Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 5 ottobre 2022, n. 28976
COMMENTO
Il rapporto tra ampiezza del concetto di funzione docente e responsabilità disciplinare assume peculiare rilievo ermeneutico laddove l’infrazione disciplinare, tenuto conto del suo complessivo disvalore, possa astrattamente essere riferibile sia alla sanzione conservativa prevista dall’art. 496 del D.Lgs. 297 del 1994 (sospensione per sei mesi con spostamento a mansioni amministrative) sia alla sanzione espulsiva prevista dall’art. 498 (destituzione) del richiamato decreto.
Invero le due anzidette sanzioni postulano la ricorrenza di comportamenti suscettibili di una differente lesione del rapporto di lavoro. Nel primo caso la lesione trae origine da illeciti disciplinari integranti condotte “non conformi ai doveri specifici della funzione” (docente) e la sanzione è inflitta “per il compimento di uno o più atti di particolare gravità integranti reati puniti con pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni”, obiettivando una “patologia” del rapporto che riverbera su di esso in termini di incompatibilità con la funzione (e non già con l’intero rapporto). Nel secondo caso, invece, l’infrazione è inflitta, tra l’altro, per comportamenti recanti: “grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione (docente)” che rendono impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro anche per il venir meno di un elemento indefettibile quale è il vincolo fiduciario, così giustificando la sanzione espulsiva.
È allora evidente che ogniqualvolta la condotta del docente integri, per la gravità di tutti i suoi connotati, una lesione di siffatta portata, debba prescindersi dalla meccanicistica applicazione della più mite sanzione di cui all’art. 496 del D.Lgs. 297 del 1994 – sulla scorta di una mera rispondenza della condotta alla soglia di gravità edittale ivi prevista – ricavando piuttosto la globalità del disvalore, intrinseco ed estrinseco, della condotta sulla base di una ricognizione “eclettica” che tenga in conto ogni elemento concreto passibile di obliterazione del vincolo fiduciario o, comunque, di grave contrasto con i doveri della funzione.
PRINCIPI DI DIRITTO
Costituisce dovere afferente alla funzione docente, intesa nella sua pienezza, anche quello di evitare comportamenti extralavorativi che si manifestino attraverso la commissione di reati e che, qualora diffusamente noti, si pongano in contrasto con il dovere, sancito dal D.Lgs. n. 294 del 1994, art. 395, di contribuire alla formazione umana della personalità dei giovani.
In tema di sanzioni disciplinari per i docenti della scuola pubblica, in base alle norme di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 494 e ss., la cui persistente applicazione è stata prevista dalla successiva contrattazione collettiva, l’ipotesi di cui all’art. 496 del citato d. lgs. (sospensione per sei mesi con successivo spostamento a mansioni amministrative, nel caso della commissione di reati puniti con pena edittale non inferiore nel massimo a tre mesi e di condotte tale da denotare l’incompatibilità con la prosecuzione della funzione docente) costituisce fattispecie che consente al dipendente di evitare il licenziamento, a condizione tuttavia che i comportamenti accertati, per la loro concreta manifestazione, non siano tali da determinare, secondo il disposto del successivo art. 498, un grave contrasto con i doveri della funzione docente, da apprezzare sulla base di una completa valutazione di tutti i connotati concreti delle condotte contestate in relazione alle caratteristiche proprie della funzione stessa e a condizione, altresì, che le medesime condotte non siano tali da risultare parimenti incompatibili con la persistenza del vincolo fiduciario e, con esso, del rapporto di lavoro anche in altro settore.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso per cassazione denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 496 e 498, (art. 360 c.p.c., n. 3) ed esso è fondato, nei termini di cui si va a dire.
2. Certamente non può essere condiviso l’assunto, sostenuto dal Ministero, secondo cui la Corte territoriale, apprezzando la gravità delle condotte, si sia indebitamente sostituito alla P.A. nella valutazione del rilievo da attribuire ai comportamenti tenuti dal docente.
È infatti pacifico che quello da svolgere in ambito di sanzioni disciplinari sia un pieno giudizio sul rapporto – e non certo sull’atto o su discrezionalità amministrative – rispetto al quale il controllo di proporzionalità da parte del giudice del merito è pieno (v. già Cass. 16 gennaio 2006, n. 758; Cass. 16 maggio 2003, n. 7704).
3. Il motivo coglie invece nel segno nella parte in cui, censurando la pronuncia per avere essa concluso che lo spostamento ad altro servizio potesse azzerare il grave contrasto della condotta tenuta con i doveri della funzione docente, critica altresì l’assunto secondo cui in tal modo si potesse determinare puramente e semplicemente il ripristino del rapporto fiduciario con la P.A. datore di lavoro, che invece era da considerare irrimediabilmente compromesso, anche tenuto conto delle circostanze degli illeciti, consistiti nella volontaria e non occasionale ricerca e conservazione di materiale pedopornografico in misura quantitativamente rilevante (circa 15 mila file) e talora raffigurante scene di sottoposizione a sofferenza anche di bambini piccoli.
4. Le ragioni della fondatezza del motivo derivano da un articolato ragionamento giuridico.
4.1 La prima questione da affrontare riguarda la rilevanza delle condotte extralavorative rispetto alle quali è stato promosso il procedimento disciplinare.
Secondo la Corte territoriale, l’accaduto atterrebbe alla sfera strettamente privata e non avrebbe alcun riflesso sulle funzioni istituzionali.
L’assunto non può essere condiviso.
L’assetto disciplinare, rispetto ai docenti, si basa sulle disposizioni del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 492 e ss., la cui disciplina è stata meramente richiamata dalla successiva contrattazione collettiva (art. 56 CCNL 1994-1996; art. 88 CCNL 2002-2005; art. 91 CCNL 2006-2009 ed ora art. 29 CCNL 2016-2018).
Le norme di cui sopra, nel disciplinare le fattispecie sanzionatorie, operano attraverso un ripetuto richiamo alla “funzione docente” ed alla violazione dei doveri ad essa attinenti.
Il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 395, definendo il contenuto della funzione docente, fa riferimento ad essa come “esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione del giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”.
In proposito, sembra non potersi dubitare che il contributo alla formazione umana della persona altrui, specie dei giovani, se ovviamente si manifesta ampiamente con la trasmissione ad essi di nozioni, inevitabilmente transita anche attraverso l’esempio comportamentale, primariamente in ambito scolastico, ma inevitabilmente anche extrascolastico, nella misura in cui le condotte private possano risultare di conoscenza diffusa.
Non sembra neppure necessario argomentare più di tanto sul fatto che la commissione di un grave reato extralavorativo non possa essere considerato coerente con la funzione docente, perché essa costituisce nei fatti la nitida negazione dei menzionati connotati di contributo alla “formazione umana”.
Anzi, a ben vedere, proprio l’ampia portata del concetto di funzione docente giustifica la norma – come si vedrà di favore – dell’art. 496, che consente la salvaguardia del posto, nonostante la gravità dei fatti, quando l’incompatibilità sia solo con la docenza e non con altre attività.
4.2 Ciò posto, le norme disciplinari che regolano la fattispecie della violazione dei doveri riguardanti la funzione docente si articolano in una prima fattispecie, distinta solo per gravità, consistente nella sospensione fino a un mese (art. 494) o fino a sei mesi (art. 495) per atti “non conformi” ai doveri ed alla correttezza.
Una seconda fattispecie è invece quella dell’art. 496, delineata sia attraverso una soglia di gravità (commissione di reati rispetto ai quali sia previsto la pena edittale non inferiore nel massimo tre anni) ed una connotazione specifica, data dal fatto che le condotte, parimenti definite come “non conformi”, siano tali da denotare l’incompatibilità con l’esplicazione del rapporto educativo. In tale ipotesi – e su ciò si tornerà – la norma prevede che dopo il semestre di sospensione vi sia l’utilizzazione nello svolgimento di compiti diversi da quelli della funzione docente, presso l’Amministrazione centrale o gli uffici scolastici regionali e provinciali.
Infine, vi è la menzionata ipotesi della destituzione (art. 498) propria sia di atti in “grave contrasto” rispetto ai “doveri inerenti alla funzione”, sia del caso più generico di attività dolosa che abbia portato “grave pregiudizio” alla scuola, alla P.A. o agli utenti del servizio.
4.3 Risultando integrato uno degli elementi (reato punito con la sanzione edittale nel massimo in misura non inferiore a tre anni) propri di cui all’ipotesi regolata dall’art. 496 non vi è poi dubbio che il caso di specie ruoti attorno al rapporto esistente tra quest’ultima e la sospensione con utilizzo in altra funzione da essa prevista e l’art. 498 sulla destituzione.
Va altresì considerato come, stante la potenzialmente notevole gravità dei fatti considerati dall’art. 496, insita nella previsione quale parametro di un massimo edittale non inferiore a tre anni e pertanto destinata a coinvolgere reati anche con pene e disvalori altissimi, quella ivi regolata è eccezione rispetto all’ipotesi della destituzione e non una fattispecie aggravata di sospensione, la cui durata oltre i sei mesi di cui all’art. 495 sarebbe del resto improponibile.
Vale a dire che l’art. 496, per le ipotesi da essa considerate, sancisce un minimo sanzionatorio, giustificato dalla intrinseca gravità dei fatti da essa considerati, ma modula la sanzione nonostante tale gravità – evitando il licenziamento, attraverso la contestuale ricollocazione del docente nelle strutture amministrative scolastiche e ciò a complemento necessario della fattispecie punitiva della sospensione per sei mesi ed in ragione del fatto che le condotte accertate sono tali da non consentire la ripresa del rapporto educativo.
Il trattarsi di norma di favore, rispetto ad una gravità che comporterebbe altrimenti il licenziamento, consente di meglio focalizzare anche i presupposti per la sua applicazione.
È infatti vero che l’art. 496, fa riferimento alla pronuncia, sui fatti di interesse, di sentenza irrevocabile di condanna ovvero di sentenza di condanna confermata in appello o con applicazione della interdizione dai pubblici uffici o della sospensione dalla potestà genitoriale.
Ciò non significa tuttavia che la norma non si applichi se il processo penale si chiuda per qualsiasi ragione diversa dall’assoluzione dell’imputato.
Infatti, già nel sistema della c.d. pregiudizialità il D.Lgs. n. 3 del 1957, art. 117, impediva di dare corso al procedimento disciplinare, ma ciò solo “fino al termine” di quello penale, sicché per i fatti rientranti nelle ipotesi edittali di cui all’art. 496, esso ben poteva essere attivato o ripreso dopo la chiusura di quello penale, se non vi era stata assoluzione.
A maggiore ragione nell’attuale sistema, susseguente al D.Lgs. n. 150 del 2009, in cui la pregiudizialità penale è venuta meno, quei medesimi fatti possono essere perseguiti anche prima ed a prescindere dal processo penale.
È tuttavia evidente che non applicare la salvaguardia del lavoratore quale regolata dall’art. 496, sarebbe del tutto irragionevole se, pur accertata la ricorrenza di fatti destinati a rientrare nella fattispecie, si escludesse l’operatività di essa per il solo accidente della mancanza dei dati formali rivenienti dal giudizio penale contemplati dalla stessa norma, rendendo pertanto pressoché inevitabile l’estromissione dal posto di lavoro.
5. Tutto ciò posto, va ulteriormente enucleata la fattispecie di salvaguardia del posto quale prevista dall’art. 496.
5.1 Da un primo punto di vista, raffrontando la fattispecie dell’art. 496, con quella dell’art. 498, si deve evidenziare come, nella prima, la “particolare gravità” sia riferita al reato e che rispetto ai doveri della funzione sia richiesta una mera “non conformità”, mentre l’art. 498 fa riferimento al verificarsi di un “grave” contrasto con tali doveri.
Vale a dire che il grave contrasto con i doveri della funzione docente, se realizzato, non ha margini per essere riportato all’ipotesi di salvaguardia di cui all’art. 496, la quale riguarda comunque ipotesi in cui, nonostante la gravità del reato, si possa ravvisare soltanto il meno intenso coefficiente di “non conformità”. Tale distinzione non può del resto essere risolta – come ha fatto la Corte territoriale – facendo leva solo sul fatto che in passato non vi siano state concrete interferenze con le attività di insegnamento del professore di scuola superiore, ma impone di apprezzare il diverso coefficiente di gravità sulla base anche della tipologia della condotta, sotto il profilo della natura delle persone indebitamente coinvolte da essa (qui, minorenni), delle modalità oggettive del suo manifestarsi (quantità del materiale, perdurare del comportamento etc.) e del rapporto dell’una e delle altre con la funzione docente pienamente intesa nel senso precedentemente precisato.
5.2 Da altro punto di vista, si deve ritenere che la salvaguardia di cui all’art. 496, non sia automatica ed incondizionata, ma transiti necessariamente attraverso una valutazione di compatibilità tra i fatti accertati e il mantenimento dell’impiego, pur nelle diverse mansioni.
Proprio per l’ampio spettro di gravità che caratterizza la fattispecie, non si può ritenere che la sola incompatibilità con la funzione docente permetta in ogni caso la salvaguardia su altre mansioni, in quanto non si può negare alla P.A. una valutazione più ampia e tale da consentire di ritenere che le gravi condotte poste in essere siano in assoluto in contrasto con il mantenimento del posto di lavoro, anche sotto il profilo della irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.
D’altra parte, al di là del pur possibile riferimento – anche e soprattutto nei rapporti con la P.A. – a profili di c.d. minimo etico (Cass. 21 novembre 2014, n. 24881; Cass. 28 settembre 201, n. 19183; Cass. 18 ottobre 2016, n. 21032; Cass. 7 novembre 2019, n. 19183) sia la normativa riguardante il personale amministrativo della scuola (ATA), sia quella del personale dei Ministeri prevedono varie ipotesi di fatti intenzionali destinati, sulla base di apprezzamenti concreti di gravità, a poter comportare il licenziamento (v. art. 25, comma 5, lett. a CCNL 1994-1997; art. 13, comma 6, lett. d CCNL 2002-2005 e ora art. 62, comma 9 punto 2 lett. d, CCNL 2016-2018 e art. 43, comma 9, punto 2 lett. b e d CCCNL 20192021).
Ed è impensabile che, se analoghi fatti siano stati commessi da un docente, quest’ultimo possa essere utilmente ricollocato in funzioni amministrative presso il medesimo Ministero.
La valutazione di compatibilità dei fatti commessi rispetto alle posizioni rispetto alle quali si ipotizza la ricollocazione fa dunque parte di quanto deve essere apprezzato nell’applicazione dell’art. 496.
Nel caso di specie la Corte territoriale, sul tema, si è limitata a ritenere che non si potesse “affermare che le condotte contestate risultino incompatibili con il pubblico impiego tout court, qualsivoglia sia la mansione esercitata dal soggetto agente”.
Si tratta tuttavia di apprezzamento generico che omette la valutazione e la gradazione di gravità, nei termini appena evidenziati, necessaria al fine di verificare, con concretezza, se la lesione del vincolo fiduciario fosse o meno tale da impedire la prosecuzione, comunque, del rapporto di lavoro, anche in altro settore.
6. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento degli altri due, riguardanti aspetti diversi, ovverosia (secondo motivo) l’irrilevanza della chiusura del processo penale per prescrizione – profilo peraltro sostanzialmente non valorizzato dalla Corte di merito – e (terzo motivo) la rilevanza invece della revoca solo in secondo grado dell’interdizione dai pubblici uffici pronunciata nel primo processo davanti al Tribunale di Belluno – profilo peraltro anch’esso estraneo all’asse argomentativo della sentenza impugnata.
Con la cassazione va dunque disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Venezia la quale, in diversa composizione, svolgerà ogni accertamento in conformità a quanto sopra precisato.
7. Possono anche fissarsi i seguenti principi:
– “costituisce dovere afferente alla funzione docente, intesa nella sua pienezza, anche quello di evitare comportamenti extralavorativi che si manifestino attraverso la commissione di reati e che, qualora diffusamente noti, si pongano in contrasto con il dovere, sancito dal D.Lgs. n. 294 del 1994, art. 395, di contribuire alla formazione umana della personalità dei giovani”;
– “in tema di sanzioni disciplinari per i docenti della scuola pubblica, in base alle norme di cui al D.Lgs. n. 297 del 1004, art. 494 e ss., la cui persistente applicazione è stata prevista dalla successiva contrattazione collettiva, l’ipotesi di cui all’art. 496 del citato d. lgs. (sospensione per sei mesi con successivo spostamento a mansioni amministrative, nel caso della commissione di reati puniti con pena edittale non inferiore nel massimo a tre mesi e di condotte tale da denotare l’incompatibilità con la prosecuzione della funzione docente) costituisce fattispecie che consente al dipendente di evitare il licenziamento, a condizione tuttavia che i comportamenti accertati, per la loro concreta manifestazione, non siano tali da determinare, secondo il disposto del successivo art. 498, un grave contrasto con i doveri della funzione docente, da apprezzare sulla base di una completa valutazione di tutti i connotati concreti delle condotte contestate in relazione alle caratteristiche proprie della funzione stessa e a condizione, altresì, che le medesime condotte non siano tali da risultare parimenti incompatibili con la persistenza del vincolo fiduciario e, con esso, del rapporto di lavoro anche in altro settore”.