In materia di vizio di motivazione, deve essere data continuità all’orientamento in virtù del quale la deduzione di tale vizio non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione.
PRINCIPIO DI DIRITTO
Cassazione civile, Sez. trib., ordinanza 5 settembre 2022, n. 26018
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate si duole del vizio di motivazione, ritenuta insufficiente, contraddittoria e illogica, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Lamenta in particolare che il giudice d’appello non avrebbe ponderato tutti gli elementi, dettagliati ed esaustivi, contenuti nella motivazione dell’avviso di accertamento. Parimenti non avrebbe considerato quanto illustrato nelle difese articolate in sede d’appello. Deve premettersi che, trattandosi di decisione pubblicata in epoca anteriore alla novella dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., RGN 22175/2013 consijre r I. Federici Corte di Cassazione – copia non ufficiale 3 introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in I. 7 agosto 2012, n. 134, ad esso trova applicazione la precedente formulazione della norma. In materia di vizio di motivazione questa Corte ha affermato che la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., 24 maggio 2018, n. 12967; 4 agosto 2017, n. 19547; 9 agosto 2007, n. 17477). Nel caso ora all’attenzione della Corte il giudice toscano ha scrutinato le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo (chilometri percorsi nell’anno ricavati dalla scheda carburante; percorrenza di una corsa media desunta da presunti studi statistici, costo relativo ad una corsa media rilevato dal tariffario comunale, ecc.). Ne ha ponderato la rilevanza, evidenziando che la redditività presunta del servizio prestato fosse frutto di semplici calcoli matematici, con una diminuzione (arbitraria) della percentuale di chilometri annualmente percorsi per uso privato dall’autovettura e conseguente aumento (arbitrario) dei chilometri percorsi in occasione del servizio taxi offerto; ha evidenziato che anche la percorrenza di una corsa media era frutto di una mera presunzione. Ha rilevato che la difesa del contribuente aveva di contro dimostrato che non esisteva uno studio dell’ufficio statistico RGN 22175/2013 Const e rei. Federici L Corte di Cassazione – copia non ufficiale 4 del Comune di Firenze sulle percorrenze medie di ogni corsa e sul costo medio; che pertanto non esisteva neppure una tariffa media. Ha illustrato i limiti del ragionamento presuntivo condotto dall’Agenzia delle entrate (ad esempio le percorrenze a vuoto nelle corse a chiamata); ha concluso che le presunzioni su cui l’accertamento era stato fondato fossero prive del carattere della gravità, precisione e concordanza, ancora più evidente per la la coerenza delle dichiarazioni fiscali del tassista con gli studi di settore. Ha pertanto accolto integralmente le ragioni del contribuente. Dalla lettura della sentenza emerge la sufficienza, logicità e coerenza del ragionamento del giudice d’appello. Mancano dunque i presupposti stessi della critica rivolta alla pronuncia sotto il profilo del vizio motivazionale. In realtà la ricorrente pretende una rivalutazione nel merito degli elementi su cui sarebbe fondato l’atto impositivo. Ma tale valutazione, che si concretizza in un accertamento in fatto, è riservato esclusivamente al giudice di merito, mentre è inibito in sede di legittimità. Il motivo è pertanto inammissibile. Con il secondo motivo, in subordine, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 35, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 277 cod. proc. civ. e 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. per omessa decisione. Lamenta che il giudice, anche non volendo condividere le risultanze probatorie allegate dall’ufficio, avrebbe potuto rideterminare la percorrenza effettiva ed il conseguente maggior reddito del contribuente, limitandosi a ridimensionare il recupero ad imponibile così come accertato dall’ufficio. Il motivo è inammissibile perché del tutto eccentrico rispetto alla trama motivazionale della pronuncia impugnata, che ha evidenziato le gravi carenze probatorie della prova presuntiva allegata dall’Amministrazione finanziaria, sino a negarle i requisiti minimi richiesti dall’art. 2729 cod. civ., per assenza di gravità, precisione e concordanza degli elementi raccolti dall’ufficio. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Alla soccombenza della ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente una parte RGN 22175/2013 consir1. Federici i i, Corte di Cassazione – copia non ufficiale Il Presidente 5 ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.