Corte Costituzionale, sentenza 20 giugno 2022 n. 155
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge della Regione Siciliana 3 agosto 2021, n. 22 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni demaniali marittime, gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale di Agrigento e di personale di Sicilia Digitale S.p.A. Disposizioni varie); va dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021; va invece dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Siciliana che, in via preliminare, eccepisce l’inammissibilità della censura relativa all’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021, in quanto il ricorrente non avrebbe chiarito i motivi di contrasto della disposizione con l’art. 81, terzo comma, Cost. e, in particolare, «le ragioni per le quali la delineata copertura finanziaria non possa risultare idonea allo scopo perseguito per il triennio 2020-2022».
L’eccezione deve essere rigettata.
È costante orientamento di questa Corte quello secondo cui il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali, dei quali lamenta la violazione, e di svolgere una motivazione che non sia meramente assertiva e che rechi una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 25 del 2020, n. 261 e n. 32 del 2017, n. 239 del 2016).
Nel caso in esame, il ricorrente non si è limitato a indicare la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost. da parte della norma regionale censurata, ma ha sviluppato le argomentazioni dell’impugnazione, evidenziando, in particolare, che detta norma «determina oneri non quantificati e privi della relativa copertura sui saldi di finanza pubblica, in violazione dell’articolo 81, terzo comma, della Costituzione», consistenti nelle «nuove e maggiori spese che discendono da una modifica a regime dei casi di cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, in alternativa alla stabilizzazione, del personale degli enti locali».
3.– Nel merito, la questione avente ad oggetto l’art. 7 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021 non è fondata.
La norma impugnata non contiene, infatti, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, previsioni direttamente incidenti sulla regolamentazione del rapporto di lavoro attribuita alla contrattazione collettiva e, quindi, sulla disciplina in materia di ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Se, invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi che qualunque norma regionale intenda sostituirsi alla negoziazione delle parti, quale imprescindibile fonte di disciplina del rapporto di pubblico impiego, comporta un’illegittima intrusione nella sfera di attribuzione del legislatore statale in materia di ordinamento civile, nel caso in questione tale ingerenza non sussiste.
La norma impugnata, infatti, opera un rinvio all’art. 5, comma 8, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020 che non stabilisce l’attribuzione diretta agli operatori sanitari impegnati nell’emergenza epidemiologica da COVID-19 di un riconoscimento economico, ma autorizza le aziende del servizio sanitario regionale a liquidarlo, previo accordo tra l’Assessorato regionale della salute e le rappresentanze sindacali dei lavoratori.
Pertanto, deve ritenersi che la disposizione impugnata preveda un importo massimo, stabilendo la copertura della relativa spesa, ma senza attribuirlo direttamente, anche con riferimento al personale dipendente dalla società Servizi ausiliari Sicilia scpa, impegnato in servizi sanitari ausiliari presso aziende sanitarie in attività afferenti a pazienti COVID-19.
La norma impugnata si colloca, pertanto, in una fase, quella attinente alla determinazione delle risorse disponibili, distinta e a monte rispetto a quella volta alla concreta determinazione del trattamento economico accessorio del personale, riservata alla contrattazione collettiva, ricadente nella materia dell’ordinamento civile.
4.– È, invece, fondata la questione avente ad oggetto l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021, in relazione alle censure di violazione degli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost.
4.1.– Questa Corte ha già avuto modo di ricondurre alla materia «tutela della salute» la disciplina degli incarichi della dirigenza sanitaria (sentenze n. 129 del 2012, n. 233 e n. 181 del 2006), rilevando in particolare «la stretta inerenza che tutte le norme de quibus presentano con l’organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all’utenza, essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacità, dalla professionalità e dall’impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale (sentenze n. 181 del 2006 e n. 50 del 2007)» (sentenza n. 371 del 2008).
Peraltro, a norma dell’art. 17 dello statuto reg. Siciliana, la potestà legislativa regionale in materia di «sanità pubblica» si esercita «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato», per cui l’ampiezza di tale competenza legislativa coincide, comunque, con quella delle Regioni ordinarie in materia di «tutela della salute» (sentenze n. 159 del 2018 e n. 430 del 2007; nello stesso senso, sentenza n. 448 del 2006).
4.2.– Le disposizioni contenute nell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, che, come già rilevato, stabiliscono i requisiti per l’iscrizione negli elenchi dei soggetti idonei alla nomina di direttore amministrativo delle aziende sanitarie regionali, costituiscono, indubbiamente, un principio fondamentale della legislazione statale in materia di tutela della salute, vincolante, come tale, rispetto alla potestà legislativa regionale in materia di sanità pubblica e una chiara espressione, nel settore sanitario, del principio di buon andamento dell’azione amministrativa.
Invero, questa Corte ha già avuto modo di notare che «la previsione di un elenco in cui devono essere iscritti i soggetti che intendono partecipare alle singole selezioni regionali è da ricondursi all’esigenza di garantire un alto livello di professionalità dei candidati, i quali debbono possedere requisiti curriculari unitari» e che tale esigenza deve ritenersi «espressione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, data l’incidenza che la professionalità delle persone che ricoprono gli incarichi apicali esplica sul funzionamento delle strutture cui sono preposte, con inevitabili riflessi sulla qualità delle prestazioni sanitarie rese» (così la sentenza n. 159 del 2018).
L’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, nella sua versione originaria, prevedeva, tra i requisiti per la nomina a direttore sanitario, che questi avesse svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione, mentre al direttore amministrativo era richiesto di avere svolto, per almeno cinque anni, una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture pubbliche o private di media o grande dimensione.
La disposizione era, pertanto, chiara nel differenziare, quanto all’esperienza, il requisito soggettivo richiesto, rispettivamente, al direttore sanitario e a quello amministrativo, perché solo per quest’ultimo il legislatore aveva ritenuto di non dovere inserire alcuna specificazione in merito al settore dove fosse maturata la richiesta esperienza.
L’art. 4, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) ha, però, riformulato la detta disposizione, richiedendo per il direttore sanitario una qualificata attività di «direzione tecnico-sanitaria» e per quello amministrativo la «direzione tecnica o amministrativa», ma sempre, per entrambi, in «enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».
E in tutte le successive versioni del d.lgs. n. 502 del 1992, quest’ultimo inciso è rimasto immutato, sia per il direttore sanitario, sia per quello amministrativo.
Dalla comparazione fra i due testi normativi, quello originario e quello risultante all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 517 del 1993, si desume, pertanto, che il legislatore, a partire dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto, ha voluto rendere coincidenti le due figure dirigenziali quanto al settore di maturazione dell’esperienza pregressa, limitandola al solo ambito sanitario.
Da questa evoluzione normativa, oggetto di specifici e puntuali interventi del legislatore statale, consegue che le disposizioni in esame debbono, indubbiamente, ritenersi espressione di un principio fondamentale in materia di tutela della salute che impone la scelta dei dirigenti sanitari e, per quanto qui interessa, del direttore amministrativo, tra i candidati in possesso di comprovati titoli e capacità professionali, omogenei a livello nazionale e, comunque, acquisiti solo nello specifico settore sanitario.
Ciò all’evidente scopo di privilegiare criteri di selezione che assicurino l’effettiva capacità gestionale del dirigente, che opera in un ambito, quello sanitario, connotato da problematiche specifiche che hanno una evidente, e significativa, ricaduta sulla qualità delle prestazioni rese.
4.3.– La norma impugnata richiede invece «un’adeguata esperienza di direzione tecnica amministrativa» a fronte della previsione statale di «una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa» e stabilisce, genericamente, che detta esperienza possa essere acquisita «nel campo delle strutture sanitarie, sociosanitarie o in altri settori, caratterizzata da autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, in strutture di media o grande dimensione», mentre la disposizione statale prevede una competenza specifica che vada acquisita solo «in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione».
La norma censurata si pone, dunque, in evidente contrasto con il principio fondamentale dettato dal legislatore statale, non solo perché modifica la tipologia di esperienza richiesta ai soggetti che richiedono di accedere all’elenco degli idonei alla direzione amministrativa, ma anche, soprattutto, in quanto amplia, significativamente, l’area in cui tale esperienza può essere acquisita, estendendola a settori del tutto estranei all’ambito della sanità.
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost. L’accoglimento della questione sotto questi profili determina l’assorbimento delle altre censure.
5.– È, altresì, fondata, con riferimento alla censura di violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., la questione avente ad oggetto l’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021.
La disposizione impugnata aggiunge all’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 27 del 2016 il comma 19-bis, estendendo la facoltà, già prevista in capo ai dipendenti di cui al precedente comma 19, di esercitare l’opzione per la fuoriuscita a fronte della corresponsione di un’indennità.
La norma censurata amplia l’ambito dei soggetti per cui è prevista tale opzione, richiedendo cinque anni, invece che dieci, al raggiungimento dell’età pensionabile perché questi la possano esercitare.
E, in assenza di una qualsivoglia quantificazione e documentazione sugli oneri derivanti dalla norma impugnata, non può, evidentemente, essere accolta la tesi sostenuta dalla difesa regionale sulla sua pretesa invarianza finanziaria, in quanto la disposizione non può essere considerata semplice applicazione dell’art. 3, comma 19, della legge reg. Siciliana n. 27 del 2016, a cui sono riferite le originarie previsioni di spesa contenute nell’art. 3, comma 21, della medesima legge regionale e nell’art. 26, comma 8, della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale).
D’altronde, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata considerazione degli oneri vale a rendere la legge costituzionalmente illegittima per mancanza di copertura non soltanto per spese obbligatorie, ma anche se si tratta di oneri solo “ipotetici”, in quanto l’art. 81 Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, sentenze n. 163 del 2020 e n. 307 del 2013).
Invero, secondo questa Corte, devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime quelle leggi in cui «l’individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria, è stata effettuata dal legislatore regionale in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all’art. 81 Cost.» (ex multis, sentenza n. 227 del 2019).
In proposito, deve essere ribadito che l’equilibrio finanziario «presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse: nel sindacato di costituzionalità copertura finanziaria ed equilibrio integrano “una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l’antinomia [con le disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto costituzionale” […] (sentenza n. 184 del 2016)» (sentenza n. 274 del 2017).
Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente ha anche, correttamente, evidenziato il contrasto della norma impugnata con l’art. 38, comma 1, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), ai sensi del quale le leggi regionali, che prevedono spese a carattere continuativo, debbono quantificare l’onere annuale previsto per ciascuno degli esercizi finanziari compresi nel bilancio di previsione e indicare l’onere a regime, potendo rinviare la quantificazione alla legge di bilancio nel solo caso in cui si tratti di spese non obbligatorie.
Tale regola, nel caso della Regione Siciliana, risulta presente nello stesso ordinamento regionale, considerato che l’art. 7, comma 8, della legge della Regione Siciliana 8 luglio 1977, n. 47 (Norme in materia di bilancio e contabilità della Regione siciliana) e l’art. 14, comma 8, del decreto presidenziale 17 marzo 2004 (Testo coordinato delle norme in materia di bilancio e di contabilità applicabili alla Regione siciliana), prevedono espressamente che le leggi della Regione che autorizzano spese correnti a carattere permanente quantificano l’onere annuale previsto per ciascuno degli anni compresi nel bilancio pluriennale vigente e ne indicano la relativa copertura finanziaria a carico del bilancio medesimo.
Per tali ragioni la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 22 del 2021, promossa in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., è fondata.
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