Corte di Cassazione, II Sezione Civile, sentenza 11 novembre 2022, n. 33367
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente Verdi Gianfranco, in ragione dell’asserita prospettazione di questioni nuove che non avrebbero formato oggetto di gravame. Per contro, dall’analisi comparativa tra le argomentazioni della decisione d’appello e i mezzi di ricorso avanzati si ricava che l’impugnazione in sede di legittimità è stata incentrata su aspetti puntualmente affrontati dalla pronuncia d’appello e comunque attinenti al tema giuridico della simulazione relativa soggettiva per interposizione fittizia di persona.
2.- Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in considerazione del vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la pronuncia d’appello, per avere la Corte territoriale dichiarato il trasferimento di proprietà in favore dell’interponente Verdi Gianfranco, sulla scorta della domanda di simulazione per interposizione fittizia avanzata dall’attrice – quale terzo rispetto al contratto – e senza che lo stesso Verdi – nell’invocare, con la propria domanda riconvenzionale, l’accertamento della proprietà del bene – avesse spiegato specifica e correlata domanda sul punto relativo alla simulazione. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto, nell’accertare la proprietà dell’immobile in capo all’interponente, la Corte d’appello avrebbe valorizzato la domanda di simulazione avanzata dal terzo, senza che una corrispondente domanda di simulazione fosse stata mai prospettata da detto interponente.
2.1. Il motivo è infondato.
Infatti, la società ricorrente ipotizza che, per effetto dell’accertamento della simulazione relativa soggettiva, il Giudice abbia di seguito disposto, con pronuncia costitutiva, il trasferimento della proprietà dall’interposto all’interponente. Mentre, in realtà, la mera dichiarazione (e non già la pronuncia costitutiva) della titolarità della proprietà del bene in favore dell’interponente costituisce una naturale e diretta conseguenza della dichiarazione della simulazione dell’atto di alienazione stipulato il 24 maggio 1999 per interposizione fittizia della persona dell’acquirente.
Sicché, precisa la Corte, l’esito dell’accoglimento della domanda proposta dal terzo creditore di tale interponente – terzo che aveva un interesse specifico a far valere la reale appartenenza del bene al suo debitore, ai fini di poterne aggredire il patrimonio e soddisfare così il suo credito – non poteva che sfociare nella verifica dell’effettivo soggetto nella cui sfera patrimoniale e giuridica si era prodotto l’effetto traslativo. Non era, per converso, necessaria una specifica domanda di rivendicazione a cura dell’interponente verso l’interposto, in aggiunta ad una separata (e integrativa) domanda di simulazione, come sembra ipotizzare l’istante, quasi che l’interponente fosse l’unico legittimato a far valere l’effetto traslativo reale sotteso al procedimento simulatorio.
Contrariamente alla ricostruzione insita nella censura di specie, l’accoglimento della domanda di simulazione per interposizione fittizia di persona, proposta dal terzo interessato, non implica la mera inopponibilità e inefficacia (relativa) dell’atto simulato verso il terzo istante, alla stregua di un’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., ma si estende alla verifica dell’effettiva produzione dell’effetto traslativo in favore dell’interponente (anziché verso l’interposto), per effetto del concluso accordo simulatorio.
D’altronde, osserva la Corte, a fronte della posizione assunta dal terzo, quale creditore dell’interponente (effettivo acquirente), la mera inopponibilità della vendita simulata non sarebbe stata comunque satisfattiva – e, quindi, idonea a tutelare le sue ragioni -, posto che tale evenienza avrebbe implicato la teorica aggredibilità del bene nel patrimonio dell’alienante, che nondimeno non era debitore del terzo agente. Invece, l’interesse specifico dedotto, che ha giustificato la proposizione della domanda del terzo, consisteva appunto nell’accertamento del fatto che, sulla scorta del procedimento di simulazione per interposizione fittizia di persona, la direzione reale dell’effetto traslativo non corrispondeva a quella apparente (atteso che nella simulazione si riscontra una divergenza consapevole tra due manifestazioni entrambe volute, quella apparente e quella dissimulata, per fini diversi, che si coordinano reciprocamente).
Sicché l’utilità della domanda era pacificamente rivolta, quale indefettibile precipitato della dichiarazione della simulazione relativa soggettiva, all’accertamento dell’effettivo destinatario degli effetti traslativi dell’atto di vendita.
Tale effetto dichiarativo non era rimesso ad una puntuale pretesa rivendicativa o di esecuzione specifica – accessoria alla verifica della simulazione – a cura dell’interponente. Ha, infatti, carattere dichiarativo – ed è, quindi, imprescrittibile – l’azione di simulazione relativa, per interposizione fittizia di persona, in quanto essa non mira a far riconoscere l’esistenza degli elementi costitutivi di un negozio diverso da quello voluto, bensì a quell’identificazione del vero contraente celato dall’interposto, che è in rapporto di derivazione immediata dall’accertamento della simulazione. Pertanto, ha natura dichiarativa l’azione del terzo, creditore del dissimulato compratore, tendente a far accertare, nei confronti delle parti di una compravendita con interposizione fittizia di persona, che, per effetto della simulazione relativa del contratto, l’immobile compravenduto è “passato in proprietà” al debitore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 587 del 25/01/1988; Sez. 2, Sentenza n. 2509 del 20/05/1978).
2.2. Ancora, prosegue la Corte, diversamente da quanto accade nel caso di interposizione reale (istituto collocabile nella categoria dei negozi indiretti), nell’ipotesi di interposizione fittizia la verifica della simulazione implica un mero accertamento dell’effettivo trasferimento del bene in favore dell’interponente e non già una pronuncia costituiva che disponga il trasferimento, in attuazione di uno specifico obbligo assunto tra interposto e interponente.
In proposito, l’azione di simulazione del contratto per interposizione fittizia di persona e quella diretta all’accertamento dell’interposizione reale sono fondate su situazioni di fatto del tutto distinte, hanno finalità e presupposti diversi, petitum e causa petendi difformi, tema di indagine e di decisione distinti: nella prima si ha una simulazione soggettiva e l’interposto (nella specie, in una compravendita di bene immobile) figura soltanto come acquirente, mentre gli effetti del negozio (trasferimento della proprietà) si producono a favore dell’interponente; nella seconda, invece, non esiste simulazione, in quanto l’interposto, d’accordo con l’interponente, contratta con il terzo in nome proprio ed acquista effettivamente i diritti nascenti dal contratto, salvo l’obbligo, derivante dai rapporti interni, di ritrasferire i diritti, in tal modo acquistati, all’interponente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8682 del 10/04/2013; Sez. 3, Sentenza n. 5457 del 14/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 4911 del 15/05/1998; Sez. 2, Sentenza n. 8616 del 21/10/1994).
2.3. In definitiva, una volta accertata la simulazione della vendita immobiliare per interposizione fittizia della persona dell’acquirente, gli effetti del negozio (trasferimento della proprietà) si producono a favore dell’interponente, conseguenza, quest’ultima, che scaturisce in via automatica e immediata dalla dichiarazione di simulazione relativa soggettiva ex art. 1414, secondo comma, c.c. e non esige un’apposita domanda di rivendica a cura dell’interponente ovvero una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferimento.
- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 36 c.p.c., in relazione agli artt. 106 e 269 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto erroneamente che la domanda trasversale proposta dal convenuto Verdi Gianfranco, nei confronti dell’altra convenuta Verdi Immobiliare S.r.l., fosse rituale ed ammissibile.
Secondo l’istante, la domanda riconvenzionale del convenuto interponente, volta ad ottenere il riconoscimento della proprietà in suo favore, proposta verso l’ulteriore convenuta interposta, avrebbe presupposto la specifica evocazione in causa della parte contro cui detta domanda era diretta, attraverso la notifica di un atto di chiamata di terzo, benché il suo destinatario fosse già parte del giudizio. E ciò perché tali convenuti avrebbero assunto una posizione processuale di contrasto reciproco e non di comune interesse contro il creditore terzo.
3.1. La doglianza è priva di pregio. Anzitutto, l’accertamento della proprietà in testa all’interponente è avvenuto all’esito dell’accoglimento della domanda di simulazione relativa soggettiva promossa dal terzo creditore dell’acquirente reale e non già in forza della domanda riconvenzionale meramente adesiva proposta dall’interponente. Il che rende del tutto irrilevante il tema processuale inerente all’ammissibilità della domanda trasversale proposta da un convenuto verso altro convenuto, poiché non incidente sull’esito della lite.
3.2. In ogni caso, precisa la Corte, il convenuto che intenda formulare una domanda nei confronti di altro convenuto non ha l’onere di chiedere il differimento dell’udienza previsto dall’art. 269 c.p.c. per la chiamata in causa di terzo, ma è sufficiente che formuli la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite per la domanda riconvenzionale dall’art. 167, secondo comma, c.p.c. E ciò per l’evidente ragione che è fuor di luogo discorrere di chiamata in causa rispetto ad un soggetto che è già parte del giudizio e non è, invece, necessario che la riconvenzionale c.d. “trasversale” o “tra coevocati” sia fondata sui medesimi fatti posti dall’attore principale a fondamento della sua domanda (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 9441 del 23/03/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 21758 del 28/08/2019; Sez. 3, Sentenza n. 25415 del 26/10/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6846 del 16/03/2017).
Ora, nel momento in cui il convenuto interponente ha proposto la domanda riconvenzionale verso l’altra convenuta interposta, quest’ultima si era già costituita. La richiamata conclusione è corroborata, nella fattispecie, da un ulteriore rilievo: la domanda riconvenzionale si basava sullo stesso titolo già fatto valere dalla domanda principale dell’attrice (ossia sull’accertamento della proprietà in favore dell’acquirente reale – interponente, in forza della ricorrenza di una simulazione relativa soggettiva per interposizione fittizia della persona dell’acquirente). Sicché, anche alla stregua dell’orientamento minoritario citato dalla ricorrente, si perverrebbe comunque alla stessa conclusione della non necessità della notifica di un apposito atto di chiamata in causa (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 12662 del 12/05/2021; Sez. 3, Sentenza n. 8315 del 12/04/2011).
- Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1414, secondo comma, c.c., in relazione all’art. 2725 c.c., per avere la Corte territoriale dichiarato proprietario dell’immobile in controversia il convenuto Verdi Gianfranco, a prescindere dall’accertamento dell’esistenza della controdichiarazione, mai allegata in giudizio, e dal riscontro circa la partecipazione del terzo contraente, ossia del venditore Casciola Walter.
Al riguardo, la ricorrente deduce che la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non avrebbe potuto essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento, ai sensi dell’art. 2724, n. 3, c.c., con la prova per testimoni o per presunzioni di un accordo simulatorio cui avesse aderito il venditore e neppure, in assenza della controdichiarazione, tale prova avrebbe potuto essere data con il deferimento o il riferimento del giuramento, ai sensi dell’art. 2739, primo comma, c.c., e tantomeno mediante l’interrogatorio formale, non potendo supplire la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, alla mancanza dell’atto scritto.
- Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 1417 c.c., in relazione all’art. 2653 c.c., per avere la Corte del gravame erroneamente dichiarato il convenuto interponente quale proprietario dell’immobile, consentendo a quest’ultimo di beneficiare dello stesso regime probatorio “semplificato” riservato ai terzi e, segnatamente, nel caso di specie, all’attrice, allorché, invece, il contenuto probatorio relativo alla domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà, prospettata ai sensi dell’art. 2653 c.c., avrebbe dovuto osservare le condizioni prescritte per l’azione di rivendica.
Ad avviso dell’istante, la parte – diversamente dal terzo – non avrebbe potuto avvalersi delle testimonianze e delle presunzioni, se non in caso di perdita incolpevole del documento, ipotesi, quest’ultima, mai allegata.
- Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 229 c.p.c., in relazione agli artt. 2733, 2729 c.c. e 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente attribuito rilevanza dirimente alle dichiarazioni di ordine confessorio rese dal convenuto interponente Verdi Gianfranco, che avrebbero potuto essere oggetto solo di libera valutazione nei confronti degli altri litisconsorti e la cui utilizzabilità, conseguentemente, avrebbe dovuto essere preclusa, alla luce dell’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva, dettata dalla carenza della controdichiarazione e dall’assenza di riscontro in ordine alla partecipazione all’accordo simulatorio del terzo contraente venditore.
Sostiene l’istante che la Corte d’appello avrebbe esteso l’ambito applicativo della fattispecie della confessione giudiziale anche all’ipotesi di confessione spontanea ex art. 229 c.p.c., mentre, invece, le dichiarazioni di ordine confessorio rese dall’interponente nella comparsa di costituzione e risposta sottoscritta personalmente dallo stesso non avrebbero potuto avere alcun valore probatorio nella sfera processuale dell’interposta, quale terzo rispetto al confitente e, pertanto, non pregiudicabile.
6.1. Dette censure – che possono essere scrutinate congiuntamente, in quanto avvinte da evidenti ragioni di connessione giuridica e logica (vertendo tutte sul tema del regime probatorio della simulazione per interposizione fittizia di persona) – sono infondate.
6.2. In premessa, osserva la Corte, è pacifico che, quanto alla interposizione fittizia di persona, la simulazione ha come indispensabile presupposto la partecipazione all’accordo simulatorio non solo dell’interposto e dell’interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione all’intesa raggiunta tra i primi due soggetti, assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti dell’interponente, ragion per cui la prova dell’accordo simulatorio deve avere ad oggetto la partecipazione del terzo all’accordo stesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25578 del 12/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 7537 del 23/03/2017; Sez. 2, Sentenza n. 4738 del 10/03/2015).
6.3. Tanto premesso, il Giudice del gravame ha convalidato il percorso motivazionale della sentenza di prime cure, ritenendo appunto che fosse stata dimostrata dal terzo agente Mancini Fermina (quale creditore dell’acquirente reale) l’esistenza di un accordo simulatorio trilatero, raggiunto tra l’interponente acquirente, Verdi Gianfranco, l’alienante dell’immobile, Casciola Walter, in proprio e in qualità di legale rappresentante della Walmar di Casciola Walter & C. S.a.s., e l’interposta acquirente, società Verdi Immobiliare. Siffatta conclusione è stata argomentata sulla scorta delle prove testimoniali assunte e dei documenti acquisiti.
Ad avviso della Corte distrettale, da tale corredo probatorio sarebbe risultato che le trattative per l’acquisto dell’immobile erano state condotte dal Verdi. Inoltre, è stato precisato che il preliminare del 26 giugno 1998 era stato stipulato da Palazzo Leonardo, il quale aveva espressamente dichiarato di essere intervenuto per conto del Verdi “in via di favore e di amicizia”. Ancora, il Giudice d’appello ha evidenziato che dall’istruttoria espletata era altresì emerso che Verdi Gianfranco era presente al momento della redazione dell’atto definitivo davanti al notaio, che aveva versato l’intero prezzo al venditore, acquisendo la piena disponibilità dell’immobile, e che vi aveva apportato modifiche e migliorie, a proprie spese, mutandone anche la destinazione.
In ultimo, la Corte di merito ha valorizzato – in via rafforzativa – le dichiarazioni rese dal Verdi nella comparsa di risposta, in cui aveva affermato di essere il legittimo proprietario dell’immobile in questione, il che avrebbe costituito confessione spontanea, ai sensi dell’art. 229 c.p.c. Su tale supporto argomentativo è stata fondata la conferma dell’accoglimento della domanda proposta dal terzo creditore dell’interponente acquirente in ordine alla dichiarazione della simulazione per interposizione fittizia di persona, con il conseguente accertamento della proprietà del bene in favore dell’interponente, quale acquirente effettivo.
6.4.- Sennonché, trattandosi di simulazione relativa soggettiva fatta valere dal terzo creditore dell’acquirente reale, non era richiesta la dimostrazione attraverso controdichiarazione scritta, nonostante tale procedimento simulatorio si riferisse ad un contratto (recte una vendita immobiliare), per il quale è prescritto il requisito della forma scritta ad substantiam. Infatti, in tema di simulazione di un contratto formale, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa.
Nel primo caso, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, menzionati dall’art. 2725 c.c., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 c.c. Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta a fare valere l’illiceità del negozio (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10933 del 05/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 36283 del 23/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 10240 del 04/05/2007; Sez. 2, Sentenza n. 16021 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2906 del 27/02/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4704 del 21/07/1981).
Pertanto, conclude la Corte, nella fattispecie, il principio anzidetto è stato osservato, posto che ha trovato accoglimento la domanda di simulazione per interposizione fittizia di persona, avanzata dal terzo creditore dell’acquirente effettivo.
6.5. Ne discende che l’interposizione fittizia di persona, soggetta ai limiti probatori di cui all’art. 1417 c.c., rientrando pur sempre fra i casi di simulazione relativa, nel caso in esame non richiedeva la prova che l’accordo simulatorio risultasse necessariamente da atto scritto, poiché essa non è stata fatta valere nei rapporti tra le parti, mentre poteva essere dimostrata – così come in effetti è stato – mediante testimoni o presunzioni, in quanto fatta valere da terzi o da creditori (Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 13634 del 02/07/2015; Sez. 3, Sentenza n. 5550 del 12/12/1989).
La circostanza che l’acquirente effettivo interponente – costituitosi in giudizio, aderendo alla domanda del terzo, riconoscendo la simulazione relativa soggettiva e chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento della proprietà in suo favore – si sia giovato del regime probatorio “semplificato” previsto per il terzo, che ha dato impulso all’azione di simulazione (e degli effetti decisori che ne sono conseguiti), costituisce un mero accidente, dipendente dalla posizione processuale di non opposizione in concreto assunta dall’interponente. Resta, comunque, fermo che la domanda che ha trovato accoglimento è stata quella spiegata dal terzo, rispetto alla quale la pretesa di accertamento della proprietà avanzata dal convenuto interponente ha avuto una mera valenza adesivo-rafforzativa. È evidente che tale occasionale adesione alla domanda del terzo non poteva determinare il mutamento, in senso peggiorativo, del regime probatorio previsto a vantaggio del terzo medesimo, imponendo che il terzo desse la dimostrazione della simulazione per interposizione fittizia di persona attraverso la controdichiarazione.
6.6. Del resto, la confessione spontanea, resa da tale interponente nella comparsa di risposta da lui personalmente sottoscritta, non ha avuto un peso decisivo nel ragionamento probatorio articolato nella decisione impugnata. E in quest’ottica poteva essere utilizzata, al pari della prova per testimoni e per presunzioni, per corroborare il substrato dimostrativo dell’azione di simulazione proposta dal terzo.
- Con il sesto motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello, con motivazione manifestamente illogica, accolto la domanda di simulazione relativa proposta dal terzo creditore, benché una parte dell’evocata simulazione, ossia l’interponente, avesse esplicitato lo stesso interesse del terzo creditore, in contrasto con l’altra parte dell’accordo simulatorio, ossia l’interposta, senza che fosse allegata né tantomeno prodotta la controdichiarazione o la perdita incolpevole della stessa, né alcun riscontro sulla partecipazione all’accordo simulatorio del terzo contraente, ossia del venditore.
Precisa la ricorrente che la decisione impugnata non avrebbe tenuto conto che all’accordo simulatorio avrebbe dovuto partecipare anche l’alienante. Sicché la motivazione sarebbe stata meramente apparente, ben al di sotto del minimo costituzionale, considerato che la stessa si sarebbe basata sui documenti e le testimonianze, indicati come mero dato categoriale, senza alcuna specificazione, ad eccezione del riferimento a tale Palazzo, che avrebbe sottoscritto il preliminare, ma che non avrebbe avuto alcun rapporto con il definitivo, non essendone parte.
7.1. La critica è inammissibile.
Ed infatti, il nucleo del motivo si sostanzia in un vizio di motivazione per omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Senonché, ricadendosi nella fattispecie in un’ipotesi di decisione di merito c.d. “doppia conforme”, poiché le due statuizioni del giudizio di prime cure e del giudizio d’appello sono fondate sul medesimo iter logico argomentativo, in relazione ai fatti principali oggetto della causa, la doglianza, così come letta, non era esperibile, ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c. (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del ricorso. Le spese e i compensi del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.