Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 06 luglio 2022 n. 5615
QUESTIONE RIMESSA
Va rimesso all’Adunanza plenaria il seguente quesito di diritto: “se l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, del codice n. 159 del 2011, comporta che il giudice amministrativo – nel corso del giudizio di primo grado o di quello d’appello avente per oggetto la presupposta interdittiva antimafia – debba sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., o debba rinviare l’udienza eventualmente già fissata”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
L’inquadramento delle questioni.
- Nel corso del tempo il legislatore ha introdotto nel sistema ulteriori misure di prevenzione rispetto a quelle previste dal testo originario del codice n. 159 del 2011: con tali ulteriori misure, o si mira ad evitare che le interdittive antimafia producano effetti irreversibili sulla presenza delle imprese nel mercato, o si mira – ancor più radicalmente – ad evitare l’emanazione dell’interdittiva.
7.1. Il sistema ‘tradizionale’ delle misure interdittive patrimoniali – come introdotto dalla legge n. 646 del 1982, modificativa della legge n. 575 del 1965 – era imperniato sul sequestro e sulla confisca.
Tali misure sono state spesso definite ‘statiche’, perché volte a contrastare la già verificatasi accumulazione di beni in capo al soggetto ritenuto pericoloso.
7.2. Con il decreto legge n. 306 del 1992, è stato inserito nella legge n. 575 del 1965 l’art. 3 quater, che ha attribuito al Tribunale della prevenzione anche il potere di disporre l’“amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche”, volta a consentire la prosecuzione dell’attività economica, nell’ottica di tenere conto anche delle eventuali esigenze occupazionali e di determinare soluzioni volte ad evitare l’estromissione di una impresa dal mercato.
7.3. Nel codice n. 159 del 2011 sono state trasfuse le disposizioni sul sequestro e sulla confisca e – nell’art. 34 – sulla amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche.
L’art. 34 (modificato con l’art. 10 della legge n. 161 del 2017) si riferisce a casi in cui vi siano sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio delle attività economiche sia direttamente o indirettamente sottoposto alle ‘condizioni di intimidazione o di assoggettamento’, come previste dall’art. 416 bis c.p., o ‘possa comunque agevolare l’attività di persone’, indicate nell’ultima parte del primo periodo del comma 1.
- Il legislatore ha poi introdotto ulteriori misure, volte a graduare – a seconda dei casi – la loro incidenza sullo svolgimento e sulla gestione delle attività economiche, anche consentendone la prosecuzione da parte dell’impresa destinataria della misura.
8.1. La legge n. 161 del 2017 ha introdotto nel codice l’art. 34 bis sul ‘controllo giudiziario delle aziende’, per i casi in cui “l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’art. 34 risulta occasionale”.
Il Tribunale di prevenzione può disporre il controllo giudiziario:
–‘anche d’ufficio’, ai sensi del comma 1;
— su istanza di una impresa, ai sensi del comma 6 (modificato con l’art. 47 della legge n. 233 del 2021, che ha aggiunto nel suo testo unicamente le parole ‘il prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva’).
A seguito della modifica disposta con la legge n. 233 del 2021, il testo vigente del comma 6 dell’art. 34 bis è il seguente:
“6. Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente, il prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva nonché gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali”.
8.2. Nella medesima ottica di evitare che nel caso di ‘agevolazione occasionale’ una impresa sia estromessa dal mercato, la legge n. 233 del 2021 ha introdotto nel codice l’art. 94 bis, che ha attribuito al Prefetto anche il potere di emanare le ‘misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale’.
Il Prefetto può quindi non emanare l’interdittiva antimafia e disporre tali ‘misure amministrative’, quando l’agevolazione sia ‘occasionale’, in un’ottica di semplificazione, volta ad evitare che, nel caso di occasionalità, dapprima il Prefetto disponga l’interdittiva e poi il Tribunale di prevenzione disponga il controllo giudiziario.
- A differenza del sequestro e della confisca (misure ‘statiche’ nel senso sopra segnalato), gli articoli 34, 34 bis e 94 bis disciplinano misure “correttive” e “dinamiche”, proiettate al futuro per contrastare l’esercizio distorto dell’attività aziendale e favorirne la continuità su canali di gestione vigilata e protetta.
L’obiettivo delle ‘misure correttive’ è quello di ‘decontaminare’ le attività imprenditoriali sostanzialmente sane (o non del tutto compromesse) e restituirle al libero mercato, una volta depurate dagli agenti inquinanti, in un’ottica conservativa.
Il codice antimafia ha introdotto un principio di progressività delle misure di prevenzione, che si intensifica o si riduce in misura proporzionale al “bisogno di prevenzione” dell’operatore economico.
Gli articoli 34 e 34 bis dispongono che le misure conservative siano disposte dal Tribunale di prevenzione, l’art. 94 bis attribuisce la relativa competenza al Prefetto (nell’ottica di ridurre il numero delle interdittive sproporzionate quando l’agevolazione sia risultata ‘occasionale’).
- L’art. 34-bis prevede che il controllo possa essere attuato in due modalità diverse:
— una meno invasiva, consistente in un obbligo di comunicazione periodica al Questore e al nucleo di polizia tributaria degli atti di disposizione patrimoniale o di altri atti o contratti individuati dal Tribunale (art. 34 bis, comma 2, lett. a);
— una più invasiva, consistente nella nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario (art. 34 bis, comma 2, lett. b, con le possibili conseguenze previste dai commi 3 e 4).
Il Tribunale della prevenzione di regola può valutare, anche d’ufficio, se disporre le modalità meno invasive o quelle meno invasive previste dal comma 2 alle lettere a) e b).
Qualora però accolga l’istanza dell’impresa ai sensi del comma 6, il Tribunale della prevenzione può unicamente disporre la modalità ‘più invasiva’ e nominare il giudice delegato e l’amministratore giudiziario.
- Va rimarcato che, sin da quando è stata disciplinata l’interdittiva antimafia, non v’era dubbio che si sarebbero dovute applicare le regole generali del processo amministrativo, poi disciplinate dal codice approvato con il d.lg. n. 104 del 2010, tra cui quella per la quale il presidente della Sezione deve fissare l’udienza di discussione del ricorso, quando vi sia la domanda di fissazione (art. 71, comma 3, del c.p.a.).
Anzi, nella prassi, proprio per l’impatto che hanno le interdittive sulle posizioni dei soggetti coinvolti e sull’economia di settore, i ricorsi volti al loro annullamento sono stati fissati con una certa urgenza.
Senonché, dopo l’entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, che ha introdotto nel codice n. 159 del 2011 l’art. 34 bis sul controllo giudiziario, si è formata una variegata prassi con la quale si è posto in discussione il potere-dovere del giudice amministrativo di decidere i ricorsi (e gli appelli) quando l’impresa – dopo l’impugnazione della interdittiva di cui sia stata destinataria– abbia chiesto ed ottenuto dal Tribunale di prevenzione la misura del controllo giudiziario.
- La diversità degli orientamenti dei giudici amministrativi è dipesa dalla individuazione degli effetti previsti dall’art. 34, comma 7, per il caso in cui il Tribunale di prevenzione accolga la domanda dell’impresa ai sensi del comma 6.
12.1. Il comma 7 prevede che “Il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94”.
Di conseguenza, il Prefetto non deve porre in essere gli adempimenti di cui all’art. 92, comma 2, e sono sospesi ex lege gli effetti tipici dell’interdittiva, sulla incapacità giuridica parziale dell’impresa (su tale incapacità giuridica parziale è sufficiente un richiamo per relationem alle pronunce più recenti di questa Sezione e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, cfr. n. 14 del 2021, n. 23 del 2020 e n. 3 del 2018).
Va rimarcato che per un orientamento dal comma 7 si dovrebbe desumere che il controllo giudiziario disposto nelle more del giudizio amministrativo avrebbe natura “cautelare” (perché consentirebbe l’attività dell’impresa nel tempo necessario alla definizione del giudizio proposto contro l’interdittiva).
In realtà, l’espressione contenuta nell’art. 34, comma 7 (per la quale “il provvedimento che dispone .. il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all’articolo 94”) non si riferisce stricto sensu ad un provvedimento cautelare (tanto meno del giudice della prevenzione): la sospensione degli effetti dell’interdittiva è una conseguenza che si determina ipso iure per l’ammissione al controllo giudiziario e inoltre il controllo giudiziario è emesso all’esito della relativa cognizione del Tribunale della prevenzione, e non all’esito di una sua fase ‘cautelare’.
12.2. Quanto alla giurisprudenza, si è affermato che – affinché il controllo giudiziario disposto dal Tribunale della prevenzione continui fino alla data da questo fissata – occorrerebbe la pendenza del giudizio amministrativo (Cass. Pen., sez. II, n. 27856 del 2019, par. 4).
Sulla base di questa affermazione, per evitare che l’eventuale sentenza di rigetto del ricorso proposto contro l’interdittiva comporti la caducazione delle misure disposte dal Tribunale della prevenzione, la giurisprudenza amministrativa si è divisa, anche interrogandosi sul se il giudizio amministrativo vada necessariamente sospeso o se comunque vada rinviata l’udienza di discussione, se già fissata dal presidente della Sezione.
- In giurisprudenza si registrano cinque diversi orientamenti.
- Per un primo indirizzo, seguito anche da questa Sezione, l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario determinerebbe una causa necessaria di sospensione impropria del giudizio amministrativo, per la conseguente sospensione ex lege dell’efficacia del provvedimento interdittivo ex art. 34 bis, comma 7 (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. III, ord. nn. 8005, 7549, 6885, 6687 e 5315 del 2021; 4946, 4523, 4049 e 2652 del 2020; 5592, 5593, 5594, 5482 e 4873 del 2019; 4719 del 2018).
Poiché l’esito del controllo, se attestante l’intervenuta “bonifica” dell’impresa, potrebbe o dovrebbe determinare la revoca dell’interdittiva, si ritiene che l’effetto sospensivo dovrebbe perdurare “per tutto il tempo della misura del controllo giudiziario adottata dal Tribunale in sede di prevenzione” (Cons. Stato, sez. III, ord. n. 4718 del 2019; cfr. TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro, sez. I, ord. n. 658 del 2019).
Tale orientamento (definibile ‘della pregiudizialità’) si è basato, esplicitamente o implicitamente, su quello della Corte di Cassazione sopra segnalato (Sez. pen. II, n. 27856 del 2019, par. 4), per il quale – qualora l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario e poi segua la reiezione del ricorso al giudice amministrativo, con la conseguente inoppugnabilità dell’atto del Prefetto – si dovrebbe intendere cessato l’effetto sospensivo previsto dal comma 7 dell’art. 34 bis, con cessazione degli effetti del controllo giudiziario.
Si è ravvisata così una ‘pregiudizialità processuale’, nel senso che – poiché l’impresa può chiedere il controllo giudiziario solo se ha impugnato l’interdittiva – allora ne deriverebbe che gli effetti del controllo giudiziario presupporrebbero la pendenza del giudizio amministrativo.
- Osserva al riguardo questo Collegio, in primo luogo, che – sotto il profilo testuale – l’art. 34 bis al comma 6, pur affermando la necessità del previo ricorso al giudice amministrativo per l’impresa che voglia chiedere il controllo giudiziario, non subordina la sua perdurante efficacia alla continuità della pendenza del giudizio amministrativo.
In secondo luogo, non sembra che sussista l’obbligo del giudice amministrativo di sospendere il giudizio e di non decidere il ricorso al suo esame.
Dovrebbe rilevare in materia il principio di legalità.
Non solo manca una disposizione di legge che preveda la caducazione del provvedimento del Tribunale di prevenzione nel caso di reiezione del ricorso giurisdizionale (o di declaratoria della sua tardività o inammissibilità), ma manca una disposizione di legge che imponga al giudice amministrativo di sospendere il giudizio, quando il Tribunale di prevenzione abbia accolto l’istanza al suo esame, o gli vieti di esercitare i suoi poteri decisori (anche cautelari e pure in sede di appello).
Neppure vi è una disposizione che impedisca di emettere una sentenza all’esito della camera di consiglio, fissata per l’esame della domanda cautelare.
Inoltre, la soluzione della sospensione obbligatoria del giudizio amministrativo potrebbe urtare:
— col principio della ragionevole durata del processo amministrativo;
— con gli articoli 24, 103 e 113 della Costituzione, poiché si precluderebbe all’impresa (che ha chiesto il controllo giudiziario per incorrere nel ‘male minore’) di avere ‘piena giustizia’ con la sentenza che in ipotesi ravvisi l’illegittimità dell’atto del Prefetto (con pieno reintegro della sua sfera giuridica e, questa volta sì, con la caducazione della misura del controllo giudiziario, che sempre presuppone l’efficacia dell’interdittiva).
Va anche considerato che, per il principio di legalità, il giudizio amministrativo va sospeso obbligatoriamente nei soli casi previsti dalla legge: per i casi di ‘interferenza’ con altri procedimenti, a volte la legge ha previsto la sospensione del giudizio amministrativo (si pensi ai casi di proposizione delle istanze di condono, ai sensi delle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003), mentre nessuna disposizione è contenuta al riguardo dal sopra riportato comma 6.
- Per un secondo orientamento, che si basa sulla stessa impostazione concettuale del primo, nel caso di accoglimento dell’istanza di controllo giudiziario, in luogo della sospensione del giudizio andrebbe disposto il rinvio dell’udienza di discussione (se fissata) in tempi coordinati con quelli della misura preventiva (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, ord. nn. 7521, 6392, 5282 e 5134 del 2021).
Si è anche affermato che il rinvio andrebbe disposto quando vi sia stato l’accoglimento dell’istanza ex art 34-bis, e non quando vi sia stata la sua presentazione (TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro, sez. I, n. 658 del 2019).
Il rinvio dell’udienza viene invece negato nei casi in cui il giudizio sull’interdittiva sia stato definito in secondo grado e sulla sentenza di appello penda il giudizio di revocazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, nn. 3973 del 2022 e 7486 del 2019).
Anche questo secondo orientamento si basa sulla ‘tesi della pregiudizialità’, ritenendola compatibile con il dato testuale dell’art. 34 bis, comma 6: il rigetto del ricorso da parte del giudice amministrativo ‘renderebbe definitivi’ gli effetti della interdittiva e verrebbe meno il presupposto stesso del controllo giudiziario, qualificato come una misura che presuppone la pendenza del giudizio amministrativo (Cons. Stato, sez. III, ord. nn. 5134 e 1557 del 2021).
- Al riguardo, si deve osservare però che anche tale interpretazione non si basa su alcuna espressa regola sostanziale o processuale e rischia di urtare con i principi costituzionali sulla effettività della tutela spettante all’impresa, che abbia fondatamente impugnato l’atto del Prefetto.
Inoltre, va richiamato l’art. 73, comma 1 bis, del codice del processo amministrativo, per il quale “il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio”.
- Per un terzo orientamento (TAR per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria) in assenza di una espressa previsione di legge, il meccanismo sospensivo dell’art. 295 c.p.c. (come richiamato dall’art. 79, comma 3, c.p.a.) non opera e, stante la non interferenza degli ambiti giurisdizionali di cognizione del giudice amministrativo e del giudice della prevenzione penale, il primo ha comunque l’obbligo di definire nel merito il ricorso (cfr. TAR per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria, n. 560 del 2020; nn. 21 e 350 del 2019).
In una delle pronunce rientranti in questo filone, la n. 560 del 2020, si legge che, per la ‘natura cautelare’ del controllo giudiziario (volta a paralizzare interinalmente gli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva nel tempo occorrente alla definizione del giudizio promosso per contestarne la legittimità), occorre decidere il ricorso proposto contro l’interdittiva, con la precisazione che, nel caso di reiezione del ricorso, verrebbe però meno il presupposto del controllo giudiziario, “con sua conseguente automatica cessazione”.
Per questa linea di indirizzo, quindi, vi è la necessità di definire il giudizio amministrativo indipendentemente dall’esito del controllo giudiziario, ma la reiezione del ricorso comporterebbe la cessazione del controllo giudiziario.
- Ad avviso di questo Collegio, questo orientamento è condivisibile nella parte in cui afferma che il giudice amministrativo deve definire il giudizio al suo esame secondo le regole generali, ma – nel seguire la ‘tesi della pregiudizialità’ sulla caducazione della misura di prevenzione nel caso di rigetto del ricorso al giudice amministrativo – come si è sopra osservato non si basa su alcuna disposizione di legge.
- Peraltro, la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza delle Sezioni Unite 19 novembre 2019, n. 46898, nel risolvere (in senso affermativo) la questione della appellabilità da parte dell’impresa dei provvedimenti di rigetto del Tribunale della prevenzione, ha evidenziato la diversità dell’ambito di cognizione del giudice amministrativo (in sede di impugnazione dell’interdittiva) e di quello del Tribunale della prevenzione, rimarcando come il giudice amministrativo si debba pronunciare sulla legittimità dell’atto del Prefetto, mentre il Tribunale di prevenzione deve principalmente accertare che effettivamente sussista la prospettata “occasionalità” del pur sussistente rischio infiltrativo, formulando nel contempo una prognosi di “emendabilità” dell’azienda dal pericolo che prosegua l’agevolazione di soggetti o associazioni malavitosi.
Dalla motivazione di tale sentenza, si possono trarre argomenti per sostenere che – oltre alla carenza di un fondamento testuale – neppure vi sono argomenti logici per ritenere che la pendenza del giudizio amministrativo sia necessaria per la perdurante efficacia dell’atto del Tribunale di prevenzione che ha disposto il controllo giudiziario.
- Per un quarto orientamento (TAR per la Sicilia, Sezione di Catania, sez. IV, n. 1219 del 2022), l’ammissione al controllo determinerebbe l’improcedibilità del ricorso al giudice amministrativo e l’estinzione dell’interesse alla sua decisione anche ai fini meramente risarcitori.
L’attivazione del controllo giudiziario implicherebbe, a conclusione della fase di monitoraggio, un obbligo di aggiornamento della prognosi di esposizione al rischio infiltrativo: dovendo comunque riprovvedere il Prefetto, le determinazioni del Tribunale di prevenzione renderebbero ‘inattuale’ e superato il precedente quadro istruttorio sul quale si era basato l’atto interdittivo.
- Anche questa tesi può non risultare condivisibile.
E’ ben vero che, con l’istanza proposta ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, l’impresa ‘chiede ed ottiene’ un accertamento del Tribunale di prevenzione sulla sussistenza di un condizionamento ‘solo’ occasionale (per avere una misura che è un ‘male minore’ che consente comunque di continuare l’attività economica), ma la proposizione dell’istanza (o il suo accoglimento) non può comportare la sopravvenuta carenza di interesse del ricorso al TAR, non solo perché il controllo giudiziario costituisce una misura temporanea, ma anche perché l’impresa ben può ottenere la piena tutela giurisdizionale, con l’annullamento dell’interdittiva.
- Per connessione, il Collegio ritiene che neppure può essere condivisa la tesi, talvolta sostenuta dai commentatori delle leggi del 2017 e del 2021, secondo la quale l’impresa – nel chiedere il controllo giudiziario – farebbe acquiescenza all’interdittiva del Prefetto, riconoscendo che effettivamente sussisteva la agevolazione ‘occasionale’.
23.1. Rileva la ratio del comma 6 dell’art. 34 bis, per il quale l’impresa può chiedere di essere ammessa al controllo giudiziario solo se ha in precedenza impugnato l’interdittiva.
Il comma 6 non ha consentito a tutte le imprese destinatarie delle interdittive di chiedere il controllo giudiziario: possono chiederlo solo le imprese che abbiano impugnato l’interdittiva innanzi al giudice amministrativo.
Il Tribunale di prevenzione può provvedere in presenza di tre necessari presupposti (uno ‘provvedimentale’, uno ‘processuale’, uno ‘sostanziale’:
- a) che il Prefetto abbia emanato il provvedimento interdittivo;
- b) che l’impresa abbia impugnato tal provvedimento innanzi al giudice amministrativo;
- c) che l’impresa chieda al Tribunale di prevenzione di rilevare come il pericolo di ‘agevolazione’, pur se sussistente, si debba considerare ‘occasionale’.
23.2. Una prima possibile ratio della limitazione di cui al ‘presupposto processuale’ potrebbe essere ravvisata nell’esigenza di prevedere un ‘filtro’ sulla serietà e sulla meritevolezza della istanza dell’impresa: poiché con l’impugnazione non vi è l’acquiescenza alla interdittiva, il legislatore ha consentito solo a chi ne ha contestato la legittimità di sottoporsi al ‘regime intermedio’ del controllo giudiziario, che pur sempre è limitativo della capacità d’agire.
L’impresa chiede di essere assoggettata ad un ‘male minore’, rispetto a quello ben più incidente, per gli effetti tipici dell’interdittiva.
Una seconda possibile ratio della regola potrebbe essere quella di evitare che gli effetti di una interdittiva divenuta inoppugnabile siano parzialmente incisi dal Tribunale della prevenzione.
Al riguardo, osserva il Collegio che possa essere seguita la prima impostazione: in un’ottica di conservazione delle attività economiche, il legislatore – con la regola sul ‘presupposto processuale’ – ha sottolineato che la richiesta del controllo giudiziario è ‘altro’ rispetto alla questione della legittimità dell’interdittiva e che tale richiesta non può essere affatto qualificata come acquiescenza, tanto che il ricorso è compatibile con la successiva istanza, formulata ai sensi del comma 6.
In altri termini, il legislatore, sia pure con una formula che poteva essere più chiara, ha rimarcato come l’impresa abbia comunque titolo ad ottenere la tutela giurisdizionale che le spetta e che, anche nel caso di proposizione del ricorso, comunque può essere ammessa al controllo giudiziario, fermi i poteri del giudice amministrativo e di quello della prevenzione.
In ogni caso, dunque, l’istanza non può comportare l’acquiescenza all’interdittiva, pure se già impugnata, e il provvedimento di accoglimento del Tribunale di prevenzione non comporta l’improcedibilità del ricorso proposto al giudice amministrativo.
- Nettamente orientata nel senso della autonomia dei procedimenti è la prospettiva accolta da Cons. Stato. Sez. III, 3973 del 2022, secondo cui il comma 6 “limita la correlazione tra il giudizio impugnatorio e la suddetta misura preventiva esclusivamente al momento genetico-applicativo di quest’ultima, senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo”.
Per questo orientamento, pur essendovi una loro iniziale correlazione, i due giudizi possono avere un autonomo sviluppo, poiché la misura preventiva “assolve alla sua funzione preventivo-risanatrice anche laddove il giudizio amministrativo di impugnazione si sia risolto in senso negativo per l’impresa ricorrente”.
- Questo Collegio condivide e fa proprio tale orientamento, il più aderente al testo dell’art. 34 bis, comma 6 ed alla ratio dell’istituto, volto alla prosecuzione – per quanto possibile – dell’attività economica dell’impresa.
25.1. Le considerazioni prima svolte per contestare gli altri orientamenti sembrano risultare anche le più coerenti con le regole sostanziali sul controllo giudiziario e con le regole del processo amministrativo.
Innanzitutto, si ribadisce che nessuna disposizione di legge impone che sia necessaria la perdurante pendenza del giudizio amministrativo affinché sia esaminata o decisa l’istanza di controllo giudiziario o affinché perdurino gli effetti della pronuncia di accoglimento del Tribunale di prevenzione.
Qualora si dovesse ritenere che per la perduranza del controllo giudiziario occorra la duratura pendenza del giudizio amministrativo, si affermerebbe una regola non prevista dalla legge e che in concreto risulterebbe sfavorevole all’impresa che voglia in primis ottenere l’annullamento dell’atto del Prefetto e, in subordine, mantenere almeno il beneficio del controllo giudiziario.
Il comma 6 dell’art. 34 bis richiede esclusivamente che il ricorso al TAR sia stato proposto prima della formulazione dell’istanza da parte dell’impresa e non contiene alcuna disposizione sulla caducazione degli effetti della pronuncia del Tribunale di prevenzione, per il caso in cui sia respinto (o sia dichiarato irricevibile o inammissibile) il ricorso al giudice amministrativo.
Il comma 7 non esige che si tratti di un atto che rimanga sub iudice per tutta la durata del controllo e comunque si riferisce al solo momento in cui il giudice ‘dispone’ il controllo giudiziario (senza attribuire rilevanza ad alcuna sopravvenienza che riguardi il processo amministrativo).
Per l’art. 34, comma 2, “il controllo giudiziario è adottato dal tribunale per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni”: la durata del controllo è fissata dal Tribunale della prevenzione, secondo tempistiche autonome e non coordinate con quelle del giudizio sull’interdittiva e, comunque, la legge non prevede alcuna ipotesi di caducazione, per il caso in cui sia respinto il ricorso proposto contro l’interdittiva.
Del resto, l’art. 34 bis – se avesse voluto disporre altrimenti – avrebbe dovuto comunque precisare se debba rilevare la sentenza di primo grado o quella di secondo grado.
La perduranza della sospensione ex lege dei suoi effetti (pur quando il ricorso al giudice amministrativo sia respinto) è compatibile, sul piano logico e giuridico, con la regola per la quale gli effetti medesimi – in quanto sospesi dalla legge unicamente in conseguenza della ammissione al controllo giudiziario – restano sospesi per tutta la durata fissata dal giudice della prevenzione.
Le stesse Sezioni Unite, con la sopra richiamata sentenza n. 46898 del 2019, hanno sottolineato la diversità degli ambiti decisori del giudice amministrativo (quale giudice ‘dell’atto’ e dei fatti del passato) e del Tribunale di prevenzione (quale giudice della possibile ‘emenda’ dell’impresa coinvolta nella agevolazione occasionale).
Pur se non si può escludere che, in concreto, i medesimi fatti siano valutati nella loro rilevanza in entrambe le sedi, in linea di principio le valutazioni dei due ordini giurisdizionali si basano su presupposti diversi ed hanno un oggetto diverso.
25.2. Il Collegio condivide dunque la giurisprudenza per la quale “la caducazione della misura del controllo non costituisce una conseguenza immediata ed ineluttabile dell’eventuale esito negativo del giudizio di annullamento instaurato avverso il provvedimento interdittivo” e ciò in quanto l’art. 34 bis, comma 6, “limita la correlazione tra il giudizio impugnatorio e la suddetta misura preventiva esclusivamente al momento genetico-applicativo di quest’ultima, senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo” (Cons. Stato. Sez. III, n. 3973 del 2022): il controllo giudiziario “assolve alla sua funzione preventivo-risanatrice anche laddove il giudizio amministrativo di impugnazione si sia risolto in senso negativo per l’impresa ricorrente” (Cons. Stato, Sez. III, n. 3973 del 2022).
25.3. Il legislatore non ha emanato altre disposizioni di raccordo tra il processo amministrativo e quello di competenza del Tribunale di prevenzione, oltre quella che ha consentito la proposizione della istanza – ai sensi del comma 6 – alla sola impresa che ha impugnato l’interdittiva.
Dunque, l’art. 34 bis non ha posto deroghe al potere-dovere del presidente del TAR o del presidente della sezione del Consiglio di Stato di fissare l’udienza di definizione del giudizio (o della domanda cautelare), così come non ha previsto deroghe alla decorrenza dei termini rilevanti ai sensi della legge n. 89 del 2001 e alla possibilità per l’impresa ‘sana’ (e che ha ragione) di ottenere senza ritardo una pronuncia che faccia venire meno gli effetti dell’interdittiva e dunque anche quelli del controllo giudiziario, tornando così nella propria piena capacità giuridica e di agire.
25.4. Per una impresa ‘sana’, anche il ‘male minore’ del controllo giudiziario costituisce un vulnus della sua sfera giuridica.
Oltre agli articoli della Costituzione sopra richiamati (24, 103 e 113), rileva anche l’art. 41, dal quale emerge che – anche nell’interesse pubblico – debba esservi la rapida definizione del giudizio proposto contro una interdittiva con la eventuale prospettiva della reimmissione nel mercato, malgrado l’impresa abbia ottenuto la misura del controllo giudiziario e la sua attività sia svolta dall’amministratore giudiziario, con la vigilanza del giudice delegato.
- Dovendosi fornire all’Adunanza Plenaria una proposta di ricostruzione organica del quadro normativo vigente, osserva il Collegio che la soluzione della necessità della definizione del giudizio amministrativo secondo le regole generali non solo incide sull’andamento del controllo giudiziario e sulle determinazioni conclusive del Tribunale della prevenzione, al termine del periodo da esso determinato, ma risulta quella più conforme alle esigenze sostanziali perseguite dal legislatore, che ha introdotto le misure volte ad evitare – per quanto possibile – l’espulsione dell’impresa dal mercato ed il suo recupero alla piena legalità.
Infatti, la decisione del ricorso giurisdizionale avverso l’interdittiva:
— se conduce all’annullamento del provvedimento, non può che comportare, questa volta sì, il travolgimento del controllo giudiziario, che intanto era stato disposto, sul presupposto dell’efficacia dell’interdittiva (annullata questa, viene meno l’oggetto della misura disposta dal Tribunale della prevenzione);
— se conduce alla reiezione dell’impugnazione (per infondatezza, irricevibilità o inammissibilità), non incide sulla perduranza del controllo giudiziario, che può avere il suo naturale decorso.
Il provvedimento positivo emesso dal Tribunale della prevenzione all’esito del controllo giudiziario si esprime sulle sopravvenienze rispetto alle interdittive e dunque:
– da un lato, non incide sull’esito del giudizio amministrativo che risulti ancora pendente (avente per oggetto la legittimità dell’interdittiva, da esaminare tenendo conto degli elementi sussistenti al momento dell’interdittiva);
– dall’altro, non può che rilevare in sede procedimentale, quando l’impresa formuli al Prefetto una istanza di riesame.
In tal caso, infatti, si potrebbe considerare sussistente un obbligo del Prefetto di provvedere sulla istanza di riesame, dovendo avere rilevanza la sopravvenienza tenuta in considerazione dal legislatore (la conclusione positiva del controllo giudiziario).
Anche in questa prospettiva può essere interpretato il comma 7 dell’art. 34 bis, nella parte in cui – sia pure in connessione alle previsioni del comma 1 – dispone che l’ammissione al controllo giudiziario, oltre a sospendere gli effetti interdittivi di cui all’art. 94, sospende anche il termine, previsto dall’art. 92, comma 2, per il rilascio dell’informazione antimafia: il legislatore ha agevolato la rinnovata valutazione del pericolo infiltrativo da parte del Prefetto, una volta concluso il controllo giudiziario.
- Da ultimo, si osserva che – con la legge n. 233 del 2021, di conversione del decreto legge n. 152 del 2021 – il legislatore ha introdotto nel codice il già sopra richiamato art. 94 bis, sulla ‘prevenzione collaborativa applicabile in caso di agevolazione occasionale’, che può essere emessa dal Prefetto, in luogo dell’interdittiva.
Il presupposto sostanziale di tale atto del Prefetto corrisponde a quello che può dar luogo il controllo giudiziario da parte del Tribunale della prevenzione: l’occasionalità della agevolazione.
Il Prefetto dunque può formulare valutazioni corrispondenti a quelle di competenza del Tribunale di prevenzione, previste dall’art. 34 bis.
Sia l’art. 34 bis che l’art. 94 bis hanno inteso evitare – per quanto possibile – l’eliminazione dal mercato delle imprese, in presenza dei relativi presupposti.
Anche per le relative implicazioni sistematiche, ad avviso del Collegio si potrebbe constatare come il legislatore – nel propendere per la più ampia applicazione degli strumenti di conservazione e di ‘bonifica’ delle imprese – non ha subordinato la prosecuzione del controllo giudiziario alla pendenza di un giudizio amministrativo.
Infine, proprio l’identità di ratio dei due istituti previsti dagli articoli 34 bis e 94 bis potrebbe essere posta ad ulteriore supporto dell’osservazione sopra riportata al § 26, per la quale – all’esito del positivo controllo giudiziario – sussiste l’obbligo del Prefetto di provvedere sulla conseguente istanza di riesame dell’impresa.
L’obbligo di provvedere del Prefetto – anche quanto al contenuto dell’atto – è stato espressamente previsto dall’art. 94 bis, comma 4, nel caso di favorevole esito della prevenzione collaborativa, ma per identità di ratio si può affermare che analogo obbligo sussista nel caso di esito positivo del controllo giudiziario: anche sotto tale profilo, si potrebbe considerare irrilevante – per l’esito positivo del controllo e per il conseguente obbligo del Prefetto di provvedere – la circostanza che nel frattempo sia stato respinto (o dichiarato tardivo o inammissibile) il ricorso proposto contro l’interdittiva.
- Per le ragioni che precedono, il Collegio allo stato respinge l’istanza di rinvio formulata dall’appellante.
Nondimeno, valutati i profili dell’attuale contrasto giurisprudenziale sopra evidenziati, il Collegio ritiene necessario deferire all’esame dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., la questione se debba essere o meno accolta l’istanza di rinvio o se debba essere sospeso il giudizio.
La Sezione proseguirà nella definizione del giudizio, sulla base del principio di diritto affermato dall’Adunanza Plenaria
- Si formula dunque il seguente quesito di diritto: “se l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, del codice n. 159 del 2011, comporta che il giudice amministrativo – nel corso del giudizio di primo grado o di quello d’appello avente per oggetto la presupposta interdittiva antimafia – debba sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., o debba rinviare l’udienza eventualmente già fissata”.
- Ogni ulteriore statuizione rimane subordinata all’esito della pronuncia dell’Adunanza plenaria sui punti di diritto oggetto di contrasto.