effetti, nella prospettazione di una confutazione delle risultanze probatorie e delle correlate valutazioni di merito compiute conformemente da entrambi i giudici, i quali hanno idoneamente ed adeguatamente, fondato il loro “decisum” sulla sussistenza delle condizioni per la costituzione coattiva della servitù in favore del fondo della Br. sulla base delle univoche emergenze della c.t.u. e, quindi, del riscontro in concreto dello stato dei luoghi e delle condizioni per l’applicazione dell’art. 1051 c.c., sul presupposto, non contestato (come ritenuto dal primo giudice e senza che su tale circostanza la B. abbia frapposto un’idonea contestazione con il formulato gravame, per come si desume anche dai relativi motivi riportati nell’ordinanza di inammissibilità della Corte piemontese), che l’esercizio del passaggio da parte della Br. era necessario per provvedere alla coltivazione del suo fondo.
È, infatti, rilevante dare atto che, con l’atto di appello (i cui relativi motivi sono compiutamente richiamati nello stesso ricorso: cfr. pagg. 5-6), la B. si era limitata – in particolare con la prima censura – a contestare la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto sussistente l’interclusione relativa del fondo della Br. nell’asserita assenza di un eccessivo dispendio nel raggiungere il proprio fondo attraverso la via pubblica, nonché in difetto della prova del più ampio sfruttamento e di una migliore utilizzazione del fondo, con ciò, quindi, non confutando la statuizione del giudice di primo grado sulla pacificità della circostanza che la Br. effettivamente coltivasse il suo fondo o che, in ogni, caso lo sfruttasse.
Quanto alle condizioni imposte dal citato art. 1051 c.c. (commi 1 e 2) in correlazione al successivo articolo (e specificamente al suo comma 1, versandosi in una ipotesi di interclusione relativa), il Tribunale di Cuneo ha, sulla scorta delle inequivoche risultanze della c.t.u., univocamente accertato (con valutazione condivisa anche dall’ordinanza adottata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. dal giudice di appello) che – ancorché vi fosse un altro modo di accedere alla via pubblica – il relativo percorso si presentava particolarmente difficoltoso (con conseguente “eccessivo dispendio o disagio”), in quanto comportava l’attraversamento di varie proprietà e non consentiva il passaggio di mezzi meccanici di una certa dimensione.
In tal senso, quindi, il citato Tribunale – sulla scorta dell’idoneo riscontro, adeguatamente motivato (cfr. Cass. n. 6184/1994; Cass. n. 5765/2013 e Cass. n. 14778/2017), delle inerenti circostanze fattuali – si è legittimamente conformato alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la costituzione di una servitù di passaggio a favore di fondo non intercluso, ma dotato di un accesso diretto sulla via pubblica risultante, però, inadatto, insufficiente oltre che insuscettibile di ampliamento (configurandosi, perciò, come maggiormente difficoltoso e dispendioso, così come rimasto accertato nel caso concreto in base a quanto precedentemente esposto) – è realizzabile nella sussistenza di bisogni del fondo dominante non suscettibili di essere soddisfatti dall’accesso esistente ed al fine di rispondere alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria, requisito, quest’ultimo, da valutare con riguardo allo stato attuale dei fondi ed alle concrete possibilità di un più intenso loro sfruttamento e di una loro migliore utilizzazione, così come è emerso nella esaminata fattispecie (cfr., tra le tante, Cass. n. 281/1997 e Cass. n. 5489/2006).
- Il quarto motivo, prosegue la Corte, è manifestamente infondato perché, per un verso, S.G. – come correttamente ritenuto dalla Corte di appello – si era limitato, in primo grado, ad invocare il rigetto delle domande attoree e poiché esse erano state respinte (anche) nei suoi confronti (che non aveva proposto alcuna domanda riconvenzionale autonoma), la B. è stata legittimamente condannata al pagamento delle spese giudiziali in suo favore, stante la sua totale soccombenza nei suoi riguardi, in applicazione del principio generale previsto dall’art. 91 c.p.c.
Per altro verso, va confermata la legittimità della condanna totale dell’attuale ricorrente al pagamento delle spese di primo grado anche nei riguardi della Br., sia perché tutte le domande formulate dalla B. nei suoi confronti erano state respinte, sia perché la domanda riconvenzionale avanzata dalla Br. di costituzione della servitù in suo favore – formulata sulla base di tre possibili modi tra loro alternativi – era stata comunque accolta con riferimento alla sua costituzione in via giudiziale ai sensi degli artt. 1051-1053 c.c., con conseguente totale soddisfacimento della sua pretesa, donde la soccombenza totale della B. anche nei suoi riguardi.
- Ritiene, invece, il collegio che siano fondati – nei sensi che seguono – gli ultimi due motivi (il quinto e sesto), esaminabili unitariamente siccome concernenti la medesima questione sulla contestazione del mancato riconoscimento, in favore della B., dell’indennità da correlare alla costituita servitù di passaggio coattivo in via giudiziale. Premesso che dallo svolgimento del percorso motivazionale adottato dal Tribunale di Cuneo è rimasta implicitamente esclusa la produzione di qualsiasi danno pregresso a carico del fondo della B., occorre evidenziare che pur non apparendo (sulla base del ragionamento operato dallo stesso Tribunale) essere stata formulata apposita istanza di riconoscimento dell’indennità da parte dell’attuale ricorrente, quale proprietaria del fondo servente (pur necessaria: cfr. Cass. n. 5680/2004 e Cass. n. 14922/2010), per l’appunto gravato dall’imposizione della servitù costituita in via giudiziale in favore della Br. , il giudice di primo grado – oltre a valorizzare il dato normativo di cui all’art. 1053 c.c., comma 1, secondo cui tale indennità “è dovuta” – ha ritenuto che la stessa fosse stata implicitamente avanzata (anche sul presupposto della prescrizione della sua determinazione per come, in via generale, emergente dal disposto dell’art. 1032 c.c., comma 2), non essendo stata espressamente rinunciata dalla B. , ragion per cui l’esplicitazione di detta richiesta con l’atto di appello non avrebbe potuto affatto considerarsi come domanda nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
Ciò chiarito, deve ritenersi errata in diritto l’impugnata sentenza del citato Tribunale che ha escluso la spettanza in concreto di detta indennità sul presupposto che non fosse emerso alcun danno cui rendere proporzionale la stessa indennità dovuta per la costituzione della servitù di passaggio.
Senonché, osserva il collegio, proprio dalle indicate formulazioni prescrittive di cui all’art. 1032 c.c., comma 2, e all’art. 1053 c.c., comma 1, si desume che l’indennità in discorso ha natura indennitaria conseguente e rapportabile al disagio (anche se minimo) che il titolare del fondo servente è costretto a subire per effetto del soddisfacimento di un legittimo diritto riconosciuto a vantaggio del titolare del fondo dominante (quindi in dipendenza della tutela dell’esercizio di una sua attività lecita, siccome consentita dall’ordinamento e soggetta all’accertamento in sede giudiziale). Ciò comporta che, ancorché l’indennità – o, meglio, la sua liquidazione – debba essere correlata al danno cagionato dal passaggio (individuato quale mero criterio di riferimento sul quale parametrare la sua quantificazione) e poiché è inevitabile che, in concreto, proprio per effetto della creazione in sé del percorso idoneo a consentire l’esercizio del passaggio stesso e per la conseguente interferenza nel pieno godimento della sua proprietà da parte del titolare del fondo servente, non può mettersi in dubbio che quest’ultimo sia costretto comunque a subire una forma di disagio.
Orbene, il giudice di prime cure ha del tutto trascurato questa imprescindibile considerazione e si è limitato ad affermare che, solo perché l’unico bene immobile di proprietà della B. insistente in zona prossima al passaggio consisteva in una baracca adibita a deposito di legname in mediocre stato di manutenzione, non fosse liquidabile alcuna indennità in suo favore.
Al di là della non dirimente rilevanza della presenza di detto immobile nelle accertate condizioni di precarietà, poiché non avrebbe potuto escludersi la sua successiva ristrutturazione (tanto è vero che un procedimento amministrativo in tal senso era stato avviato dalla B. ) e la sua futura piena sfruttabilità, la considerazione che il percorso del passaggio coattivamente determinato sarebbe stato posizionato in una zona vicina alla citata baracca non avrebbe potuto avere alcuna esclusiva decisività per negare la liquidazione dell’indennità, posto che – come giustamente messo in evidenza dalla ricorrente – in ogni caso la delineazione materiale del tratto interessato dal passaggio avrebbe comportato una parziale, pur se in ipotesi minima, trasformazione del fondo servente nella sua piena estensione, tagliandolo in due, incidendo potenzialmente – in senso peggiorativo – sul suo valore di mercato e impedendo di sfruttarlo al massimo nella sua piena superficie, anche con l’eventuale costruzione di manufatti “in loco”. In altri termini (e a tale principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) l’indennità dovuta dal proprietario del fondo in cui favore è stata costituita la servitù di passaggio coattivo, pur non rappresentando il corrispettivo dell’utilità conseguita dal fondo dominante, costituisce un indennizzo dovuto da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente, sicché, per la sua determinazione, non può aversi riguardo esclusivamente al valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù, dovendosi tenere altresì conto di ogni altro pregiudizio (come nei sensi prima esemplificativamente precisati) subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione a causa del transito di persone e di veicoli (cfr. Cass. n. 10269/2016 e, da ultimo, Cass. n. 21866/2020).
- In definitiva, conclude la Corte, sulla scorta delle precedenti complessive argomentazioni, vanno accolti il quinto e il sesto motivo, mentre devono essere respinti i restanti. L’impugnata sentenza del Tribunale di Cuneo va, quindi, cassata in relazione ai motivi accolti, con conseguente rinvio della causa – ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 4, (su cui v. da ultimo, Cass. n. 6326/2019 e Cass. n. 4570/2021) – alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi al principio di diritto prima enunciato, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.