Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 24 giugno 2022, n. 20494
PRINCIPIO DI DIRITTO
Nel caso di pronuncia parziale di divorzio sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine dell’attribuzione dell’assegno divorzile, il venir meno di un coniuge nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilità, ma il giudizio può proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all’accertamento della debenza dell’assegno dovuto sino al momento del decesso
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – I motivi.
Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 81, 300 e 303 cod. proc. civ., 5, comma 6, e 9-bis 1. 10 dicembre 1970, n. 898, in quanto il decesso del coniuge aveva determinato la cessazione della materia del contendere sin da tale evento, con riguardo a tutte le domande svolte dalla ex moglie: il giudizio non poteva, infatti, essere definito nel merito, in ragione del decesso in corso di causa dell’eventuale obbligato e della intrasmissibilità dell’obbligo agli eredi. Inoltre, il de cuius non aveva nessun debito verso la ex moglie, dal momento che questa riceveva l’assegno mensile direttamente a carico dell’Inps: onde la causa attiene non a debiti maturati e non pagati, ma alla domanda dell’assegno di mantenimento solo quale strumentale all’ottenimento della pensione di reversibilità. La sentenza impugnata è dunque abnorme, in quanto, invece di dichiarare cessata la materia del contendere, ha disposto post mortem la debenza a carico del marito di un assegno di mantenimento, in una causa di riassunzione in cui le parti sono gli eredi, i quali, tuttavia, non ereditano affatto l’obbligo di mantenimento, mai disposto dal giudice con la sua sentenza.
Con il secondo motivo, deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 183, 303 cod. proc. civ. e 5, comma 6, 9-bis I. n. 898 del 1970, in quanto la domanda proposta con il ricorso in riassunzione era nuova, essendo volta ad ottenere l’accertamento della debenza di un assegno divorzile al solo scopo di acquisire la pensione di reversibilità: in tal caso, la natura della domanda muta, perché essa mira ad ottenere un bene della vita del tutto diverso da quello oggetto dell’originaria domanda verso l’ex coniuge. Posto che la finalità della domanda si concreta in un petitum diverso, ciò la rende nuova ed inammissibile nell’atto di riassunzione, trattandosi di un’azione di mero accertamento circa l’astratta debenza dell’assegno, a quel dichiarato fine: laddove la domanda originaria era di condanna al mantenimento, al fine di costituire i mezzi adeguati alla stessa condizione di vita goduta durante il matrimonio.
Ha errato, dunque, la corte territoriale a negare la novità della domanda, per il solo fatto che la domanda era volta al mantenimento non per il periodo successivo, ma per quello anteriore al decesso: tale pretesa non avrebbe potuto comunque rivolgersi agli eredi, non essendo più in vita l’unico legittimato passivo titolare dell’obbligo.
Con il terzo motivo, deduce la violazione o la falsa applicazione delle regole sull’onere della prova, quanto all’accertamento dello stato di bisogno previsto dall’art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970, onere che grava sul richiedente l’assegno.
Con il quarto motivo, la ricorrente deduce ancora la violazione o la falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970, avendo la corte territoriale omesso ogni giudizio comparativo tra le posizioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi.
Con il quinto motivo, censura l’omesso esame di fatto decisivo, consistente nel mancato esame dei documenti prodotti con la memoria depositata nel corso del primo grado di giudizio, concernenti lo stato di salute del marito.
- – La situazione processuale del caso concreto.
La vicenda in esame ha visto la pronuncia di una sentenza sullo status, con prosecuzione del giudizio ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, nel corso del quale uno dei coniugi, parti in causa, è venuto meno, prima di ogni decisione al riguardo; dichiarata l’interruzione del giudizio e riassunto il medesimo contro gli eredi, il giudice ha proceduto comunque all’accertamento circa la debenza di un assegno a carico del de cuius.
Oggetto della rimessione alle Sezioni unite sono, pertanto, le questioni concernenti le sorti del processo in simile evenienza, con riguardo alle parti del giudizio divorzile (o del giudizio volto alla modifica dell’entità dell’assegno), alla natura delle sentenze ivi pronunciate ed alla successione nel processo, con i connessi istituti dell’interruzione e della riassunzione della causa.
- – II procedimento di divorzio.
I commi 12, 13 e 14 dell’art. 4 I. 1° dicembre 1970, n. 898 (articolo sostituito dal d.i. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in I. 14 maggio 2005 n, 80) prevedono, rispettivamente, che:
- a) nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, e che avverso tale sentenza è ammesso solo l’appello immediato; formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’art. 10, dovendosi trasmettere la sentenza in copia autentica, a cura del cancelliere, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni e le ulteriori incombenze, onde io scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio «hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza»;
- b) quando sia stata pronunciata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza sull’an circa l’obbligo di somministrazione dell’assegno, può disporne gli effetti sin dalla domanda;
- c) «per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza dí primo grado è provvisoriamente esecutiva».
In tal modo, precisa la Corte, si permette la definizione del giudizio sullo status al più presto, con la formazione del giudicato: onde il tribunale si limita alla statuizione sullo status, come sovente accade per l’esigenza, da un lato, di soddisfare il desiderio della rapida riconquista dello status di soggetto non coniugato (non si parla di status di divorziato «che è uno status inesistente, determinando, piuttosto, la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero»: Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882, in motivazione), e, dall’altro lato, di permettere, per i profili patrimoniali connessi alla condizione di bisogno di uno dei coniugi, il più complesso accertamento.
Il legislatore discorre qui di “sentenza non definitiva” nel senso che il giudice non si spoglia dell’intero processo: si tratta peraltro di una sentenza definitiva parziale, in quanto definisce la questione di status.
- – La sentenza sul divorzio e la sentenza sull’assegno.
4.1. – La sentenza che «pronuncia» lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, a norma dell’art. 4 I. n. 898 del 1970, è sentenza costitutiva, in quanto produce l’effetto del venir meno del vincolo, con il riacquisto dello stato libero.
Ma il medesimo effetto costitutivo ha anche la sentenza che attribuisce l’assegno divorzile: si tratta di una pronuncia di accertamento costitutivo, oltre che di condanna, con efficacia ex tunc dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale (salva l’ordinanza che disponga un assegno in via provvisoria ex art. 4, comma 8, oppure la decorrenza anticipata dalla data della domanda di divorzio sulla base del medesimo art. 4, comma 13: Cass. 17 settembre 2020, n. 19330). Invero, l’assegno di divorzio è attribuito dal giudice (che «dispone l’obbligo», non lo dichiara), il quale valuta sia l’an che il quantum, sulla base dei parametri di legge, come prevede l’art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970.
Il fatto generatore del diritto all’assegno in favore dell’ex coniuge è la sentenza di accertamento costitutivo del giudice che, in presenza di determinati requisiti e interponendo il proprio apprezzamento discrezionale, può concedere o no l’assegno e, in caso positivo, stabilirne l’ammontare, secondo i parametri legali.
L’attribuzione dell’assegno di divorzio, osserva la Corte, avviene all’esito dell’esercizio di un’azione, in cui il processo è elemento costitutivo indispensabile dell’effetto giuridico, non conseguibile per via di autonomia privata: tanto che questa Corte ne ha pacificamente escluso l’equiparabilità con l’ipotesi di assegno liberamente e spontaneamente corrisposto, eventualmente pure ove ne mancassero le condizioni, al fine di fondare il diritto alla pensione di reversibilità (cfr. Cass. 27 novembre 2000, n. 15242; Cass. 5 agosto 2005, n. 16560; Cass. 13 marzo 2006, n. 5422; Cass. 29 settembre 2006, n. 21129; Cass. 24 maggio 2007, n. 12149; Cass. 1° agosto 2008, n. 21002; Cass. 18 novembre 2010, n. 23300; Cass. 9 giugno 2011, n. 12546; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25053).
Del pari, al momento della sentenza di divorzio il tribunale adotta gli altri provvedimenti necessari, quale anzitutto le disposizioni concernenti i figli e l’abitazione familiare (art. 6, commi 2, 6, 7 1. n. 898 del 1970).
Le sentenze costitutive e di accertamento, secondo la giurisprudenza di questa Corte, acquistano efficacia solo col passaggio in giudicato, non reputandosi ad esse applicabile l’art. 282 cod. proc. civ. sull’automatica esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado (es. Cass. 30 gennaio 2019, n. 2537; Cass. 20 febbraio 2018, n. 4007; Cass. 8 novembre 2018, n. 28508; Cass. 10 gennaio 2014, n. 406; Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4059; per qualche apertura, v. Cass. 29 luglio 2011, n. 16737), tesi su cui non è ora uopo indagare.
4.2. – In materia di divorzio, occorre ricordare il principio, affermato da questa Corte, secondo cui la regola generale, desumibile dall’art. 4, comma 13, I. n. 898 del 1970, prevede che il diritto a percepire l’assegno attribuito dal giudice decorra dalla formazione del titolo in forza del quale esso è dovuto: vale a dire, dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, in quanto l’assegno di divorzio trae ia propria indispensabile premessa proprio nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la statuizione di risoluzione del vincolo coniugale spiega effetti costitutivi. Altro è, poi, che il giudice possa disporne la decorrenza provvisoria, in relazione alle circostanze del caso concreto, anche dalla domanda di divorzio (Cass. 17 settembre 2020, n. 19330, da ultimo).
L’indicata facoltà giudiziale, da motivare specificamente, non costituisce affatto una deroga al principio secondo cui l’assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della relativa statuizione, bensì ne rappresenta un temperamento, col conferire al giudice il potere discrezionale, in relazione alle circostanze del caso concreto, di disporre la decorrenza di esso dalla data della domanda.
5 – Il venir meno di un coniuge in corso di causa e le evenienze processuali prospettabili.
Intrapreso il giudizio di divorzio, che sia volto anche alla corresponsione di un assegno, nel corso del medesimo possono verificarsi diverse situazioni processuali, derivanti dal venir meno di una delle parti in causa.
Esse sono sintetizzabili nel seguente quadro d’insieme, in cui l’evento che colpisce un coniuge si colloca dopo uno degli indicati momenti:
1) prima della pronuncia di una qualsiasi sentenza;
2) dopo la pronuncia della sentenza costitutiva di divorzio, la quale sia: a) una sentenza parziale sullo status, con prosecuzione della causa per le statuizioni patrimoniali, con due sottoipotesi, in quanto: i) la sentenza parziale sia stata impugnata; ii) la sentenza parziale non sia stata impugnata; b) una sentenza definitiva totale, avendo essa pronunciato sia sullo status, sia in ordine ai profili patrimoniali, dove tre le sottoipotesi: i) la sentenza sia stata impugnata in toto; il) la sentenza sia stata impugnata solo sulle statuizioni patrimoniali; iii) la sentenza non sia stata impugnata.
Occorre subito convenire che, pur dopo il decesso del coniuge in corso di causa, un interesse di fatto alla prosecuzione del giudizio possa esistere in capo al coniuge aspirante all’assegno divorzile a vari fini, estranei in sé al processo stesso: per conseguire l’assegno periodico a carico dell’eredità ai sensi dell’art. 9-bis I. n. 898 del 1970; per costituirsi il presupposto al fine dell’attribuzione della pensione di reversibilità ex art. 9 I. n. 898 del 1970; oppure quale premessa per la quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge ex art. 12-bis I. n. 898 del 1970.
5.1. – La morte di uno dei coniugi, che addirittura preceda l’adozione di qualsiasi sentenza, determina la cessazione della contesa.
Invero, precisa la Corte, l’art. 149 cod. civ. prevede che il matrimonio civile, al pari degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso trascritto, «si scioglie con la morte di uno dei coniugi».
Ove, pertanto, sopravvenga la nuova situazione prima della stessa declaratoria sullo status, diviene inammissibile ogni pretesa, ivi inclusa quella all’assegno divorzile, avente la prima come indefettibile presupposto.
In tal senso hanno statuito plurimi precedenti di questa Corte (fra cui Cass. 11 novembre 2021, n. 33346; Cass. 17 luglio 2009, n. 16801); alla vicenda della mancanza di qualsiasi sentenza di status equiparata quella dell’evento prima del decorso del termine per impugnare la sentenza di divorzio (Cass. 19 giugno 1996, n. 5664).
5.2. – Occorre esaminare le ipotesi in cui, invece, sia stata pronunciata la sentenza costitutiva di divorzio, dove le possibili evenienze processuali sono diverse, a seconda che la sentenza sia parziale, in quanto pronunciata solo sullo status, o sia definitiva totale, in quanto abbia pronunciato sullo status ed anche sul profilo patrimoniale dell’attribuzione, o no, dell’assegno.
Le soluzioni convergono, nel caso in cui non sia stata impugnata la statuizione sul divorzio.
Le diverse soluzioni attengono, con gli opportuni adattamenti, anche al caso che la pronuncia sia avvenuta non con sentenza, ma a mezzo del decreto conseguito alla richiesta di modifica delle condizioni, ai sensi dell’art. 9, comma 1, I. n. 898 del 1970, in presenza di giustificati motivi.
5.2.1. – Nell’evenienza che il giudice statuisca solo sullo status e, con separata ordinanza, dia disposizioni per la prosecuzione del giudizio relativamente agli effetti patrimoniali, se la sentenza sullo status è impugnata in via immediata (l’unica impugnazione ammessa ex art. 4, comma 12, secondo periodo), mentre, nelle more, prosegua in primo grado il giudizio sull’assegno, il decesso sopravvenuto impedisce qualsiasi giudicato al riguardo: il processo si concluderà con la declaratoria, da parte del giudice dell’impugnazione, della cessazione della materia del contendere, in conseguenza del venir meno, per ragioni naturali, dello status, ai sensi dell’art. 149 cod. civ.; ed il giudizio relativo all’assegno, ancora in istruttoria, subisce la stessa sorte, non essendovi più la parte contro cui pretendere alcunché. Non vi sono, qui, sostanziali differenze, rispetto al caso indicato al § 4.1.
Al contrario, chiosa ancora la Corte, la statuizione sul divorzio non impugnata produce l’effetto, scaduti i termini ex artt. 325 ss. cod. proc. civ., della libertà di status in capo ai coniugi: e, se un coniuge viene meno dopo il passaggio in giudicato del capo di sentenza sullo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, questo resta a regolare la situazione, essendo ormai definitivo.
5.2.2. – Se il giudice statuisce sullo status ed, altresì, pronuncia la condanna al pagamento dell’assegno divorzile, definendo quindi il giudizio innanzi a sé, e poi la sentenza sia impugnata in toto, l’impugnazione, da parte del coniuge soccombente, dell’intera decisione impedisce ogni giudicato, restando l’oggetto del processo interamente controverso. Ove sopravvenga il decesso nel corso di giudizio di impugnazione, nessuno status si è consolidato e nessun diritto all’assegno può più essere vantato, mancando l’unico legittimato attivo al riguardo, né una situazione si è consolidata in capo al de cuius prima dell’evento. Il processo si estingue, per cessazione della materia del contendere.
Invero, sopraggiunto il decesso, il processo di impugnazione subisce esiti conformi, per tutti i capi impugnati.
Esso, da un lato, si conclude con la declaratoria della cessazione della materia del contendere sullo status, in conseguenza del venir meno, per ragioni naturali, dello status medesimo, ai sensi dell’art. 149 cod. civ.; dall’altro lato, il giudizio neppure può proseguire, tuttavia, ai fini della determinazione dell’an e del quantum dell’assegno, difettando l’unico legittimato passivo, per ragioni analoghe a quelle sopra illustrate.
All’estremo opposto, soggiunge la Corte, sta il caso che la sentenza sullo status e sull’assegno non sia impugnata affatto e siano decorsi i relativi termini: essa passa in giudicato nel suo intero contenuto afferente sia lo status, sia l’assegno, ormai consolidato, quando l’evento concernente il de cuius si verifica.
Infine, può darsi l’evenienza intermedia in cui la sentenza di divorzio abbia anche attribuito il diritto all’assegno e che solo tale statuizione sia stata impugnata: se la sentenza è impugnata solo sulle statuizioni patrimoniali, la pronuncia sullo status è in giudicato, al momento del venir meno dell’ex coniuge durante il giudizio di impugnazione. Qui, la sorte del giudizio sull’assegno è retta dalle norme e dai principi che seguono.
- – Il caso di specie: giudicato della sentenza sullo status e venir meno del coniuge nel corso della causa per l’accertamento del diritto all’assegno divorzile.
6.1. – L’odierno thema decidendum attiene all’evenienza detta, in cui la Corte aveva raggiunto un orientamento dominante.
Nel caso di sentenza parziale sullo status non impugnata (cui va assimilato quello della sentenza definitiva totale impugnata solo per i profili patrimoniali), la tesi prevalsa afferma come non possa che attribuirsi natura unitaria e complessa al giudizio divorzile.
La pronuncia della sentenza sullo status è prassi invalsa, allo scopo di permettere un rapido riacquisto dello stato libero; e, però, una volta venuta meno una delle due parti del giudizio, avendo questo ad oggetto una situazione soggettiva personalissima ed intrasmissibile, nulla più resta da accertare circa il primigenio oggetto, ovvero il rapporto coniugale, nemmeno con riguardo ad eventuali domande accessorie, che possono proporsi unicamente verso un coniuge ancora in vita (cfr., per tale ordine di concetti, Cass. 11 novembre 2021, n. 33346; Cass. 2 dicembre 2019, n. 31358; Cass. 20 febbraio 2018, n. 4092; in tema di separazione, Cass. 12 dicembre 2017, n. 29669; Cass. 8 novembre 2017, n. 26489; Cass. 26 luglio 2013, n. 18130; Cass. 20 novembre 2008, n. 27556; Cass. 27 aprile 2006, n. 9689; Cass. 4 aprile 1997, n. 2944; Cass. 3 febbraio 1990, n. 740; Cass. 18 marzo 1982, n. 1757; Cass. 29 gennaio 1980, n. 661).
Non si tratta, peraltro, di una cessazione della materia del contendere, ma più propriamente di una pronuncia di improseguibilità del giudizio. Secondo la meno recente tesi, sopraggiunto il decesso, il giudizio potrebbe proseguire ai fini della determinazione dell’an e del quantum dell’assegno, al fine di decidere la questione nei confronti degli eredi (Cass. 11 aprile 2013, n. 8874; Cass. 3 agosto 2007, n. 17041; nello stesso senso, Cass. 24 luglio 2014, n. 16951 e Cass. 13 ottobre 2014, n. 21598, non massimate).
Estranea al tema odierno è, invece, la questione, risolta dalle Sezioni unite con la sentenza del 31 marzo 2021, n. 9004, sull’irrilevanza della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, una volta che sia ormai passata in giudicato la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, onde prosegue l’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile. Qui, infatti, l’unico rapporto processuale si pone tra gli stessi soggetti, in ordine ai quali solo si predica la possibilità di pervenire all’accertamento, innanzi al giudice dello Stato, della debenza di un assegno divorzile.
La sentenza, precisa la Corte, si colloca sulla scia del ridimensionamento degli effetti delle sentenze di nullità del matrimonio concordatario nei giudizi di separazione e divorzio, già tracciata dalla Corte (Cass., sez. un., 17 luglio 2014, n. 16379), la quale ritiene la convivenza tra i coniugi protratta per almeno tre anni ostativa, sotto il profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario. Peraltro, se vale il giudicato sullo status, anche qui il riconoscimento dell’assegno di divorzio dovrà pur sempre passare dalla pronuncia giudiziale, secondo i parametri posti dall’art. 5, comma 6, 1. n. 898 del 1970.
6.2. – Nel caso in esame, il Collegio delle S.U. ha reputato che occorra ammettere una prosecuzione del giudizio concernente l’obbligo di corresponsione di un assegno nei confronti degli eredi del preteso obbligato, per l’accertamento della debenza del diritto all’assegno dalla data del passaggio in giudicato della sentenza sullo status a quella del decesso.
La conclusione è indotta dalla considerazione che la perdurante pendenza del solo giudizio sulle domande accessorie può costituire una causa di “scissione” del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio, che si protrarrà ai fini di una pronuncia su di quelle in via differita per mere ragioni occasionali.
Il processo di divorzio ha una finalità e con essa un contenuto compositi, mirando in primo luogo a realizzare il diritto potestativo del coniuge alla elisione dello status matrimoniale, ma con esso, simultaneamente, anche a tutelare una serie di diritti fondamentali relativi alle primarie esigenze della parte eventualmente sul piano economico meno solida, nonché dei figli della coppia.
Riconoscendo e determinando l’assegno di divorzio, il giudice traduce nel linguaggio della corrispettività quanto i coniugi abbiano compiuto, durante la vita comune, nello spirito della gratuità.
Con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, le Sezioni Unite hanno stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione, sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
La peculiarità degli accertamenti probatori prescritti per legge sul tema della debenza di un assegno di mantenimento divorzile non impedisce tale conclusione.
L’art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970 tra i parametri sull’an e sul quantum dell’assegno esige lo scrutinio, da parte del tribunale, «de/le condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di Ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», nonché del fatto che il richiedente «con ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».
Dal suo canto, l’art. 5, comma 9, I. n. 898 del 1970, dispone che i coniugi «devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria».
Si tratta di elementi partecipativi al processo, con precisi obblighi di produzione istruttoria relativa al patrimonio personale e comune, con possibilità da parte del tribunale di disporre indagini sui redditi sui patrimoni e sul tenore di vita, che dovranno essere espletati nei confronti degli eredi.
E sui quali la Corte (Cass. 20 febbraio 1017, n. 4292; Cass. 28 gennaio 2011, n. 2098, fra le altre) ritiene che l’esercizio del potere del giudice di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria costituisca una deroga alle regole generali suII’onere della prova, potere giudiziale il quale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito.
6.3. – Occorre chiarire che possono esservi obblighi pecuniari già entrati nel patrimonio dell’avente diritto: si tratta dei c.d. arretrati, i quali, in ipotesi concessi in via provvisoria oppure da una sentenza non passata in giudicato, non siano stati corrisposti dal coniuge obbligato da tale provvedimento e sino al suo decesso, e la cui debenza dunque permane.
Infatti, essi restano acquisiti, quale debito, al patrimonio del dante causa, e, come tali, passano agli eredi: onde l’altro coniuge rimasto in vita ben potrà agire, se sia ne mancato il pagamento, direttamente in executivis nei confronti di essi, giovandosi del medesimo titolo.
Ove, dunque, sussista un simile debito come avente titolo in una sentenza sull’assegno impugnata, il quantum liquidato dal giudice, afferente il periodo tra il momento del giudicato della sentenza sullo status (o la diversa decorrenza stabilita, anche da un provvedimento provvisorio) e quello del decesso è un debito maturato in vita dal de cuius e passa agli eredi, così che avverso i medesimi potrà essere fatto direttamente valere in via esecutiva.
6.4. – In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto:
«Nel caso di pronuncia parziale di divorzio sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine dell’attribuzione dell’assegno divorzile, il venir meno di un coniuge nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilità, ma il giudizio può proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all’accertamento della debenza dell’assegno dovuto sino al momento del decesso».
- – In applicazione di detto principio, il primo ed il secondo motivo sono respinti.
Si rimette alla Sezione prima civile la decisione con riguardo ai rimanenti motivi di ricorso.