Corte Costituzionale, sentenza 28 giugno 2022 n. 160
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Regione Siciliana 29 luglio 2021, n. 21 (Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura. Norme in materia di concessioni demaniali marittime); va dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021; ancora, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021.
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione – in relazione agli articoli da 28 a 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e agli artt. 65 e 81 del regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi – nonché all’art. 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) – in relazione all’art. 15 della legge 6 agosto 2013, n. 97 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013) –, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con ricorso notificato il 4 ottobre 2021 e depositato il 12 ottobre 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 3, commi 1 e 2, nonché gli artt. 4, 6 e 18 della legge della Regione Siciliana 29 luglio 2021, n. 21 (Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura. Norme in materia di concessioni demaniali marittime).
2.– Viene in primo luogo censurato l’art. 3, commi 1 e 2, della legge regionale citata, per contrasto:
– con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 24 del regolamento (UE) n. 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, e agli artt. 81 e 88 del regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi; nonché:
– con l’art. 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all’art. 15 della legge 6 agosto 2013, n. 97 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013), «in applicazione dell’art. 117, comma 3 Cost.».
2.1.– La disposizione impugnata, al comma 1, vieta «l’utilizzo di biocidi diversi da quelli consentiti in agricoltura biologica, sulla base del regolamento (CE) 30 maggio 2018, n. 2018/848/UE e dall’allegato 2 del decreto ministeriale 18 luglio 2018, n. 6793», in una serie di ambiti territoriali dalla stessa individuati. Essi comprendono i parchi e le riserve naturali, i parchi archeologici, i geositi, i geoparchi, e i monumenti naturali, per i quali il divieto opererà a partire dal 10 gennaio 2023, nonché i siti della Rete Natura 2000, per i quali esso entrerà in vigore il 1° gennaio 2023. Il medesimo divieto si applica inoltre, senza specificazione del termine di decorrenza, «lungo i bordi di tutte le strade pubbliche e lungo i percorsi ferroviari» e «in qualsiasi altro luogo pubblico non destinato ad attività agricola».
Ai sensi del comma 2, la trasgressione di tali divieti comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro.
2.2.– Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate finirebbero per vietare in maniera pressoché totale l’uso dei biocidi nel complesso del territorio pubblico siciliano. In tal modo, esse si porrebbero in contrasto con il regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso di biocidi, e in particolare con il suo art. 88, che prevede una specifica procedura della quale lo Stato membro può avvalersi allorché, avendo validi motivi, sulla base di nuove prove, per ritenere che un biocida autorizzato ai sensi del medesimo regolamento «costituisca un grave rischio, immediato o nel lungo periodo, per la salute dell’uomo, in particolare dei gruppi vulnerabili, o degli animali o per l’ambiente», intenda adottare misure provvisorie per limitarne l’uso o la commercializzazione, comunicando tali misure alla Commissione, che le può autorizzare per un periodo di tempo determinato oppure può chiederne la revoca.
D’altra parte, il ricorrente osserva che l’art. 15 della legge n. 97 del 2013 ha individuato nel Ministero della salute l’autorità competente per gli adempimenti previsti dallo stesso regolamento (UE) n. 528/2012. Sotto questo profilo, la disposizione impugnata eccederebbe, pertanto, la competenza legislativa concorrente in materia di «igiene e sanità pubblica» di cui all’art. 17, lettera b), dello statuto della Regione Siciliana, ponendosi in contrasto con il menzionato art. 15 della legge n. 97 del 2013, assunto quale principio fondamentale della materia.
2.3.– La censura formulata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla disciplina del regolamento (UE) n. 528/2012, è fondata.
La disposizione impugnata prevede, come recita la rubrica, una serie di «[d]ivieti di uso di biocidi» nell’ambito di spazi pubblici regionali, e in particolare di quei biocidi «diversi da quelli consentiti in agricoltura biologica» sulla base delle norme unionali e nazionali di recepimento puntualmente richiamate dal comma 1.
In realtà, come a ragione osserva l’Avvocatura generale dello Stato, in agricoltura biologica non sono utilizzati, se non in minima parte, biocidi. La nozione di «biocida» è fornita dall’art. 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) n. 528/2012, che definisce tale, alternativamente:
«– qualsiasi sostanza o miscela nella forma in cui è fornita all’utilizzatore, costituita da, contenenti o capaci di generare uno o più principi attivi, allo scopo di distruggere, eliminare e rendere innocuo, impedire l’azione o esercitare altro effetto di controllo su qualsiasi organismo nocivo, con qualsiasi mezzo diverso dalla mera azione fisica o meccanica», ovvero
«– qualsiasi sostanza o miscela, generata da sostanze o miscele che non rientrano in quanto tali nel primo trattino, utilizzata con l’intento di distruggere, eliminare, rendere innocuo, impedire l’azione o esercitare altro effetto di controllo su qualsiasi organismo nocivo, con qualsiasi mezzo diverso dalla mera azione fisica o meccanica».
L’espressione «biocida» costituisce, dunque, un termine tecnico (in questo senso, ordinanza n. 270 del 1997), che si riferisce a prodotti non destinati all’uso su piante, il cui scopo essenziale è quello di debellare organismi nocivi, e che comprende tra l’altro disinfettanti, preservanti, rodenticidi, avicidi, molluschicidi.
Tali prodotti non sono tipicamente utilizzati per il trattamento delle piante (e tanto meno in agricoltura biologica), laddove si pone piuttosto la questione del possibile impiego di prodotti fitosanitari, quali erbicidi, fungicidi, insetticidi, acaricidi, utilizzati principalmente allo scopo di mantenere in buona salute le colture, proteggendole da malattie e infestazioni; prodotti, questi ultimi, che sono disciplinati essenzialmente dal regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE.
In effetti, dai lavori preparatori della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021 si evince come uno degli scopi perseguiti dal legislatore regionale fosse quello di limitare l’uso sulle piante di pesticidi e insetticidi inquinanti, in un’ottica di protezione della salute umana e dell’ambiente; e che, in questa prospettiva, il divieto di uso di prodotti diversi da quelli consentiti in agricoltura biologica ai sensi del richiamato regolamento (UE) n. 2018/848 e dal decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo 18 luglio 2018, n. 6793, recante «Disposizioni per l’attuazione dei regolamenti (CE) n. 834/2007 e n. 889/2008 e loro successive modifiche e integrazioni, relativi alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici. Abrogazione e sostituzione del decreto n. 18354 del 27 novembre 2009», fosse funzionale a imporre, negli spazi pubblici indicati dalla disposizione impugnata, il rispetto dei medesimi elevati standard di tutela della salute e dell’ambiente già vigenti nell’ambito dell’agricoltura biologica ai sensi della normativa europea.
Tuttavia, l’uso di un termine tecnico come «biocidi» fa sì che, indipendentemente dalla reale volontà del legislatore siciliano, l’effetto pratico della disciplina impugnata sia quello di limitare drasticamente l’uso di queste sostanze – e non già dei prodotti fitosanitari – in vasti spazi del territorio regionale, al di fuori delle condizioni stabilite dalla pertinente normativa unionale, e in particolare dal regolamento (UE) n. 528/2012, che stabilisce all’art. 88 un’articolata procedura da seguire allorché uno Stato membro intenda adottare «misure provvisorie in presenza di validi motivi per ritenere che un biocida, seppure autorizzato conformemente al regolamento, costituisca un grave rischio per la salute dell’uomo, o degli animali o per l’ambiente». Tale procedura comporta un obbligo di segnalazione alla Commissione delle misure provvisorie da parte dell’autorità competente dello Stato membro; autorità che la disciplina nazionale di recepimento, costituita dall’art. 15 della legge n. 97 del 2013, identifica nel Ministero della salute.
L’apposizione di limiti all’uso di biocidi al di fuori del quadro normativo stabilito dalla disciplina di cui al regolamento (UE) n. 528/2012 comporta dunque una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge regionale in questione.
Tale illegittimità costituzionale deve altresì estendersi all’art. 3, comma 2, parimenti impugnato, che fissa le sanzioni applicabili in caso di violazione del divieto di cui al comma 1.
Restano assorbite le restanti censure.
3.– È poi impugnato l’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021, per violazione:
– dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione a) agli articoli da 28 a 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE); b) al regolamento (UE) n. 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai «controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari»; c) al regolamento di esecuzione (UE) n. 2020/585 della Commissione, del 27 aprile 2020, relativo a un programma coordinato di controllo pluriennale dell’Unione per il 2021, il 2022 e il 2023, destinato a garantire il rispetto dei livelli massimi di residui di antiparassitari e a valutare l’esposizione dei consumatori ai residui di antiparassitari nei e sui prodotti alimentari di origine vegetale e animale; d) al regolamento di esecuzione (UE) n. 2021/601 della Commissione, del 13 aprile 2021, relativo a un programma coordinato di controllo pluriennale dell’Unione per il 2022, il 2023 e il 2024, destinato a garantire il rispetto dei livelli massimi di residui di antiparassitari e a valutare l’esposizione dei consumatori ai residui di antiparassitari nei e sui prodotti alimentari di origine vegetale e animale;
– dell’art. 17 dello statuto reg. Siciliana, in relazione all’art. 1 del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 2, recante «Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2017/625 in materia di controlli sanitari ufficiali sugli animali e sulle merci che entrano nell’Unione e istituzione dei posti di controllo frontalieri del Ministero della salute, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 12, comma 3, lettere h) e i) della legge 4 ottobre 2019, n. 117», «in applicazione dell’art. 117, comma 3 Cost.».
3.1.– La disposizione impugnata stabilisce al comma 1 che «i prodotti agricoli di importazione da Paesi extraeuropei di I, II, III, IV e V gamma, inclusi gli alimenti destinati al consumo umano o animale, possono essere commercializzati, lavorati, trasformati o venduti nel territorio regionale se dotati di certificato di analisi agrarie e multiresiduali», il quale attesti «la presenza di prodotti chimici di sintesi e micotossine nei limiti stabiliti dal regolamento di esecuzione (UE) n. 2020/585 della Commissione del 27 aprile 2020 e dal regolamento di esecuzione (UE) n. 2021/601 della Commissione del l3 aprile 2021».
Ai sensi del successivo comma 2, tale certificato «è rilasciato da un laboratorio ufficiale designato ai sensi dell’articolo 37 del regolamento (UE) n. 2017/625 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2017».
3.2.– Secondo il ricorrente, la previsione di un certificato obbligatorio non previsto dal regolamento (UE) n. 625/2017 né da alcuna altra norma di diritto dell’Unione violerebbe il principio di libera circolazione delle merci, nonché la specifica disciplina dettata dalle fonti unionali richiamate.
D’altra parte, la disposizione regionale impugnata eccederebbe i limiti della competenza statutaria in materia di igiene e sanità, sovrapponendosi indebitamente alle previsioni dell’art. 1 del d.lgs. n. 24 del 2021, che affida al Ministero della salute i controlli previsti dalla normativa unionale in materia.
3.3.– Va anzitutto rilevato che, sebbene il ricorrente impugni l’intero art. 6 della legge regionale n. 21 del 2021, le sue censure si dirigono in realtà unicamente alla disciplina della certificazione di cui ai commi 1 e 2, e conseguentemente alla disciplina relativa alle sanzioni in caso di assenza di certificazione (commi 3 e 4) nonché alle attività di controllo relative (commi 5 e 6).
Nulla deduce invece il ricorrente con riguardo alla disciplina, affatto eterogenea, contenuta nel comma 7, che concerne misure di protezione contro gli organismi nocivi delle piante ai sensi dell’art. 31 del regolamento (UE) n. 2016/2031 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016.
Le questioni vanno pertanto circoscritte ai soli commi da 1 a 6 dell’art. 6, nonostante che tale articolo appaia integralmente impugnato nel ricorso.
3.4.– Così precisati il thema decidendum e l’oggetto dell’impugnazione, le questioni sono fondate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 34 TFUE e al regolamento (UE) n. 2017/625.
La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 34 TFUE, leggi che impongano limiti alla libera circolazione delle merci al di fuori di quanto consentito dal diritto dell’Unione europea (sentenze n. 23 del 2021, n. 66 del 2013 e n. 191 del 2012). L’importazione di merci destinate al consumo umano o animale da Paesi terzi, destinate poi a circolare liberamente all’interno del mercato unico, è disciplinata in modo uniforme dal regolamento (UE) n. 2017/625, e in particolare dal suo Capo V, ove si prevedono controlli documentali e fisici a campione sulle merci importate, ma non una certificazione obbligatoria su ogni singolo prodotto come quella prevista dalla disposizione impugnata.
Tale certificazione – che peraltro si sovrappone indebitamente ai controlli che l’art. 1 del d.lgs. n. 24 del 2021, attuativo del menzionato regolamento (UE) n. 2017/625 a livello nazionale, affida a posti di controllo frontaliero del Ministero della salute – si configura quale condizione ulteriore rispetto a quanto previsto dal diritto dell’Unione per la commercializzazione, lavorazione, trasformazione o vendita delle merci importate, e si risolve, pertanto, in una «misura di effetto equivalente» a una restrizione quantitativa all’importazione, vietata dall’art. 34 TFUE.
Restano assorbite le ulteriori censure.
4.– È impugnato altresì l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021, per violazione:
– dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli articoli da 28 a 36 TFUE, nonché agli artt. 65 e 81 del regolamento (UE) n. 528/2012;
– dell’art. 17 dello statuto reg. Siciliana, in relazione all’art. 15 della legge n. 97 del 2013, «in applicazione dell’art. 117, comma 3 Cost.».
4.1.– La disposizione in esame attribuisce, al comma 1, «al NORAS del Corpo Forestale della Regione siciliana e al servizio fitosanitario del dipartimento regionale dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea» le funzioni di controllo «per le materie di competenza fitosanitaria ed agroforestale previste dagli articoli 6 e 9», istituendo, al comma 2, un apposito capitolo nel bilancio della Regione ove far confluire i proventi derivanti dalle sanzioni amministrative previste dalla stessa legge.
4.2.– Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata disciplinerebbe l’attività di vigilanza regionale in materia di biocidi (cui si riferisce l’art. 3, commi 1 e 2) e in materia di controlli sulle importazioni di prodotti agricoli (cui fa riferimento l’art. 6). Sicché l’art. 4 sarebbe costituzionalmente illegittimo in relazione agli stessi profili già evidenziati in relazione, rispettivamente, all’art. 3, commi 1 e 2, e all’art. 6, commi da 1 a 6.
4.3.– Le censure non sono fondate.
Pur se la rubrica dell’art. 4 si riferisce alla «Vigilanza sull’utilizzo di biocidi tossici e sanzioni», dal testo della disposizione non si evince alcuna competenza degli organi regionali ivi individuati a esercitare vigilanza e controllo in materia, appunto, di biocidi, dal momento che l’art. 4 richiama non già l’art. 3, bensì gli artt. 6 e 9 della legge oggetto del presente giudizio. Pertanto, i già rilevati vizi che affliggono l’art. 3, commi 1 e 2, non possono estendersi alla disposizione ora all’esame.
Per quanto poi l’art. 4, comma 1, richiami integralmente l’art. 6, le funzioni di controllo affidate «al NORAS del Corpo Forestale della Regione siciliana e al servizio fitosanitario del dipartimento regionale dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea» appaiono ragionevolmente da intendersi come limitate a quelle relative alle «misure di protezione contro gli organismi nocivi delle piante» disciplinate dal comma 7 dell’art. 6, rispetto al quale – come si è poc’anzi osservato (supra, punto 3.3.) – la difesa statale non ha articolato alcuna censura, e che pertanto non è interessato dalla presente pronuncia.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorso statale, non può invece ritenersi che le funzioni di vigilanza disciplinate dall’art. 4 debbano riferirsi all’attività di certificazione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 6, già ritenuti costituzionalmente illegittimi (supra, punto 3.4.). Tali funzioni di controllo, infatti, sono già disciplinate dall’art. 6, comma 5, ai sensi del quale «le aziende sanitarie provinciali territorialmente competenti dispongono piani di controllo per assicurare il rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 2».
Quanto, infine, alle funzioni di controllo sulle materie di cui all’art. 9, parimenti richiamato dall’art. 4, esse si sottraggono con altrettanta evidenza a ogni censura, dal momento che l’art. 9 (concernente l’attività di prevenzione e gestione delle specie esotiche invasive) non è stato impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Così individuata la portata normativa della disposizione in esame, essa non risulta in contrasto con alcuno dei parametri evocati dal ricorrente.
5.– È impugnato infine l’art. 18 della legge reg. Siciliana n. 21 del 2021, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 100 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126.
5.1.– La disposizione prevede, nel suo secondo periodo, che i termini di cui all’art. 100, comma 8, del d.l. n. 104 del 2020, per la presentazione della domanda per accedere alla definizione agevolata dei procedimenti concernenti il pagamento dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, e per il versamento dell’importo dovuto, «sono fissati rispettivamente alla data del 31 agosto 2021 e del 31 ottobre 2021».
5.2.– Secondo il ricorrente, tale previsione si sovrapporrebbe indebitamente alla disciplina statale fissata dallo stesso art. 100, comma 8, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, prorogando il termine ultimo entro il quale deve essere presentata la domanda dal 15 dicembre 2020 al 31 agosto 2021, e quello per il versamento dell’intero importo o della prima rata dal 30 settembre 2021 al 31 ottobre 2021, andando così a incidere automaticamente anche sull’ambito temporale di operatività del periodo di sospensione dei procedimenti giudiziari previsto dalla legge statale.
Un simile effetto processuale determinerebbe una interferenza con la funzione giurisdizionale, la cui disciplina sarebbe riservata alla legislazione statale in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
5.3.– Preliminarmente all’esame del merito della questione, occorre rilevare che la disposizione impugnata è stata nel frattempo abrogata ad opera dell’art. 12, comma 3, della legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 2 (Disposizioni in materia di edilizia).
Tuttavia, non essendovi prova della sua mancata applicazione medio tempore – ed essendo anzi l’abrogazione intervenuta allorché i termini ivi previsti erano ormai scaduti – deve ritenersi che permanga, come osservato dalla stessa Avvocatura generale dello Stato in udienza, l’interesse del ricorrente a una pronuncia sul merito.
5.4.– La questione è fondata.
Posticipando i termini per la presentazione della domanda di definizione agevolata (la quale determina la sospensione ex lege dei procedimenti giudiziari e amministrativi concernenti il pagamento del canone) e per il versamento della somma dovuta (che comporta la definizione dei medesimi procedimenti), la disposizione impugnata interferisce con l’esercizio della funzione giurisdizionale, estendendo potenzialmente l’insieme dei procedimenti giurisdizionali che restano sospesi o vengono definiti a seguito, rispettivamente, della presentazione della domanda o del pagamento dell’importo. Ciò si traduce in una invasione della competenza esclusiva dello Stato riconosciuta dall’art. 117, secondo comma, lettera l), in materia di giurisdizione e norme processuali (sentenza n. 110 del 2018).