Corte Costituzionale, sentenza 01 luglio 2022 n. 166
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non esclude che la riduzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– La questione è fondata.
2.1.– La relazione funzionale che, attraverso l’atto di designazione, si instaura tra l’ausiliario del magistrato e l’ufficio giudiziario costituisce un munus publicum (sentenze n. 102 del 2021 e n. 88 del 1970), dal cui utile svolgimento sorge un diritto al compenso disciplinato dalle disposizioni del Titolo VII della Parte II del d.P.R. n. 115 del 2002, nonché, in forza del rinvio operato dall’art. 50 di tale testo unico, da tabelle approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri).
La ratio di tale plesso normativo – il quale, essendo espressamente riferito, come indicato nel Titolo VII, agli «[a]usiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario», detta una disciplina comune a tutti gli ordinamenti processuali – è orientata a contemperare il carattere pubblicistico della funzione di ausilio dell’attività giudiziaria con l’esigenza di non svilire l’impegno garantito dal professionista designato.
L’adeguatezza della remunerazione dell’ausiliario, imposta dal principio di ragionevolezza, è assicurata dal rapporto di proporzionalità tra i valori tabellari dei compensi e le corrispondenti tariffe libero-professionali di mercato, ancorché con una riduzione, avuto riguardo alla connotazione pubblicistica dell’istituto (sentenze n. 89 del 2020 e n. 192 del 2015).
Se ne trae conferma dalla formula dell’art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale individua il parametro di base per la determinazione ministeriale degli importi relativi agli onorari per gli ausiliari del magistrato «nelle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe», sia pure avvertendo della necessità di contemperare tale metodo di quantificazione con la natura pubblicistica della prestazione resa.
2.2.– All’indicata finalità di bilanciamento tra l’interesse al contenimento delle spese del processo e l’esigenza di remunerazione dei professionisti designati risponde anche la fissazione, ad opera della normativa in esame (artt. 51, 52 e 53 del d.P.R. n. 115 del 2002), di criteri di liquidazione volti a commisurare il quantum delle spettanze all’entità, alla complessità e all’urgenza dell’opera prestata, «senza dar luogo a duplicazioni di sorta e senza svilire l’impegno assicurato dall’ausiliario» (sentenza n. 90 del 2019).
2.3.– Ancora, in linea con le indicate direttrici, l’art. 54 t.u. spese di giustizia stabilisce che l’adeguamento della misura degli onorari deve avvenire ogni tre anni, in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), «dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente, attraverso un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, adottato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze».
2.4.− Nei procedimenti in cui vi sia ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nei quali l’ordinamento tende a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma [dell’] art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile» (sentenza n. 157 del 2021), è cruciale l’individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 47 del 2020).
A tale ultima esigenza risponde l’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, qui in scrutinio, a mente del quale i compensi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente di parte sono ridotti della metà.
Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla ragionevolezza di tale decurtazione, affermando, con specifico riferimento agli onorari del difensore, che «la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude, quanto alle sue modalità, la competenza del legislatore a darvi attuazione sulla base di scelte discrezionali non irragionevoli» (ordinanza n. 350 del 2005).
In merito alla dimidiazione imposta dall’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, si è anche precisato che, stante l’ampia discrezionalità del legislatore nella materia in questione – essendo il patrocinio a carico dell’erario un istituto di diritto processuale –, il criterio di determinazione del compenso spettante al difensore della parte ammessa allo stesso non impone al professionista un sacrificio tale da risolvere il ragionevole legame che intercorre tra l’onorario a lui spettante e il relativo valore di mercato, trattandosi semplicemente di una modalità parzialmente diversa di determinazione del compenso medesimo (ordinanza n. 122 del 2016).
3.– Come sopra ricordato, questa Corte si è già espressa anche in merito alla particolare situazione, oggetto del presente giudizio, in cui la riduzione imposta in ragione dell’ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato operi su un onorario la cui base tariffaria non sia stata aggiornata alle variazioni del potere di acquisto della moneta.
La più volte citata sentenza n. 192 del 2015, alle cui argomentazioni si è allineata la successiva pronuncia n. 178 del 2017, ha, anzitutto, rilevato che il legislatore, nel prevedere – attraverso l’introduzione dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 – che, come nei procedimenti civili, anche in quelli penali con ammissione della parte al patrocinio per i non abbienti debba farsi luogo alla riduzione, sia pure nella diversa misura di un terzo, degli onorari spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato, «non poteva ignorare come si trattasse di compensi che, a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, avrebbero dovuto essere periodicamente rivalutati».
L’adeguamento previsto dall’art. 54 del citato testo unico – evidenziava nell’occasione questa Corte – non è mai intervenuto dall’emanazione del decreto ministeriale del 30 maggio 2002, così che, dopo oltre un decennio di inerzia amministrativa, la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi risultava già allora seriamente sproporzionata per difetto, pur considerando il contemperamento imposto dalla natura pubblicistica della prestazione.
Sulla scorta di tali premesse, è stato ritenuto affetto da irragionevolezza l’intervento di riduzione della spesa erariale in materia di giustizia adottato dal legislatore senza verificare che la decurtazione operasse su importi effettivamente congruenti con le stesse linee di fondo del d.P.R. n. 115 del 2002, «dunque su tariffe, da un lato, proporzionate (sia pure per difetto, tenendo conto del connotato pubblicistico) a quelle libero-professionali (che per parte loro, nell’ambito di una riforma complessiva dei criteri di liquidazione, sono state aggiornate) e, dall’altro, preservate nella loro elementare consistenza in rapporto alle variazioni del costo della vita» (sentenza n. 192 del 2015).
È stata quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi – rispettivamente spettanti all’ausiliario del magistrato (sentenza n. 192 del 2015) e al consulente tecnico di parte (sentenza n. 178 del 2017) nel processo penale – sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
3.1.– Questa Corte ha inteso così conservare la norma censurata, sia pure condizionandone l’applicazione all’adeguamento tabellare alle scadenze indicate dalla legge, di modo che il giudice comune possa praticare la riduzione dei compensi solo quando la tariffa posta a fondamento del provvedimento di liquidazione sia conforme alla prescrizione di aggiornamento periodico.
Tale soluzione riposa sull’assunto per il quale l’adeguamento imposto dall’art. 54 del citato d.P.R. 115 del 2002 svolge una fondamentale funzione di riequilibrio e di stabilizzazione del sistema, in quanto assicura la ragionevolezza della liquidazione, pur a fronte di una riduzione delle tariffe (sentenza n. 89 del 2020).
3.2.– Il dispositivo delle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 sottende un’enunciazione di portata generale che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, trascende la ragione contingente che ha dato occasione allo scrutinio di irragionevolezza dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, identificabile nella obsolescenza degli importi tabellari nel momento in cui la novella legislativa del 2013 ha esteso la riduzione dei compensi anche al processo penale.
L’irragionevolezza della norma censurata risiede dunque nella possibilità, derivante dalla sua combinazione con il sistema di determinazione dei compensi delineato dagli artt. 50 e 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, che il dimezzamento imposto dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato operi su una base tariffaria già di per sé sproporzionata per difetto.
Un meccanismo normativo siffatto, invero, produce effetti incongrui rispetto al fine perseguito, ove la prevista riduzione si associ all’omesso adeguamento ministeriale dell’importo base.
3.3.– È ben vero che il patrocinio a spese dello Stato è espressione di un bilanciamento rimesso alla discrezionalità del legislatore, il quale può conseguire il risultato della garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale conformando gli istituti nel modo che reputa più opportuno, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (sentenze n. 80 e 47 del 2020, n. 97 del 2019; ordinanza n. 3 del 2020).
Nondimeno, una norma che, come quella in scrutinio, decurti significativamente la remunerazione di un’attività professionale svolta nell’interesse della giustizia, può ritenersi ragionevole solo se la misura del sacrificio inflitto al professionista sia correttamente calibrata rispetto al fine di riduzione della spesa erariale.
Come già ricordato, affinché tale canone di adeguatezza possa ritenersi soddisfatto, la decurtazione deve essere operata su tariffe preservate nella loro elementare consistenza in relazione alle variazioni del costo della vita (sentenza n. 192 del 2015).
Tale enunciazione deve essere ribadita anche in riferimento alla fattispecie ora in esame, nella quale il rapporto di proporzione tra l’onorario dell’ausiliario e la tariffa libero-professionale sarebbe irrimediabilmente reciso, ove la già pesante riduzione della metà intervenisse su importi tabellari che, a causa della protratta svalutazione, risultino già di per sé significativamente distanti dai valori di mercato.
3.4.– Né, in senso contrario, può annettersi rilievo ai profili di specificità del processo penale rispetto alle liti civili addotti dalla difesa dello Stato per escludere la riproducibilità, nell’odierno giudizio, della ratio decidendi posta a base della dichiarazione di illegittimità costituzionale del meccanismo di riduzione degli onorari previsto per il processo penale.
La peculiarità di quest’ultimo rispetto ai procedimenti civili o amministrativi si coglie soprattutto nella diversità dell’azione penale rispetto alle domande proposte davanti ai giudici dei diritti o degli interessi, per la quale è approntato, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa del soggetto che la subisce, un sistema di garanzie che ne assicuri al meglio l’effettività (sentenze n. 157 del 2021 e n. 237 del 2015).
La necessità di garantire ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione, prevista dall’art. 24, terzo comma, Cost., non postula che «gli appositi istituti» siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio (sentenze n. 35 del 2019 e n. 237 del 2015).
3.4.1.– Se a diversi processi possono corrispondere, in base a scelte discrezionali del legislatore, discipline differenziate anche degli stessi istituti (sentenza n. 78 del 2002), per converso, nel caso in cui la legge delinei, in riferimento alla medesima fattispecie, normative per il processo civile e per quello penale sostanzialmente sovrapponibili − come avviene nella specie, sia pure con la significativa differenza delle decurtazioni dei compensi tra un terzo e la metà rispettivamente spettanti agli ausiliari del magistrato − una differente modulazione dello scrutinio di ragionevolezza si rivelerebbe ingiustificata.
Tale situazione ricorre nella fattispecie, qui in esame, della liquidazione dei compensi per l’ausiliario del magistrato in caso di ammissione al patrocinio a carico dell’erario, rispetto alla quale il legislatore, estendendo al processo penale il meccanismo di decurtazione degli onorari già previsto, sia pure in misura maggiore, per gli altri giudizi, ha inteso allineare, con specifico riferimento alla materia in esame, i diversi sistemi processuali.
Non può, inoltre, trascurarsi come una finalità di unificazione della normativa emerga dalla stessa disciplina dell’adeguamento tariffario, che il Titolo VII della Parte II del t.u. spese di giustizia riferisce espressamente a tutti i processi, ivi compreso quello penale.
Né, del resto, la ratio decidendi delle indicate sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 valorizza le peculiarità del processo penale, esprimendo, invece, un generale canone di proporzionalità e di adeguatezza nel bilanciamento tra giusta remunerazione del professionista ed esigenze della spesa pubblica, che trascende le particolarità dei singoli modelli processuali.
4.– In definitiva, il mancato funzionamento del meccanismo di equilibrio insito nell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 recide la necessaria correlazione tra il compenso per l’ausiliario del magistrato ed i valori di mercato, così facendo venir meno quel rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, che è alla base della ragionevolezza della scelta legislativa (sentenza n. 102 del 2021).
5.– Per tali ragioni, l’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude che la riduzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.