Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 30 dicembre 2022 n. 38162
PRINCIPIO DI DIRITTO
Poiché la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci.
Nondimeno, anche il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983. Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – L’ordinamento italiano non consente il ricorso ad operazioni di maternità surrogata. L’accordo con il quale una donna si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, rinunciando preventivamente a “reclamare diritti” sul bambino che nascerà, non ha cittadinanza nel nostro ordinamento. Tale pratica è vietata in assoluto, sotto minaccia di sanzione penale, dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004. Il divieto è presidiato dalla reclusione e dalla multa per “chiunque, in qualsiasi forma”, la “realizza, organizza o pubblicizza”.
Le istanze di genitorialità, nondimeno, si rivelano difficilmente comprimibili. Il divieto di gestazione per altri non argina il progetto di diventare genitori. L’esistenza del divieto in Italia induce molti cittadini, quando supportati da una adeguata disponibilità economica, a ricorrere alla surrogazione di maternità all’estero, nei Paesi che hanno regolamentato e consentito questa tecnica di procreazione.
Il contesto internazionale è alquanto frastagliato sulla legittimità del ricorso alla gestazione per altri. Il panorama comparato offre indicazioni non omogenee sia sui limiti di liceità di questa pratica sia, dove essa è vietata, sulle scelte sanzionatorie, che possono andare dall’ampia criminalizzazione, alla limitazione della rilevanza penale alle forme di surrogazione di tipo commerciale, alla previsione di sole sanzioni amministrative.
La regolamentazione permissiva presente in alcuni Paesi stranieri favorisce, appunto, il turismo procreativo di cittadini italiani che si recano all’estero al fine di ottenere, nel rispetto della lex loci, ciò che in Italia è vietato. Coppie con problemi di sterilità femminile o coppie omosessuali che intendono accedere alla filiazione vanno all’estero per realizzare là dove è consentito il progetto procreativo proibito nel nostro Paese.
Ogni qualvolta la surrogazione di maternità è praticata all’estero, la questione dello status del nato da maternità surrogata fuoriesce dal perimetro dell’ordinamento interno e si traduce nel problema del riconoscimento in Italia della genitorialità acquisita al di fuori dei confini nazionali. Si pone il problema del riconoscimento dello status genitoriale ottenuto all’estero in virtù di norme più liberali di quelle italiane in materia di procreazione medicalmente assistita. Entra in campo il limite dell’ordine pubblico internazionale.
- – Rispondere al quesito se possa essere riconosciuto lo stato di figlio nei confronti del genitore intenzionale non genetico, è un problema complesso per una pluralità di ragioni.
Innanzitutto, perché alla configurazione della surrogazione di maternità come reato non si accompagna alcuna espressa disposizione normativa sullo status del minore comunque nato da detta pratica (in Italia o) all’estero. La legge non regola la sorte del nato malgrado il divieto.
Secondariamente, perché la surrogazione all’estero in conformità della legge ivi vigente da parte di cittadini italiani non può essere ricondotta all’illecito penale di cui al citato art. 12, comma 6. La norma incriminatrice non intercetta le condotte commesse fuori dal territorio dello Stato, essendo il fatto tipico di surrogazione di maternità contrassegnato da un forte radicamento al territorio nazionale.
In terzo luogo, perché vengono in rilievo e si confrontano diversi interessi. Da un lato, si pone l’esigenza di salvaguardare i principi ispiratori dell’ordinamento giuridico italiano in una materia di rilevante sensibilità sul piano etico, che mette in gioco il valore fondamentale della dignità umana, alla quale è preordinato il divieto di ricorso alla maternità surrogata posto da una legge della Repubblica. Nella gestazione per altri non ci sono soltanto i desideri di genitorialità, le aspirazioni e i progetti della coppia committente. Ci sono persone concrete. Ci sono donne usate come strumento per funzioni riproduttive, con i loro diritti inalienabili annullati o sospesi dentro procedure contrattuali. Ci sono bambini esposti a una pratica che determina incertezze sul loro status e, quindi, sulla loro identità nella società. L’esigenza di salvaguardare i valori ispiratori dell’ordinamento italiano si traduce in una finalità general-preventiva: scoraggiare i cittadini dal ricorso all’estero ad un metodo di procreazione che l’Italia vieta nel suo territorio, perché ritenuto lesivo di valori primari.
Dall’altro lato, si profila, una volta che il bambino è nato, l’esigenza di proteggere il diritto fondamentale del minore alla continuità del rapporto affettivo con entrambi i soggetti che hanno condiviso la decisione di farlo venire al mondo, senza che vi osti la modalità procreativa. Il bambino avrebbe certamente il diritto di essere allevato dalla madre che lo ha partorito; ma è constatazione diffusa che la donna che porta una gravidanza solo per adempiere un obbligo contrattuale assunto verso i committenti spesso non ha alcuna reale intenzione di svolgere la funzione materna. Potrebbe sempre cambiare idea, e proprio per disincentivare ciò è prassi comune che l’embrione sia formato con l’ovocita di un’altra donna. Ma se non ci ripensa, non è nell’interesse del nato far valere nei confronti della madre gestante il suddetto diritto per ottenerne una qualche esecuzione specifica. Questo spiega perché l’interesse del minore che vive e cresce in una determinata comunità di affetti con entrambi i committenti può essere quello del riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico di tale legame.
Allorché il progetto procreativo sia seguito dalla concretezza ed attualità dell’accudimento del minore e sia caratterizzato dall’esercizio in via di fatto della responsabilità genitoriale attraverso la cura costante del bambino, la mancata attribuzione di una veste giuridica a tale rapporto non si limiterebbe alla condizione del genitore d’intenzione, che ha scelto un metodo di procreazione che l’ordinamento italiano disapprova, ma finirebbe con il pregiudicare il bambino stesso, il cui diritto al rispetto della vita privata si troverebbe significativamente leso.
C’è una parte debole del rapporto che potrebbe risultare fortemente danneggiata pur senza alcuna responsabilità. Una discriminazione del bambino, fatta derivare dallo stigma verso la decisione dell’adulto di aver fatto ricorso a una tecnica procreativa vietata nel nostro ordinamento, si risolverebbe in una violazione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, ponendo a carico del nato conseguenze riconducibili unicamente alle scelte di chi ha concepito la sua nascita.
Il nato non è mai un disvalore e la sua dignità di persona non può essere strumentalizzata allo scopo di conseguire esigenze generalpreventive che lo trascendono. Il nato non ha colpa della violazione del divieto di surrogazione di maternità ed è bisognoso di tutela come e più di ogni altro. Non c’è spazio per piegare la tutela del bambino alla finalità dissuasiva di una pratica penalmente sanzionata. Il disvalore della pratica di procreazione seguita all’estero non può ripercuotersi sul destino del nato.
Occorre separare la fattispecie illecita (il ricorso alla maternità surrogata) dagli effetti che possono derivarne sul rapporto di filiazione e in particolare su chi ne sia stato in qualche modo vittima. Del resto, quando si ha a che fare con i diritti delle persone, l’interpretazione deve essere improntata ad un senso di umanità.
La Costituzione “non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti” (Corte cost., sentenza n. 494 del 2002) e non consente una capitis deminutio perpetua e irrimediabile dei diritti del bambino, come conseguenza oggettiva di comportamenti di terzi soggetti. Da tempo la Corte costituzionale reputa costituzionalmente necessario non condizionare negativamente, men che mai in termini automatici e presuntivi, la condizione giuridica del figlio in ragione del disvalore che la legge attribuisce alla condotta dei genitori, come in caso di incesto (sentenza n. 494 del 2002, cit.) o di alterazione o soppressione di stato (sentenza n. 102 del 2020).
- – La questione di massima di particolare importanza rimessa all’esame delle Sezioni Unite si colloca in quest’ambito: riguarda lo stato civile di un bambino nato in Canada attraverso la pratica della maternità surrogata, alla quale ha fatto ricorso una coppia di uomini, cittadini italiani, uniti in matrimonio in Canada, con atto poi trascritto in Italia nel registro delle unioni civili. Il bambino, frutto di un disegno genitoriale comune, ha già conseguito nel Paese di nascita lo stato giuridico di figlio di entrambi i suoi genitori.
Si controverte se sia possibile dare effetto nell’ordinamento italiano al provvedimento giurisdizionale straniero – della Supreme Court della British Columbia – che ha riconosciuto come genitore del bambino non solo il padre biologico, che ha fornito i propri gameti, ma anche l’altra persona, il genitore d’intenzione, che ha condiviso con il partner il percorso che ha portato al concepimento e alla nascita pur senza fornire il proprio apporto genetico.
È, quindi, in discussione il legame di filiazione con il componente della coppia omoaffettiva che non ha con il bambino un rapporto di sangue ma che, avendo condiviso con il padre biologico il disegno di genitorialità, risulta comunque genitore sulla base di un atto legittimamente formato da un’autorità giurisdizionale straniera.
L’interrogativo riguarda, pertanto, la possibilità di riconoscere o meno il provvedimento giudiziario straniero, nella parte in cui attribuisce lo status di genitore anche al componente della coppia che ha concorso nella scelta di ricorrere alla surrogazione di maternità, senza fornire i propri gameti, in un caso nel quale la gestante ha confermato, dopo il parto, la volontà di non voler divenire madre e di riconoscere altri come genitori del nato.
In altri termini, non è in discussione il rapporto di filiazione con il padre biologico. Difatti, nel caso di specie, l’originario atto di nascita canadese, che riportava un solo genitore – il padre che ha fornito i propri gameti ai fini della maternità surrogata –, è stato trascritto nei registri di stato civile italiani. È invece controversa la trascrizione della co-genitorialità del padre d’intenzione, che insieme al padre biologico ha voluto la nascita del bambino, ricorrendo alla surrogazione di maternità nel Paese estero in conformità della lex loci.
Si tratta di stabilire se il divieto di ricorrere alla gestazione per altri, previsto dalla legislazione italiana in materia di procreazione medicalmente assistita, precluda o meno la possibilità di estendere il riconoscimento della genitorialità anche al partner che, pur privo di un legame genetico con il minore, ha condiviso il percorso che ha condotto al concepimento e alla nascita nel territorio di uno Stato dove la maternità surrogata non è contraria alla legge, e che ha quindi portato il bambino in Italia, per poi qui prendersene quotidianamente cura.
La questione rimessa alle Sezioni Unite consiste nel precisare se sia o meno contrario all’ordine pubblico internazionale il provvedimento giurisdizionale straniero; se sia trasferibile nell’ordinamento interno la formalizzazione del legame con il genitore intenzionale sancita nel provvedimento straniero; ancora, se l’adozione in casi particolari costituisca o meno l’unico strumento compatibile con l’ordine pubblico e idoneo ad instaurare un legame giuridico tra il nato all’estero da gestazione per altri e il genitore intenzionale.
- – La questione di massima riguarda un tema che è già stato affrontato, di recente, dalle Sezioni Unite.
4.1. – Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 12193 del 2019, hanno giudicato contrario all’ordine pubblico internazionale il provvedimento che riconosce il rapporto filiale con il genitore intenzionale del bambino nato da maternità surrogata.
La Corte, nella sua composizione allargata, ha stabilito che, per inquadrare giuridicamente il rapporto affettivo e sociale sussistente tra il minore e il genitore intenzionale, considerato padre a pieno titolo sin dalla nascita del bambino nel Paese in cui le pratiche procreative sono state poste in essere, l’ordinamento italiano offre la possibilità del ricorso all’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983: una soluzione che non opera fin dalla nascita, ma solo dal momento in cui l’adozione è pronunciata.
Ciò implica, in concreto, che il padre genetico viene riconosciuto come tale, mentre l’altro componente della coppia può ricorrere all’adozione in casi particolari. Il rifiuto del riconoscimento per quest’ultimo è stato fondato sul rilievo che il divieto di surrogazione di maternità, sancito dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, integra un principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione.
Le Sezioni Unite hanno escluso che esista, nell’ordinamento italiano, un modello di genitorialità, diverso dall’adozione, alternativo a quello fondato sul legame biologico tra genitore e figlio. Hanno affermato che la tutela del concreto ed effettivo interesse del minore si realizza mediante la possibilità dell’adozione in casi particolari da parte del genitore d’intenzione. Attraverso l’adozione si salvaguarda la continuità della relazione affettiva ed educativa eventualmente instauratasi.
Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno quindi individuato le modalità attraverso le quali l’ordinamento italiano consente di soddisfare l’interesse confliggente che viene ad essere compresso per effetto del diniego di riconoscimento della situazione costituita all’estero in violazione di un divieto che deve ritenersi presentare carattere di ordine pubblico.
L’adozione in casi particolari rappresenta il mezzo attraverso il quale il rapporto di filiazione costituito all’estero tra il minore e il padre di intenzione potrebbe ricevere continuità nel nostro ordinamento.
4.2. – Sul diritto vivente formatosi a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite è intervenuta, in questo stesso giudizio, la Corte costituzionale, chiamata a verificare la costituzionalità delle norme che impediscono al partner del genitore biologico del minore concepito all’estero con metodiche di maternità surrogata di acquisirne la genitorialità legale sin dalla nascita.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 33 del 2021, ha ammesso che il ricorso alla adozione particolare può non essere completamente adeguato rispetto alla piena tutela degli interessi del minore; ha sottolineato che, comunque, l’interesse del bambino non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto ad ogni altro controinteresse in gioco, quale lo scopo legittimo perseguito dal legislatore di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità; ha sottolineato che è “indiscutibile” l’interesse del bambino al “riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico” del legame con il genitore intenzionale “a tutti i fini che rilevano per la vita del bambino stesso”, escludendo che tale interesse possa ritenersi soddisfatto dal riconoscimento del rapporto di filiazione con il solo genitore biologico.
Il Giudice delle leggi ha ritenuto che il possibile ricorso all’adozione in casi particolari “costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali”. La Corte costituzionale ha elencato le insufficienze che la disciplina dell’adozione in casi particolari presenta nella tutela dei diritti fondamentali del bambino. “L’adozione in casi particolari non attribuisce la genitorialità all’adottante. Inoltre, pur a fronte della novella dell’art. 74 cod. civ., (…) è ancora controverso (…) se anche l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri figli propri. Essa richiede inoltre, per il suo perfezionamento, il necessario assenso del genitore biologico (…), che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino finisce per essere così definitivamente privato del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall’inizio condiviso il progetto genitoriale, e si è di fatto preso cura di lui sin dal momento della nascita”.
Nello stesso tempo, la Corte costituzionale ha riconosciuto che spetta, “in prima battuta”, al legislatore “il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata”, “nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori”. Al legislatore “deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco”. “Di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica”, la Corte costituzionale – si legge nella sentenza n. 33 del 2021 – “non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore”.
- – L’ordinanza di rimessione della questione di massima pone un problema di effettività della tutela. La Prima Sezione ha riscontrato un deficit di tutela a seguito della pronuncia della Corte costituzionale che, avendo rilevato l’inadeguatezza dello strumento dell’adozione in casi particolari, ha sollecitato il legislatore ad intervenire. In mancanza di un intervento del Parlamento, il Collegio rimettente si è rivolto a questa composizione allargata della Corte di cassazione per sollecitare una rimeditazione della soluzione elaborata dalle Sezioni Unite con la sentenza del 2019.
Secondo l’ordinanza di rimessione, si sarebbe aperto, dopo la sentenza della Corte costituzionale, un vuoto normativo. Non sarebbe più in linea con la pronuncia del Giudice costituzionale la lettura della clausola di ordine pubblico come precostituita da una valutazione generale e aprioristica del legislatore tale da comportare, con la prevalenza della finalità antielusiva sull’interesse del minore, il diniego del riconoscimento dello status filiationis.
Il Collegio della Prima Sezione propone una nuova interpretazione del sistema normativo, che consenta una tutela adeguata dei diritti del minore e, nel contempo, salvaguardi i valori sottesi al divieto penale di surrogazione di maternità. L’ordinanza interlocutoria auspica una riconsiderazione del limite dell’ordine pubblico delineato dalle Sezioni Unite: una rimeditazione dell’approdo a cui questa Corte è pervenuta al fine di garantire nei giudizi di delibazione, nel contesto di dialogo tra le Corti, una valutazione del singolo caso intesa a non incidere sui diritti inviolabili del minore.
Nell’ordinanza di rimessione si sostiene che con la delibazione del provvedimento giurisdizionale canadese si recepisce nel nostro ordinamento non l’accordo di maternità surrogata e tanto meno la legittimità di una pratica procreativa assistita dal divieto penale. Ad essere riconosciuto efficace sarebbe, piuttosto, l’atto di assunzione di responsabilità genitoriale da parte del soggetto che ha deciso di essere coinvolto, prestando il suo consenso, nella decisione del partner di ricorrere alla tecnica di procreazione medicalmente assistita in questione.
Ad avviso del Collegio remittente, non è in discussione un preteso diritto alla genitorialità, ma l’interesse del minore a che sia affermata la titolarità giuridica di quel fascio di doveri che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio della responsabilità genitoriale. Si tratterebbe di dare efficacia in Italia a un riconoscimento del rapporto di filiazione che è già avvenuto nell’ordinamento in cui il minore è nato per dare continuità al suo status e ai suoi diritti nei confronti dei soggetti responsabili della sua nascita, evitando così i gravi pregiudizi che deriverebbero dalla rimodulazione della sua identità e dalla eliminazione di una figura genitoriale.
Il bilanciamento tra i diritti del bambino e la tutela della dignità della donna, secondo l’interpretazione proposta dalla Prima Sezione, non andrebbe fatto in astratto, ma dovrebbe tener conto del singolo caso in esame, secondo criteri di inerenza, proporzionalità e ragionevolezza, considerando anche la multiforme realtà della surrogazione.
In quest’ambito, anche la natura dell’accordo di surrogazione dovrebbe essere soggetta a specifica verifica, dovendosi accertare se la gestazione per altri sia frutto di scelta libera e consapevole e non di necessità economiche, se l’accordo sia stato realizzato nel rispetto delle prescrizioni legali del Paese estero, se ci sia un legame genetico con uno dei genitori.
In particolare, l’ordinanza sottolinea che la donna che accetta di portare a termine una gravidanza anche nella prospettiva di non diventare la madre del bambino che partorirà sarebbe in una condizione che può essere considerata non lesiva della sua dignità quando alla base vi sia una scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino.
Secondo l’ordinanza interlocutoria, per un verso la centralità nel riconoscimento dello status filiationis del diritto all’identità del minore e al godimento pieno della vita familiare, desumibile dalla sentenza “monitoria” n. 33 del 2021 della Corte costituzionale, porrebbe questi diritti in posizione di preminenza rispetto al disvalore per la gestazione per altri e consentirebbe, a determinate condizioni, di superare il carattere invalicabile di limite di ordine pubblico così come disegnato nel 2019 dalle Sezioni Unite, valutando caso per caso anche la tipologia di accordo gestazionale.
Per l’altro verso, l’ordinanza interlocutoria ritiene che l’attentato all’istituto dell’adozione sia scongiurato quando manca la prova di una mercificazione. Si richiama, al riguardo, la sentenza delle Sezioni Unite n. 9006 del 2021, che ha ritenuto compatibile con l’ordine pubblico internazionale la domanda di trascrizione di un atto di nascita proveniente da una sentenza estera di adozione ancorché fondata sul consenso dei genitori biologici.
L’ordinanza di rimessione affida alle Sezioni Unite la ricerca di un nuovo punto di equilibrio fra la ribadita contrarietà all’ordine pubblico internazionale del recepimento nel nostro ordinamento degli accordi di maternità surrogata e la tutela dei diritti fondamentali del minore affermati dalle Corti europee, in armonia con la giurisprudenza della Corte costituzionale.
- – Queste Sezioni Unite ritengono che la sentenza della Corte costituzionale non abbia determinato alcun vuoto normativo.
La Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale delle norme che non consentono, rispetto al genitore non biologico, la trascrizione dell’atto di nascita del bambino nato all’estero a seguito di un contratto di maternità surrogata, ha invitato il legislatore – per garantire il riconoscimento giuridico del legame di filiazione con il bambino – a disciplinare un procedimento di adozione idoneo a realizzare il superiore interesse del minore e ad instaurare quel legame di filiazione anche con il genitore non biologico all’interno di una coppia omoaffettiva.
La Corte costituzionale ha riscontrato una situazione di insufficiente tutela del preminente interesse del minore e ha invitato il legislatore a disciplinare l’adozione del bambino nato da maternità surrogata in modo più aderente alle peculiarità della situazione.
Nello specifico, la sentenza n. 33 del 2021 ha reputato non del tutto adeguata ai principi costituzionali e sovranazionali l’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983, in quanto questa non determina un rapporto di filiazione pieno, dato che non crea legami del bambino con i parenti dell’adottante, e ha il limite di richiedere, come condizione insuperabile, l’assenso del genitore biologico, che potrebbe mancare in caso di crisi della coppia.
La citata sentenza n. 33 del 2021 è una decisione di inammissibilità, non di illegittimità costituzionale. È accompagnata da un forte invito al legislatore a trovare soluzioni migliori di quelle oggi esistenti per la tutela dell’interesse del bambino.
Il Collegio concorda con l’osservazione del Pubblico Ministero secondo cui “dal testo della sentenza n. 33 del 2021 non emergono i caratteri propri delle sentenze di illegittimità accertata e non dichiarata: la Corte non ha disposto alcun rinvio ad altra udienza, né ha indicato un termine al legislatore per intervenire; e non ha affermato l’incostituzionalità, esprimendo invece l’invito al legislatore ad ‘adeguare’ la specifica normativa vigente in materia di adozione in casi particolari (…) al fine di assicurare una migliore garanzia dell’interesse del minore”.
È una pronuncia di inammissibilità-monito, in quanto la Corte, pur avendo rilevato aspetti di criticità, ha ritenuto di non poter intervenire direttamente in una materia che richiede necessariamente una valutazione discrezionale del legislatore. Il possibile ricorso all’adozione in casi particolari “costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali”. La Corte costituzionale evidenzia l’“insufficiente tutela degli interessi del minore”, ma rimette al circuito degli organi attraverso i quali si esprime la sovranità popolare il “difficile bilanciamento” tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori.
La Corte ha dato così al legislatore la prima parola, esortandolo a individuare lo strumento maggiormente idoneo per salvaguardare tutti gli interessi in gioco, orientando la propria scelta verso forme possibilmente più celeri ed effettive. Si tratta di materia di particolare rilevanza etico-sociale: è dunque il legislatore rappresentativo a doversi porre quale interprete della coscienza sociale, ad avere le antenne per intercettarla e tradurla in atti normativi. È il legislatore in prima battuta a dover effettuare il bilanciamento dei valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati nel momento dato nella coscienza sociale.
Il procedimento adottivo prefigurato dalla sentenza n. 33 del 2021 deve essere caratterizzato da una maggiore speditezza, dalla parificazione degli effetti a quelli dell’adozione legittimante e dall’abbandono dell’assenso condizionante del genitore biologico dell’adottando. La Corte chiama in causa il legislatore perché la decisione sulla direzione di marcia, in un terreno denso di implicazioni etiche, antropologiche, sociali, prima ancora che giuridiche, non può essere devoluta alla giurisprudenza. Per le riforme, occorre la discussione in sede politica, affidando al confronto democratico, e per esso all’intera comunità, scelte di così rilevante significato.
- – Il legislatore è rimasto finora inerte. Il monito giace inascoltato. Nell’attesa dell’intervento, sempre possibile ed auspicabile, del legislatore, il giudice, trovandosi a dover decidere una questione relativa allo status del figlio di una coppia omoaffettiva, non può lasciare i diritti del bambino indefinitamente sospesi, ma deve ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare, nel caso concreto, la protezione dei beni costituzionali implicati, tenendo conto delle indicazioni ricavabili dalla citata sentenza della Corte costituzionale.
Anche quando non si trova al cospetto di un enunciato normativo concepito come regola a fattispecie, ma è investito del compito di concretizzare la portata di una clausola generale come l’ordine pubblico internazionale, che rappresenta il canale attraverso cui l’ordinamento si confronta con la pluralità degli ordinamenti salvaguardando la propria coerenza interna, o di un principio, come il migliore interesse del minore, in cui si esprime un valore fondativo dell’ordinamento, il giudice non detta né introduce una nuova previsione normativa. La valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l’assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore. La giurisprudenza non è fonte del diritto.
Soprattutto in presenza di questioni, come quella oggetto del presente giudizio, controverse ed eticamente sensibili, che finiscono con l’investire il significato della genitorialità, al giudice è richiesto un atteggiamento di attenzione particolare nei confronti della complessità dell’esperienza e della connessione tra questa e il sistema. Si tratta di temi, infatti, in rapporto ai quali lo stesso diritto di famiglia, nel mentre riflette, come uno specchio, lo stato dell’evoluzione delle relazioni familiari nel contesto sociale, tuttavia non può prescindere dal sistema, affidato anche alle cure del legislatore.
Ciò vale soprattutto in una vicenda, come l’attuale, nella quale si profila un ambito di discrezionalità del legislatore che la Corte costituzionale ha inteso preservare, indicando un percorso di collaborazione istituzionale nel quadro di un bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori. Una pluralità di ragioni giustifica l’indicato approccio metodologico. Il rispetto del pluralismo e dell’equilibrio tra i poteri, profilo centrale della democrazia, perché la ricerca dell’effettività deve seguire precise strade compatibili con il principio di leale collaborazione e con il dialogo istituzionale che la Corte costituzionale ha avviato con il legislatore.
La presa d’atto che talora la ricerca dell’effettività richiede un camminare in direzione di una meta non ancora completamente a portata di mano, perché la gradualità concorre a far assorbire il cambiamento e le novità nel sistema, con la giurisprudenza che accompagna ed asseconda l’evoluzione che si realizza nel costume e nella coscienza sociale. La coerenza degli orientamenti giurisprudenziali, giacché le nuove frontiere dell’interpretazione che aspirino a offrire stabilità e certezza non conseguono a bruschi cambiamenti di rotta, ma sono il frutto di un progredire nel dialogo con i precedenti, con le altre Corti e con la cultura giuridica.
Non c’è spazio, in altri termini, né per una penetrazione diretta – attraverso la ricerca di un bilanciamento diverso da quello già operato dal Giudice delle leggi – di quell’ambito di discrezionalità legislativa che la Corte costituzionale ha inteso far salvo, né per una messa in discussione del punto di equilibrio da essa indicato.
- – La Corte costituzionale, rivolgendosi in prima battuta al legislatore, ha riconosciuto il ruolo primario del legislatore e della sua discrezionalità a fronte del ventaglio delle opzioni possibili. Ciò nondimeno, al giudice compete pur sempre di valutare la situazione rimasta in attesa di una migliore disciplina per via legislativa. La giurisprudenza, nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, dà vita al testo normativo e dà contenuto alle clausole generali, elaborando la regola del caso concreto e poi reiterando la regola del caso nelle successive decisioni.
La riserva espressa della competenza del legislatore si riferisce, evidentemente, al piano della normazione primaria, al livello cioè delle fonti del diritto: come tale, essa non estromette il giudice comune, nel ruolo – costituzionalmente diverso da quello affidato al legislatore – di organo chiamato, non a produrre un quid novi sulla base di una libera scelta o a stabilire una disciplina di carattere generale, ma a individuare e dedurre la regola del caso singolo bisognoso di definizione dai testi normativi e dal sistema, nel quadro dell’equilibrio dei valori già indicato con chiarezza dalla Corte costituzionale.
- – In materia di maternità surrogata, la sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 2021, accertando le insufficienze dell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983, non ha determinato il superamento del diritto vivente rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2019.
La Corte costituzionale ha affermato che gli orientamenti espressi dalla Corte EDU e i principi costituzionali non ostano alla soluzione della non trascrivibilità del provvedimento giurisdizionale straniero e ha ribadito che la maternità surrogata è lesiva della dignità della donna.
La pronuncia del Giudice delle leggi ha inciso nella parte relativa alla tutela dei diritti del minore, ritenendo l’adozione in casi particolari strumento non del tutto adeguato. La Corte costituzionale ha evidenziato l’insufficienza della tutela del nato realizzata per il tramite dell’adozione in casi particolari, ma non ha avallato la tesi di un accertamento ab initio di una genitorialità puramente intenzionale in tutti o in taluni casi di nascita da una madre surrogata. Se avesse considerato praticabile questa soluzione al fine di garantire l’interesse alla stabilità affettiva del nato da maternità surrogata, la Corte costituzionale si sarebbe espressa diversamente, accogliendo le questioni di legittimità prospettate o pronunciando una sentenza di rigetto interpretativa.
- – Preme evidenziare che, se il legislatore non ha finora raccolto l’invito ad adeguare l’adozione in casi particolari al metro dei principi costituzionali e sovranazionali, è tuttavia sopraggiunta una pronuncia della Corte costituzionale che ha eliminato una delle criticità sottolineate dallo stesso Giudice delle leggi.
Con la sentenza n. 79 del 2022, depositata il 28 marzo 2022, quindi successivamente all’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, la Corte costituzionale ha rimosso l’impedimento alla costituzione di rapporti civili con i parenti dell’adottante (art. 55 della legge n. 184 del 1983, in relazione all’art. 300, secondo comma, cod. civ.), intervenendo su uno snodo centrale della disciplina dell’adozione in casi particolari all’insegna della piena attuazione del principio di unità dello stato di figlio.
In seguito alla sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale, anche l’adozione del minore in casi particolari produce effetti pieni e fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante. Al pari dell’adozione “ordinaria” del minore di cui agli artt. 6 e ss. della legge n. 184 del 1983, l’adozione in casi particolari non si limita a costituire il rapporto di filiazione con l’adottante, ma fa entrare l’adottato nella famiglia dell’adottante. L’adottato acquista lo stato di figlio dell’adottante.
La sentenza riconosce i legami familiari anche per l’adottato in casi particolari e così realizza il suo inserimento nell’ambiente familiare dell’adottante, in applicazione del principio di unità dello stato di figlio e secondo un approccio teso a considerare unitariamente filiazione e adozione.
La pronuncia della Corte costituzionale si riferisce proprio ad una procedura di adozione conseguente ad una pratica di maternità surrogata da parte di una coppia dello stesso sesso unita civilmente, in relazione alla quale l’adottante aveva richiesto espressamente al tribunale per i minorenni di dichiarare la sussistenza di rapporti giuridici tra l’adottato e i parenti dell’adottante. La sentenza ha fatto venir meno il più importante elemento di inadeguatezza della soluzione dell’adozione particolare. La declaratoria di illegittimità costituzionale rimuove dunque un ostacolo all’effettività della tutela offerta dall’adozione in casi particolari.
- – Un altro aspetto di inadeguatezza messo in luce dalla sentenza n. 33 del 2021 risiede nell’impossibilità di costituire il rapporto adottivo, secondo la disciplina dei casi particolari, in mancanza dell’assenso del genitore biologico. Si tratta di un aspetto di criticità perché l’interesse del minore reclama che siano garantite stabilità e certezza al rapporto di cura e affetto, in assenza di un legame di discendenza biologica ma in una cornice di vita familiare, superando un sistema di tutela parziale ed esposto alle sopravvenienze nei rapporti tra adulti.
In effetti, la disciplina dell’adozione in casi particolari, all’art. 46 della legge n. 184 del 1983, richiede, ai fini del perfezionamento della procedura, l’assenso del genitore biologico, il quale potrebbe non prestarlo in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia. L’adozione diverrebbe così impraticabile proprio nelle situazioni più delicate per il benessere del minore.
Se è negato l’assenso, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunciare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale. La lettera del citato art. 46 sembra considerare preclusivo il mancato assenso in tutti i casi in cui i genitori non siano decaduti dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
In realtà, la giurisprudenza è già pervenuta ad una lettura restrittiva della disposizione, ritenendo che per genitori esercenti la responsabilità genitoriale, il cui dissenso impedisce l’adozione particolare, debbono intendersi i genitori che non siano meri titolari della responsabilità stessa, ma ne abbiano altresì il concreto esercizio grazie a un rapporto effettivo con il minore.
Seguendo quest’ordine di idee, si è considerato superabile, in ragione del preminente interesse del minore, il dissenso all’adozione manifestato dal genitore dell’adottando che non eserciti in concreto, da molti anni, la responsabilità genitoriale sul figlio, con il quale non intrattenga alcun rapporto affettivo (Cass., Sez. I, 21 settembre 2015, n. 18575; Cass., Sez. I, 16 luglio 2018, n. 18827).
Il Collegio delle Sezioni Unite osserva che alla base della domanda di adozione particolare da parte del genitore sociale, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), c’è la condivisione, con il genitore biologico, della responsabilità conseguente alla scelta di aver dato vita al progetto procreativo in un Paese estero in conformità della lex loci; c’è, inoltre, il rapporto costante di affetto e di cura all’interno dell’unica famiglia nella quale il bambino è cresciuto. In altri termini, alla condivisione, da parte della coppia, della decisione di far venire al mondo il bambino, liberamente impegnandosi ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità, fanno seguito e si associano l’accudimento, l’allevamento e la cura del minore.
Essendo l’adozione particolare, nel particolare caso della lettera d), destinata ad offrire un riconoscimento giuridico al rapporto intessuto con il genitore sociale all’interno dell’unica famiglia di accoglienza, il dissenso alla costituzione del legame di filiazione adottiva da parte del genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale non può essere espressione di un volere meramente potestativo, ma va collocato in una dimensione funzionale.
L’effetto ostativo del dissenso dell’unico genitore biologico all’adozione del genitore sociale, allora, può e deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all’interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento. In altri termini, è possibile superare la rilevanza ostativa del dissenso all’adozione in casi particolari ai sensi della lettera d), tenendo conto che il contrasto rischia, non di vanificare l’acquisto di un legame ulteriore rispetto a quello che il minore ha con la famiglia di origine, ma proprio di sacrificare uno dei rapporti sorti all’interno della famiglia nella quale il bambino è cresciuto, privandolo di un apporto che potrebbe invece essere fondamentale per la sua crescita e il suo sviluppo.
Nella medesima prospettiva ermeneutica si pone la dottrina, la quale sottolinea che il dissenso all’adozione da parte del genitore biologico del bambino nato mediante maternità surrogata, in tanto è suscettibile di impedire la costituzione del legame di filiazione, in quanto passi attraverso la negazione in radice del progetto genitoriale o di quel rapporto costante di affetto e di cura del minore che rappresenta il requisito per richiedere l’adozione in casi particolari, anche nell’ipotesi in cui vi sia stata separazione.
In altri termini, il genitore biologico potrebbe negare l’assenso all’adozione del partner solo nell’ipotesi in cui quest’ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma abbia poi abbandonato il partner e il minore.
Mettendo in collegamento l’art. 46 con l’art. 57 della legge n. 184 del 1983, che impone al giudice di valutare se l’adozione particolare realizzi in concreto il preminente interesse del minore, il rifiuto dell’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, appare ragionevole soltanto se espresso nell’interesse del minore, ossia quando non si sia realizzato tra quest’ultimo ed il genitore d’intenzione quel legame esistenziale la cui tutela costituisce il presupposto dell’adozione. Se tale relazione sussiste, il rifiuto non sarebbe certamente giustificato dalla crisi della coppia committente né potrebbe essere rimesso alla pura discrezionalità del genitore biologico.
Il Collegio delle Sezioni Unite, rimanendo nel solco del bilanciamento tracciato dalla Corte costituzionale, ritiene di dover in questa sede evidenziare le potenzialità dell’interpretazione costituzionalmente conforme, in vista del superamento della criticità legata al dissenso dell’unico genitore biologico, senza che occorra sollevare, persistendo l’omissione da parte del legislatore, una questione di legittimità costituzionale.
- – La soluzione dell’adozione da parte del genitore d’intenzione privo di legame biologico presenta altri aspetti problematici. L’adozione è, ancora, non pienamente adeguata nella prospettiva di una tutela piena del generato nei confronti di chi, partecipando al progetto procreativo, ha assunto la responsabilità di farlo venire al mondo, perché l’istituto dell’adozione, in tutte le sue forme, presuppone che il genitore assuma l’iniziativa.
L’iniziativa ai fini della costituzione dello status non compete mai all’adottando. Il minore non può rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale per il tramite dell’adozione. Qualora il partecipante al progetto procreativo, che non abbia legami genetici con il minore, cambi idea e non voglia più instaurare alcun rapporto giuridico con il nato, il minore non ha alcun diritto alla costituzione, attraverso l’adozione, di un rapporto con il genitore d’intenzione privo di legame genetico.
Sicché l’adozione può risultare, in concreto, di fronte al rifiuto del committente, strutturalmente inidonea ad offrire una garanzia completa nella prospettiva della tutela del generato. La constatazione di questa evenienza particolare non conduce, tuttavia, ad ammettere o a giustificare l’automatismo della trascrizione.
L’automatico riconoscimento della genitorialità intenzionale già accertata all’estero non realizza la pienezza di tutela del minore, che richiede invece una particolare conformazione, con i caratteri della effettività e della stabilità, impressa dalla concomitante e acclarata situazione di fatto. Quella constatazione impone, invece, ove si presenti il caso, che siano ricercati nel sistema gli strumenti affinché siano riconosciuti al minore, in una logica rimediale, tutti i diritti connessi allo status di figlio anche nei confronti del committente privo di legame biologico, subordinatamente ad una verifica in concreto di conformità al superiore interesse del minore.
Difatti, chi con il proprio comportamento, sia esso un atto procreativo o un contratto, quest’ultimo lecito o illecito, determina la nascita di un bambino, se ne deve assumere la piena responsabilità e deve assicurargli tutti i diritti che spettano ai bambini nati “lecitamente”.
L’adeguatezza dell’istituto dell’adozione in casi particolari deve essere valutata considerando anche la celerità del relativo procedimento, che non deve lasciare il legame genitore-figlio privo di riconoscimento troppo a lungo. Come ha sottolineato, anche di recente, la Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 22 novembre 2022, D.B. e altri c. Svizzera), il vincolo deve poter trovare riconoscimento al più tardi quando, secondo l’apprezzamento delle circostanze di ciascun caso, il legame tra il bambino e il genitore d’intenzione si è concretizzato. La Corte EDU considera cioè l’adozione un rimedio possibile se ed in quanto consegua con celerità il risultato del riconoscimento dei legami tra il minore e il genitore d’intenzione.
La Corte costituzionale, a sua volta, nella sentenza n. 33 del 2021, ha affermato che i principi costituzionali impongono che la tutela dell’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con il genitore d’intenzione sia “assicurata attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino”.
- – Per effetto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 2022 e prospettandosi la possibilità di una interpretazione adeguatrice del requisito del necessario assenso del genitore biologico, l’adozione in casi particolari, per come attualmente disciplinata, si profila come uno strumento potenzialmente adeguato al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali, restando la valutazione in ogni caso sottoposta al vaglio del giudice nella concretezza della singola vicenda e ferma la possibilità per il legislatore di intervenire in ogni momento per dettare una disciplina ancora più aderente alle peculiarità della situazione.
- – Si tratta, a questo punto, di affrontare più da vicino l’interrogativo, sollevato dall’ordinanza di rimessione, se, essendo nel caso di specie stato chiesto il riconoscimento di effetti del provvedimento giurisdizionale straniero che accerta il rapporto di filiazione anche con il genitore intenzionale, il rifiuto sia giustificato dal contrasto con l’ordine pubblico internazionale, l’adozione rappresentando l’unico modo per dare forma giuridica al rapporto con il genitore intenzionale.
- – A tale riguardo, occorre premettere che, ai sensi della legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, il riconoscimento della sentenza straniera è subordinato al fatto che le sue disposizioni non producano effetti contrari all’ordine pubblico. L’art. 64, comma 1, lettera g), della legge n. 218 del 1995 focalizza l’attenzione sugli effetti che la pronuncia straniera è destinata a produrre nel nostro ordinamento.
Volto alla salvaguardia dei fondamentali principi sui quali si fonda l’ordinamento e che ne assicurano la complessiva coerenza, il limite dell’ordine pubblico opera non tanto con riferimento alle disposizioni applicate dal giudice straniero ai fini della soluzione della controversia, ma con riguardo alle conseguenze che la pronuncia straniera resa sulla base di quelle disposizioni è in grado di produrre nel nostro ordinamento.
A questo proposito, è pacifico che la mera diversità delle soluzioni legislative nazionali in merito ad una determinata questione non può di per sé considerarsi dar luogo ad un problema di compatibilità con l’ordine pubblico, giacché, ove si accogliesse una simile lettura estensiva del limite in questione, le regole di diritto internazionale privato verrebbero private della loro ragione d’essere, insita nella diversità degli ordinamenti giuridici nazionali e nell’opportunità di realizzare tra di loro un profilo di coordinamento, funzionale ad agevolare la vita internazionale delle persone.
Tuttavia, nemmeno può presumersi, all’inverso, una apertura del tutto incondizionata degli ordinamenti giuridici statali al coordinamento con gli altri ordinamenti, tale da permettere senza limiti l’attribuzione di effetti a provvedimenti giurisdizionali stranieri, rinunciando ad un qualsiasi controllo in ordine alla loro compatibilità con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico del foro.
L’ordine pubblico nel diritto internazionale privato svolge una funzione di meccanismo di salvaguardia dell’armonia interna dell’ordinamento giuridico statale di fronte all’ingresso di valori incompatibili con i suoi principi ispiratori, di argine contro la compromissione dei valori irrinunciabili dell’ordinamento del foro: una vocazione, tuttavia, in parte ridimensionata per effetto della progressiva integrazione tra ordinamenti, realizzata al fine di soddisfare le esigenze di tutela dei diritti fondamentali.
Alla funzione originaria dell’ordine pubblico internazionale, tesa a salvaguardare la coerenza interna dell’ordinamento italiano, si è via via affiancata una funzione promozionale, volta a favorire la diffusione dei valori tutelati, anche in connessione con quelli riconosciuti a livello internazionale e sovranazionale, nonché la loro armonizzazione fra gli ordinamenti.
Quanto ai formanti dell’ordine pubblico, i principi propri dell’ordinamento giuridico statale possono trovare espressione non soltanto in disposizioni di rango costituzionale bensì anche in norme di legge ordinaria che siano significative del modo di essere dell’ordinamento giuridico statale in un dato momento storico nei diversi ambiti materiali suscettibili di venire in considerazione.
Nella nozione di ordine pubblico internazionale rientrano, quindi, anzitutto quei principi fondamentali, quei valori della nostra Costituzione che esprimono la fisionomia inconfondibile della comunità nazionale. L’ordine pubblico internazionale comprende anche quelle altre regole che, pur non collocate nella Costituzione, danno concreta attuazione ai principi costituzionali o esprimono un principio generale di sistema. Il concetto di ordine pubblico internazionale si allarga ai valori condivisi dalla comunità internazionale e, in particolare, alla tutela dei diritti umani risultanti dal diritto dell’Unione europea, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, avente lo stesso valore vincolante dei trattati istitutivi, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dato il fenomeno di osmosi che interessa i diritti fondamentali, garantiti in particolare dall’art. 2 Cost., e quelli che risultano dalle fonti internazionali. I diritti di libertà e i diritti della persona hanno infatti, per loro natura, una vocazione aperta all’implementazione e all’arricchimento del loro contenuto.
L’ordine pubblico internazionale si pone nel punto di intersezione di tendenze diverse: clausola generale per eccellenza, naturalmente portata a recepire le evoluzioni socio-culturali, anche sotto l’influenza della giurisprudenza della CEDU, ma anche a non dimenticare la propria radice identitaria in una cornice costituzionale. L’apertura all’altro non è perdita del sé. E il sé di un ordinamento – la sua identità, appunto – è quanto risulta tanto dalla Costituzione quanto dalle fondamentali e consolidate opzioni che tracciano le grandi linee della legislazione.
Il Collegio intende ribadire l’approdo al quale sono pervenute le Sezioni Unite. La sentenza straniera deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale. Costituzioni e tradizioni giuridiche, con le loro diversità, costituiscono un limite ancora vivo, privato di venature egoistiche, che davano loro “fiato corto”, ma reso più complesso dall’intreccio con il contesto internazionale in cui lo Stato si colloca.
Non vi potrà essere perciò arretramento del controllo sui principi essenziali della lex fori in materie che sono presidiate da un insieme di norme di sistema che attuano il fondamento della Repubblica. Nel contempo, non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani (così Cass., Sez. Un., 5 luglio 2017, n. 16601).
La compatibilità con l’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 64, comma 1, lettera g), della legge n. 218 del 1995, deve essere valutata non solo alla stregua dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass., Sez. Un., n. 12193 del 2019, cit.).
L’operazione che il giudice deve svolgere ha ad oggetto, non la coerenza della normazione interna di uno o più istituti con quella estera che ha condotto alla formazione del provvedimento giurisdizionale di cui si chiede il riconoscimento, ma la verifica della compatibilità degli effetti che l’atto produce con i limiti non oltrepassabili. Essi sono costituiti: dai principi fondanti l’autodeterminazione e le scelte relazionali del minore e degli aspiranti genitori; dal principio del preminente interesse del minore, di origine convenzionale ma ampiamente attuato in numerose leggi interne ed in particolare nella recente riforma della filiazione; dal principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori con riferimento in particolare al diritto all’identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico-fisico nonché relazionale, sia a non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale della coppia richiedente; dal principio solidaristico che fonda la genitorialità sociale sulla base del quale la legge interna ed il diritto vivente hanno concorso a creare una pluralità di modelli di genitorialità adottiva, unificati dall’obiettivo di conservare la continuità affettiva e relazionale ove già stabilizzatasi nella comunità familiare (Cass., Sez. Un., 31 marzo 2021, n. 9006, cit.).
- – Ad avviso di questo Collegio, l’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, che considera fattispecie di reato ogni forma di maternità surrogata, con sanzione rivolta a tutti i soggetti coinvolti, compresi i genitori intenzionali, è norma di ordine pubblico internazionale. Costituisce indice univoco della rilevanza del divieto, quale limite di ordine pubblico, la natura penale della sanzione posta dalla disposizione di legge a presidio del valore fondamentale della dignità della persona umana.
Nel quadro delle metodiche di procreazione medicalmente assistita, la maternità surrogata riveste una posizione del tutto peculiare rispetto alle ordinarie procedure di fecondazione artificiale, omologa o eterologa, postulando la collaborazione di una donna estranea alla coppia, che presta il proprio corpo per condurre a termine una gravidanza e partorire un bambino non per sé ma per un’altra persona.
La sanzione penale di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 esprime l’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento attribuisce alla surrogazione di maternità. L’operazione che tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto, riducendo la prima a mero servizio gestazionale e il secondo ad atto conclusivo di tale prestazione servente, costituisce una ferita alla dignità della donna. La gestazione per altri lede la dignità della donna e la sua libertà anche perché durante la gravidanza essa è sottoposta ad una serie di limiti e di controlli sulla sua alimentazione, sul suo stile di vita, sulla sua astensione dal fumo e dall’alcol e subito dopo il parto è oggetto di limitazioni altrettanto pesanti causate dalla privazione dell’allattamento e dalla rescissione immediata di ogni rapporto con il bambino.
L’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 esprime l’esigenza di porre un confine al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile.
In termini analoghi si è espressa la Corte costituzionale, sottolineando che la pratica della maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” (sentenza n. 272 del 2017 e, da ultimo, sentenze n. 33 del 2021 e n. 79 del 2022). La Corte costituzionale ha inoltre rilevato che “gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse di terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita” (sentenza n. 33 del 2021).
La condanna di “qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali” è stata espressa anche dal Parlamento europeo nella propria risoluzione del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea nel 2015.
Alla medesima conclusione è pervenuto, di recente, il Tribunal Supremo spagnolo, sottolineando, con la sentenza n. 277 del 2022, che il contratto di maternità surrogata comporta uno sfruttamento della donna e non può accettarsi per principio: il desiderio di una persona di avere un figlio, per quanto nobile, non può realizzarsi al costo dei diritti di altre persone.
- – Secondo l’ordinanza di rimessione la maternità surrogata non sarebbe un fenomeno unitario da disconoscere in ogni situazione. Nella valutazione complessiva dovrebbe tenersi conto delle peculiarità delle singole situazioni, distinguendo in concreto tra surrogazione totale o parziale, tra gestazione gratuita o a pagamento, e considerare che in Paesi come il Canada la surrogazione è disciplinata in modo da permettere l’attuazione della libera autodeterminazione della donna, consentendole di compiere un gesto di altruismo nei confronti di chi desidera realizzare una delle funzioni più importanti della famiglia.
Nell’ordinanza di rimessione si mette in dubbio che sia lesiva della dignità della donna una pratica considerata lecita nell’ordinamento di origine quando sia frutto di una scelta libera e consapevole, revocabile fino alla nascita del bambino e soprattutto indipendente da contropartite economiche.
In questa prospettiva, la trascrizione di atti di nascita o la delibazione di sentenze provenienti da ordinamenti che consentono la surrogazione di maternità – si osserva nell’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione – sarebbe possibile, e non si porrebbe in contrasto con limiti di ordine pubblico, al ricorrere di talune circostanze, quali lo spirito di solidarietà per altri, la presenza del diritto della gestante al ripensamento e la sussistenza del legame genetico del nato con almeno uno dei partner della coppia committente.
In particolare, secondo l’interpretazione suggerita dall’ordinanza di rimessione, l’aspirante madre surrogata andrebbe tutelata nella misura in cui possa essere ritenuta soggetto vulnerabile, tipicamente versante in condizioni di bisogno, e quindi indotta a stipulare l’accordo di gestazione per altri dall’offerta o dalla dazione di un corrispettivo in denaro o comunque economicamente valutabile.
Diversa considerazione – si sostiene – dovrebbe essere riservata alle ipotesi in cui la gestante su commissione si sottoponga alle tecniche senza chiedere né ottenere nulla in cambio dai genitori di intenzione.
- – Il Collegio delle Sezioni Unite ritiene che non possa essere seguita la proposta interpretativa della Sezione rimettente di escludere il contrasto con l’ordine pubblico, e quindi di ammettere la delibazione, là dove la pratica della gestazione per altri sia considerata lecita nell’ordinamento di origine, in quanto frutto di una scelta libera e consapevole, revocabile sino alla nascita del bambino e indipendente da contropartite economiche.
Il legislatore italiano, infatti, nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale.
Nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, con evidente preclusione di qualsiasi possibilità di rinuncia da parte della persona coinvolta. Nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario, non comprimibile e non rinunciabile di ogni persona. La dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva.
Il Collegio è consapevole che il panorama internazionale offre indicazioni non omogenee sui limiti di liceità della pratica della surrogazione di maternità e che l’opzione per il divieto interno risulta maggioritaria ma non unanime, anche rispetto a ordinamenti saldamente inseriti nella tradizione liberaldemocratica occidentale, come, appunto, quello canadese, da cui origina la vicenda in esame.
Le Sezioni Unite non ignorano che la lettura suggerita dall’ordinanza di rimessione trova sostegno in una parte significativa del pensiero giuridico e culturale del nostro Paese, che prende le distanze dall’idea dei valori della persona che si impongono alla persona medesima, anche oltre quanto da questa voluto in maniera assolutamente libera, consapevole, integra e non condizionata.
In questa prospettiva, il limite dell’ordine pubblico internazionale non sarebbe destinato ad operare quando la lex loci salvaguardi il diritto alla libertà e all’autodeterminazione della donna, alla quale soltanto sarebbe rimesso, in ultima istanza, il potere di individuare i tempi e i modi di realizzazione della sua personalità, sicché anche la scelta di accogliere l’embrione per aiutare altri a realizzare il loro progetto di genitorialità potrebbe rappresentare per la gestante un modo per realizzare la propria personalità.
Il Collegio ha presente che l’approdo interpretativo suggerito dall’ordinanza di rimessione è già stato raggiunto nella giurisprudenza di legittimità di Paesi vicini al nostro. La giurisprudenza del Bundesgerichtshof (sentenze 10 dicembre 2014 e 5 settembre 2018), ad esempio, in tema di stato dei nati all’estero da gestazione per altri, assegna rilievo dirimente alla circostanza che il vincolo di filiazione di cui si chiede il riconoscimento risulti fondato su un provvedimento giurisdizionale, e dunque su un atto idoneo, per sua natura, a fornire un’adeguata attestazione della conformità della vicenda procreativa alle regole e alle procedure del diritto straniero. Una lesione della dignità della gestante è infatti ravvisata solo qualora emergano fattori che lascino dubitare della sua libera partecipazione alla surrogazione, o là dove risultino oscure circostanze essenziali come i dati personali della donna, le condizioni del suo impegno o l’esistenza stessa di un accordo, o, ancora, quando nel procedimento giudiziale straniero non siano osservate le fondamentali garanzie procedurali, senza che rilevi, invece, l’avvenuto pagamento di un corrispettivo, non integrando l’attribuzione economica un elemento di costrizione di volontà della gestante.
Il Collegio osserva, al riguardo, che il nostro sistema vieta qualunque forma di surrogazione di maternità, sul presupposto che solo un divieto così ampio è in grado, in via precauzionale, di evitare forme di abuso e sfruttamento di condizioni di fragilità. Di fronte a una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non è consentito all’interprete ritagliare dalla fattispecie normativa, per escluderle dal raggio di operatività dell’ordine pubblico internazionale, forme di surrogazione che, sebbene in Italia vietate, non sarebbero in grado di vulnerare, per le modalità della condotta o per gli scopi perseguiti, il nucleo essenziale del bene giuridico protetto.
Invero, punendo la surrogazione di maternità in via assoluta, cioè a prescindere dalle modalità della condotta o dagli scopi perseguiti, da una parte si tutela in via immediata la dignità della gestante su commissione, dall’altra si tende a prevenire, secondo la logica della china scivolosa, eventuali derive estreme di manifestazione del fenomeno, espresse da deprecabili forme di sfruttamento di donne in condizioni di bisogno economico, vulnerabili e presuntivamente prive di apprezzabili margini di autonomia decisionale.
Non è pertanto consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere la lesività della dignità della persona umana e, con essa, il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, là dove la pratica della surrogazione della maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino.
D’altra parte, la soluzione interpretativa ipotizzata dall’ordinanza di rimessione presenta un’altra criticità, puntualmente evidenziata dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte. La valutazione caso per caso finirebbe per essere attribuita, in prima battuta, non al giudice, bensì all’ufficiale di stato civile, il quale sarebbe così chiamato ad “operare la scelta relativa al riconoscimento della genitorialità intenzionale sulla base dei criteri generali ‘normati’” dalla pronuncia di queste Sezioni Unite.
Ma vi sarebbe la “pratica impossibilità”, con i poteri conferiti all’ufficiale di stato civile, “di procedere alla verifica se vi sia stato un corrispettivo economico a favore della donna che in un lontano Stato estero ha gestito per altri la maternità, e valutare la sua concreta condizione di soggezione ed il reale grado di libertà e consapevolezza della scelta effettuata, nonché le modalità di partecipazione alla scelta da parte del genitore intenzionale”.
- – Concorre a formare l’ordine pubblico internazionale anche il best interest of the child. È un principio, questo, riconducibile agli artt. 2, 30 e 31 Cost. e proclamato da molteplici fonti internazionali ed europee, a cominciare dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991, ai cui sensi “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”, nonché dall’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
L’interesse del minore non può certo rappresentare un diritto tiranno rispetto alle altre situazioni soggettive costituzionalmente riconosciute o protette, che costituiscono nel loro insieme espressione della dignità della persona. Nondimeno, esso ha un ruolo centrale e preminente. Non legittima comportamenti disapprovati dall’ordinamento, ma esige ed impone che sia assicurata tutela all’interesse al riconoscimento giuridico del rapporto con il genitore d’intenzione.
Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo convergono nel tracciare questa linea di fondo del sistema. È “imprescindibile” – afferma la Corte costituzionale – la necessità di assicurare tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con chi ne abbia voluto la nascita in un Paese estero in conformità della lex loci e lo abbia poi accudito esercitando di fatto la responsabilità genitoriale (sentenza n. 33 del 2021, cit.).
A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo declama che, dal punto di vista della Convenzione, occorre fare “abstraction du comportement éventuellement critiquable des parents de manière à permettre la recherche de l’intérêt supérieur de l’enfant, critère suprême dans de telles situations” (sentenza 22 novembre 2022, D.B. e altri c. Svizzera).
L’inserimento, nell’ordine pubblico internazionale, dell’interesse del minore apre uno scenario nuovo. L’ordine pubblico internazionale, tradizionalmente concepito con funzione meramente preclusiva od oppositiva, viene infatti ad assumere una funzione positiva, consistente nel favorire l’ingresso di nuove relazioni genitoriali. Ne deriva un temperamento, una mitigazione (non già, beninteso, un superamento) della aspirazione identitaria connessa al tradizionale modello di filiazione, in nome di un valore uniforme rappresentato dal miglior interesse del bambino.
- – Poste queste coordinate, deve allora escludersi la trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori dell’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il padre d’intenzione. L’ineludibile esigenza di garantire al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è assicurata attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983, che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame con il partner del genitore biologico che ha condiviso il progetto genitoriale e ha di fatto concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.
- – Il provvedimento giudiziario straniero non è trascrivibile per un triplice ordine di considerazioni.
21.1. – In primo luogo, perché nella non trascrivibilità si esprime la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale. Il riconoscimento ab initio, mediante trascrizione o delibazione del provvedimento straniero di accertamento della genitorialità, dello status filiationis del nato da surrogazione di maternità anche nei confronti del committente privo di legame biologico con il bambino, finirebbe in realtà per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante.
L’automatismo del riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione sulla base del contratto di maternità surrogata e degli atti di autorità straniere che riconoscono la filiazione risultante dal contratto, non è funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi. L’interesse superiore del minore è uno dei valori in cui si sostanzia l’ordine pubblico internazionale. Esso costituisce non soltanto il valore fondante di ogni disciplina che riguardi i minori, ma anche l’indice concreto ed effettivo al quale la tutela deve essere commisurata. Il fatto che l’interesse del minore debba essere oggetto di valutazione prioritaria non significa, tuttavia, che lo Stato sia obbligato a riconoscere sempre e comunque uno status validamente acquisito all’estero.
21.2. – In secondo luogo, perché va escluso che il desiderio di genitorialità, attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita lasciata alla autodeterminazione degli interessati, possa legittimare un presunto diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo (Corte cost., sentenza n. 79 del 2022).
Non v’è nel sistema normativo un paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico. È esatto che l’accertamento della filiazione prescinde, oggi, dalla rigida dicotomia, che in passato costituiva il fondamento del sistema, tra filiazione biologica, basata sulla discendenza ingenita, e filiazione adottiva, incentrata sulla affettività e sulla necessità per il minore di crescere in un ambiente familiare idoneo all’accoglienza.
L’ordinamento – è vero – già conosce e tutela rapporti di filiazione non originati dalla genetica, ma sorti sulla base della “scelta”, e quindi dell’assunzione di responsabilità, di dar vita a un progetto genitoriale comune. La legge n. 40 del 2004 ha dato ingresso alla possibilità di costituire in via diretta lo stato di figlio a prescindere dalla trasmissione di geni anche al di fuori delle ipotesi di adozione. La scelta di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita eterologa non consente ripensamenti rispetto alla creazione del rapporto di filiazione (artt. 8 e 9 della legge citata). Il consenso è integralmente sostitutivo della mancanza di discendenza genetica.
La disciplina del fenomeno procreativo ormai si compone di modelli fondati sul legame biologico realizzato attraverso il rapporto sessuale e modelli affidati all’intervento in via assistita di tecniche mediche, anche con il contributo genetico di un soggetto terzo rispetto alla coppia, la quale si assume la responsabilità dell’evento procreativo.
La genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita è legata anche al consenso prestato e alla responsabilità conseguentemente assunta. Con gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, il legislatore ha inteso definire lo status di figlio del nato da procreazione medicalmente assistita anche eterologa, ancor prima che fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale del relativo divieto (sentenza n. 162 del 2014).
Nel fondare un progetto genitoriale comune, i soggetti maggiorenni che, all’interno di coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi, abbiano consensualmente fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita (art. 5 della legge n. 40 del 2004), divengono, per ciò stesso, responsabili nei confronti dei nati, destinatari naturali dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico.
Dalla disciplina degli artt. 8 e 9 della legge 40 del 2004, tuttavia, non possono trarsi argomenti per sostenere l’idoneità del consenso a fondare lo stato di figlio nato a seguito di surrogazione di maternità. Lo spazio entro il quale il consenso risulta idoneo ad attribuire lo stato di figlio in difetto di legame genetico è circoscritto ad una specifica fattispecie – la fecondazione eterologa – ben diversa e ben distinta dalla surrogazione di maternità. In caso di maternità surrogata, la genitorialità giuridica non può fondarsi sulla volontà della coppia che ha voluto e organizzato la procreazione assistita, così come avviene per la fecondazione assistita.
21.3. – In terzo luogo, perché il riconoscimento della genitorialità non può essere affidato ad uno strumento di carattere automatico. L’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza: quella valutazione di concretezza che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale.
Una diversa soluzione porterebbe a fondare l’acquisto della genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata.
La Corte costituzionale ha indicato la strada, che non è quella della delibazione o della trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad assecondare il mero desiderio di genitorialità degli adulti che ricorrono all’estero ad una pratica vietata nel nostro ordinamento.
- – L’esclusione della automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero non cancella, né affievolisce l’interesse superiore del minore. Il nostro ordinamento conosce e tutela rapporti di filiazione non originati dalla genetica, ma sorti sulla base dell’accoglienza o dell’impegno in un condiviso disegno di genitorialità sociale.
Appartiene all’istituto dell’adozione particolare la valutazione in concreto dell’interesse alla identità filiale del minore che vive di fatto in una relazione affettiva con il partner del genitore biologico. L’adozione in casi particolari non dà rilevanza al solo consenso e non asseconda attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità; dimostra, piuttosto, una precisa vocazione a tutelare l’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto anche con colui che, insieme al padre biologico, ha condiviso e attuato il progetto del suo concepimento e, assumendosi la responsabilità della cura e dell’educazione, ha altresì concorso in fatto a instaurare quella organizzazione di vita comune diretta alla crescita e allo sviluppo della personalità che è la famiglia.
L’adozione in casi particolari presuppone, infatti, un giudizio sul miglior interesse del bambino e un accertamento sulla idoneità dell’adottante. Il riconoscimento della pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato postula che ne sia accertata la corrispondenza all’interesse del minore. Il riconoscimento della genitorialità è quindi ancorato a una verifica in concreto dell’attualità del disegno genitoriale e della costante cura in via di fatto del bambino.
La filiazione riguarda un profilo basilare dell’identità stessa del minore. Proprio in ragione di ciò è essenziale la ricerca, anche nel caso della maternità surrogata, della soluzione ottimale del superiore interesse del minore. Esattamente si è sostenuto che il superiore interesse del minore – non astrattamente considerato bensì concretamente valutato anche nell’assorbente e decisiva ottica del rapporto e del connesso principio di responsabilità, e come tale, quindi, anche realisticamente interpretato in funzione dell’eventuale necessità di preservare, pure in prospettiva, comprovate effettive relazioni familiari instauratesi tra lo stesso minore e il genitore d’intenzione – non può non rappresentare l’irrinunciabile parametro di commisurazione da cui muovere per la costruzione anche dello stato giuridico del figlio nato da maternità surrogata.
L’interesse superiore del minore può risultare anche fondativo di un vero e proprio rapporto di filiazione, ma deve basarsi su un corrispondente legame affettivo di tipo familiare dotato dei caratteri della effettività e della stabilità.
- – Va da sé che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore non può fondarsi sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner. L’orientamento sessuale della coppia non incide sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale (Cass., Sez. I, 2 giugno 2016, n. 12962; Corte cost., sentenza n. 230 del 2020).
La giurisprudenza ha in più occasioni chiaramente respinto la tesi che l’omosessualità sia una condizione in sé ostativa all’assunzione e allo svolgimento dei compiti genitoriali. Lo ha fatto, in particolare, negando che l’orientamento sessuale abbia una qualche incidenza sulle decisioni in merito all’affidamento dei figli (Cass., Sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601) o sulla valutazione dell’idoneità affettiva e della capacità educativa di chi abbia presentato domanda di adozione del figlio del proprio o della propria partner (Cass., Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962, cit.), nonché nel confutare che contrasti con l’ordine pubblico internazionale un provvedimento giurisdizionale straniero che dichiari l’adozione piena di un minore da parte di una coppia formata da due uomini (Cass., Sez. Un., 31 marzo 2021, n. 9006, cit.).
Lo ha ribadito ammettendo il riconoscimento e la trascrizione, nel registro dello stato civile in Italia, di un atto straniero, validamente formato, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne a seguito di procedura assimilabile alla fecondazione eterologa, per aver la prima donato l’ovulo e la seconda condotto a termine la gravidanza con utilizzo di un gamete maschile di un terzo ignoto (Cass., Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599).
Più nello specifico, estendendo in via ermeneutica la nozione di impossibilità, di cui all’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983, che viene riferita all’impedimento giuridico, oltre che a quello di fatto, la giurisprudenza ordinaria ha valorizzato alcune specificità dell’adozione in casi particolari, ampliandone il raggio applicativo. Facendo leva sulle due finalità sottese all’istituto – quella volta a tutelare l’interesse del minore a preservare rapporti già instaurati e quella diretta a risolvere situazioni di giuridica impossibilità di accedere all’adozione “ordinaria” –, la giurisprudenza ha utilizzato l’adozione in casi particolari anche nel caso del minore frutto di progetti gestazionali dell’unione civile realizzati all’estero.
È questo il caso da cui ha preso, appunto, le mosse la sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale: quello di una coppia di uomini che ha contratto matrimonio all’estero, matrimonio trascritto in Italia con effetti di unione civile, ed ha avuto, grazie a una gravidanza per altri effettuata sempre all’estero, una bambina, della quale il genitore intenzionale ha chiesto al giudice italiano l’adozione in casi particolari.
Anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che l’esistenza di una vita familiare è una questione di fatto dipendente dalla realtà pratica di stretti legami personali e che la possibilità per un genitore e il figlio di essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare (Corte EDU, 12 luglio 2001, K. e T. c. Finlandia).
Il principio è ribadito dalla recente, e già citata, sentenza della Corte di Strasburgo D.B. e altri c. Svizzera: “La Cour rappelle d’emblée que l’intérêt supérieur de l’enfant comprend inter alia l’identification en droit des personnes qui ont la responsabilité de l’élever, de satisfaire à ses besoins et d’assurer son bien-être, ainsi que la possibilité de vivre et d’évoluer dans un milieu stable (…). Pour cette raison, le droit au respect de la vie privée de l’enfant requiert que le droit interne offre une possibilité de reconnaissance d’un lien de filiation entre l’enfant et le parent d’intention (…). Dès lors, la marge d’appréciation des États est limitée s’agissant du principe même de l’établissement ou de la reconnaissance de la filiation (…). La Cour estime également que l’intérêt de l’enfant ne peut pas dépendre de la seule orientation sexuelle des parents”.
Con tale pronuncia la Corte EDU ha ritenuto sussistente la violazione del diritto alla vita privata, tutelato dall’art. 8 CEDU, da parte dello Stato svizzero nei confronti di un minore – nato attraverso tecniche di surrogazione di maternità, proibite in Svizzera, già legalmente riconosciuto figlio dei ricorrenti da provvedimento giudiziale della California – per averlo lasciato, per sette anni ed otto mesi, a causa dell’assenza di previsioni specifiche nella legislazione svizzera (che, solo nel 2018, aveva consentito alle persone dello stesso sesso legate da un’unione registrata, di procedere all’adozione), privo della possibilità di ottenere il riconoscimento del rapporto con il proprio genitore d’intenzione, dovendosi ritenere tale significativo periodo di tempo, per aver posto il minore in una condizione di incertezza giuridica relativa alla sua identità sociale, incompatibile con i principi già affermati dalla Corte e con il principio del best interest of the child.
La Corte ha, invece, escluso la violazione del diritto alla vita familiare dei due genitori, sottolineando come l’accordo di maternità surrogata fosse contrario all’ordine pubblico svizzero e che le difficoltà pratiche incontrate dalla coppia a causa delle previsioni della legislazione svizzera dovessero ritenersi, comunque, conformi alle condizioni di cui all’art. 8 CEDU. Anche secondo la Corte di giustizia la relazione intrattenuta da una coppia omosessuale può rientrare nel concetto di “vita privata” così come in quello di “vita familiare” allo stesso modo di una coppia di sesso opposto nella stessa situazione (v. sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a., C-673/2016).
Partendo dal principio di non discriminazione – il quale esige che i diritti enunciati nella Convenzione sui diritti del fanciullo, tra cui il diritto di essere registrato dalla nascita, di avere un nome e di acquisire una cittadinanza, siano garantiti al minore senza che quest’ultimo subisca discriminazioni al riguardo, “comprese quelle basate sull’orientamento sessuale dei suoi genitori” – la Corte di Lussemburgo (Grande Sezione, sentenza 14 dicembre 2021, V.М.А. c. Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo», causa C-490/2020) ha precisato che “sarebbe contrario ai diritti fondamentali che gli artt. 7 e 24 della Carta garantiscono a tale minore privarlo del rapporto con uno dei suoi genitori nell’ambito dell’esercizio del suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri o rendergli de facto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tale diritto per il fatto che i suoi genitori sono dello stesso sesso”.
Si assiste, cioè, a quello che la dottrina italiana, attenta a cogliere i grandi mutamenti del diritto di famiglia, ha descritto come il passaggio da una famiglia “isola” ad un “arcipelago” di famiglie. Alla famiglia, rispettosa dell’immagine offerta dalla Costituzione, “fondata” sul matrimonio, si sono aggiunte altre famiglie. E la filiazione è divenuta il collante di diverse comunioni di affetti. All’unità dello stato di figlio corrisponde la pluralità dei modelli familiari: lo stato di figlio è unico, mentre sono ormai numerosi i modelli normativi o sociali dei rapporti di coppia.
- – Attraverso l’adozione in casi particolari, l’ordinamento italiano assicura tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico, ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, del suo rapporto con il genitore d’intenzione. Non si manifesta, in tal modo, alcuna insidiosa vicinanza alla logica del fatto compiuto, ma si guarda alla condizione materiale del minore e al suo interesse affinché l’accudimento prestato da colui che ha condiviso in concreto il progetto procreativo assuma, con la costituzione dello status, la doverosità tipica della responsabilità genitoriale.
- – La soluzione dell’adozione in casi particolari appare in linea con la giurisprudenza della Corte EDU. Secondo la Corte di Strasburgo, infatti, in un ordinamento che disapprova la gestazione per altri, non è affatto necessario che il rapporto del nato da madre surrogata con il committente privo di legame genetico con esso sia formalizzato ab initio mediante trascrizione del provvedimento estero che ne accerti il carattere genitoriale. Il rispetto della vita privata e familiare del nato richiede, tuttavia, che la procedura alternativa a tal fine prevista dal singolo ordinamento – una procedura che, si ammette, può anche essere di tipo adottivo – consenta di conseguire quel risultato in una maniera agevole sempreché risulti la corrispondenza del rapporto di cura in atto con l’interesse del minore.
Dal complesso delle pronunce rese sul tema dalla Corte di Strasburgo, si evince che – anche a fronte della grande varietà di approccio degli Stati parte rispetto alla pratica della maternità surrogata – ciascun ordinamento gode, in linea di principio, di un certo margine di apprezzamento in materia; ferma restando, però, la necessità di riconoscimento del legame di filiazione con entrambi i componenti della coppia che di fatto se ne prende cura.
La Corte EDU (sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia) afferma, in particolare, che gli Stati parte possono non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al genitore d’intenzione; e ciò proprio allo scopo di non fornire incentivi, anche solo indiretti, a una pratica procreativa che ciascuno Stato ben può considerare potenzialmente lesiva dei diritti e della stessa dignità delle donne che accettino di portare a termine la gravidanza per conto di terzi.
Tuttavia, la stessa Corte EDU ritiene comunque necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e il genitore d’intenzione, al più tardi quando tali legami si sono di fatto concretizzati; lasciando poi alla discrezionalità di ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all’adozione del minore.
Rispetto, peraltro, a quest’ultima soluzione, la Corte EDU sottolinea come essa possa ritenersi sufficiente a garantire la tutela dei diritti dei minori nella misura in cui sia in grado di costituire un legame di vera e propria “filiazione” tra adottante e adottato, e a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera, conformemente all’interesse superiore del bambino.
- – L’adozione in casi particolari rappresenta l’istituto che consente al bambino, nato a seguito di maternità surrogata nell’ambito di un progetto procreativo di una coppia omoaffettiva, di mantenere, con il riconoscimento dello status di figlio, la relazione affettiva e di cura già di fatto instaurata e consolidata con il partner del genitore biologico. L’adozione in casi particolari rappresenta anche il modello rivolto a consolidare, con una veste giuridica, il rapporto con quello, dei due componenti della coppia, che non è genitore biologico e quindi non risulta genitore secondo l’ordinamento italiano. Un modello di accoglienza non originato dalla genetica, ma dalla responsabilità che consegue all’aver condiviso e attuato un progetto genitoriale comune.
L’ordinamento italiano mantiene fermo il divieto di maternità surrogata e, non intendendo assecondare tale metodica di procreazione, rifugge da uno strumento automatico come la trascrizione, ma non volta le spalle al nato. Il titolo che giustifica la costituzione dello stato è fondato, non sull’intenzione di essere genitore, ma sulla condivisione del progetto genitoriale seguita dalla cura e dal rapporto affettivo costanti; il provvedimento del giudice presuppone, inoltre, un giudizio sul miglior interesse del bambino e una verifica in concreto dell’idoneità del genitore istante.
- – La questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite, afferente al quarto motivo del ricorso principale del Sindaco e dell’Amministrazione dell’interno, può dunque essere risolta mediante l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Poiché la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci. Nondimeno, anche il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983. Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita”.
- – Di conseguenza, il quarto motivo del ricorso proposto dal Sindaco e dal Ministero dell’interno va accolto. Ha, infatti, errato la Corte d’appello a ritenere che il divieto, posto dal legislatore italiano, di maternità surrogata sia frutto di una scelta discrezionale e ad escludere che esso esprima principi fondanti a livello costituzionale che impegnino l’ordine pubblico. Ha errato, altresì, l’ordinanza impugnata a giungere ad un riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale canadese dando rilievo alla mera volontà ed intenzione di diventare genitore del partner del padre biologico, tra l’altro limitandosi ad una considerazione non individualizzata né contestualizzata dell’interesse del minore, misurato sull’astratta esigenza di assicurare al bambino la conservazione dello status acquisito all’estero in conformità della lex loci.
Così decidendo, il giudice a quo è pervenuto ad un, non consentito perché contrario all’ordine pubblico internazionale, riconoscimento automatico del provvedimento giurisdizionale straniero nella parte in cui attribuisce lo status di genitore anche al componente della coppia omoaffettiva che ha partecipato alla surrogazione di maternità senza fornire i propri gameti.
Il giudice del merito avrebbe dovuto considerare che il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra il minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità, qualificabile come principio di ordine pubblico, e che l’ordinamento italiano consente di conferire rilievo, attraverso l’adozione in casi particolari, alla socialità del rapporto affettivo instaurato e vissuto anche con colui che ha condiviso il disegno genitoriale in un Paese estero in conformità della lex loci.
- – L’esame delle altre censure articolate con i primi tre motivi del ricorso principale resta, a questo punto, assorbito.
- – L’unico motivo di ricorso incidentale, con cui si contesta che la Corte d’appello abbia considerato il Ministero e il Sindaco legittimati passivi, è privo di fondamento. Va ribadito che il Sindaco è l’organo il cui rifiuto di trascrizione dà origine alla controversia e, come tale, è direttamente interessato alle conseguenze e all’attuazione della pronuncia di delibazione. L’ordine di trascrizione (o di cancellazione della trascrizione già eseguita) riveste, infatti, un ruolo centrale e non accessorio nella decisione ex art. 67 della legge n. 218 del 1995.
Dall’altro lato, nell’esercizio delle funzioni di ufficiale di stato civile il Sindaco è ufficiale del Governo, organo periferico dell’Amministrazione statale dell’interno, alla cui competenza il d.P.R. n. 396 del 2000 ha trasferito le attribuzioni in materia di tenuta di registri dello stato civile. La circostanza che la corretta ed uniforme applicazione delle disposizioni sul servizio dello stato civile risponda ad un’esigenza obiettiva dell’ordinamento, nel cui perseguimento l’Amministrazione non agisce in qualità di parte, non consente quindi di escludere la configurabilità di un autonomo interesse, concreto ed attuale, tale da legittimare la partecipazione del Ministero al giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero e la correlata richiesta di trascrizione (Cass., Sez. Un., n. 12193 del 2019).
- – Riassuntivamente, il quarto motivo del ricorso proposto dal Ministero e dal Sindaco è accolto, mentre gli altri motivi del medesimo ricorso restano assorbiti; è rigettato il ricorso incidentale delle parti private.
- – L’ordinanza impugnata è cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con il rigetto della domanda di riconoscimento del provvedimento straniero. La complessità e l’importanza delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.