Cassazione penale, Sez. I, sentenza 19 settembre 2022, n. 34536
MASSIMA
La mera “preordinazione” del delitto – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a quest’ultima immediatamente precedente – non è sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione, che, come detto, postula il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso va accolto limitatamente al motivo (il primo) dedotto sulla circostanza aggravante della premeditazione.
- Come insegnato dal più autorevole Consesso, elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci e altri, Rv. 241575; v. anche Sez. 5, n. 34016 del 9/4/2013, F., Rv. 256528; Sez. 5, n. 42576 del 3/6/2015, Procacci, Rv. 265149).
- Quanto all’elemento di natura cronologica, in particolare, si è specificato che la consistenza minima dell’intervallo non può essere rigidamente quantificata in via generale e astratta: rileva in modo decisivo sul punto l’accertamento che tale lasso sia risultato in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere, per modo che egli – avendo avuto il tempo adeguato a permettergli di attivare la controspinta inibitoria della pulsione criminosa formatasi nel suo orizzonte volitivo, ma non essendosi avvalso di questa concreta possibilità di recedere dal suo proposito antisociale, mantenendolo ferma senza soluzione di continuità – si sia reso, in tal modo, responsabile di un comportamento più riprovevole e, quindi, più grave. In presenza di un ristretto arco temporale tra l’insorgenza del proposito delittuoso e la sua attuazione, spetta al giudice il compito di valutare se, alla luce dei mezzi impiegati e delle modalità della condotta, tale lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione adottata e a consentire l’attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere (Sez. 1, n. 574 del 9/7/2019, dep. 2020, R., Rv. 278492).
- Va aggiunto, logicamente, che, quanto più è circoscritto l’arco temporale intercorso tra l’insorgenza nell’agente del proposito delittuoso e la sua attuazione, tanto più deve essere specifica l’individuazione e la dimostrazione degli altri indici sintomatici dell’avvenuta deliberazione del piano omicidiario e della ferma e pervicace volontà dell’agente stesso di portarla a termine, senza cedimenti (Sez. 1, n. 41405 del 16/5/2019, Rossi, Rv. 277136, in motivazione).
- Si è, ulteriormente, precisato, sempre in tema di omicidio, che la mera “preordinazione” del delitto – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a quest’ultima immediatamente precedente – non è sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione, che, come detto, postula il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive (Sez. 1, n. 5147 del 14/7/2015, dep. 2016, Scanni, Rv. 266205).
- Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, la Corte di merito non si sia conformata agli enunciati principi, con particolare riguardo all’elemento cronologico costitutivo dell’aggravante contestata. Sull’accertamento del tempo di insorgenza del proposito omicida in capo all’imputato, la sentenza impugnata tradisce, invero: da un lato, una illogicità manifesta, perché sembra far coincidere tale momento con quello in cui il D.B. avrebbe richiesto esplicitamente al collega di cambiare luogo di lavoro, senza dar conto, sul piano logico, di tale supposta, ma non dimostrata, coincidenza; dall’altro, è inficiata da un vizio argomentativo in termini di “perplessità”, perché esprime incertezza sullo stesso momento di insorgenza di tale intenzione, ancorato, temporalmente, alla notte precedente l’omicidio, secondo le confidenze ricevute dalla nuova compagna C.R.V., o alla prima mattina successiva, quando l’imputato accompagnò C.R.V. a lavoro, oppure ancora, alle ore 11.37 del (omissis), quando il D.B. comunicò telefonicamente ad T.A. la propria intenzione di incontrare lei e il suo nuovo compagno per proporre a quest’ultimo di allontanarsi dal luogo di lavoro comune. La irrisolta incertezza motivazionale sul momento di insorgenza del proposito omicida dell’imputato, tenuto conto che, in ogni caso, detto momento non sarebbe mai collocabile prima della vigilia del giorno dell’omicidio (perché solo quel giorno D.B. scoprì il legame amoroso della sua ex compagna con il B.D. , che provocò il suo turbamento emotivo), non consente di apprezzare, nella sua esatta consistenza, l’altro requisito della premeditazione, quello “ideologico”, e cioè se quel lasso di tempo sia stato sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione adottata e a consentire l’attivazione di motivi inibitori di quelli a delinquere. Trattandosi, comunque, per quanto detto, di un arco temporale non così ampio (anzi, nell’ultima delle ipotesi formulate in sentenza, consistente in circa quattro ore), la Corte di merito avrebbe dovuto assolvere all’onere motivazionale ad essa incombente individuando in modo specifico gli altri indici sintomatici dell’avvenuta deliberazione del piano omicidiario e della ferma volontà dell’agente di portarla a termine, senza cedimenti.
- Non può soccorrere all’uopo, come elemento sufficiente e dirimente, la valorizzata scelta dell’imputato di prendere da casa la pistola e i proiettili, nonché caricare l’arma in tempo utile per farsi trovare pronto quando la T. sarebbe passata sotto l’abitazione per andare con lui a (omissis), dove insieme avrebbero incontrato il B.D. Si tratta, infatti, di un elemento, di per sé, del tutto conciliabile anche con la mera “preordinazione” del delitto.
- D’altra parte, in un diverso passaggio motivazionale (pag. 11), la stessa Corte territoriale sembra tradire la propria malcelata incertezza sulla effettiva sussistenza dell’aggravante in parola, laddove dà conto del substrato emotivo e psicologico che “progressivamente” ebbe ad animare l’imputato “sino ad indurlo a progettare l’omicidio”. Nell’utilizzare un avverbio (progressivamente) e un termine verbale (progettare) che, per il loro corrente significato, sottendono lo svilupparsi di un percorso ideologico non brevissimo nella mente dell’imputato, i giudici dell’appello paiono alludere ad una maggiore estensione della frazione temporale prodromica alla deliberazione del delitto rispetto a quella attuativa della deliberazione, il che implica, necessariamente, una corrispondente riduzione e compressione del tempo utile ad attivare la controspinta inibitoria (elemento ideologico), con evidenti conseguenze sulla possibilità di configurare l’aggravante in parola. Le rilevate incongruenze e incertezze motivazionali, in definitiva, impongono l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente all’aggravante della premeditazione nei suoi elementi cronologico e ideologico, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Assise di Appello di Milano, competente ai sensi degli artt. 623, lett. c), c.p.p. e 175 disp. att. c.p.p.. 2.
- Il ricorso del D.B. va, nel resto, complessivamente rigettato. 3. Infondato è il motivo con cui ci si duole dell’applicazione della circostanza aggravante della recidiva. Va ricordato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice” (fra molte, Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419).
- La Corte di Brescia ha ravvisato l’aggravante ritenendo correttamente che, rispetto al precedente per rapina in concorso e detenzione illegale di armi, l’omicidio del B.D. costituisse espressione di una maggiore pericolosità sociale, un vero e proprio “salto di qualità” nella scala dei reati contro la persona. Non è fondato il rilievo difensivo, per cui i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto conto dell’ampio intervallo temporale (dodici anni) che separava le due vicende delittuose in comparazione. Tale intervallo è stato, viceversa, analizzato, tenendo conto della detenzione, da parte dell’imputato, in quell’intervallo, di un’arma clandestina, fatto che, non illogicamente, è stato apprezzato come dimostrativo di una sua perdurante frequentazione degli ambiti criminali, mai seriamente interrotta.
- Aspecifico è il motivo sul diniego dell’attenuante della provocazione. La Corte di Assise di Appello si è, anzitutto, conformata al principio affermato da questa Corte di legittimità, per cui l’esclusione della circostanza aggravante dei futili motivi non comporta automaticamente il riconoscimento dell’attenuante della provocazione, giacché il riconoscimento della serietà del movente sotteso alla condotta dell’agente in rapporto al comportamento oppositivo della vittima non equivale di per sé a qualificare quest’ultimo come ingiusto dal punto di vista giuridico o sociale, nè a far ritenere proporzionata la reazione aggressiva dell’agente per vincerlo (Sez. 1, n. 30707 del 21/5/2019, Djedje Meles, Rv. 276407). La Corte di merito, in piena sintonia con il primo giudice, ha, poi, ribadito che, nel caso di specie, non poteva ravvisarsi alcun “fatto ingiusto altrui”, tale da integrare l’invocata attenuante, in quanto: a) fra il D.B. e la T. non vi era alcun rapporto di coniugio; b) il perdurare della loro convivenza era solo apparente e imposto, sembra, dallo stesso imputato; c) le relazioni sentimentali reciproche erano note; d) la vittima non aveva alcun ‘doverè di palesarsi con lui per la frequentazione della T. Aggiungono i giudici del gravame che non poteva rilevare, ai fini dell’integrazione dell’attenuante, la percezione “soggettiva” da parte del D.B. di avvertire il comportamento del B.D. come un “tradimento” della loro amicizia (ciò che aveva giustificato l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi), dovendo tenersi conto solo della sussistenza “obiettiva” del fatto ingiusto. L’approdo dei giudici territoriali si rivela del tutto conforme all’insegnamento di questa Corte, per cui, ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”, costitutivo dell’attenuante della provocazione, è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (tra le più recenti, Sez. 5, n. 23031 del 3/3/2021, Tripoli, Rv. 281377).
- Il ricorso insiste nel proporre la propria tesi sulla “percepita” ingiustizia del fatto, non misurandosi con le corrette argomentazioni svolte nella sentenza impugnata. 5. Manifestamente infondato è il motivo sul trattamento sanzionatorio. Con ineccepibile argomentare la Corte distrettuale ha escluso che, venuta meno l’aggravante dei futili motivi, l’imputato avesse diritto a una riduzione del trattamento sanzionatorio, essendo stata confermata l’ulteriore aggravante della premeditazione, di per sé implicante la pena dell’ergastolò ciò impregiudicato l’esito del disposto giudizio (Ndr: testo originale non comprensibile) per gli eventuali effetti del trattamento sanzionatorio. Sviluppata sul piano del merito è la censura attinente al confermato diniego delle attenuanti generiche, logicamente ancorato alle modalità del fatto, denuncianti particolare freddezza ed estrema spregiudicatezza, indicative di un’allarmante personalità criminale, e all’acclarato possesso di un’arma clandestina, evocante il persistente collegamento dell’imputato con circuiti criminali; a fronte di tali eloquenti indicatori, del tutto recessive sono state considerate, con iter argomentativo plausibile, l’alterazione emotiva in cui versava l’imputato, poiché derivante da sentimenti di odio e vendetta nei confronti della vittima, e le dichiarazioni di pentimento esternate dal predetto.