Corte Costituzionale, sentenza 14 ottobre 2022 n. 210
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, commi l, 2, 5 e 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 50, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– In via preliminare, non può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui le censure sollevate dal rimettente sarebbero contraddittorie e non sarebbero stati compiutamente individuati i termini delle questioni, in quanto l’ordinanza è adeguatamente argomentata in ordine alle ragioni del preteso contrasto delle disposizioni censurate con i parametri costituzionali evocati.
Neanche può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità in ordine alla contraddittorietà del petitum; esso risulta difatti chiaramente individuabile: sebbene inizialmente il giudice a quo si dilunghi nel descrivere la particolare situazione della Camera di commercio della Maremma e del Tirreno, è chiaro che l’ordinanza censuri le norme che impongono alle sole Camere di commercio i riversamenti in favore del bilancio dello Stato.
Il thema decidendum è quindi così circoscritto: dalla motivazione e dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione, si evince che le questioni sollevate in riferimento ai parametri evocati riguardano le disposizioni censurate limitatamente alla loro applicazione alle Camere di commercio, nella parte in cui prevedono che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. La possibilità di limitare l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale a una parte soltanto della o delle disposizioni censurate – quando ciò si arguisce dall’ordinanza di rimessione – trova costante conforto nella giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 262 del 2020, n. 108 del 2019, n. 35 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 244 del 2011).
3.– Ciò posto, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, commi l, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito; 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, e 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, sono fondate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nei termini di seguito precisati.
3.1.– L’applicazione alle Camere di commercio di tali disposizioni risulta irragionevole, a fronte della particolare autonomia finanziaria di detti soggetti, che preclude la possibilità di ottenere finanziamenti adeguati da parte dello Stato e interventi di ripianamento di eventuali deficit generati dalla gestione amministrativa dei medesimi.
Al fine dell’inquadramento delle questioni di legittimità costituzionale, è necessario ricostruire le peculiarità delle Camere di commercio. Le Camere di commercio sono dotate del carattere di autarchia: l’art. 1, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), afferma, infatti, esplicitamente che esse sono enti autonomi di diritto pubblico che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali (risultano in tal modo espressione delle imprese che compongono i diversi settori dell’economia provinciale, con funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali delle imprese stesse).
Tale qualificazione è confermata dalla giurisprudenza di questa Corte, che le ha configurate come «ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale, che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione» (sentenza n. 477 del 2000).
È stata precisata altresì la natura “anfibia” delle Camere di commercio, le quali sono, per un verso, «organi di rappresentanza delle categorie mercantili» e, per un altro verso, «strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche»: da tale vocazione pubblicistica discende la qualifica di «enti di diritto pubblico, dotati di personalità giuridica» (sentenze n. 225 del 2019 e n. 261 del 2017).
Così, nella formula dell’“autonomia funzionale”, accanto ai caratteri dell’autogoverno e dell’autoamministrazione organizzativa e funzionale, è ricompresa anche l’autonomia finanziaria, cioè la richiamata assenza di finanziamenti statali correnti e di interventi finalizzati a garantirne il risanamento nei casi di deficit accumulati dalla gestione ordinaria.
Per questo motivo, tutti gli atti di gestione che comportino conseguenze economico-finanziarie per il bilancio delle Camere di commercio devono essere corredati – da parte dei loro organi decidenti – dalla verifica in ordine alle relative coperture, con la specificazione, per la spesa e per le eventuali minori entrate, degli oneri annuali e pluriennali al fine di mantenere un costante equilibrio nei saldi di competenza e di cassa nonché di fronteggiare gli eventuali scostamenti in modo tempestivo prima che il loro accumulo possa produrre deficit significativi e non riparabili con le proprie risorse.
Giova ricordare, in proposito, che l’art. 1, comma 1, lettera r), del d.lgs. n. 219 del 2016, modificando l’art. 18 della legge n. 580 del 1993, ha disciplinato in maniera puntuale le risorse destinate alle Camere di commercio, collegando il loro finanziamento al diritto camerale. La novella normativa ha eliminato la previsione che contemplava, tra le fonti di finanziamento delle Camere di commercio, anche entrate e contributi derivanti da leggi statali, da leggi regionali e da convenzioni, previsti in relazione alle attribuzioni delle Camere di commercio.
In tal modo il diritto camerale è divenuto il principale strumento di sostegno di iniziative finalizzate a tutelare e sviluppare quei settori economici capaci, a loro volta, di generare effetti di crescita e di occupazione.
Ciò posto, la normativa censurata, riducendo le risorse disponibili (ormai principalmente garantite da quelle versate dalle imprese) finisce per frustrare le aspettative che le imprese nutrono a seguito del versamento del diritto annuale alle Camere di commercio.
L’entità del diritto camerale che le imprese corrispondono alle Camere di commercio è stata, peraltro, oggetto di riduzione da parte del legislatore (art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114), nella misura del trentacinque per cento per l’anno 2015, del quaranta per cento per l’anno 2016 e del cinquanta per cento a decorrere dall’anno 2017.
Le predette riduzioni, incidendo in maniera progressivamente più gravosa sui bilanci delle Camere di commercio, hanno reso, dal 2017 – anno in cui è disposta a regime la riduzione del diritto camerale del cinquanta per cento – i sacrifici imposti dalle disposizioni censurate non più sostenibili e non compatibili con il dettato costituzionale. Conseguentemente, dall’anno 2017 e fino al 31 dicembre 2019 (dal 1° gennaio 2020 decorrono gli effetti della legge n. 160 del 2019, la quale all’art. 1, comma 590, prevede che «cessano di applicarsi le norme in materia di contenimento e di riduzione della spesa», sottoposte all’odierno scrutinio di legittimità costituzionale), l’obbligo di versamento allo Stato dei risparmi conseguiti mina gravemente la sostenibilità della gestione economico-finanziaria e determina un aggravamento dei bilanci di detti enti, le cui entrate risultano, a regime, effettivamente dimezzate.
Seppure l’imposizione di regole di contenimento della spesa può ritenersi appropriata alle finalità degli interventi legislativi in esame, operati in contesti di grave crisi economica, non appare altrettanto congruente con le finalità dell’intervento l’obbligo di riversamento di tali risparmi al bilancio dello Stato, vanificando lo sforzo sostenuto dalle Camere di commercio nel conseguire detti risparmi e lasciando invariato il saldo complessivo della spesa consolidata.
L’equilibrio della finanza pubblica allargata non può essere realizzato attraverso lo “sbilanciamento” dei conti delle Camere di commercio. È di tutta evidenza, difatti, come realizzare un punto di equilibrio macroeconomico attraverso il correlato squilibrio del sistema camerale costituisca una intrinseca irragionevolezza.
Ciò, oltretutto, provoca indubbi riflessi negativi sui servizi alle imprese.
3.2.– Il meccanismo delineato dalle disposizioni censurate non è inoltre ragionevole, non solo perché incide negativamente sulla piena realizzazione degli interessi tutelati da tali enti e facenti capo ai rispettivi iscritti, ma anche perché penalizza la corretta ed efficace gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere di commercio, con pregiudizio del principio di correttezza e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
La prospettiva costituzionale così sintetizzata evidenzia la fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e del generale principio dell’equilibrio del bilancio, obiettivo imprescindibile delle Camere di commercio.
4.– Quanto detto in generale si riscontra con riguardo a ciascun gruppo di disposizioni censurate dal giudice rimettente.
4.1.– Come in precedenza evidenziato, le disposizioni di cui all’art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, al fine di contenere la spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della PA, prevedono la riduzione, in riferimento a percentuali variamente determinate, della spesa per studi e consulenze, anche conferiti a pubblici dipendenti, nonché di quella per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza. Tali disposizioni contengono, da un lato, una serie di restrizioni standardizzate e indifferenziate alla gestione amministrativa dei soggetti appartenenti al conto consolidato e, dall’altro, stabiliscono che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le eventuali maggiori entrate siano versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere destinate alla spesa corrente statale.
In tal modo, le disposizioni in parola sottraggono, attraverso l’obbligo di riversamento al bilancio dello Stato dei risparmi di spesa conseguiti dalle Camere di commercio, anche le somme versate dalle imprese, legate alla fornitura di servizi in favore delle medesime. Contemporaneamente viene violato il principio dell’autarchia funzionale, consistente nell’autosufficienza delle risorse per assicurare l’adempimento delle funzioni, ed è alterato l’equilibrio del bilancio del singolo ente.
Il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. viene, dunque, violato perché parte delle somme che potrebbero essere destinate alla missione istituzionale delle Camere di commercio, per il sostegno alle imprese nelle varie forme previste dalla normativa specifica, viene devoluta all’indifferenziata spesa corrente dello Stato.
Analogamente, la normativa in questione viola il principio di equilibrio del bilancio e di buon andamento dell’amministrazione, in quanto sottrae ai naturali destinatari gli eventuali miglioramenti in termini di efficienza della gestione, senza neppure il previo accertamento dell’esistenza di tale miglioramento.
4.2.– Le medesime argomentazioni valgono per le disposizioni di cui all’art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, i quali, nello stabilire una serie di tagli per le Camere di commercio, prevedono il riversamento di somme in favore del bilancio statale. Le disposizioni in esame presentano un irragionevole scollamento tra il loro specifico contenuto, la traducibilità in termini economico-finanziari dello stesso, gli effetti sul risultato di amministrazione e sugli equilibri di bilancio. Ed è ben chiaro che ciò comporta altresì un giudizio negativo in termini di compressione dell’autonomia organizzativa delle Camere di commercio.
4.3.– Anche il comma 3 dell’art. 8 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost., per i medesimi profili inerenti alle disposizioni precedentemente prese in esame.
La disposizione viene in rilievo per la parte in cui prevede la riduzione della spesa per consumi intermedi. Essa statuisce per le Camere di commercio la conferma di restrizioni standardizzate alla peculiare gestione di tali soggetti, prevedendo che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa per consumi intermedi siano versate “annualmente” – e quindi introducendo un regime pluriennale – ad apposito capitolo di entrata del bilancio statale.
In tal modo le disposizioni in parola sottraggono, attraverso l’obbligo a regime di versamento al bilancio dello Stato dei risparmi di spesa conseguiti dalle Camere di commercio, somme versate dalle imprese per perseguire le finalità istituzionali.
Così facendo viene altresì violato il principio dell’autonomia funzionale, consistente, per i profili in esame, nell’inderogabile autosufficienza delle risorse per assicurare l’equilibrio del singolo bilancio.
4.4.– Il comma 3 dell’art. 50 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, riproduce sostanzialmente il comma 3 dell’art. 8 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, e per le stesse ragioni già illustrate contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost.
5.– Per i motivi sopra individuati, e in virtù dell’acclarata peculiarità della situazione delle Camere di commercio, deve essere dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., degli artt. 61, commi l, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito; 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito; 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, nella parte in cui prevedono, limitatamente alla loro applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
6.– Restano assorbite le ulteriori censure sollevate dal giudice rimettente.
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