Corte di Cassazione, VI – 3 sezione civile, Ordinanza del 21/10/2022, n. 31106.
COMMENTO
La pronuncia si innesta nel solco interpretativo concernente i casi di responsabilità della p.a. per la gestione delle reti stradali, fattispecie di notevole rilevanza economica e sociale, ormai pacificamente ricondotta dalla giurisprudenza nell’alveo applicativo della responsabilità da cosa in custodia ex art. 2051 c.c.
L’Ordinanza, tra l’altro, tesaurizza gli insegnamenti della recente pronuncia delle SS. UU. (Ord. n. 20943 del 30/06/2022). Viene infatti ribadito il carattere oggettivo del criterio d’imputazione della responsabilità del custode che prescinde da qualunque connotato colposo, poggiando sulla prova di elementi di natura eminentemente oggettiva, ossia: il rapporto di custodia tra la res e il proprietario/custode (ovvero una relazione di fatto tale da ingenerare una signoria sulla res idonea ad eliminare situazioni di pericolo) e la prova del rapporto causale tra la cosa e l’evento lesivo; senza che abbia alcuna rilevanza il gradiente di diligenza tenuto dal custode, afferendo tale ultimo elemento alla sfera della colpa.
Un’ipotesi di responsabilità oggettiva che, tuttavia, mitigando il rigore della teoria dell’equivalenza causale (o della condicio sine qua non) con gli apporti della teoria della causalità adeguata (o della regolarità causale), presuppone il raggiungimento della prova liberatoria consistente nell’accertamento del caso fortuito quale agente eziologico del danno. Caso fortuito nel cui ambito possono essere compresi tanto il fatto naturale quanto quello del terzo o quello dello stesso danneggiato (come nel caso di specie).
In applicazione di tali principi la Corte rigettava il ricorso proposto dal danneggiato con cui quest’ultimo richiedeva il riconoscimento della responsabilità dell’Ente proprietario della strada per i danni riportati in conseguenza di un sinistro determinato dalla presenza di uno strato di brecciame sul manto stradale e di un oggetto disperso da terzi sulla carreggiata. La Corte, infatti, sulla scorta di plurimi elementi di prova, rilevava che i danni erano discesi in via esclusiva dal caso fortuito costituito dalla disattenta e imprudente guida tenuta dal danneggiato stesso.
PRINCIPIO DI DIRITTO
“la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
“Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il giudice del merito omesso di tener conto dell’andamento curvilineo della strada percorsa dall’attore al momento del sinistro e della conseguente impossibilità per il danneggiato di prevedere la situazione di pericolo e di evitarla, con la conseguente erroneità della valutazione dei giudici di merito nella parte in cui hanno attribuzione la causazione del fatto alla esclusiva responsabilità dell’odierno ricorrente;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come – ferme le ragioni di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, avuto riguardo all’avvenuto rigetto dell’appello, da parte della corte territoriale, sulla base delle medesime ragioni in fatto contenute nella sentenza del primo giudice (con la conseguente improponibilità del ricorso per cassazione in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) troverebbe applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit. (avendo il giudice d’appello espressamente dato conto di aver esaminato e sottoposto a valutazione il valore delle circostanze in questa sede dedotte dal ricorrente: cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice di merito erroneamente applicato l’art. 2051 c.c., identificando la nozione di caso fortuito richiamata da tale norma con la condotta colposa del danneggiato, senza tener conto della necessità di accertare l’eventuale oggettiva prevedibilità di tale condotta e la relativa prevenibilità da parte del custode;
il motivo è manifestamente infondato;
osserva preliminarmente il Collegio come la formulazione dell’art. 2051 c.c. (“ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) evidenzi chiaramente che:
– la responsabilità ex art. 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa (Sez. 3, Sentenza n. 15761 del 29/07/2016, Rv. 641162 – 01);
– ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato “cagionato” dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è – come detto – del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall’art. 2051 c.c. (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 4476 del 24/02/2011, Rv. 616827 – 01);
– ne consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa e il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato;
– si tratta, dunque, di un’ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, v. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017, Rv. 644285 01) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno;
– resta dunque fermo che, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell’affermazione della sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.;
quanto ai criteri di accertamento del nesso causale, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità (cfr., per tutte, Sez. U., Sentenza n. 576 del 11/01/2008, Rv. 600899 – 01) secondo cui:
– ai fini dell’apprezzamento della causalità materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, va fatta applicazione dei principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 c.p., sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della conditio sine qua non);
– tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente – desumibile dal capoverso della medesima disposizione – in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta ove questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto;
– al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano idonee a determinare l’evento secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale, che individua come conseguenza normale imputabile quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante (ancorché riscontrata con una prognosi postuma) – integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento iniziale (sia esso una condotta umana oppure no), che ne costituisce l’antecedente necessario;
ne deriva che tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente, ovvero tutto ciò che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi ad essa ed elidendone l’efficacia condizionante;
ovviamente, anche l’imprevedibilità che vale a connotare il fortuito dev’essere oggettiva – dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata – senza che possa riconoscersi alcuna rilevanza dell’assenza o meno di colpa del custode (sull’insieme di tali principi, cfr. da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 2477 del 01/02/2018, Rv. 647933 – 01);
varrà, da ultimo, osservare, come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano di recente ulteriormente ribadito il principio ai sensi del quale la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode (Sez. U., Ordinanza n. 20943 del 30/06/2022, Rv. 665084 – 01);
poste tali premesse, osserva il Collegio come la corte territoriale sulla base di un discorso giustificativo adeguatamente argomentato sul piano logico-giuridico e pienamente idoneo a dar conto dell’iter del ragionamento così – abbia correttamente interpretato e applicato i principi di diritto sopra richiamati, impegnandosi a rilevare come gli elementi di prova complessivamente acquisiti al giudizio avessero evidenziato gli estremi di una condotta di guida del A.A. del tutto disattenta e imprudente, atteso che quest’ultimo, in ragione delle ottime condizioni di visibilità esistenti al momento del sinistro e della consolidata conoscenza dello stato dei luoghi, “aveva la concreta possibilità di percepire la presenza, sulla carreggiata, del materasso e del brecciame”, con la conseguente riconducibilità del fatto dannoso in esame “esclusivamente ad una guida disattenta e imprudente” del A.A., tale da assumere un’idoneità causale del tutto assorbente e suscettibile di interrompere ogni nesso con gli aspetti di pericolosità della cosa custodita dalla controparte, elidendone l’efficacia condizionante rispetto all’infortunio dedotto;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.”.