La sentenza della Corte di Cassazione si sofferma sull’interpretazione giudiziale della mancata tempestività di denuncia, in un caso di maltrattamenti in famiglia. Inoltre, la Corte analizza il percorso di affidabilità ed esaustività degli elementi ammessi (e non ammessi) dal Giudice al fine di ottenere un quadro probatorio valido per il raggiungimento della decisione.
Cass. pen., VI, ud. dep. 22.11.2022, n. 44427
Testo rilevante della decisione
- Il ricorso è manifestamente infondato.
- Il primo motivo di ricorso non si confronta con l’articolata motivazione resa dal giudice di appello, il quale non si è affatto limitato a ripercorrere gli aspetti salienti della testimonianza resa dalla persona offesa, bensì ha proceduto al controllo della sua attendibilità, rinvenendo plurimi elementi di conferma.
Invero, in presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, la mera circostanza che la persona offesa non abbia inteso tempestivamente denunciare le condotte maltrattanti non è un elemento idoneo, di per sé, a far sorgere il ragionevole dubbio circa la commissione del reato. Rientra, infatti, nell’ordinaria dinamica delle relazioni familiari segnate da condotte di maltrattamento il differimento nel tempo del momento in cui la vittima decide di reagire, atteggiamento che può essere motivato da molteplici ragioni – quali il tentativo di salvaguardare l’unita familiare ed i figli, ragioni economiche, speranze nel miglioramento della situazione – che, tuttavia, non incidono in alcun modo né sulla configurabilità del reato, né sulla valutazione di attendibilità della persona offesa.
- Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, con il quale ci si duole della mancata assunzione della testimonianza del figlio del ricorrente.
Il ricorrente sostiene che solo la deposizione del figlio avrebbe potuto confermare l’effettiva commissione delle condotte maltrattanti e, soprattutto, la sua presenza al loro compimento, circostanza essenziale al fine della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 11-quinquies c.p.
La Corte di appello ha escluso la necessità dell’escussione del teste, all’epoca minore, ritenendo che il quadro probatorio fosse di per sé esaustivo, stante la deposizione resa dalla persona offesa e le conferme, sia pur de relato, rese dai testi cui la vittima aveva riferito della presenza del figlio in occasione delle condotte di maltrattamento.
In tale contesto probatorio, la deposizione del teste C.C. non avrebbe determinato un apporto conoscitivo su fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli per i quali i giudici di merito hanno già ritenuto superato ogni ragionevole dubbio.
Quanto detto consente di escludere la decisività della testimonianza non ammessa, non potendosi neppure valorizzare l’apporto che tale prova avrebbe potuto dare nell’ottica di una diversa valutazione di attendibilità delle restanti testimonianze già acquisite.