Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 16 novembre 2022 n. 33719
PRINCIPI DI DIRITTO
In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurre al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito.
Qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- Le Sezioni Unite sono sollecitate a pronunciarsi sulla sorte del mutuo fondiario che si riveli concesso per un importo eccedente il limite di finanziabilità richiamato dall’articolo 38, secondo comma, t.u.b. e della relativa ipoteca.
2.- La predetta disposizione dispone che «il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili» e, al secondo comma, che «la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti».
Sulla base di tale norma il CICR, con delibera del 22 aprile 1995, recepita dalla Banca d’Italia con aggiornamento del 26 giugno 1995 alla circolare n. 4 del 29 marzo 1988 (recante «Istruzioni in materia di particolari operazioni di credito» in G.U. Serie Generale n. 155 del 5 luglio 1995), ha stabilito, quale «limite di finanziabilità», quello dell’ottanta per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi, aumentabile al cento per cento in presenza di garanzie integrative, soggiungendo che, nei casi di finanziamenti concessi su immobili già gravati da precedenti iscrizioni ipotecarie, l’importo finanziabile deve essere determinato sommando al nuovo finanziamento il capitale residuo di quello precedente.
3.- L’orientamento seguito dalla sentenza n. 26672 del 2013 (conformi sentenze successive: cfr. sez. I n. 27380 del 2013, n. 22446 del 2015, n. 13164 del 2016) ha escluso che la previsione del limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, t.u.b. costituisca una ipotesi rientrante nell’ambito applicativo dell’articolo 117 t.u.b., il cui comma 8 stabilisce che «la Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d’Italia».
Si è osservato nei precedenti del 2013 che «l’art. 117, ottavo comma, t.u.b. risulta attribuire alla Banca d’Italia un potere, definito dalla migliore dottrina conformativo o tipizzatorio, in ragione del quale essa può stabilire il contenuto di certi contratti (così come di determinati titoli) prevedendo clausole tipo da inserire nelle categorie di contratti previsti. L’art. 38 del t.u.b. invece conferisce alla Banca d’Italia non già il potere di stabilire una certa clausola del contratto di mutuo fondiario bensì solo quello di determinare la percentuale massima del finanziamento che costituisce l’oggetto del contratto e che è quindi un elemento di per sè già tipizzato e costituente una clausola necessaria».
Ed infatti, l’articolo 38, secondo comma, t.u.b. attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, il quale attiene a un elemento (oggetto) di per sé già tipizzato del contratto, non rientrante nella previsione di cui all’articolo 117, ottavo comma, t.u.b., il quale attribuisce invece direttamente all’istituto di vigilanza (e non al CICR) un potere conformativo o tipizzatorio del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole.
In altri termini, «che il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38 non rientri in una delle ipotesi indeterminate di cui all’articolo 117 t.u.b. è dimostrato dal fatto che in questo caso il legislatore ha espressamente previsto quale fosse il contratto su cui la Banca d’Italia dovesse intervenire e quale fosse la disposizione secondaria da introdurre, senza lasciare a quest’ultima ogni valutazione circa la scelta del tipo di contratto su cui operare un intervento tipizzatorio e la scelta di quale clausola inserire» (così testualmente la sentenza n. 26672 del 2013).
Diversi sono anche gli interessi tutelati dalle due norme, avendo la sentenza poc’anzi citata osservato testualmente che «l’art. 117 t.u.b. è inserito nel Titolo 6^ relativo alla “trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti” […] E’ quindi una norma volta alla tutela dei contraenti più deboli apparendo volta a prevenire, tramite l’inserimento di clausole standard, l’utilizzazione da parte delle banche di schemi contrattuali di difficile lettura od interpretazione da parte del cliente ovvero recanti clausole onerose o eccessivamente vessatorie.
In tal senso le violazioni delle disposizioni della Banca d’Italia attuative dell’art. 117 t.u.b, sono state ritenute dal legislatore fonti di nullità relative, come prescritto dallo stesso art. 117 nonché dall’art. 127 t.u.b., che espressamente prevede che le dette nullità possono essere fatte valere solo dal cliente della banca.
Non altrettanto può dirsi nel caso della violazione dell’art. 38 t.u.b. È infatti agevole osservare che in tal caso il cliente ha tutto l’interesse ad ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile anche a prescindere dal limite di finanziabilità. In tal senso – prosegue la sentenza n. 26672 del 2013 – la nullità relativa di cui agli artt. 117 e 127 t.u.b. non risulta applicabile al caso di specie proprio perché il cliente non avrebbe interesse a farla valere e perché comunque avrebbe applicazione l’art. 127, n. 1, t.u.b., secondo cui le disposizioni del titolo 6° e quindi dell’art. 117, ottavo comma, sono derogabili solo in senso più favorevole al cliente, ed un mutuo concesso oltre il limite di finanziabilità è di regola più favorevole al cliente».
4.- L’orientamento inaugurato nel 2013 ha escluso la configurabilità nella violazione del limite di finanziamento di una nullità virtuale per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione di nullità, in base alle seguenti considerazioni:
4.1.- la violazione della norma, pur se imperativa, scaturente dall’articolo 38, secondo comma, t.u.b. è insuscettibile di provocare la nullità del contratto, non incidendo sul sinallagma contrattuale e, quindi, non concernendo la validità dello stesso, ma investendo esclusivamente il comportamento della Banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale ivi stabilito;
4.2.- «il rispetto del limite del finanziamento non risulta essere una circostanza rilevabile dal contratto, in quanto l’accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell’immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto. A tale proposito – si legge nelle sentenze del 2013 – va osservato che la Banca d’Italia, nel determinare il limite di finanziamento, non ha prescritto che nel contratto venissero indicati degli elementi di riferimento quali il valore dell’immobile o il costo delle opere, il che fa ulteriormente escludere che la previsione della circolare del 1995 abbia introdotto una clausola determinativa del contenuto del contratto»;
4.3.- «la ratio della nuova normativa sul credito fondiario per un verso tende a favorire il ricorso al mutuo fondiario nell’interesse degli imprenditori e, dall’altro, si propone di meglio garantire e tenere indenni le banche che effettuano siffatte operazioni finanziarie con una serie di norme quali, ad esempio, quella sulla revocabilità in sede fallimentare delle ipoteche sottoposta ad un brevissimo termine di dieci giorni. In tale contesto si inserisce – prosegue la Corte – il limite di finanziamento dei mutui fondiari come norma volta ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio»;
4.4.- in conclusione (secondo Cass. del 2013 cit.) «le disposizioni in questione non appaiono quindi volte ad [integrare] norme inderogabili sulla validità del contratto ma appaiono norme di buona condotta la cui violazione potrà comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, qualora ne venga accertata la violazione a seguito dei controlli che competono alla Banca d’Italia, nonché eventuale responsabilità, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo»;
4.5.- la Corte ha infine osservato che «essendo il limite di erogabilità del mutuo ipotecario stabilito anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale della banca erogante, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato ed il venire meno della connessa garanzia ipotecaria condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere».
5.- L’orientamento sin qui riassunto è stato sottoposto a critica con la sentenza n. 17352 del 2017 della prima sezione (seguita da sentenze successive conformi: cfr. sez. I, n. 19016 del 2017, n. 6586, 11201, 13286 e 29745 del 2018, n. 10788 del 2022) che, pur condividendo l’affermazione circa la non riconducibilità della fattispecie in esame alla nullità di cui all’articolo 117, ottavo comma, t.u.b. ed escludendo la ricorrenza di una nullità testuale, ha tuttavia ritenuto che la prescrizione del limite massimo di finanziabilità da parte della Banca d’Italia ex articolo 38, secondo comma, t.u.b. «si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi “fondiario”».
Gli argomenti a base del predetto orientamento sono così espressi:
5.1.- la finalità della suddetta prescrizione «risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali […] attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale» e a una simile ratio della norma – che «non è volta a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma persegue interessi economici nazionali (pubblici)» – è correlato il trattamento di favore accordato alla banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, sul versante del consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria (art. 39 del T.u.b.) e della peculiare disciplina del processo esecutivo individuale attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41)»;
5.2.- sul versante della dicotomia tra regole di validità e regole di comportamento valorizzata dalle Sezioni Unite (cfr. sentenze n. 26724 e 26725 del 2007), «posto che non si dubita – né [dal precedente] orientamento è stato posto minimamente in discussione – che l’art. 38 del T.u.b. sia norma imperativa», «è un fatto, però, che nel solco appena indicato il discrimine si incentra sull’essere determinative di nullità, e non di mera responsabilità, le violazioni attinenti a elementi intrinseci del negozio, relativi alla sua struttura (il contenuto)».
E «col superamento del limite di finanziabilità, il precetto di cui all’art. 38, secondo comma, del T.u.b. è disatteso non solo (e non tanto) sul versante del comportamento, quanto e soprattutto sul versante dell’oggetto del finanziamento fondiario eccessivo»;
5.3.- «la fissazione di un limite di finanziabilità […] non è confinabile nell’area del comportamento nella fase prenegoziale: l’area cioè della contrattazione tra banca e cliente. Né è correlabile, ovviamente, alla fase attuativa»; «il punto è che tutte le regole giuridiche sono regole di condotta, con la conseguenza che, se è indubbio che l’art. 38, secondo comma, del T.u.b. incide su un contegno della banca, è altrettanto indubbio che la soglia stabilita per il finanziamento ha la funzione di regolare il quantum della prestazione creditizia, per modo da incidere direttamente sulla fattispecie»;
5.4.- «L’interpretazione che in materia di credito fondiario esclude la nullità del relativo contratto, ove pur sia violato il limite massimo di concedibilità del finanziamento, finisce per mantenere intatta una causa di prelazione resa illegittima dalla violazione del precetto normativo», con l’effetto (ove intervenga la crisi dell’impresa finanziata) di minare la par conditio creditorum (articolo 2741 c.c.); «l’interesse del cliente [ad ottenere il finanziamento in misura eccedente il limite consentito] recede dinanzi all’interesse della massa creditoria»;
5.5.- «la limitazione dell’importo del mutuo e, conseguentemente, della garanzia ipotecaria – prosegue la citata sentenza del 2017 – non riflettendo gli interessi particolari delle parti contraenti, costituisce un limite inderogabile alla loro autonomia privata», con la conseguenza che, in caso di sconfinamento del limite di finanziabilità, è configurabile la «nullità dell’intero contratto fondiario», non essendo le sanzioni amministrative irrogabili alla banca adeguate a tutelare l’interesse sotteso alla norma violata, né potendosi ravvisare una ipotesi di nullità parziale, riguardante cioè il mutuo fondiario e la corrispondente iscrizione ipotecaria solo per la eccedenza rispetto ai limiti di legge;
5.6.- «Ferma allora la nullità del contratto di mutuo fondiario, l’unica modalità di recupero del contratto nullo ‒ ha concluso la sentenza n. 17352 del 2017 ‒ è quella della conversione in un contratto diverso (art. 1424 cod. civ.)», non rilevabile d’ufficio dal giudice, ma su istanza di parte da avanzare «nel primo momento utile conseguente alla rilevazione della nullità del contratto», come nel caso di specie, in cui la parte aveva chiesto «la conversione del contratto in un finanziamento avente integrale natura di mutuo ordinario».
6.- L’ordinanza interlocutoria n. 4117 del 2022 ha evidenziato diversi aspetti «meritevoli di approfondimento» in vista di una soluzione diversa della questione controversa, ritenendo dubbia la possibilità di configurare nel limite di finanziabilità del mutuo una norma imperativa la cui violazione possa dare luogo a una nullità virtuale del contratto di mutuo e dell’ipoteca. Ha osservato che:
6.1.- non essendo la disposizione violata costituita da una fonte normativa primaria, qual è l’articolo 38, secondo comma, t.u.b., ma da una fonte subordinata, qual è il provvedimento della Banca d’Italia che ha determinato l’ammontare massimo dei finanziamenti conformando la condotta di un singolo contraente (l’istituto di credito), l’ordinanza ha segnalato la necessità di un’attenta indagine sulla caratura dell’interesse protetto (ed eventualmente leso), il quale potrebbe non incidere sull’economia nazionale e perciò non avere natura pubblicistica, ma mirare ad evitare (come ritenuto dall’orientamento del 2013) che l’istituto di credito assuma un’esposizione finanziaria contro rischi eccessivi senza un’adeguata contropartita e garanzia; tanto più che la rilevanza pubblicistica dell’interesse protetto non sarebbe sufficiente a giustificare la nullità virtuale, visto che alla tutela di tale interesse è preordinato il sistema dei controlli facenti capo all’autorità di vigilanza e delle sanzioni irrogabili agli istituti di credito;
6.2.- sarebbe dubbia la configurabilità di una nullità per violazioni attinenti ad elementi intrinseci alla fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, ed infatti «come pure le sentenze “gemelle” [del 2013] avevano avuto cura di evidenziare, la stessa previsione della soglia dell’80% non inciderebbe in alcun modo sul sinallagma contrattuale, limitandosi a disciplinare, attraverso una regola di buona condotta, il comportamento della banca in vista della tutela della sua stabilità patrimoniale»; inoltre ‒ ha osservato l’ordinanza interlocutoria – «il rispetto del limite del finanziamento non è una circostanza rilevabile dal contratto: in concreto, la verifica del reale valore del cespite può avvenire solamente attraverso valutazioni estimatorie che presentano indubbi margini di opinabilità e di incertezza valutativa, come tali non rilevabili dal testo del contratto ma spesso ricavabili, solo in corso di causa, all’esito dell’espletamento di una consulenza tecnica»;
6.3.- «se allora è vero che, come afferma il precedente da ultimo richiamato [Cass. sez. I n. 19745 del 2018], l’effettivo rispetto del limite di finanziabilità non pone una questione di validità delle dichiarazioni negoziali, ma di “oggettivo riscontro fattuale”, e che dunque l’indicazione del valore dell’immobile nello scritto contrattuale non possiede valore costitutivo, è anche vero che, essendo tale verifica affidata ad un accertamento tecnico, la sanzione della nullità potrebbe apparire sproporzionata se ed in quanto fondata sulla verifica di valori di mercato che presentano un certo margine di opinabilità (destinato inevitabilmente ad accrescersi se, come accade nella maggioranza dei casi, l’indagine demandata al c.t.u. viene svolta a distanza di anni dalla data di stipulazione del contratto)»;
6.4.- le osservazioni critiche svolte nell’ordinanza interlocutoria sono orientate anche alle conseguenze della ipotizzata nullità del contratto: «far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria) – si osserva – condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere»; né sarebbe convincente la tesi della nullità del contratto come unica conseguenza possibile del superamento del tetto di finanziabilità, salva l’applicazione del meccanismo della conversione in un mutuo ordinario ipotecario, di cui sono segnalate anche le difficoltà applicative;
6.5.- infine, l’ordinanza interlocutoria suggerisce come «percorso effettivamente alternativo [alla nullità] la riqualificazione del contratto alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari».
7.- Altre decisioni (Cass. sez. III n. 17439 del 2019 e n. 7509 del 2022) non hanno condiviso la tesi della nullità del contratto per violazione di norme imperativa, sulla base di argomenti che evidenziano l’inadeguatezza delle conseguenze negative sul piano della stabilità del sistema bancario che si vorrebbe preservare, «vanificandosi l’obiettivo di una sana e prudente gestione volta a prevenire il rischio di sovraesposizione della banca, articolato sull’esigenza di assicurare alla banca il recupero dell’importo finanziato in sede di esecuzione forzata […] opportunità, invece, compromessa ove il mutuo eccedentario sia considerato nullo e con esso, altresì, l’ipoteca connessa; e senza contare che la soluzione invalidante contrasta pure con l’interesse del mutuatario, costretto a restituire immediatamente le somme prese in prestito, con tutte le conseguenze sul proprio patrimonio ed eventualmente sull’attività di impresa».
Secondo quest’ultimo orientamento, il superamento del limite di finanziabilità non darebbe luogo a nullità del contratto, ma alla necessità di riqualificarlo come un ordinario mutuo ipotecario, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, con la disapplicazione della disciplina di privilegio di volta in volta invocata dal creditore.
8.- Il Collegio non condivide la tesi ricostruttiva invalsa nella giurisprudenza di legittimità a partire dal 2017 (dalla quale hanno dissentito le richiamate pronunce della III Sezione), sulla base di plurime considerazioni che si possono sintetizzare nei seguenti termini.
8.1.- Si deve premettere che ai diversi orientamenti interpretativi sviluppatisi in materia sono comuni le affermazioni, senz’altro condivisibili, che escludono la possibilità di configurare una ipotesi di nullità testuale del contratto per superamento del limite massimo di finanziabilità, in mancanza di una espressa previsione normativa in tal senso, non riscontrabile nell’articolo 117, ottavo comma, t.u.b.: ciò esime dalla necessità di illustrarne ulteriormente le ragioni (per le quali si rinvia al p. 3.1.).
È invece controversa la possibilità di qualificare in termini di nullità virtuale il contratto di mutuo fondiario viziato per superamento del limite di finanziamento.
E’ noto che la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è decisiva al fine di escludere la nullità dell’atto negoziale in conflitto con norme imperative, potendo intendersi che ad essa sopperisca il primo comma dell’articolo 1418 c.c., in quanto letto come espressivo di un principio di indole generale, rivolto a prevedere e disciplinare proprio il caso in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagni una previsione espressa di nullità del negozio (cfr., tra le più risalenti, Cass. n. 1591 del 1960 e, tra le più recenti, n. 15099 del 2021).
L’indagine si sposta allora sulla verifica in concreto degli indici sintomatici della imperatività della norma, onde consentire al giudice di dichiarare la nullità anche nel silenzio del legislatore.
La giurisprudenza, individuando le norme imperative la cui violazione determina la nullità virtuale del contratto essenzialmente in quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti o (con diversa espressione) alle norme inderogabili concernenti la validità del contratto (cfr. Cass. SU n. 26724 del 2007, sez. I n. 19024 del 2005, sez. VI n. 25222 del 2010, sez. III n. 525 del 2020), ha inteso sottolineare l’estraneità ad esse delle regole di comportamento nella fase precontrattuale ed esecutiva del contratto, oltre che «nella fase […] coincidente con la stipulazione del contratto» (cfr. Cass. sez. I n. 9468 del 2020).
Il riferimento agli elementi strutturali della (o interni alla) fattispecie negoziale sta a indicare la tipologia della norma che per essere imperativa deve disciplinare direttamente e chiaramente il contenuto specifico ed essenziale del contratto, prima di ogni valutazione inerente alla caratura dell’interesse protetto ed eventualmente leso (sul quale sub 8.6).
In altri termini, una norma prima di essere imperativa dev’essere prescrittiva di un contenuto, specifico e caratterizzante, inerente al sinallagma contrattuale che possa definirsi essenziale, la mancanza del (o difformità dal) quale renderebbe nullo il contratto (ex articolo 1418, primo e secondo comma, in relazione agli articoli 1343, 1345 e 1346 c.c.).
Non così per le disposizioni indicative di elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto, ovvero genericamente conformativi del modo di atteggiarsi del sinallagma in concreto, che difficilmente potrebbero assumere le sembianze di norme (imperative) di fattispecie o di struttura negoziale: è questo il caso dell’articolo 38, secondo comma, del t.u.b.
8.2.- Secondo questa disposizione, in coerenza con la definizione nel capo VI del t.u.b. («Norme relative a particolari operazioni di credito»), il «credito fondiario» è quello che «ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio o lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili» (primo comma), senza ulteriori caratterizzazioni individualizzanti specifiche.
L’orientamento interpretativo inaugurato nel 2017 fa leva sul secondo comma, secondo il quale «La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti».
Si tratta tuttavia di disposizioni (nel primo e secondo comma) non omogenee, essendo diversamente orientate, l’una, a stabilire direttamente e precisamente il contenuto essenziale del mutuo fondiario e, l’altra, ad assegnare all’autorità di vigilanza (Banca d’Italia) il compito di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti che, secondo criteri da definire, le banche potranno concedere agli aventi diritto; compito svolto dall’autorità che (conformemente a deliberazione del CICR) ha stabilito, quale «limite di finanziabilità», quello dell’ottanta per cento del valore dei beni immobili ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi.
Già la tecnica di formulazione della disposizione (secondo comma) è indicativa del tipo di prescrizione di cui si tratta, che – riguardando, in prima battuta, il rapporto dell’organismo di vigilanza con le banche vigilate, tenute a conformarvisi nel rapporto a valle con i terzi clienti mutuatari – non consente automaticamente di trasferire sul piano del rapporto negoziale con questi ultimi (e del relativo sinallagma contrattuale) le conseguenze delle condotte difformi delle banche, al fine di provocare il travolgimento del contratto che si assume viziato per eccesso di finanziamento, con le gravi conseguenze di cui si dirà per entrambe le parti.
Il limite dell’ottanta per cento è, peraltro, aumentabile sino al cento per cento in presenza di garanzie integrative offerte dalla parte mutuataria, il che è un primo elemento contrario alla valutazione della disposizione in termini di inderogabilità, in assenza di elementi testuali inequivocabilmente indicativi della volontà del legislatore primario di conformare direttamente il contenuto specifico dell’oggetto del contratto con i mutuatari o, al contrario, di porre una regola di condotta per le banche erogatrici del credito, tenute a rispettarla in quanto sottoposte alla vigilanza della Banca d’Italia.
8.3.- È arduo ritenere che una disposizione preveda un requisito a pena di nullità senza preoccuparsi di fornire elementi per definirlo, ogni qual volta esso non appaia di palmare e intuibile comprensione, come nel caso in esame. Né la norma primaria (articolo 38 del t.u.b.) né la norma secondaria attuativa (con deliberazione della Banca d’Italia) contengono, infatti, alcuna indicazione in ordine ai criteri di stima del valore dell’immobile, cui è rapportato in via percentuale l’ammontare massimo del finanziamento, e all’epoca di riferimento della stima.
Sotto il primo profilo, è significativo che la Banca d’Italia (con circolare del 22 maggio 1996) abbia precisato che il valore dei beni ipotecati cui rapportare la percentuale di concessione del finanziamento può essere sia quello di mercato sia quello cauzionale ‒ quest’ultimo previsto dalla normativa previgente (legge 29 luglio 1949, n. 474, articolo 3) tuttavia abrogata dal t.u.b. del 1993 – cui potrebbe aggiungersi il valore di liquidazione dell’immobile in sede esecutiva o concorsuale (cd. valore di realizzo) nell’ottica di garantire al credito una più sicura copertura in caso di insolvenza del mutuatario (secondo Cass. sez. I, n. 11201 del 2018, il valore cauzionale coinciderebbe con quello risultante dal prudente apprezzamento della futura negoziabilità dell’immobile, con riferimento alla direttiva CE n. 2000/12 che, però, non richiama il valore cauzionale).
Né si può trascurare che la determinazione del valore del bene è oggetto di un comportamento dell’istituto di credito che si dispiega nella fase precontrattuale e contrattuale, il cui esito, trasfuso nel testo negoziale, è suscettibile di un giudizio non rispondente a criteri di validità o invalidità contrattuale, ma appropriato alla valutazione di comportamenti negoziali delle parti (è significativo l’obbligo dei finanziatori di applicare «standard affidabili» di valutazione dei beni immobili nell’attigua normativa sul «credito ai consumatori», articolo 120-duodecies del t.u.b.).
Sotto il secondo profilo, non è precisato se la stima debba essere effettuata con riferimento all’epoca di stipulazione del contratto di mutuo (come si dovrebbe, se si discute di validità del contratto) o a momenti successivi, come avviene quando il finanziamento sia rapportato al costo delle opere da eseguire sulla base di stati di avanzamento dei lavori, con conseguente anomalia dell’accertamento di un requisito di validità del contratto (quale, in tesi, sarebbe il limite del finanziamento) in executivis.
L’indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia o del costo delle opere, inoltre, non assurge a requisito di forma prescritto ad substantiam, non essendo previsto come tale dalla disciplina di cui agli articoli 38 e 117 t.u.b., poiché non rientra nell’ambito delle condizioni contrattuali di carattere economico (cfr. Cass. sez. I n. 29745 del 2018): ciò costituisce un ulteriore elemento contrario alla qualificazione dell’articolo 38, secondo comma, in termini imperativi, contrariamente a quanto affermato nel precedente poc’anzi richiamato, il quale, affermando che il limite di finanziabilità «è requisito di sostanza del contratto, non già di forma», trascura di considerare che la nullità negoziale (virtuale) «deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale» (Cass. SU n. 8472 del 2022).
Come rilevato nell’ordinanza interlocutoria, la nullità è predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura negoziale solo se immediatamente percepibile dal testo contrattuale, senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili compiute ex post da esperti del settore, come sono invece quelle compiute dai periti cui sia demandato il compito di stimare il bene, ai fini del giudizio sul rispetto del limite di finanziabilità.
Il rischio è di minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi – che non dovrebbero interferire con la questione, che è formale prima che sostanziale, della validità del contratto stesso – dipendenti dai comportamenti delle parti nella fase esecutiva (come l’inadempimento o l’insolvenza del mutuatario), tali da innescare la crisi del rapporto negoziale con l’esigenza di verificare ex post l’osservanza del limite di finanziabilità.
Nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla stabilità e sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato.
Si spiega allora quella posizione dottrinaria secondo la quale di superamento di tale limite dovrebbe parlarsi allorché si riscontri una apprezzabile ed oggettiva sopravvalutazione del bene, non riconducibile a quelle inevitabili oscillazioni e discordanze quantitative che ogni perizia estimativa implica, onde evitare che il minimo scostamento possa determinare il travolgimento dell’intera operazione negoziale.
8.4. Come condivisibilmente rilevato nell’ordinanza interlocutoria, «in realtà la norma, pur conferendo alla Banca d’Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, che costituisce indubbiamente l’oggetto del contratto, non interferisce però sul contenuto del contratto “per aggiunta”, cioè prevedendo un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie contrattuale, ma solo “per specificazione”, imponendo che un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto) possegga una determinata caratteristica di tipo quantitativo, restando però del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati».
Deve quindi escludersi che sia configurabile una nullità per un vizio incidente su elementi essenziali intrinseci alla fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto.
8.5.- L’orientamento qui non condiviso fa leva sulla difformità dal «tipo contrattuale» che si assume intrinsecamente caratterizzato dal rispetto del limite di finanziabilità di cui all’articolo 38 del t.u.b., al fine di giustificare la nullità del contratto per eccedenza di finanziamento, laddove richiama il «tipo di operatività del credito» o la «tipologia di finanziamenti» in questione (ammesso che di tipo autonomo si tratti rispetto al genus «mutuo ordinario ipotecario», essendo il mutuo fondiario solo una «particolare operazione di credito», cfr. capo IV del t.u.b.).
La tesi non è condivisibile. Non può dubitarsi che nel nostro ordinamento le parti «possono liberamente determinare il contenuto del contratto», così come possono «concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare» (articolo 1322, primo e secondo comma, c.c.), sicché un contratto non può essere dichiarato nullo ogni volta che sia apprezzabile un contrasto tra la disposizione e il regolamento d’interessi sotteso al negozio, ovvero per il solo fatto di essere carente degli elementi tipizzanti indicati dal legislatore, né tantomeno l’assenza di uno di tali elementi potrebbe ritenersi, di per sé, ragione sufficiente per considerare il contratto immeritevole di tutela.
L’eventuale uso distorto del tipo «mutuo fondiario» (se configurabile come autonomo) postula pur sempre la verifica dell’esistenza di una norma imperativa violata – non ravvisabile nell’articolo 38, secondo comma, t.u.b. – concernente la causa (cfr. articoli 1344 e 1345 c.c.) o l’oggetto (articolo 1346 c.c.), se si vuole invalidare il contratto per illiceità di tali requisiti o elementi essenziali, al fine di neutralizzarne gli effetti, non potendosi desumere la nullità del contratto dalla mera difformità dal tipo o sottotipo contrattuale.
Peraltro, la riferibilità della nullità virtuale per violazione di norma imperativa anche all’oggetto del contratto potrebbe dirsi non collimante con le indicazioni provenienti dalla Relazione al codice civile (n. 649), che sembra prevederla nella sola ipotesi della causa illecita, ma la liceità della causa del credito fondiario eccedente non è qui in discussione (ivi si precisava che «la violazione delle norme imperative della legge è ricordata quale ragione autonoma di nullità del contratto per comprendere anche le ipotesi che potrebbero non rientrare nel concetto di causa illecita. La precisazione risolve altresì la dibattuta questione circa gli effetti della violazione di una norma imperativa in cui non sia espressamente comminata la sanzione di nullità del vincolo»).
Inoltre, in caso di parziale difformità dal tipo contrattuale, potrebbero ravvisarsi i caratteri di un contratto misto, costituito da elementi di tipi contrattuali diversi (mutuo fondiario e mutuo ordinario ipotecario che prescinde dal rapporto tra l’importo finanziato e il valore del bene ipotecato), che è pur sempre un contratto unico, avente causa unica ed inscindibile, nella quale si combinano elementi dei diversi tipi che lo costituiscono. In questa prospettiva il contratto dovrebbe essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente (cd. teoria dell’assorbimento o della prevalenza) e, poiché la prevalenza si determina in base ad indici economici o anche di tipo diverso, come la forza del tipo o l’interesse che ha mosso le parti (cfr. Cass. sez. III n. 13399 del 2005, SU n. 11656 del 2008, sez. II n. 26485 del 2019), sarebbe arduo negare l’applicabilità della normativa propria del mutuo fondiario in base a indici sia economici (tenuto conto che la parte preponderante del finanziamento, fino all’ottanta per cento, è immune da vizi di sorta) sia concernenti l’interesse delle parti, le quali hanno voluto stipulare un mutuo fondiario, in considerazione dei vantaggi per entrambe (per il mutuatario, ad esempio, di accedere al finanziamento per un importo maggiore e di beneficiare del favorevole regime dell’inadempimento, di cui all’articolo 40, secondo comma, t.u.b.).
8.6.- Esito negativo ha l’indagine, sollecitata dall’ordinanza interlocutoria, sulla imperatività della disposizione di cui all’articolo 38, secondo comma, del t.u.b. con riguardo alla caratura dell’interesse protetto ed eventualmente leso.
È opportuna una premessa. Le Sezioni Unite hanno osservato di recente che «pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullità negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione – e quella di norma imperativa – come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali»; che «nella ricordata evoluzione giurisprudenziale si è intravisto in dottrina il segno del passaggio dal “dogma della fattispecie” al “dogma dell’interesse pubblico”, intendendosi con quest’ultima espressione segnalare, in termini critici, l’eccessiva genericità della nozione e discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione di sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali» (Cass. SU n. 8472 del 2022).
Una conferma di quest’impostazione proviene da quell’orientamento dottrinale che vede nella nullità uno strumento per rimodellare il rapporto contrattuale secondo canoni e criteri valutativi fondamentalmente preordinati ad obiettivi di equità, proporzionalità e giustizia, i quali tuttavia – si deve precisare – dovrebbero pur sempre essere vagliati preventivamente dal legislatore il cui silenzio, lungi dall’essere irrilevante o neutro, molto spesso è decisivo nel senso di escludere la nullità.
Il legislatore è intervenuto più volte con disposizioni che hanno previsto espressamente nuove ipotesi di nullità negoziale per violazione di specifiche norme di settore, anche nel testo unico bancario (cfr. articolo 117), proprio per la difficoltà di considerare imperative le singole norme prescrittive o per evitare incertezze interpretative al riguardo, nullità spesso rilevabili d’ufficio dal giudice nell’interesse esclusivo del cliente (articolo 127, secondo comma, t.u.b.).
Il silenzio del legislatore – nella specie, sulle conseguenze dell’esondazione del finanziamento rispetto al valore dell’immobile e alla garanzia prestata – non è irrilevante, come rilevato dal Procuratore Generale, il quale ha colto nel segno laddove ha osservato che «l’assenza di un’esplicita previsione legislativa di invalidità del mutuo esondante, pertanto, costituisce un elemento che unitamente [ad altri], milita a favore dell’esclusione di una voluntas legis tendente a sanzionare con l’invalidità un finanziamento bancario con garanzia insufficiente».
Tanto più che – come rilevato ancora dal Procuratore Generale – «non si vede come potrebbe considerarsi l’art. 38, comma 2, t.u.b., quale norma posta a tutela del cliente, posto che il mutuatario nessun pregiudizio risente dalla stipulazione di un mutuo esondante, essendo l’adeguatezza della garanzia reale posta ad esclusiva tutela del finanziatore. Non si vede, pertanto, quale interesse, non meramente strumentale, avrebbe il mutuatario ad invocare l’esondazione dal limite di finanziabilità, esondazione che, caso mai, gli giova.
Il silenzio serbato dal legislatore nell’art. 38, comma 2, in raffronto all’art. 117, comma 8, t.u.b. non può, in sostanza, essere considerato casuale» (sull’interesse del mutuatario si tornerà sub 8.7).
Si è affermato in passato che «dove la legge ha regolato con limiti e vincoli l’attività creditizia, si tratta sempre di norme inderogabili ed imperative, preordinate al regolare andamento dell’attività stessa, che è essenziale nell’economia nazionale» (cfr. Cass. sez. II n. 1724 del 1977, SU n. 8355 del 1994, sez. I n. 9219 del 1995). Tale affermazione, tuttavia, non può essere ribadita nella sua assolutezza, alla stregua dell’evoluzione normativa che ha consentito di qualificare l’attività di raccolta del risparmio ed esercizio del credito come attività d’impresa, anche con riferimento all’esercente il credito fondiario (attività che può essere svolta da qualunque istituto di credito).
Tanto premesso, anche a prescindere dalla questione, dirimente, della funzione della norma (articolo 38, secondo comma) in senso determinativo della struttura o del contenuto del negozio, analogo esito negativo ha l’indagine sulla natura della norma violata, in relazione all’interesse tutelato e leso che è arduo identificare automaticamente (in termini imperativi) nelle «ripercussioni che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale» o nel fatto di essere [la norma] espressione della «politica economica» o di «obiettivi economici generali».
Simili caratteristiche generali potrebbero, in effetti, riferirsi ad interi apparati normativi, dal t.u.b. del 1993 al t.u.f. del 1998 ecc., con conseguente possibilità di qualificare in termini imperativi una indefinita serie di disposizioni concernenti fattispecie negoziali nell’ambito del cd. diritto dell’economia.
Se è vero che qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, seppur disciplinante atti negoziali, ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali» (così Cass. SU n. 8472 del 2022 cit.), quale non è quello di cui si tratta che mira a preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito, come condivisibilmente rilevato dai precedenti del 2013 (n. 26672 e 27380).
8.7.- Secondo alcune decisioni (cfr. Cass. sez. I n. 11201 e 13286 del 2018) l’interesse pubblico connotante il rispetto del limite di finanziabilità dovrebbe essere inteso come «interesse […] alla corretta concorrenzialità del mercato del credito» e a contrastare «i rischi espoliativi» cui sarebbe soggetto il mutuatario per il pericolo che il debitore, avendo ottenuto un finanziamento eccessivo, possa subire l’esproprio della residua parte del proprio patrimonio.
Entrambe le prospettive non convincono. La seconda omette di considerare che a determinare il paventato rischio espoliativo è l’inadempimento del mutuatario, il quale quando ottiene un finanziamento più elevato rispetto al limite di finanziabilità incrementa il proprio patrimonio anche della somma erogata in esubero e il fatto di doverne rispondere con il proprio patrimonio ulteriore rispetto all’immobile gravato da ipoteca è applicazione del principio generale della responsabilità patrimoniale (articolo 2740 c.c.).
Secondo un precedente nel solco dell’orientamento del 2017 (cfr. Cass. sez. I n. 11201 del 2018), «non si vede […] la ragione, prima di tutto normativa, per cui un soggetto dovrebbe assumersi impegni che non potrà permettersi di onorare», ciò si sostiene al fine di ricondurre l’ipotizzata invalidità a una nullità di protezione dello stesso mutuatario che andrebbe tutelato (evidentemente, contro le sue stesse aspettative) attraverso la limitazione della somma massima erogabile entro limiti tali per cui, in caso di inadempimento, la vendita del bene ipotecato possa riuscire a coprire l’intero debito nei confronti della banca.
La tesi non convince: in primo luogo, una nullità «a vantaggio del cliente» dovrebbe essere prevista dalla legge (cfr. l’articolo 127, secondo comma, t.u.b. a proposito delle «nullità previste dal presente titolo…») e non lo è la violazione dell’articolo 38, secondo comma; in secondo luogo, l’eventuale svantaggio conseguente a un finanziamento eccessivo rientra tra le valutazioni di convenienza che (si deve presumere) sono state compiute (prima della stipulazione del contratto) e ritenute dal cliente recessive a fronte del vantaggio dell’erogazione di un importo maggiore con gli ulteriori benefici previsti anche per il mutuatario; in terzo luogo, le valutazioni di convenienza dell’affare, a seconda dell’andamento del rapporto negoziale, non rilevano ai fini della validità del contratto.
Né potrebbe dirsi meritevole di tutela l’interesse del debitore che si dolga, in sostanza, della insufficienza della garanzia ipotecaria sul bene a causa dell’esorbitanza dell’importo mutuato, essendo l’interesse del debitore tutelabile nell’opposto caso di esorbitanza della garanzia con il rimedio della riduzione dell’ipoteca (cfr. articoli 2872 ss. c.c., peraltro entro certi limiti), non con il rimedio della invalidità negoziale.
La prima prospettiva non considera che l’interesse pubblico alla corretta concorrenzialità del mercato del credito si realizza offrendo alla clientela maggiori possibilità di accesso al credito e una ampia varietà di alternative nella scelta dei prodotti, risultato questo cui non si perviene con la sanzione della nullità, in contrasto con la ratio del credito fondiario che è «di favorire la “mobilizzazione” della proprietà immobiliare e, in tal modo, l’accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di situazioni di crisi dell’imprenditore» (Corte costituzionale n. 175 del 2004).
Non giova alla tesi della nullità il precedente che qualificava come norma imperativa quella dell’art. 3 della legge n. 474 del 1949, che analogamente prevedeva che l’ammontare di ciascun mutuo (edilizio) non potesse eccedere la metà del valore cauzionale dell’immobile, in quanto strutturalmente collegato con lo scopo di agevolare la disponibilità di abitazioni non di lusso, sicché ogni diversità rispetto alle previsioni di legge avrebbe costituito una violazione del detto scopo di carattere pubblico (Cass. sez. I n. 9219 del 1995).
Ed infatti, nel precedente poc’anzi citato la Corte si riferiva alla ben diversa fattispecie del mutuo edilizio, oggi riassorbita nel mutuo fondiario ordinario che, diversamente dall’altro, non è un mutuo di scopo, poiché di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità pubbliche (cfr. Cass. sez. III n. 9511 del 2007, sez. I n. 4792 del 2012, sez. I n. 28662 del 2013), venendo meno l’eventuale interesse pubblico connesso allo scopo (si aggiunga poi che neppure il precedente del 1995 ipotizzava la nullità totale del contratto, accedendo alla più moderata conclusione della nullità parziale limitata all’eccedenza del finanziamento).
Il mutuo fondiario, inoltre, può essere finalizzato anche a sanare debiti pregressi (cfr. Cass. sez. I n. 28662 del 2013, sez. III n. 19282 del 2014, sez. III n. 37654 del 2021, sez. III n. 23149 del 2022), contrariamente a quanto sostenuto nel motivo di ricorso.
8.8.- Pur ipotizzando in astratto la natura imperativa della disposizione di cui all’articolo 38, secondo comma, t.u.b., per escludere la nullità del contratto per eccedenza dell’importo mutuato è risolutivo l’argomento secondo cui non ogni violazione di norma imperativa può dare luogo ad una nullità contrattuale, ma solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare.
Se la fissazione del limite di finanziabilità è stata dal legislatore demandata all’autorità di vigilanza sul sistema bancario è proprio perché quel limite attiene alla «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) sul contenimento dei rischi nella concessione del credito che, individuando l’interesse tutelato, finirebbe per essere leso qualora si propendesse per la nullità (e il travolgimento) del contratto: «far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria) condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere» (cfr. ordinanza interlocutoria).
«Senza trascurare, poi – come ancora correttamente rilevato nella stessa ordinanza – l’esistenza di un vantaggio obiettivamente sproporzionato per il mutuatario che, per il sol fatto di aver ricevuto dall’istituto una somma superiore a quella consentita dal c.d. scarto di garanzia, realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall’ipoteca; con effetti che ben potrebbero definirsi paradossali nel caso di esecuzione individuale promossa dall’istituto di credito mutuante (atteso che la nullità darebbe luogo all’estinzione della procedura, per il venir meno del titolo esecutivo, anche in danno degli eventuali creditori intervenuti non muniti di titolo), e che appaiono connotati da anomalie anche nel caso di apertura di una procedura concorsuale, in cui l’interesse dei creditori al rispetto della par condicio, anziché essere tutelato con lo strumento della revocatoria (ossia con il rimedio tipico previsto per il contratto in danno dei creditori), verrebbe ad essere protetto attraverso una sanzione di nullità dell’intero contratto derivante unicamente dall’illegittima costituzione della garanzia fondiaria».
Sulla stessa lunghezza d’onda si è ulteriormente osservato che «la comminatoria della nullità del contratto di mutuo (oltre che dell’accessoria garanzia ipotecaria) retrocederebbe la pretesa della banca mutuante a mera pretesa chirografaria fondata sulla generica ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.: così vanificandosi l’obiettivo di una sana e prudente gestione volta a prevenire il rischio di sovraesposizione della banca, articolato sull’esigenza di assicurare alla banca il recupero dell’importo finanziato in sede di esecuzione forzata.
Tale opportunità è, invece, compromessa ove il mutuo eccedentario sia considerato nullo e con esso, altresì, l’ipoteca connessa; e senza contare che la soluzione invalidante contrasta pure con l’interesse del mutuatario, costretto a restituire immediatamente le somme prese in prestito, con tutte le conseguenze sul proprio patrimonio ed eventualmente sull’attività di impresa» (così Cass. sez. III n. 7509 del 2022).
La Corte costituzionale (n. 175 del 2004) si è espressa criticamente sulla pretesa «sanzione della “inopponibilità” dell’ipoteca che, in caso di inadempimento da parte del mutuatario, dovrebbe paradossalmente andare a carico del mutuante».
Si aggiunga che, venendo meno il contratto di mutuo, il debito potrebbe risultare in sofferenza stante la difficoltà (o impossibilità) di estinguerlo prontamente per l’intero, esponendo il mutuatario a rischi di segnalazione alla Centrale rischi con le gravi conseguenze intuibili, nonostante il regolare pagamento delle rate secondo il piano di ammortamento previsto nel contratto.
In definitiva, la scelta di politica economica compiuta dal legislatore è stata, come si è detto, di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ampliando la possibilità di far ricorso ai finanziamenti, contemperandola però con l’esigenza di contenere il rischio per le banche erogatrici a tutela della loro stabilità finanziaria. Intravedere in tale esigenza (alla sana e prudente gestione delle banche) un interesse corrispondente a un valore giuridico fondamentale, di per sé indicativo della imperatività della disposizione in questione (articolo 38, secondo comma), stride anche con l’assenza nell’ordinamento di norme imperative attinenti al contenimento del rischio predetto nelle altre tipologie di finanziamenti erogati dalle banche che ben possono essere non assistiti da alcuna garanzia.
8.9.- Comune alle pronunce adesive all’orientamento inaugurato nel 2017, sul piano dell’indagine sulla natura (imperativa) della norma e sulla questione della validità o invalidità del contratto di mutuo, è l’attenzione rivolta in chiave critica ai privilegi sostanziali e processuali attribuiti al creditore fondiario, a fronte degli svantaggi per gli altri creditori concorrenti nelle procedure concorsuali.
Si assume in sostanza che tali privilegi (l’ipoteca di primo grado su immobili del mutuatario a garanzia del credito; la facoltà di eleggere domicilio, ai fini dell’iscrizione ipotecaria, presso la propria sede, invece che nella circoscrizione del tribunale in cui ha sede la conservatoria dei registri immobiliari; il cd. consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria, non soggetta a revocatoria fallimentare se iscritta almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento del debitore concedente o del terzo datore di ipoteca; l’esenzione dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal debitore poi dichiarato fallito; l’esonero dall’obbligo di notificazione previa del titolo esecutivo; la facoltà di proporre o di proseguire il processo esecutivo anche in caso di fallimento del debitore) risulterebbero non più giustificati una volta che il credito risulti erogato per un importo eccedente il limite di finanziabilità, essendo l’ipoteca, collegata al mutuo medesimo, posta a garanzia di un certo ammontare del credito, e non oltre, rispetto al valore del bene ipotecato: per effetto del superamento del limite risulterebbe attribuita al creditore una causa di prelazione illegittima perché contraria al principio della par condicio sancito dall’articolo 2741 c.c.
Tuttavia, la questione della validità o invalidità di un contratto non può dipendere dalle conseguenze sfavorevoli che si produrrebbero per gli altri creditori nella successiva procedura concorsuale, né su elementi attinenti alla garanzia accessoria (ipoteca), la quale, non solo, è una conseguenza legale del contratto valido di mutuo (rectius: del credito) fondiario, ma non v’è ragione per dubitare della validità del negozio costitutivo della garanzia stessa (aderendo all’impostazione, seguita da Cass. n. 7509 del 2022 cit., secondo cui «il finanziamento fondiario realizza necessariamente una fattispecie in cui convergono due distinti negozi intimamente collegati tra loro, quello di concessione del credito e quello di costituzione di ipoteca di primo grado»).
Come si è osservato in dottrina, non si sfugge alla seguente alternativa: o si ritiene che l’articolo 38, secondo comma, t.u.b. sia una norma imperativa a presidio della validità del contratto e, allora, il mutuo fondiario eccedente sarà nullo, ai sensi dell’articolo 1418, primo comma, c.c. e, di conseguenza, la garanzia ipotecaria sarà travolta e così gli altri privilegi concessi al creditore fondiario; oppure si ritiene che quella disposizione non integri una norma imperativa a presidio della validità del contratto e, allora, il mutuo fondiario eccedente e la garanzia ipotecaria saranno validi.
Nella predetta seconda ipotesi – che è quella condivisa dal Collegio – non è pertinente il richiamo all’articolo 2741 c.c., quale disposizione integrativa di una norma imperativa rilevante per le finalità di cui si discute.
Si è anche osservato in dottrina che la par condicio creditorum non trova un proprio baluardo nel t.u.b., apparendo singolare che l’ordinamento possa sanzionare così gravemente (con la nullità del contratto) il superamento della soglia dell’ottanta per cento fino a disapplicare totalmente la disciplina del mutuo fondiario a tutela della par condicio e poi consentire al creditore, in caso di mantenimento del credito al di sotto della suddetta soglia (anche per effetto di pagamenti parziali), di opporsi alla liberazione parziale dei beni ipotecati, seppur nei limiti di cui all’articolo 39, quinto comma, t.u.b., beneficiando del privilegio ipotecario per la maggior somma iscritta.
Per altro verso, la tutela della par condicio creditorum non è affidata al rimedio della invalidità-nullità del contratto, essendo pacifico che gli atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi (per abusiva erogazione del credito o in frode ai creditori) non sono illeciti né nulli, ferma restando la tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell’ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato (cfr. Cass. sez. I n. 20576 del 2010, sez. III n. 23158 del 2014, sez. I n. 11695 del 2018, sez. I n. 18610 e n. 24725 del 2021, sez. III n. 15844 del 2022), eventualità ipotizzabile anche nel caso di dolosa o colposa concessione di finanziamento ultra-soglia che sia stata causa determinante di conseguenze dannose per il soggetto finanziato o i terzi.
La tesi della nullità contrattuale per eccesso di finanziamento si rivela strumentale alla critica rivolta indirettamente all’istituto in sé del mutuo fondiario, forse percepito come anacronistico o non più proporzionato rispetto agli obiettivi perseguibili (cfr. Cass. n. 7509 del 2022 cit.), in considerazione dei privilegi riconosciuti al creditore fondiario in deroga alla par condicio.
E tuttavia, il predetto istituto ha resistito al vaglio di costituzionalità con la sentenza n. 175 del 2004, che ha ritenuto trattarsi di una scelta di politica economica non manifestamente irrazionale nei termini compiuti dal legislatore, che ha inteso – come si è detto – favorire la «mobilizzazione» della proprietà immobiliare, incentivando gli operatori professionali a erogare credito, muniti al contempo di strumenti per la più rapida e agevole procedura per il suo recupero forzoso, restando ferma l’esigenza della sana e prudente gestione, a tutela della stabilità finanziaria degli enti erogatori.
In conclusione, non si tratta di una nullità virtuale neutralizzata dalla previsione di sanzioni diverse e alternative (articolo 1418, primo comma, seconda parte, c.c.): non è configurabile una nullità, rimanendo la questione delle conseguenze disciplinari nei confronti dell’istituto di credito, cui sia imputabile il superamento del limite di finanziabilità, rilevante sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza, che è questione estranea all’oggetto del giudizio.
8.10.- Si deve enunciare il seguente principio di diritto: In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurre al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito.
Il ricorso è quindi infondato, avendo la sentenza impugnata deciso in conformità all’enunciato principio.
9.- L’ordinanza interlocutoria, pur esprimendosi in termini critici verso la teoria della nullità contrattuale per violazione di norma imperativa, ha suggerito come «percorso effettivamente alternativo [alla nullità quello] della riqualificazione del contratto alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari.
In tal modo il rispetto del cd. scarto di garanzia finirebbe per incidere non sul piano della validità del contratto, ma unicamente sulla possibilità di applicare, al programma negoziale posto in essere dalle parti, le peculiari conseguenze ricollegate dalla legge al finanziamento fondiario e dunque sulla possibilità per l’istituto di godere della relativa disciplina di favore» (sub 6.5).
Nella stessa direzione si collocano i richiamati precedenti della Terza sezione (sub 7), i quali, pur rifiutando la tesi della nullità, hanno affermato che «il limite di finanziabilità può bene identificarsi come elemento conformativo della species mutuo fondiario del genus di ogni altro mutuo ipotecario: poiché non può dirsi imposto, non solo esplicitamente ma nemmeno per implicito, a pena di nullità, esso qualifica o conforma un particolare tipo contrattuale di alcune particolarità o caratteristiche, rendendone una specie di un genere più ampio.
E pare agevole inferirne che la carenza di quel presupposto non inficia, di norma, l’assetto negoziale complessivo, ove questo possa, come in effetti può, conservarsi nonostante l’eliminazione di quegli elementi caratterizzanti: manca qualunque intento repressivo o punitivo del finanziatore che viola quel limite, ma vi è esclusivamente la disattivazione dei privilegi che il puntuale rispetto di quel limite, funzionale ad un corretto ed equilibrato funzionamento del mercato del credito, avrebbe potuto comportare in favore del finanziatore» (così Cass. n. 7509 del 2022 cit.).
Anche il Procuratore Generale, pur non condividendo la tesi della nullità contrattuale, ha osservato che «rimane la considerazione della non conformità del mutuo fondiario esondante rispetto al modello tipizzato dall’art. 38 t.u.b. Modello che prevede un limite di erogabilità ancorato al valore della garanzia reale prestata. Da tale non conformità e dalla violazione di tale limite appare logico far discendere […] la non applicabilità di tutte quelle disposizioni speciali ispirate al favor verso il mutuante, cui solamente è ascrivibile la violazione rilevata. Il che induce alla qualificazione del mutuo fondiario esondante quale mutuo ordinario ipotecario, in mancanza di quegli elementi specializzanti del contratto che consentono a questo di godere della natura fondiaria, e con la conseguente esclusione di ogni privilegio, sostanziale e processuale, altrimenti riconosciuto al mutuante» (nella requisitoria si precisa, però, che «il soddisfacimento privilegiato cui il mutuante avrà diritto sarà […] limitato dal prezzo di liquidazione del bene ipotecato, come sarebbe avvenuto ove fosse rispettato il limite di finanziabilità e, per la parte eccedente la garanzia, godrà del trattamento dei crediti privilegiati. In altre parole, per i creditori concorrenti muniti di causa di prelazione, appare indifferente l’ammontare del finanziamento concesso, posto che il privilegio opera pur sempre nei limiti del prezzo di liquidazione del bene immobile oggetto di ipoteca»).
9.1.- Il Collegio non condivide le proposte ricostruttive in termini di riqualificazione del mutuo fondiario in mutuo ipotecario ordinario: una volta che si escluda la nullità (totale o parziale) del contratto per superamento del limite di finanziabilità, non è consentito all’interprete intervenire (d’ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dalle parti, seppure appartenente alla stessa famiglia o genus contrattuale.
Il percorso ermeneutico che invece ammette questa possibilità si snoda nei seguenti passaggi argomentativi (cfr. Cass. n. 7509 del 2022 cit., p. 23 ss., anche per richiami ai precedenti): a) il procedimento di qualificazione giuridica del contratto consta di due fasi: la prima (interpretazione del contratto) consiste nella ricerca e individuazione della comune volontà dei contraenti, che è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (articoli 1362 ss. c.c.); la seconda (qualificazione) è governata da criteri giuridici cogenti, al fine di sussumere la fattispecie negoziale concreta nel paradigma normativo più adeguato e trarne la disciplina applicabile in concreto, attività sindacabile in sede di legittimità anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali; b) vista la difformità (o imperfetta conformità) del mutuo contratto in concreto con il paradigma legale del mutuo fondiario, a causa del superamento del limite di finanziabilità, «ne conseguirebbe sic et simpliciter l’inapplicabilità della disciplina speciale dettata per tale contratto [mutuo fondiario] a tutto vantaggio di quella generale destinata a prevalere in ragione della corretta qualificazione del negozio, nella specie rappresentato da un ordinario mutuo ipotecario; sicché il semplice superamento del limite di finanziabilità è circostanza inidonea a mutare la natura del contratto originario, ma sufficiente a precludere la portata applicativa di talune norme di favore, specializzanti, previste per il mutuante».
9.2.- Nella fattispecie all’esame delle Sezioni Unite, tuttavia, è pacifico che le parti hanno inteso stipulare un mutuo fondiario e in tal senso è l’incensurata attività interpretativa (della comune volontà dei contraenti) e qualificatoria del contratto svolta dai giudici di merito. È invece contestata (infondatamente) la validità del contratto a causa del superamento del limite di finanziabilità e della utilizzazione del mutuo (fondiario) per estinguere passività pregresse: i mutuatari ne deducono la nullità mentre il mutuante ne deduce la validità.
E’ noto che la qualificazione del contratto è compito del giudicante e non dei contraenti: il giudice non è vincolato al nomen juris dato dai contraenti ma può correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che essa non corrisponde alla sostanza del contratto o dell’operazione negoziale.
Questa affermazione non va tuttavia enfatizzata, non potendosi affermare – come rilevato da dottrina autorevole – l’assoluta incompetenza dei contraenti, cioè l’assoluta irrilevanza delle loro determinazioni, rispetto alla qualificazione del contratto, essendo questa invece direttamente influenzata dalla volontà delle parti per il fatto stesso di essere qualificazione del contratto così come da esse voluto.
Se le parti qualificano un contratto in un certo modo (ad esempio, come «mutuo fondiario») sussistendone le caratteristiche essenziali identificative, col deliberato proposito di regolare il rapporto secondo la pertinente disciplina, il giudice, in via di principio, non può disattendere la loro qualificazione a favore di una qualificazione (anche parzialmente) diversa ritenuta più adeguata secondo parametri normativi astratti, a meno che la stessa qualificazione non sia specificamente contestata in giudizio (e quindi rimessa al giudice) o ricorrano le condizioni per la conversione del contratto (articolo 1424 c.c.), ma ciò presuppone che ne sia fondatamente contestata la validità e non è questo il caso, essendo stata esclusa la nullità del mutuo fondiario stipulato dai contraenti, in relazione a entrambi i dedotti profili del superamento del limite di finanziabilità e della destinazione della somma mutuata a ripianare passività pregresse (su quest’ultimo aspetto v. sub 8.7).
Nell’ipotesi in cui il giudice riscontri un mero errore qualificatorio dei contraenti nella denominazione di un contratto che presenti i tratti identificativi corrispondenti a un diverso tipo o sottotipo negoziale, la ridenominazione (o riqualificazione) è sempre possibile (anche d’ufficio), non incidendosi sul regolamento di interessi convenuto dai contraenti: l’operazione qualificatoria del giudice consiste nella mera correzione del nomen iuris per adeguarlo al paradigma normativo proprio dell’operazione negoziale concreta.
Alla predetta ridenominazione (o riqualificazione) del nomen il giudice può procedere anche quando sia contestata la stessa «volontà comune» dei contraenti e sia in discussione la determinazione del tipo o sottotipo negoziale nel quale sussumere la fattispecie concreta: in tal caso è il giudice (di merito) a dover accertare la volontà dei contraenti per trarne le conseguenze sul piano della qualificazione giuridica del contratto, con la quale è possibile incidere indirettamente sul regolamento di interessi per consentire al contratto di produrre gli effetti corrispondenti all’operazione negoziale realmente voluta dai contraenti.
La giurisprudenza di legittimità, dopo avere premesso che non assume rilievo decisivo il nomen iuris eventualmente adottato dalle parti rispetto alla determinazione della natura giuridica di un contratto e al suo inquadramento in uno piuttosto che in altro schema negoziale, dovendo la qualificazione giuridica essere effettuata sulla base della legge e, quindi, in termini rigorosamente obiettivi, ha però precisato che «detta qualificazione trova il suo ineliminabile presupposto nell’accertamento della “comune intenzione” delle parti, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1362 e segg. c.c. e, se del caso, anche da elementi estrinseci all’atto considerato» (Cass. n. 9944 del 2000 ha escluso che l’amministrazione finanziaria possa rideterminare la natura di un contratto, prescindendo dalla volontà concretamente manifestata dalle parti e magari in contrasto con essa).
La riqualificazione giuridica del contratto è operazione che presuppone la fedele interpretazione della volontà negoziale, come desumibile dalle dichiarazioni dei contraenti nel testo contrattuale, al solo fine di consentire ad essa di produrre gli effetti programmati, mediante l’inquadramento della fattispecie concreta nel pertinente paradigma normativo, con conseguente allineamento del diritto alla fattispecie negoziale concreta.
Analoga opera di riqualificazione non è invece consentita per correggere o integrare il regolamento di interessi volutamente e validamente assunto dai contraenti secondo un determinato tipo o sottotipo negoziale per adeguarlo d’autorità a un diverso tipo o sottotipo legale non corrispondente alla loro volontà comune.
Non rileva che uno dei contraenti ne contesti poi (infondatamente) gli effetti sul piano della invalidità del contratto, implicando tale contestazione l’appartenenza del contratto al tipo o sottotipo legale conforme alla volontà comune. Contestare la validità di un negozio per contrasto con le norme che lo disciplinano non significa contestare ma riconoscere la qualificazione secondo il tipo o sottotipo di riferimento.
Si potrebbe obiettare che, nella vicenda in esame, il rapporto tra mutuo fondiario e mutuo ordinario ipotecario sarebbe configurabile in termini di species (il primo) e genus (il secondo), poiché «il mutuo fondiario non può, cioè, definirsi un tipo contrattuale autonomo, [ma] una particolare forma di mutuo ipotecario al quale possono applicarsi i privilegi sostanziali e processuali riconosciuti dalla legge qualora si tratti di finanziamenti a medio o a lungo periodo garantiti da ipoteca di primo grado il cui valore non superi l’ottanta per cento del credito erogato» (Cass. n. 7509 del 2022 cit.).
Si assume in sostanza che, non essendovi una diversità tipologica tra le due forme di mutuo, sarebbe ammissibile la riqualificazione d’ufficio del contratto mediante semplice passaggio dall’una (mutuo fondiario) all’altra forma di mutuo (ordinario ipotecario), con l’applicazione del solo regime giuridico di quest’ultimo. Questo esito interpretativo, sebbene si possa convenire sull’astratta appartenenza del mutuo fondiario al genus tipologico del mutuo ordinario, non convince.
In primo luogo, non è chiaro come esso possa conciliarsi con la contestuale affermazione che correttamente esclude nell’articolo 38, secondo comma, t.u.b. i caratteri propri di una norma di fattispecie o di struttura negoziale rilevante sul piano della validità del contratto, se si ritiene che il superamento del limite di finanziabilità sia, in sostanza, incompatibile con il modello legale del mutuo fondiario al punto di paralizzarne gli effetti legali (escludendo i privilegi attribuiti ex lege al mutuante e riconoscendogli forse solo l’ipoteca ordinaria e non quella di primo grado).
In secondo luogo, riqualificando il contratto nei termini visti, il giudice inciderebbe direttamente sul regolamento di interessi convenuto tra le parti, con l’effetto di modificarlo e amputarlo in parti non secondarie per entrambi i contraenti, non inficiate da profili di invalidità di sorta, in tal modo invadendo il territorio dell’autonomia privata.
In terzo luogo, una simile opzione ermeneutica di riqualificazione del contratto, se compiuta dal giudice di merito, potrebbe essere corretta dal giudice di legittimità solo se investito da uno specifico mezzo di ricorso che denunci la violazione di legge o il vizio di motivazione nei limiti consentiti oggi dal vigente articolo 360, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. sez. III n. 14270 del 2011, in fattispecie in cui il giudice di merito, interpretando la volontà dei contraenti come diretta alla stipula di un mutuo ordinario e non di un mutuo fondiario, lo ha riqualificato come mutuo ordinario e ritenuto che la mutuataria ricorrente avesse dedotto inammissibilmente l’invalidità del fondiario per ragioni sostanziali, non avendo formulato nei gradi di merito e in sede di legittimità apposita censura circa l’erronea attività interpretativa e qualificatoria svolta dal giudice).
Nel caso in esame, essendo denunciata per cassazione infondatamente l’invalidità del contratto stipulato tra le parti per contrasto con le norme riguardanti il mutuo fondiario, sul presupposto della corrispondenza di tale operazione negoziale che sia alla comune volontà delle parti, la riqualificazione d’ufficio del contratto come ordinario mutuo ipotecario non è operazione praticabile, risolvendosi in una impropria correzione o manipolazione del regolamento di interessi validamente convenuto tra le parti, al fine di privarlo in concreto dei relativi effetti legali.
In conclusione, si deve enunciare il seguente principio: qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario.
10.- Il ricorso è quindi rigettato. La complessità delle questioni trattate, di massima di particolare importanza, e le divergenze interpretative emerse in seno alla Corte e nella giurisprudenza di merito inducono a compensare le spese del giudizio.