Corte di Cassazione, sezione civile VI-2, Ordinanza n. 30877 del 19/10/2022
COMMENTO
In tema di contributi dovuti all’amministrazione condominiale dall’usufruttuario e dal nudo proprietario, relativamente alla disciplina previgente alla cd. “Riforma del Condominio” (legge. n. 220/2012) nel caso di specie operante ratione temporis), la Suprema Corte ha riaffermato l’orientamento interpretativo per cui l’amministratore di condominio che agisce in giudizio per la riscossione degli oneri condominiali deve ripartire le spese tra usufruttuario e nudo proprietario in base alla effettiva spettanza dei singoli contributi in capo a ciascuno di essi. In tali casi, infatti, il nesso tra debito e appartenenza del diritto reale condominiale prevale sul principio dell’apparenza del diritto (apparentia iuris), non essendo possibile invocare il predetto principio per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di chi, pur ponendo in essere condotte suscettibili di ingenerare affidamento nel creditore (come il pregresso pagamento della quota di spese condominiali comuni), non sia l’effettivo debitore.
PRINCIPI DI DIRITTO
“Il principio dell’apparenza si applica solo quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo in buona fede circa la corrispondenza del primo alla seconda, assumendo esso rilievo giuridico per individuare il titolare di un diritto, ma non per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di chi non sia debitore. L’amministratore di condominio, pertanto, al fine di ottenere il pagamento della quota per spese comuni, ha l’onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà”.
“In tema di pagamento degli oneri condominiali, ove un’unità immobiliare sia oggetto di diritto di usufrutto, in base alla disciplina antecedente (qui operante ratione temporis) all’entrata in vigore dell’art. 67, ultimo comma, disp. att. c.c. (introdotto dalla L. n. 220 del 2012), il titolare dell’usufrutto risponde delle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria, mentre sono a carico del nudo proprietario quelle per le riparazioni straordinarie, trovando applicazione le disposizioni dettate dagli artt. 1004 e 1005 c.c.; ne consegue che l’assemblea deve ripartire le spese tra nudo proprietario e usufruttuario in base alla loro funzione ed al loro fondamento, ed altrimenti spettando all’amministratore, in sede di esecuzione, ascrivere i contributi, secondo la loro natura, ai diversi soggetti obbligati”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
A.A. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 3404/2021, pubblicata in data 6 maggio 2021, della Corte d’appello di Roma.
L’intimato Condominio (Omissis) di (Omissis) non ha svolto attività difensive.
La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto da A.A. contro la sentenza n. 220/2012 del Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Anzio, avente ad oggetto l’opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali. A.A. aveva dedotto di non essere legittimata passivamente all’intimato pagamento, in quanto usufruttuaria dell’unità immobiliare compresa nell’edificio condominiale, insieme al marito da cui era separata, e non essendo perciò obbligata al pagamento delle spese straordinarie. A.A. aveva proposto anche domanda riconvenzionale per la restituzione degli importi indebitamente versati.
La Corte d’appello ha spiegato che “l’ente di gestione condominiale fosse incolpevolmente ignaro della reale titolarità del diritto dominicale sull’appartamento”, avendo la A.A. in precedenza provveduto al pagamento delle spese condominiali, senza mai aver informato l’amministratore della sua posizione, sicché l’errore del condominio appariva “giustificato in virtù del principio dell’apparenza”.
I cinque motivi del ricorso di A.A. deducono:
1) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli art. 24 Cost. comma 2 e art. 111 Cost. comma 2;
2) nullità della sentenza per violazione dell’art. 161 c.p.c. in relazione all’art. 132 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.;
3) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1004 e ss. c.c. 4) nullità della sentenza per illogica ed errata motivazione in ordine alla domanda riconvenzionale e per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.;
5) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 92, 96 e 112 c.p.c.; ancora nullità della sentenza per insufficiente, errata, illogica motivazione. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato nel suo terzo motivo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il Presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, che la Corte d’appello di Roma non ha osservato, in caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare, è passivamente legittimato l’effettivo condomino, e cioè il proprietario o il titolare di altro diritto reale su detta unità (e non anche chi possa apparire tale), poggiando la responsabilità “pro quota” dei condomini sul collegamento tra il debito e la appartenenza del diritto reale condominiale, emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari (Cass. Sez. Unite, 08/04/2002, n. 5035; Cass. Sez. 2, 03/08/2007, n. 17039; Cass. Sez. 2, 25/01/2007, n. 1627; Cass. Sez. 6 – 2, 09/10/2017, n. 23621). Il principio dell’apparenza si applica solo quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo in buona fede circa la corrispondenza del primo alla seconda, assumendo esso rilievo giuridico per individuare il titolare di un diritto, ma non per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di chi non sia debitore. L’amministratore di condominio, pertanto, al fine di ottenere il pagamento della quota per spese comuni, ha l’onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà.
Peraltro, in tema di pagamento degli oneri condominiali, ove un’unità immobiliare sia oggetto di diritto di usufrutto (come dedotto nella specie), in base alla disciplina antecedente (qui operante ratione temporis) all’entrata in vigore dell’art. 67, ultimo comma, disp. att. c.c. (introdotto dalla L. n. 220 del 2012), il titolare dell’usufrutto risponde delle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria, mentre sono a carico del nudo proprietario quelle per le riparazioni straordinarie, trovando applicazione le disposizioni dettate dagli artt. 1004 e 1005 c.c.; ne consegue che l’assemblea deve ripartire le spese tra nudo proprietario e usufruttuario in base alla loro funzione ed al loro fondamento, ed altrimenti spettando all’amministratore, in sede di esecuzione, ascrivere i contributi, secondo la loro natura, ai diversi soggetti obbligati (Cass. Sez. 2, 17/03/2022, n. 8725; Cass. Sez. 2, 19/04/2017, n. 9920; Cass. Sez. 2, 16/02/2012, n. 2236; Cass. Sez. 2, 27/10/2006, n. 23291; Cass. Sez. 2, 21/11/2000, n. 15010).
Ha errato, pertanto, la Corte d’appello di Roma nel fondare sul principio dell’apparenza la pretesa di adempimento del Condominio (Omissis) di (Omissis) nei confronti di A.A., usufruttuaria dell’unità immobiliare compresa nell’edificio condominiale: tale conclusione viola le norme dettate dagli artt. 1004 e 1005 c.c., dovendo l’assemblea condominiale (in base alla disciplina antecedente all’entrata in vigore dell’art. 67, ultimo comma, disp. att. c.c., introdotto dalla L. n. 220 del 2012), ripartire le spese fra nudo proprietario e usufruttuario secondo a loro funzione e il loro fondamento, e comunque spettando all’amministratore, in sede di riscossione, accollare i contributi, secondo la loro natura, ai diversi i soggetti obbligati anche nel caso in cui l’assemblea non abbia provveduto ad individuarli.
L’accoglimento del terzo motivo di ricorso assorbe l’esame degli ulteriori motivi.
Il ricorso va perciò accolto nel terzo motivo, con assorbimento dei restanti motivi, e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai richiamati principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.