Corte Costituzionale, sentenza 07 novembre 2022 n. 225
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale:
– degli artt. 2, commi 1, lettera c), e 2; 3, commi 2, 3 e 4; 4, commi 3, 4 e 5, del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99 (Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 121;
– del d.l. n. 99 del 2017 come convertito nella sua interezza;
– dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017 come convertito, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45, 47 della Costituzione, nonché all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
– dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost. e all’art. 47 CDFUE;
questioni tutte sollevate dal Tribunale ordinario di Firenze.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
4.1.– Appare opportuno premettere un chiarimento in ordine alla portata normativa delle disposizioni di legge che maggiormente vengono invocate nell’ordinanza di rimessione, la quale fa riferimento ad una vicenda che ha avuto anche risvolti drammatici per una moltitudine di risparmiatori. Dal preambolo del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, si evince, del resto, che l’intervento normativo ha avuto riguardo alle gravi ripercussioni di rilievo sociale ed economico per persone, famiglie e imprese, derivanti dalla sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa, ravvisate in termini di perdite per i creditori non professionali chirografari e di cessazione dei rapporti di affidamento creditizio.
4.2.– Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, all’art. 1 (Ambito di applicazione), comma 1, specifica che il decreto «disciplina l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa […] nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno di queste ultime in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato […]». Ai sensi dell’art. 2 (Liquidazione coatta amministrativa), comma 1, lettera c), i commissari liquidatori dovevano procedere alla cessione di cui all’art. 3 in conformità all’offerta vincolante formulata dal cessionario selezionato ai sensi dell’art. 3, comma 3, ovvero «anche sulla base di trattative a livello individuale, nell’ambito di una procedura, anche se svolta prima dell’entrata in vigore del presente decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell’offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato». L’art. 3 (Cessioni) del citato decreto-legge, al comma 1, stabilisce che i commissari liquidatori provvedano a cedere al soggetto individuato «l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi». Si aggiunge, tuttavia, che «[a]lla cessione non si applica quanto previsto ai sensi degli articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, salvo per quanto espressamente richiamato nel presente decreto, e 90, comma 2, del Testo unico bancario». L’ultima parte del medesimo comma 1 dell’art. 3 precisa, peraltro, che «[r]estano in ogni caso esclusi dalla cessione anche in deroga all’articolo 2741 cod. civ.: a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività». Il comma 2 dell’art. 3 chiarisce, fra l’altro, che «[i]l cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione ai sensi del comma 1». Gli artt. 4 e 6 del decreto-legge recano poi, rispettivamente, la disciplina degli «[i]nterventi dello Stato» e delle «[m]isure di ristoro» in favore degli investitori che «detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle Banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime Banche emittenti» (art. 6, comma 1).
5.– Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, per quanto emerge dal suo stesso preambolo, era dunque volto ad attuare una manovra di «salvataggio pubblico» di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa, sottoposte a liquidazione coatta amministrativa sul presupposto della sussistenza del «dissesto o rischio di dissesto», come accertato dalla Banca centrale europea, ai sensi dell’art. 32, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa all’istituzione di un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Il Comitato di risoluzione unico aveva escluso che vi fossero i requisiti per una risoluzione secondo la medesima direttiva europea, ai sensi del regolamento n. 806/2014/UE, che fissa le norme e la procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico, sicché avrebbe dovuto avviarsi nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa la procedura di liquidazione coatta amministrativa in conformità al diritto nazionale. In particolare, il Governo ha ritenuto che, in assenza di misure pubbliche di sostegno, la sottoposizione delle due Banche a liquidazione coatta amministrativa avrebbe comportato la distruzione del valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti, e avrebbe determinato una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali. Esigenze, queste, che rendevano necessaria l’adozione di disposizioni volte a consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche ed evitare un grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle Banche in questione (così il richiamato preambolo del d.l. n. 99 del 2017).
L’intervento legislativo statale ha così previsto misure pubbliche a sostegno di una gestione ordinata della crisi delle due Banche, nel contesto di una speciale procedura d’insolvenza, mediante «aiuti alla liquidazione», approvati dalla Commissione europea e subordinati alle condizioni da questa indicate nella comunicazione 2013/C – 216/01, che impegnano, tra l’altro, gli azionisti e i creditori subordinati a condividere l’onere dell’operazione e tutelano le capacità operative del terzo che acquisisca un ramo d’azienda.
In particolare, il punto 6.2.3. (Condivisione degli oneri), paragrafo 77, della comunicazione della Commissione europea 2013/C – 216/01, elabora la regola del «burden sharing», secondo cui «[n]el contesto di una liquidazione ordinata, è necessario far in modo di ridurre al minimo il cosiddetto rischio morale, in particolare evitando la concessione di aiuti aggiuntivi a beneficio degli azionisti e dei creditori subordinati».
Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, ha rimesso alle parti delle convenzioni di cessione di determinare le attività e passività cedute, ponendo un divieto di trasferimento di alcune poste. Nella specie, quale conseguenza del limite inderogabile imposto all’autonomia negoziale delle parti degli accordi di trasferimento, il perimetro della cessione ha lasciato fuori sia i debiti delle banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle banche, sia i debiti correlati alle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, nonché, in generale, le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.
Il legislatore statale ha ravvisato, quale misura di tutela delle capacità operative della cessionaria, che la stessa dovesse restare esonerata anche dalle pretese di terzi e dalle passività collegate a condotte di misselling nella commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle due Banche, seppure si trattasse di «atti o fatti» verificatisi prima della cessione, ma non già oggetto di controversia.
6.– Venendo ora all’esame delle questioni sollevate dal Tribunale di Firenze, deve precisarsi che esse sono circoscritte da quanto esposto nella motivazione dell’ordinanza di rimessione. L’indicazione in dispositivo di norme del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, per le quali non vi è alcuno sviluppo argomentativo nel testo dell’ordinanza – l’art. 2, commi 1, lettera c), e 2; l’art. 3, commi 2, 3 e 4; l’art. 4, commi 3, 4 e 5 – non dà luogo a questioni scrutinabili nel merito, tanto più per l’omessa evocazione dei parametri costituzionali.
Le relative questioni vanno dunque dichiarate inammissibili per assoluta mancanza di motivazione quanto alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza.
7.– Poste tali premesse può ora passarsi all’esame pregiudiziale delle plurime eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, come individuate nella motivazione dell’ordinanza di rimessione, formulate dalle difese di Intesa Sanpaolo spa e di Banca Popolare di Vicenza spa, nonché dal Presidente del Consiglio dei ministri.
7.1.– È anzitutto fondata l’eccezione d’inammissibilità formulata sul rilievo che il rimettente avrebbe sottoposto a questa Corte una pluralità di questioni di legittimità costituzionale, senza in alcun modo chiarire l’ordine nel quale le stesse dovrebbero essere esaminate e la relazione tra le stesse esistente.
Come visto, il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con riferimento sia all’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e all’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017; sia all’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017; sia al medesimo decreto-legge, come convertito, nella sua interezza.
Il rimettente non ha operato alcun tipo di graduazione nella prospettazione delle doglianze.
L’auspicato accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze è finalizzato ad ampliare il «perimetro della cessione», al fine di comprendervi anche la domanda risarcitoria e restitutoria proposta dall’attore nei confronti di Intesa Sanpaolo spa. Il giudice a quo, senza evidenziare alcun nesso di subordinazione logico-giuridica, ha chiesto a questa Corte di scegliere tra i diversi interventi prospettati, e cioè dichiarare costituzionalmente illegittimi l’intero d.l. n. 99 del 2017, ovvero singole norme di esso, secondo un’alternatività irrisolta che impedisce di identificare il verso delle censure, e perciò fornisce una prospettazione ancipite in ordine alla non manifesta infondatezza delle plurime questioni, con la conseguenza che esse sono inammissibili (sentenze n. 136 e n. 66 del 2022, n. 123 del 2021, n. 168 e n. 152 del 2020; ordinanza n. 104 del 2020).
Ove, peraltro, volesse intendersi che il nesso di subordinazione logico-giuridica degli interventi richiesti a questa Corte sia quello evincibile dalla sequenza adoperata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, le questioni sarebbero comunque inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
7.2.– Sono, invero, fondate le eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che investono il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, nella sua interezza.
Il d.l. n. 99 del 2017, come convertito, contiene norme eterogenee rispetto agli ambiti incisi dalle più specifiche censure formulate dal rimettente, quali quelle sulle procedure concorsuali, sulle cessioni, sugli interventi dello Stato, sulla cessione dei crediti deteriorati, sulle misure di ristoro, nonché disposizioni fiscali, finanziarie e di attuazione. Tuttavia, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale non riguardano tutte le norme contenute nel provvedimento censurato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, risultano inammissibili le questioni sollevate avverso interi atti legislativi allorquando le leggi impugnate, come nella vicenda in esame, non siano «caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (sentenze n. 128 del 2020 e n. 247 del 2018; nello stesso senso, sentenza n. 143 del 2010); in tal caso, infatti, le censure devono ritenersi generiche e tali da non «consent[ire] la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità» (sentenze n. 128 del 2020 e n. 14 del 2017).
7.2.1.– Sotto altro e concorrente profilo, non può non rilevarsi che la questione, sollevata con riguardo all’intero testo del decreto-legge, come convertito, e della legge di conversione, non mira ad evidenziare un vizio di legittimità della disciplina legislativa, quanto piuttosto a criticare la scelta di opportunità, effettuata dal Governo e ratificata dal Parlamento con la legge di conversione, di procedere proprio con le modalità descritte alla liquidazione ordinata delle Banche venete. Nell’ordinanza di rimessione, infatti, si afferma che la caducazione del decreto-legge nella sua interezza mira a far sì che «il governo possa nuovamente valutare la soluzione più conforme all’interesse pubblico perseguito». Risulta, quindi, posto in discussione il merito della scelta politica effettuata dal Governo per fronteggiare la crisi delle Banche venete e non la legittimità costituzionale della disciplina in concreto adottata (in violazione dell’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale»). Significativamente, del resto, la questione di legittimità costituzionale in esame non è accompagnata nell’ordinanza di rimessione dalla indicazione dei parametri costituzionali che risulterebbero violati.
7.3.– Sono altresì fondate le eccezioni di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che investono l’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, e l’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.
L’ordinanza di rimessione non illustra le ragioni che giustifichino l’applicazione di tali disposizioni e che perciò possano dimostrare la pregiudizialità delle relative questioni rispetto alla definizione del processo principale, concernendo queste norme, rispettivamente, l’attuazione di un aiuto di Stato, mediante la fornitura di un supporto finanziario, volto a coprire il fabbisogno di capitale generatosi in capo alla cessionaria in seguito all’acquisizione di parte delle due Banche e a sostenere le misure di ristrutturazione aziendale da attivare; l’acquisizione di crediti in capo alla cessionaria e allo Stato verso la LCA; le «misure di ristoro» stabilite per gli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o loro successori mortis causa.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze relative al regime degli interventi dello Stato e alla disciplina delle misure di ristoro predisposti dal d.l. n. 99 del 2017, come convertito, risultano tuttavia avulse dai caratteri delle pretese avanzate nel giudizio a quo, atteso che il giudizio principale ha ad oggetto una domanda risarcitoria proposta dall’attore nei confronti della sola cessionaria Intesa Sanpaolo spa (ex plurimis, sentenze n. 109 del 2022 e n. 283 del 2016).
7.4.– Devono ora affrontarsi i profili di inammissibilità prospettati con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.
7.4.1.– L’ordinanza di rimessione denota in proposito una insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo e una incompleta ricostruzione del quadro normativo rilevante, il che comporta un difetto di motivazione sulla rilevanza.
Il giudice rimettente illustra i termini della controversia riportando le conclusioni dell’atto di citazione notificato il 13 gennaio 2019, con il quale l’attore aveva convenuto Intesa Sanpaolo spa per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia, per violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e all’art. 26 della deliberazione CONSOB n. 11522 del 1998, anche ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., e altresì per la mancata verifica dell’adeguatezza, delle operazioni di acquisto di azioni emesse dalla Banca Popolare di Vicenza spa, domandando la condanna della Banca Intesa Sanpaolo spa al risarcimento dei danni. Nella ordinanza di rimessione si riferisce unicamente che le violazioni degli obblighi informativi da parte di Banca Popolare di Vicenza spa erano relativi ad investimenti effettuati tra il 2010 e il 2014 in azioni emesse dalla banca stessa (a pagina 2) e si sostiene che i «debiti» oggetto del giudizio principale erano riferibili alla lettera b) del comma 1 dell’art. 3 censurato (a pagina 7).
Le trascritte conclusioni della citazione introduttiva chiedevano altresì di accertare il grave inadempimento della Banca convenuta per tutti i comportamenti posti in essere all’atto della sollecitazione di sottoscrizione delle azioni della Banca Popolare di Vicenza spa per cui è causa, nonché di risolvere i contratti de quibus e, per l’effetto, di condannare Banca Intesa Sanpaolo spa alle conseguenti restituzioni e comunque al risarcimento dei danni patrimoniali.
L’ordinanza di rimessione dà poi conto delle conclusioni dedotte da Intesa Sanpaolo spa in sede di costituzione, ovvero: accertare l’estraneità della stessa all’oggetto del processo, dichiarare il difetto di titolarità del rapporto dedotto in giudizio in capo a Intesa Sanpaolo e/o il difetto di legittimazione passiva della stessa; altrimenti disporne l’estromissione; nel merito, respingere tutte le domande.
Infine, vengono trascritte le conclusioni precisate dall’interventrice Banca Popolare di Vicenza spa in liquidazione coatta amministrativa: difetto di legittimazione passiva e conseguente estromissione di Banca Intesa Sanpaolo spa; inammissibilità e/o improcedibilità e/o improseguibilità o improponibilità di tutte le domande dell’attore nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa in LCA; in subordine, non fondatezza delle medesime domande.
7.4.2.– Ciò esposto, il Tribunale di Firenze invoca il sindacato di legittimità costituzionale su tutte le diverse ipotesi di esclusione dalla cessione contenute nell’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito.
Il giudice a quo motiva la rimessione supponendo che le norme censurate abbiano comportato che, con l’azienda bancaria, siano state trasferite tutte le attività e passività aziendali, tranne quelle risarcitorie e restitutorie analoghe al debito oggetto del giudizio civile pendente. Si è però già evidenziato che il decreto-legge censurato, in una logica esattamente opposta, consentiva ai commissari liquidatori di cedere al soggetto individuato l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, per l’effetto obbligando il cessionario a rispondere solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione concretamente attuata dalle parti del contratto.
Deve infatti considerarsi l’espressa deroga che l’art. 3, comma 1, contempla sia rispetto al regime generale della cessione alle banche di aziende e rapporti giuridici stabilito dall’art. 58 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sia rispetto alla disciplina della cessione di attività e passività ad opera dei commissari liquidatori della banca in LCA delineata dall’art. 90, comma 2, dello stesso t.u. bancario.
Così come, nel delineare il presupposto normativo delle questioni, occorre soffermarsi sul comma 2 dell’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, che chiama il cessionario a rispondere solo dei debiti ricompresi nel «perimetro della cessione» ai sensi del comma 1, e ulteriormente restringe la vicenda traslativa e la responsabilità del cessionario con riguardo ad altri rapporti giuridici.
7.4.3.– Per offrire una complessiva ricostruzione del quadro normativo rilevante (il cui difetto compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure, precludendone lo scrutinio, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte: sentenze n. 150 del 2019, n. 27 del 2015, n. 165 del 2014 e n. 276 del 2013; ordinanze n. 108 del 2020 e n. 244 del 2017), sarebbe occorsa una esauriente valutazione dei termini della «liquidazione ordinata» dettata nella disciplina del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, tenendo conto:
– dell’oggetto della cessione («l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi»);
– della deroga agli artt. 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, e 90, comma 2, t.u. bancario;
– delle passività e dei debiti esclusi, «anche in deroga all’articolo 2741 del codice civile»;
– dell’applicazione della regola del «burden sharing» elaborata nel punto 6.2.3. (Condivisione degli oneri), paragrafo 77, della comunicazione della Commissione europea 2013/C – 216/01;
– dell’esonero da responsabilità del cessionario per i debiti non ricompresi nel «perimetro della cessione»;
– degli ulteriori rapporti comunque sottratti al trasferimento;
– degli oneri di cessione posti a carico della cessionaria;
– delle diverse forme dell’aiuto di Stato predisposto.
7.4.4.– Quanto alla disciplina delle passività, dei debiti e delle controversie che non rientrano nella cessione, il giudice a quo ravvisa un’arbitraria assimilazione tra i creditori di cui alle lettere a) e b) del censurato art. 3, comma 1, evidenziando come i creditori di cui alla lettera b) avessero investito in azioni e obbligazioni subordinate sulla base di informazioni non corrette ricevute dalle rispettive banche o della subordinazione della concessione di mutui al loro acquisto.
Verrebbero in particolare penalizzati coloro che, come l’attore del giudizio principale, vogliono far valere la nullità dell’ordine di acquisto delle azioni della banca in LCA per ottenere il riaccredito in conto dell’importo versato a titolo di corrispettivo, ma la lettera b) dell’art. 3, comma 1, nega tutela a costoro.
Anche questo profilo sconta una insufficiente ricostruzione del sistema normativo, in quanto la scelta di non trasferire i crediti degli azionisti e dei creditori subordinati nel patrimonio del cessionario dell’azienda bancaria in dissesto deve essere verificata alla luce delle regole europee che chiamano gli Stati membri dell’Unione, nella risoluzione delle crisi del settore creditizio, ad assicurare il funzionamento della vigilanza prudenziale e la stabilità finanziaria.
7.4.5.– L’ordinanza di rimessione investe di censure anche l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, il quale sottrae alla vicenda traslativa «le passività indicate all’art. 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv) del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180», e cioè gli strumenti di capitale per «fondi propri», cui corrispondono crediti degli azionisti e dei creditori subordinati delle due Banche in LCA, dunque «passività» accertate e conosciute al momento della cessione, escluse da essa secondo la regola del «burden sharing», e che peraltro beneficiano delle «misure di ristoro» previste dal successivo art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, in favore degli investitori persone fisiche che, al momento dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa, detenessero strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime banche emittenti.
7.4.6.– È congiuntamente censurata la lettera b) del comma 1 dell’art. 3, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, senza tuttavia che l’ordinanza di rimessione specifichi a quale delle distinte categorie di «debiti» della banca ceduta possa ricondursi la res litigiosa.
Il Tribunale non spiega, invero, se il debito, rispetto al quale la convenuta Intesa Sanpaolo spa si dichiara estranea, ovvero priva di titolarità del rapporto o carente di legittimazione passiva, rientri fra quelli restitutori nei confronti degli azionisti e obbligazionisti subordinati della ceduta Banca Popolare di Vicenza spa, derivanti da operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate, i quali, in quanto passività consolidate anteriori al trasferimento, rimangono esclusi dalla cessione per l’operatività della regola del «burden sharing», secondo la logica che chiama i clienti-azionisti a sopportare il rischio di impresa.
Il giudice a quo neppure illustra se, invece, ritiene che la fattispecie di causa subisca gli effetti della seconda ipotesi contemplata dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 3, quella, cioè, che colloca al di fuori del «perimetro della cessione» i debiti, restitutori o risarcitori nei confronti di azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche cedute derivanti, piuttosto, dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, debiti, cioè, di clienti-investitori rimasti danneggiati in sede di fruizione del servizio di investimento.
Non viene chiarito dal rimettente se la pretesa restitutoria e risarcitoria su cui deve pronunciare, fondata su condotte di misselling nella commercializzazione di azioni della Banca Popolare di Vicenza spa, e in ordine alla quale il Tribunale rimettente lamenta l’esonero da responsabilità per mancato subentro della cessionaria, si ricolleghi a posizione contrattuale non ancora definita al momento della cessione, o se invece si tratti, in senso proprio, di «debito» che risultava preesistente e consolidato a tale momento.
Nemmeno è riferito se l’attore del giudizio a quo, che si dichiara ignaro della rischiosità degli strumenti finanziari acquistati, fosse, o meno, un «investitore professionale». Ciò, pur considerati i limiti del sindacato di legittimità costituzionale sulle relative scelte legislative, sarebbe occorso per differenziare eventualmente le tutele di coloro che ebbero ad acquistare azioni od obbligazioni subordinate per effetto di comportamenti posti in essere in violazione delle regole dettate in materia di intermediazione finanziaria, di informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione proposta da parte di Banca Popolare di Vicenza spa.
7.4.7.– Viene quindi in modo promiscuo sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale anche la lettera c) dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, distinta ipotesi di perimetrazione della cessione, che concerne gli «atti o fatti occorsi prima della cessione […] e le relative passività», nonché le «controversie relative […] sorte successivamente ad essa». Al riguardo, l’unico elemento fornito nell’ordinanza di rimessione attiene alla data della notificazione della citazione (13 febbraio 2019, dunque successiva alla cessione, avvenuta il 26 giugno 2017), che segna l’inizio della lite in sede giudiziaria. Non risulta peraltro specificato nell’ordinanza di rimessione se fossero stati instaurati in precedenza procedimenti stragiudiziali per le passività attualmente oggetto di giudizio.
7.4.8.– Il Tribunale di Firenze – anche in conseguenza di una prospettazione complessivamente irrisolta delle diverse censure e finalizzata, in realtà, a sollecitare questa Corte a una valutazione di merito sulle scelte legislative, che le è preclusa (supra, punto 7.2.1) – omette di indicare su quale delle diverse ipotesi che delimitano legislativamente il «perimetro della cessione» trovino fondamento le difese pregiudiziali e preliminari della convenuta Intesa Sanpaolo spa, così impedendo di valutare quale tra le disposizioni censurate sia da applicare nel giudizio principale e, dunque, di apprezzare la rilevanza delle questioni prospettate (ex multis, sentenze n. 109, n. 28 e n. 13 del 2022, n. 259 del 2021 e n. 267 del 2020; ordinanze n. 76 del 2022 e n. 108 del 2020).
7.4.9.– Il giudice a quo estende le sue doglianze agli effetti che l’esclusione dalla cessione implicata dal «combinato disposto di cui alla lettera b) e alla lettera c)» dell’art. 3, comma 1, comporta per le cosiddette «operazioni baciate», in quanto in tali casi il credito per il rimborso del finanziamento contratto per l’acquisto delle azioni si trasmette in capo alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa, mentre il debito nei confronti dell’azionista rimane in capo alla cedente, anche se i due rapporti sono tra loro indissolubilmente connessi.
L’ordinanza di rimessione, tuttavia, non riferisce che l’attore avesse acquistato le azioni al fine di ottenere la concessione di un finanziamento «subordinato» e «strumentale», né che avesse già restituito la somma finanziata nel contesto di una «operazione baciata» e che ora chieda in ripetizione quanto versato, stante la nullità dell’acquisto ex art. 2358 cod. civ., sicché la questione in tali termini sollevata risulta estranea al thema decidendum e appare meramente ipotetica e astratta.
7.4.10.– Le questioni sollevate, concernenti l’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, sono, peraltro, inammissibili anche con riguardo alla lacunosa e contraddittoria prospettazione del rimettente quanto al tipo di intervento richiesto onde porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale, non desumendosi in maniera univoca, né dal dispositivo, né dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione, se il giudice a quo invochi una generale ablazione di tutti i casi esclusi dalla cessione, o, piuttosto, un intervento manipolativo-additivo che estenda la responsabilità della cessionaria rispetto alle pretese risarcitorie o restitutorie degli acquirenti di azioni emesse dalle due Banche venete.
Quale che sia l’intentio del Tribunale di Firenze, esso non ha comunque considerato, come già si è detto, che l’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, non è, di per sé, rivolto a regolare direttamente tali rapporti, perché rimetteva ai commissari liquidatori e al cessionario individuato di determinare l’oggetto della cessione, e cioè se si dovesse trasferire l’azienda, suoi singoli rami, ovvero beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, oppure attività e passività, anche parziali o per quote, ponendo però ai contraenti un limite oggettivo e inderogabile, in forza del quale dovevano restare «in ogni caso esclusi» dal trasferimento le passività e i debiti elencati nelle lettere a), b) e c).
La individuazione della legittimazione passiva in capo alla convenuta Intesa Sanpaolo spa, o, meglio, della riferibilità ad essa della titolarità sostanziale della posizione giuridica cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio, non discende, quindi, dalla necessaria e immediata applicazione delle norme di legge su cui cadono i dubbi di legittimità costituzionale, quanto dall’ambito oggettivo del programma obbligatorio regolato dalle parti del contratto di cessione.
Nella specie, il contratto di cessione perfezionato in data 26 giugno 2017 fra le due Banche venete in liquidazione e Intesa Sanpaolo spa, prodotto nel giudizio a quo, richiamava in premessa la manifestazione di interesse di quest’ultima di cui alla lettera del 21 giugno 2017, limitata all’acquisto «di certe attività, passività e rapporti giuridici facenti capo a BP Vicenza e Veneto Banca» e condizionata alla sussistenza e alla permanenza di «alcuni presupposti essenziali», in ragione dell’aspettativa della banca cessionaria di non caricarsi di passività non gradite, secondo la logica di convenienza economica che è propria del contratto.
Le disposizioni dettate dal d.l. n. 99 del 2017, come convertito, possono, pertanto, essere qualificate come «norme-provvedimento»: esse si occupano di un singolo contratto, in quanto incidono sulla sola convenzione di cessione tra i commissari liquidatori delle due Banche venete in LCA e il soggetto individuato ai sensi dell’art. 3, comma 3, disciplinano un numero limitato di fattispecie e rivelano un contenuto concreto, ispirato da particolari esigenze, ponendo per tale singolo evento regole specifiche innovative nel sistema legislativo vigente.
L’ordinanza di rimessione, tuttavia, non solo non dà conto di tale concatenazione di atti, ma, per l’effetto, omette del tutto di motivare sul nesso di condizionamento e sulle implicazioni che, dall’accoglimento delle questioni sollevate, deriverebbero sul rapporto contrattuale, che costituisce l’effettiva fonte regolatoria presupposta del rapporto dedotto nel giudizio principale.
Per il fatto, pertanto, di non confrontarsi con l’intreccio intercorrente fra le norme censurate e il contratto di cessione, nulla argomentando sulla possibile ricaduta, che, in ipotesi, dovrebbe avere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata sull’atto negoziale, il rimettente offre una «prospettazione non adeguata delle conseguenze applicative derivanti da un eventuale accoglimento della questione sollevata» (ordinanza n. 280 del 2020), che si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza tale da inficiare, anche da questa ulteriore prospettiva, l’ammissibilità delle questioni.
8.– Tutte le questioni devono, dunque, essere dichiarate inammissibili per le ragioni esposte.
Ciò assorbe le ulteriori eccezioni di inammissibilità avanzate nelle difese delle parti costituite in giudizio e nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.