Cass. pen., I, ud. dep. 02.02.2023, n. 4489
PRINCIPI DI DIRITTO
Lì dove la «interferenza cognitiva» tra i due procedimenti (di prevenzione e penale) vada a cadere su un ingredente essenziale della parte ricostruttiva del giudizio di prevenzione, è da escludersi che possa farsi leva su tale spazio di autonomia per giustificare, in sede di esame della domanda di revoca, il mantenimento in essere del provvedimento applicativo della misura di prevenzione (…). Ciò posto, va verificato ulteriormente in che termini l’autonomia del procedimento di prevenzione possa atteggiarsi in caso di pericolosità qualificata (art.4 Cod.ant.) nelle ipotesi di decisione assolutoria (o di provvedimento di archiviazione) emessi in sede penale sui fatti posti a base della cognizione prevenzionale (…). L’assoluzione in ambito penale per una delle ipotesi di reato richiamate nella previsione di legge di cui alrart.4 comma 1 lett. b del d.lgs. n.159 del 2011 determina la impossibilità di applicare la misura di prevenzione personale fondata sul medesimo fatto di reato quale sintomo di pericolosità.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- E’ fondato il motivo relativo all’inquadramento tipico della pericolosità sociale di Candurro Giuseppe (primo motivo di ricorso di Candurro Giuseppe e terzi).
- E’ altresì fondato il motivo, comune ed estensibile, relativo all’avvenuto decorso del termine massimo di efficacia della confisca – nel giudizio di secondo grado – ai sensi dell’art. 27 comma 6 d.lgs. n.159 del 2011 (terzo motivo di ricorso di Candurro Giuseppe e terzi).
- L’inquadramento soggettivo di Candurro Giuseppe non realizza, ad avviso del Collegio, le coordinate di metodo più volte esposte nella presente sede di legittimità e correlate al noto approccio ‘tassativizzante’ al sistema delle misure di prevenzione, in ragione degli approdi interpretativi sovranazionali (sent. Corte Edu De Tommaso contro Italia del 2017) e del giudice delle leggi (Corte cost. n.24 del 2019). Occorre, sul punto, richiamare i contenuti di alcuni arresti relativi alla «dimensione» del principio di autonomia di cui all’art.29 d.lgs. n.159 del 2011, richiamato nella decisione impugnata. In particolare, già nella decisione Righi ed altri (Sez. I n.43826 del 2018) si è precisato l’ambito applicativo di detto principio, nel modo che segue.
- La necessità di un approdo interpretativo teso a valorizzare, pur in ambito non strettamente penalistico, la tassatività e determinatezza delle previsioni che descrivono le categorie soggettive di pericolosità deriva – in primo luogo – dalla consapevolezza della giurisdizionalità piena del sistema delle misure di prevenzione. La Corte Costituzionale, in due pronunzie con cui rifiutò di emettere decisioni additive in tema di misure di prevenzione (ord. n. 721 del 1988; sent. n. 335 del 1996), ha sottolineato con particolare evidenza che la giurisdizione preventiva è ..quanto meno, da ritenersi limitativa di diritti .., il che rappresenta una efficace definizione dei tratti peculiari di un settore dell’ordinamento presidiato – in larga misura – da garanzie comuni con quelle del sistema sanzionatorio, trattandosi – per riprendere altra affermazione del giudice delle leggi – di applicare in via giurisdizionale misure tese a delimitare la fruibilità di diritti della persona costituzionalmente garantiti, o ad incidere pesantemente e in via definitiva sul diritto di proprietà (C. cost. sent. n. 93 del 2010). E’ dunque da ribadirsi che le misure di prevenzione, pur se sprovviste di natura sanzionatoria in senso proprio (aspetto ripreso e confermato da Corte cost. n.24 del 2019), rientrano in una accezione lata di provvedimenti con portata afflittiva (sia pure in chiave preventiva) il che impone di ritenere applicabile – in siffatta materia – il generale principio di tassatività e determinatezza dei contenuti della fattispecie astratta (sia come limite al potere legislativo di costruzione della disposizione descrittiva che come criterio interpretativo), lì ove si realizza la tipizzazione dei comportamenti presi in considerazione come prima ‘fonte giustificatrice’ di dette limitazioni. E’, pertanto, dalla matrice giurisdizionale del procedimento e dalle ricadute della decisione su diritti fondamentali della persona che deriva, come più volte evidenziato in plurimi arresti di questa Corte la necessità di una valorizzazione : a) della dimensione probatoria della cd. fase constatativa del giudizio di prevenzione, base logica e giuridica della successiva prognosi di pericolosità; b) della aderenza di tale dimensione probatoria ai contenuti tipici della fattispecie astratta che si ritiene di applicare al soggetto proposto.
- Le decisioni di questa Corte – antecedenti e successive alla pronunzia della Corte di Strasburgo del 2017- che hanno dato corpo a tale linea interpretativa sono molteplici (si vedano, sul tema Sez. I n. 31209 del 2015 ; Sez. H n. 26235 del 2015 ; Sez. I n. 43720 del 2015 ; Sez. V n. 6067 del 2017; Sez. I n. 16038 del 2016; Sez. I n. 36258 del 2017; Sez. I n. 54119 del 2017; Sez. VI n. 53003 del 2017; Sez. I n. 349 del 2018; Sez. I n. 13375/2018), e convergenti nel realizzare una lettura delle disposizioni in tema di pericolosità semplice incentrata, quanto all’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011, sulla valorizzazione della locuzione proventi di atti vita’ delittuose/ traffici delittuosi in chiave tassativizzante. Si è infatti affermato, in via generale, che nella fase preliminare della constatazione delle condotte potenzialmente indicative della pericolosità sociale, parlare di ‘traffici delittuosi’ o di proventi di ‘attività delittuose’ in senso non generico, significa che, pur senza indicare le fattispecie incriminatrici specifiche, il legislatore ha inteso prendere in esame la condizione di un soggetto che ha, in precedenza, commesso dei delitti consistenti in attività di intermediazione in vendita di beni vietati (traffici delittuosi) o tipologicamente produttivi di reddito (provento di attività delittuose).
- Va dunque ribadita l’affermazione (v. Sez. I n. 349/2018) per cui, nella costruzione della fattispecie legale di pericolosità semplice il ‘delittuoso’ non è connotazione di disvalore generico della condotta pregressa ma attributo che la qualifica, dunque il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate (dato il riferimento alla abitualità) che – vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale, vuoi attraverso una autonoma ricostruzione incidentale che non risulti contraddetta da esiti assolutori – siano rispondenti al tipo di una previsione di legge penalmente rilevante. Si rievoca, nei citati arresti, la necessaria aderenza del momento cognitivo della prevenzione al contenuto tipico della previsione legale come – del resto – già evidenziato dalla nota decisione Corte Cost. n.177/1980 [..] decisivo è che anche per le misure di prevenzione, la descrizione legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ciò stesso rivolto all’avvenire [..]. In tale passaggio argomentativo, peraltro, si riconosce con chiarezza il fondamento di quella posizione concettuale che scinde il giudizio di prevenzione in due fasi, constatativa e prognostica (v. Sez. I n. 23641 del 2014, ric. Mondini) con diversità degli standard probatori relativi a tali due segmenti dell’operazione valutativa (certezza processuale del fatto constatato + probabilità della sua riproduzione o della realizzazione di condotte dal disvalore omogeneo) con affermazione che appare opportuno riprendere. In particolare, la scissione del giudizio prevenzionale in due fasi (ampiamente ripresa anche da Corte cost. n.24 del 2019, decisione con cui, come è noto si è ritenuta non aderente al principio di tassatività la previsione della abituale dedizione a traffici delittuosi) è ormai patrimonio comune sul piano interpretativo degli istituti coinvolti, atteso che solo a seguito di una prima fase «constatativa» (ossia di apprezzamento di fatti idonei ad iscrivere il soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore) può seguire la fase «prognostica» in senso stretto (ossia la valutazione delle probabili, future condotte, in chiave di offesa ai beni tutelati), logicamente influenzata dai risultati della prima, secondo il generale paradigma logico di cui all’art. 203 cod.pen. Come è stato osservato in ulteriore arresto (Sez. I, 31209 del 2015 ric. Scagliarini), nessuna misura di prevenzione (sia essa personale o patrimoniale) può essere, dunque, applicata lì dove manchi una congrua ricostruzione di «fatti» idonei a determinare l’inquadramento (attuale o pregresso) del soggetto proposto in una delle «categorie specifiche» di pericolosità espressamente «tipizzate» dal legislatore all’art. 1 e all’art. 4 dell’attuale D.Lgs. n.159 del 2001.
- Solo l’avvenuto inquadramento del proposto in una delle categorie tipiche di pericolosità, derivante dall’apprezzamento di fatti (v. Corte Cost. n.23 del 1964 ove si è affermato che non è esatto che dette misure possano essere adottate sul fondamento di semplici sospetti; l’applicazione di quelle norme, invece, richiede una oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona..) consente, lì dove tale giudizio sia formulato in termini di attualità all’esito del giudizio di primo grado di applicare la misura di prevenzione personale, se del caso ‘congiunta’ a misura patrimoniale, mentre in ipotesi di pericolosità tipica sussistente ma non più attuale (sempre al momento della decisione di primo grado) può essere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale della confisca ‘disgiunta’ . Nei citati arresti si è evidenziato, altresì, che affermare la «condizione» di pericolosità sociale di un individuo (in un dato momento storico) è peraltro operazione complessa che nel giudizio di prevenzione non si basa esclusivamente sulla ordinaria «prognosi di probabile e concreta reiterabilità» di qualsivoglia condotta illecita – così come previsto in via generale dall’articolo 203 del codice penale ( norma che non distingue la natura della violazione commessa a monte e postula la semplice commissione di un reato) – ma implica il precedente inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore, sicchè la espressione della prognosi negativa deriva, appunto, dalla constatazione di una specifica inclinazione mostrata dal soggetto (dedizione abituale a traffici delittuosi, finanziamento sistematico dei bisogni di vita almeno in parte con i proventi di attività delittuose, condotte lesive della integrità fisica o morale dei minori o della sanità, sicurezza o tranquillità pubblica, indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose e altre ipotesi tipiche, di cui all’art. 4 d.lgs. n.159 del 2011) cui non siano seguiti segni consistenti di modifica comportamentale.
- Dunque parlare di pericolosità sociale come caratteristica fondante del giudizio di prevenzione se da un lato è esatto, in quanto si intercetta il valore sistemico della misura di prevenzione, che è strumento giuridico di contenimento e potenziale neutralizzazione della pericolosità, dall’altro può essere fuorviante lì dove tale nozione venga intesa in senso del tutto generico, senza tener conto della selezione normativa delle specifiche «categorie» di pericolosità. Le indicazioni del legislatore, in quanto ‘tipizzanti’, determinano la esclusione dal settore in esame di quelle condotte che pur potendo percepirsi come manifestazione di pericolosità risultino estranee al «perimetro descrittivo» di cui agli attuali articoli 1 e 4 del Decreto Legislativo n.159 del 2011. La prognosi di pericolosità, infatti, segue gli esiti (positivi o negativi) di tale preliminare inquadramento e pertanto si manifesta in forme, costituzionalmente compatibili, che riducono la discrezionalità del giudice agli ‘ordinari’ compiti di interpretazione del valore degli elementi di prova e di manifestazione di un giudizio prognostico che da ‘quelle’ risultanze probatorie è oggettivamente influenzato.
- La descrizione della ‘categoria criminologica’ di cui agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n.159 del 2011 ha, pertanto, il medesimo «valore» che nel sistema penale è assegnato alla norma incriminatrice, ossia esprime la ‘previa’ selezione e connotazione, con fonte primaria, dei parametri fattuali rilevanti, siano gli stessi rappresentati da una condotta specifica (le ipotesi dì ‘indizio di commissione’ di un particolare reato, con pericolosità qualificata) o da un ‘fascio di condotte’ (le ipotesi di pericolosità generica). 2.4 Da tale premessa interpretativa – ampiamente ripresa proprio nella decisione Corte cost. n.24 del 2019, intervenuta nel settore della cd. pericolosità semplice nei modi già accennati – derivano una serie di conseguenze, sui temi rilevanti per la presente decisione, in punto di rapporto tra giudizio di prevenzione ed esiti di un procedimento penale su fatti posti a fondamento della fase constatativa del giudizio di pericolosità.
- La prima riguarda il modo di essere della cd. «fase constatativa» del giudizio di prevenzione, rappresentata dalla iscrizione del soggetto proposto (attuale o pregressa) nella categoria tipica di riferimento, base logica della prognosi. Se l’iscrizione nella categoria è una condizione della prognosi – non essendo sufficiente per la formulazione della medesima, dovendo la pericolosità porsi come giudizio rivolto al futuro – è evidente che la base cognitiva deve essere processualmente certa, altrimenti la prognosi (giudizio ontologicamente probabilistico) nasce viziata in radice. Ove si tratti delle ipotesi di cui all’art. 1 Cod. Ant. si è detto che le precedenti condotte del soggetto vanno qualificate in termini di ricorrenti attività delittuose (produttive in concreto di reddito) il che tendenzialmente esclude la possibilità di ritenere tali, in sede di prevenzione, quelle condotte che il giudice penale – nell’esercizio della sua funzione cognitiva – ha ritenuto non conformi al tipo o addirittura insussistenti nella loro dimensione fattuale o giuridica. Non è un caso, infatti, che l’origine giurisprudenziale (Sez. Un. Simone/li del 1996) del principio della «autonoma valutazione» riguardi il settore della pericolosità qualificata (appartenenza ad associazione mafiosa) nel cui ambito la descrizione normativa prevenzionale è operata in termini meno stringenti (si evoca l’indizio di appartenenza) rispetto a quelli prima evidenziati, il che rende in una certa misura sostenibile – in una con lo sviluppo autonomo dei dati informativi – l’approdo ad una diversità di esito dei due giudizi (penale e di prevenzione qualificata). Ma lì dove la parte constatativa del giudizio debba fondarsi sulla constatazione di precedenti attività delittuose (art. 1 comma 1 lett. b) o debba fondarsi sull’ indizio di commissione di un reato specifico (art.4 comma 1 lett. b) , il sistema attuale della pericolosità semplice – arricchito, come si dirà, dalla previsione specifica di cui all’art. 28 Cod.Ant. – non tollera la rielaborazione autonoma di un giudicato penale assolutorio – nel merito – da parte del giudice della prevenzione, se non nella marginale ipotesi di un consistente apporto di elementi informativi non valutati in sede penale. A venire in rilievo, in particolare, da un lato è la dimensione necessaria del principio di tassatività, dall’altro il principio di non contraddizione dell’ordinamento, specie ove la diversità di valutazione sul medesimo fatto porti a conseguenze sfavorevoli per il soggetto sottoposto ad un qualsivoglia procedimento ‘limitativo’ di diritti fondamentali.
- Conviene sviluppare – nel caso che ci occupa – il secondo aspetto, anche sulla base delle ricadute sistematiche di una disposizione di notevole impatto, come è quella dell’art. 28 d.lgs. n.159 del 2011. Già nella decisione Sez. I n. 24707/2018 ric. O//veri si è avviata una riflessione sulla riconosciuta ‘prevalenza’ – da parte del legislatore – degli esiti assolutori del giudizio penale, sul fatto specifico rilevante in sede di prevenzione – tale da rappresentare un evidente limite normativo al principio di autonomia. (In detto arresto, condiviso dal Collegio, si è precisato quanto segue: [.1 ..non può prescindersi dal fatto che il giudizio di prevenzione – specie in riferimento alle elaborazioni più recenti, tese a riconsiderare talune passate ambiguità concettuali in chiave costituzionalmente e convenzionalmente orientata – è strutturato come giudizio «cognitivo» teso a ricostruire, preliminarmente, talune condotte poste in essere dal soggetto ‘attenzionato’, in virtù del fatto che la formulazione di un giudizio prognostico rivolto al futuro (il giudizio di pericolosità attuale) è affrancata da un inaccettabile soggettivismo (che contrasterebbe con la natura giurisdizionale del procedimento) se ed in quanto trae origine da un previa operazione di tipo ricostruttivo, del tutto analoga a quella che si realizza – in sede penale – lì dove si ricostruisce il rapporto tra fatto concreto e fattispecie astratta. In particolare, secondo gli arresti univoci di questa Corte – antecedenti e successivi alla pronunzia Corte Edu De Tommaso c. Italia – la parte prognostica del giudizio è preceduta e condizionata da una parte «ricostruttiva» di fatti (con strumenti dimostrativi analoghi a quelli utilizzati in sede penale) e delle singole condotte tenute dal proposto, sì da determinare la «previa iscrizione» del soggetto nella categoria normativa tipizzata di cui agli artt. 1 /4 d.lgs. n.159 del 2011 ( si vedano sul tema, Sez. I n. 31209/2015 ; Sez. H n. 26235/2015 ; Sez. I n. 43720/2015 ; Sez. V n. 6067/2017; Sez.I n. 16038/2016; Sez. I n. 36258/2017; Sez. I n. 54119/2017; Sez. VI 53003/2017 ; Sez. I n. 349/2018; Sez. VI n. 43446/2017 ; Sez. VI n. 2385/2018 ).
- Ora, lì dove detta ricostruzione preliminare e funzionale alla formulazione della prognosi di pericolosità in prevenzione venga successivamente «smentita» dagli esiti definitivi di un giudizio penale, è evidente che a venire in rilievo (come giù emerso nella linea interpretativa formatasi sull’art. 7 legge n.1423 del 1956, seguita a partire da Sez. Un. n.18 del 10.12.1997 dep.1998, Pisco) è qui il tema del «contrasto tra giudicati» , con tendenziale prevalenza della valutazione realizzata nel contesto dotato di maggiori garanzie di affidabilità della decisione, rappresentato, indubbiamente, dal giudizio penale. Si tratta, in altre parole, del risvolto del tema che già questa Corte ha esaminato trattando i profili delle misure di prevenzione, lì dove si è affermato che lì dove le condotte sintomatiche della pericolosità risultino legislativamente caratterizzate (nell’ambito di previsioni da ritenersi tipizzanti, come quelle di cui agli artt. 1 e 4 del Cod.Ant.) in termini per lo più evocativi di fattispecie penali (quali le ‘ricorrenti condotte delittuose’ da cui il soggetto trae sostegno, l’indizio di appartenenza ad organismo mafioso, l’ indizio di commissione di uno o più fatti di reato ricompresi in una norma di rinvio) è evidente che il giudice della misura di prevenzione (nel preliminare apprezzamento di tali ‘fatti’) non può evitare di porsi il problema rappresentato dalla esistenza di una pronunzia giurisdizionale che proprio su ‘quella’ condotta (ingrediente necessario della preliminare iscrizione nella categoria normativa di pericolosità) ha espresso una pronunzia in termini di insussistenza o di non attribuibilità del fatto all’individuo di cui si discute (si rinvia, sul tema a quanto affermato da Sez. I n. 31209 del 2015, ric. Scagliarini, rv 264319/264322, nonchè, in epoca successiva, da Sez. V n. 6067 del 6.12.2016, ric. Malara, rv 269026 e da Sez. I n. 36258 del 2017, ric. Ce/in/ i).
- L’interferenza cognitiva tra i due procedimenti (penale e di prevenzione) è tema ormai ineludibile, sia pure nell’ambito di previsioni di legge che realizzino un bilanciamento, imposto dalle particolari caratteristiche del giudizio di prevenzione. Questa è, peraltro, la linea seguita dal legislatore delegato del 2011 (d.lgs. 159) in tema di revocazione della confisca (art. 28), istituto che realizza – per la prima volta – una normativizzazione dei principi affermatisi in giurisprudenza dal 1998 in poi, attraverso la previsione di cui al comma 1 lettera b dell’art. 28, disposizione che facoltizza la proposizione della domanda di revocazione quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto RAI l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca.
- E’ bene affermare, sul punto, che la non applicabilità di tale disposizione alle misure esclusivamente personali (regolamentate dal solo istituto generale della revoca, ora collocato all’art. 11 del d.lgs. n.159/2011), così come la impossibilità di applicazione del medesimo art.28 – secondo quanto previsto in tema di disciplina transitoria dall’art. 117 del medesimo d.lgs.159 – alle procedure definite con l’applicazione della previgente disciplina, non ne sminuisce il valore sistematico, di orientamento della interpretazione. E’ evidente infatti, che a fronte della costruzione (solo) giurisprudenziale di una revocabilità ex tunc della misura di prevenzione per vizio genetico «sul modello della revisione» (v. per tutte, Sez. I n. 21369 del 14.5.2008, rv 240094), l’esistenza di un modello normativo ‘tipizzato’ è dato che deve portare l’interprete verso linee il più possibili ‘conformi’ ai contenuti della normazione sopravvenuta. Con ciò si intende dire che gli aspetti di maggior interesse di tale formalizzazione legislativa, tali da transitare nella interpretazione corrente (in linea, peraltro, con considerazioni già presenti nella giurisprudenza formatasi sui contenuti dell’art. 7 1.n1.1423 del ’56, come la citata Sez. I n. 21369/2008), sono rappresentati da : – la netta scissione tra l’ipotesi della sopravvenienza di nuove prove decisive (lett. a del comma 1 art. 28) e il particolare caso di contrasto tra giudicati tra esito del giudizio di prevenzione ed esito del giudizio penale (lett. b del comma 1 art.28), sì da rendere possibile una richiesta di revoca ex tunc della misura di prevenzione anche in presenza dei medesimi elementi istruttori, lì dove siano stati diversamente apprezzati in sede penale; – la opzione legislativa verso la prevalenza del giudicato favorevole venutosi a determinare in sede penale, lì dove tale giudicato sia interpretabile nel senso di ‘escludere in modo assoluto’ i presupposti applicativi della misura di prevenzione.
- Ora, l’assenza di casistica sulla disposizione testè citata (in virtù della opzione interpretativa adottata in più arresti relativi al regime transitorio) non ha consentito di realizzare affinamenti interpretativi tesi a delimitare il concetto di ‘esclusione in modo assoluto’ (non privo di ambiguità semantica), ma appare evidente che con simile locuzione il legislatore abbia inteso preservare da automatismi (sia pure in un ambito di favor verso la revocabilità) la tenuta del giudicato di prevenzione, favorendo la costruzione interpretativa di quegli «spazi di autonomia» del giudice della prevenzione che il provvedimento qui impugnato rivendica, specie in tema di misura di prevenzione applicata per una ipotesi di pericolosità qualificata di cui all’art. 4 co.1 lett. a d.lgs. n.159 del 2011, sulla scia di una costante linea interpretativa pregressa di legittimità (si vedano, in particolare Sez. VI n. 50946 del 18.9.2014, rv 261591; Sez. I n. 6636 del 7.1.2016, rv 266364; Sez. V n. 9505 del 17.1.2006, rv 233892 ).
- Ora, ferma restando la riaffermazione di tali, sia pur ridotti, spazi di autonomia, va precisato che il generale principio di non-contraddizione dell’ordinamento, in una con la scelta legislativa di accordare tendenziale preferenza al giudicato penale favorevole (ove di merito) impone di costruirne il senso non già in chiave di mera discrezionalità quanto in termini di possibile valorizzazione di dati obiettivi (normativi o fattuali) che si pongano come congruo fattore di giustificazione al mantenimento della misura di prevenzione pure a fronte di un ‘incidente’ giudicato penale di assoluzione. In particolare, lì dove la «interferenza cognitiva» tra i due procedimenti (di prevenzione e penale) vada a cadere su un ingredente essenziale della parte ricostruttiva del giudizio di prevenzione, è da escludersi che possa farsi leva su tale spazio di autonomia per giustificare, in sede di esame della domanda di revoca, il mantenimento in essere del provvedimento applicativo della misura di prevenzione. Ciò perchè, come si è detto in precedenza, il recupero di tassatività descrittiva delle categorie tipiche di pericolosità è stato realizzato negli arresti prima citati (specie sul fronte della cd. pericolosità generica) proprio attraverso la valorizzazione della ‘correlazione’ con uno o più delitti ritenuti come realizzati dal soggetto proposto (sicchè lì dove la valutazione del giudice della prevenzione sia su smentita dal giudice della cognizione penale viene meno uno dei presupposti tipici cui era ancorata la misura dì prevenzione).
- Risulta, per converso, possibile realizzare un simile effetto – di mantenimento della misura – lì dove il segmento fattuale ‘azzerato’ dal diverso esito del giudizio penale si inserisca come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale), o dove il giudizio di prevenzione si basi su elementi cognitivi realmente autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale, o ancora lì dove la conformazione legislativa del tipo di pericolosità prevenzionale risulti essere realizzata in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale (è il caso del rapporto che intercorre tra la nozione di appartenenza e quella di partecipazione alla associazione di cui all’art. 416 bis cod.pen. 3.
- Dunque, vanno ribaditi, anche nel caso oggetto di valutazione, una serie di principi di diritto, che il Collegio condivide e fa propri e che possono essere sintetizzati nel modo che segue: a) nel giudizio cognitivo di prevenzione, l’applicazione delle previsioni di legge di cui agli articoli 1 e 4 d.lgs. n.159 del 2011 richiede adeguata motivazione circa la esistenza pregressa delle condotte attribuite al proposto, aderenti ai contenuti della previsione astratta, declinata – quest’ultima – in termini tassativi, trattandosi R-1-7 della base logica e normativa del giudizio di pericolosità soggettiva ; b) il giudice della misura di prevenzione può fare riferimento, in tale parte della motivazione, a provvedimenti emessi in sede penale che abbiano affermato (anche decisioni di primo grado o misure caute/ari) la ricorrenza delle condotte in questione, esprimendo argomentata condivisione e confrontandosi con gli argomenti contrari eventualmente introdotti dalla difesa; c) il giudice della misura di prevenzione può ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione – anche in assenza di procedimento penale correlato – in virtù della assenza di pregiudizialità e della possibilità di azione autonoma di prevenzione (art. 29 Cod.Ant.); d) il giudice della misura di prevenzione è tuttavia tenuto ad osservare l’eventuale esito assolutorio non dipendente dall’applicazione di cause estintive – sul fatto posto a base del giudizio di pericolosità – prodottosi nel correlato giudizio penale con le sole eccezioni che seguono : 1) il segmento fattuale oggetto dell’esito assolutorio del giudizio penale si pone come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale); 2) il giudizio di prevenzione si basa su elementi cognitivi autonomi e diversi rispetto a quelli valutati in sede penale; 3) la conformazione legislativa del tipo di pericolosità prevenzionale è descritta in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale.
- I principi di diritto di cui sopra, risalenti come si è detto a Sez. I n.43826 del 2018, ric. Righi ed altri, rv 273976, sono stati ribaditi, tra le altre, da Sez. V n. 182/2021, ric. Zangrillo, rv 280145 ove si è affermato, quanto alla pericolosità semplice, che il giudice della prevenzione, in sede di verifica della pericolosità generica del soggetto proposto per l’applicazione di misura ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non può ritenere rilevanti, in base al principio della “valutazione autonoma”, fatti per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di assoluzione, in quanto la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità. E’ emerso, peraltro, un orientamento – in parte – contrario, nel cui ambito si promuove una distinzione riferita alle ragioni della assoluzione pronunziata in ambito penale, secondo cui la pronunzia assolutoria – sul fatto specifico – risulterebbe vincolante solo ove emessa ai sensi dell’art.530 comma 1 cod.proc.pen. (v. Sez. Il n. 4191 del 2022, ric. Staniscia, rv 282655; Sez. Il n.33533 del 2021, ric. Avorio, rv 281862; Sez. Il n.31549 del 2019, ric. Simply, rv 277225 ).
- A parere del Collegio, tuttavia, a prescindere dalla rilevanza nel caso in esame, si tratta di una lettura interpretativa che ripropone il tema della «autonomia procedimentale» in modo non conforme alla disposizione di riferimento (art. 28 d.lgs. n.159 del 2011), posto che l’esclusione in senso assoluto’ dei presupposti applicativi della confisca (locuzione utilizzata dal legislatore per descrivere l’effetto inibitorio del giudicato penale favorevole) non è da intendersi con riferimento alle «ragioni» della assoluzione (che è sempre da intendersi come esclusione della verità dell’addebito, in termini di attribuzione del fatto, di esistenza dell’elemento psicologico o della sua rilevanza penale) ma è da intendersi in rapporto alla pluralità e concorrenza dei più elementi di fatto che condizionano, nel quadro normativo, la stessa statuizione di confisca. Il giudicato penale di merito favorevole al proposto, in altre parole, può non escludere in toto l’esistenza dei presupposti della confisca perché : a) ricade su uno degli episodi storici posti a base dell’inquadramento soggettivo, ma ne esistono altri che consentono di realizzare la base cognitiva necessaria; b) risulta superato da acquisizioni posteriori che ne consentono una rassicurante rivalutazione (sottolinea l’aspetto della impossibilità di riproporre una valutazione ritenuta incongrua in sede penale Sez. 11 n. 19880 del 2019, rv 276917). Ma al di fuori di queste ipotesi, ad avviso del Collegio, la statuizione di insussistenza del reato, emessa in sede di merito, non può essere posta a base dell’inquadramento tipico – in sede di ricostruzione della pericolosità di cui all’art.1 d.igs. n.159 del 2011 – pena la elusione del disposto normativo e la violazione del principio di non contraddizione dell’ordinamento.
- Ciò posto, va verificato ulteriormente in che termini l’autonomia del procedimento di prevenzione possa atteggiarsi in caso di pericolosità qualificata (art.4 Cod.ant.) nelle ipotesi di decisione assolutoria (o di provvedimento di archiviazione) emessi in sede penale sui fatti posti a base della cognizione prevenzionale.
- Come si è notato, il possibile spazio di ‘autonomia valutativa’ del giudice della prevenzione nelle ipotesi di soggetto indiziato di «appartenenza» ad una organizzazione mafiosa (art. 4 comma 1 lett. a), secondo i principi prima evocati, non deriva dalla diversa descrizione del presupposto probatorio (l’indizio inteso come probatio minor rispetto alla prova vera e propria) quanto dal diverso parametro legale di descrizione della ‘relazione’ tra l’ente criminale e il soggetto attenzionato (appartenenza è ritenuta nozione più ampia rispetto alla partecipazione di cui all’art.416 bis cod.pen.). Dunque, secondo la prevalente linea interpretativa nomofilattica è possibile rintracciare l’indizio di appartenenza del proposto alla associazione mafiosa – ferma restando la necessaria e attenta considerazione delle ragioni dell’assoluzione – anche in caso di sentenza di assoluzione per il reato associativo emessa in ambito penale (da ultimo, Sez. 11 n. 23813 del 2020, rv 279805). Ciò in ragione – essenzialmente – del diverso modus descrittivo del presupposto di legge.
- Ma diverso approccio interpretativo va realizzato nelle ipotesi in cui la pericolosità qualificata sia ipotizzata in riferimento all’indizio di commissione di una fattispecie di reato tipica, diversa dalla partecipazione alla associazione mafiosa ma elevata ad indicatore di particolare pericolosità (art. 4 comma 1 lett. b, ove si compie riferimento ai reati di cui all’art.51 comma 3bis cod.proc.pen. o al reato di intestazione fittizia). In tal caso – a ben vedere – non vi è alcuna ragione logica e giuridica per sostenere che il giudicato assolutorio penale su quel ‘determinato’ episodio storico (e ancor di più la decisione di archiviazione, che attesta l’inidoneità degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio) possa essere oggetto di rivalutazione in malam partem in sede di prevenzione.
- Non vi è, infatti, in simili situazioni, alcuna ‘diversità descrittiva’ del presupposto legale della pericolosità (appartenenza versus partecipazione, come nel citato caso della lettera a dell’art.4) e la condizione soggettiva in sede di prevenzione, è mutuata dalla nomenclatura penale – e dunque dalla effettiva sussistenza – del fatto di reato, di cui si evochi l’indizio di avvenuta commissione. Pertanto, lì dove il supposto ‘indizio di commissione’ – sottoposto a valutazione in ambito penale – non abbia mantenuto la sua ontologica propensione dimostrativa verso la condanna ma abbia dato luogo ad una assoluzione, quel ‘fatto di reato’ non può dar luogo ad alcuna attribuzione soggettiva di pericolosità (ai sensi dell’art.4 comma 1 lett. b cod.ant.), semplicemente perché l’ordinamento giuridico ha escluso, nella sede propria, che quel fatto sussista, o che sia stato commesso dal soggetto cui era stato attribuito, o che costituisca reato.
- Va pertanto ulteriormente espresso, data la rilevanza del tema per la presente decisione, il principio di diritto per cui : – l’assoluzione in ambito penale per una delle ipotesi di reato richiamate nella previsione di legge di cui alrart.4 comma 1 lett. b del d.lgs. n.159 del 2011 determina la impossibilità di applicare la misura di prevenzione personale fondata sul medesimo fatto di reato quale sintomo di pericolosità.
- Nel caso di Candurro Giuseppe, pertanto, la base cognitiva dell’inquadramento soggettivo, non è stata realizzata in modo corrispondente ai principi di diritto sin qui ribaditi.
- Ed invero il Tribunale di primo grado tende a ritenere il soggetto ‘attratto’ nella fattispecie tipica di cui alla lettera a dell’art.4 (appartenenza associativa al clan Missi) senza confrontarsi in modo adeguato con l’esistenza di un provvedimento di archiviazione emesso su simile ipotesi di reato in ambito penale. Vi è da dire, sul punto, che l’archiviazione se da un lato non è caratterizzata dalla stabilità tipica del giudicato, segna – tuttavia – una insufficienza ancora più marcata del dato dimostrativo rispetto ad una assoluzione, proprio in quanto attesta la inidoneità degli elementi raccolti finanche a sostenere la tesi di accusa. Dunque il «superamento» di un provvedimento di archiviazione, sempre possibile in sede di prevenzione ed in rapporto alla ipotesi di «appartenenza associativa» di cui alla lettera a dell’art.4 (in tal senso v. Sez. VI n. 49750 del 2019, rv 277438) esige – tuttavia – un ampliamento consistente della base informativa, tale da rappresentare in modo congruo l’esistenza di comportamenti specifici del soggetto, indicativa del legame funzionale con il gruppo, diversi da quelli già valutati in sede di archiviazione penale.
- Così non è nel caso di Candurro Giuseppe, posto che il Tribunale non solo rivaluta i medesimi elementi emersi nella indagine penale ma finisce con l’attribuire a Candurro Giuseppe una pericolosità ‘di sostegno’ alle condotte del fratello Candurro Vincenzo, sulla base delle rimesse finanziarie dall’uno all’altro, rimesse che ben potrebbero avere cause del tutto diverse rispetto a quella dell’inserimento di Candurro Giuseppe nell’orbita della associazione di stampo mafioso.
- La Corte di Appello, nella verifica dei presupposti di pericolosità, tende a realizzare un inquadramento di Candurro Giuseppe nella categoria soggettiva di cui alla lettera b dell’art.4. Tuttavia, non viene esplicitato in modo adeguato quale sia la fattispecie di reato (contenuta nell’art. 51 comma 3 bis cod.proc.pen.) che consenta simile approdo. Per quanto sinora detto, non potrebbe trattarsi dell’ipotesi di riciclaggio, intestazione fittizia (o di favoreggiamento reale) aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa, trattandosi di fatti oggetto di archiviazione o di giudicato P -11 assolutorio, non rivalutabili in sede di prevenzione. Il procedimento penale in corso dal 2015 – per come descritto nelle decisioni di merito – riguarda fatti correlati ad una associazione per delinquere semplice e, pertanto, al più potrebbero dar luogo ad un diverso inquadramento soggettivo (art.1 comma i lett. b) ove se ne dimostri la continuità temporale e la concreta derivazione di redditività illecita. Né il riferimento alle dichiarazioni rese da un collaborante consente di ritenere posta in essere una vera e propria ‘ricostruzione autonoma’ di un inquadramento tipico del soggetto in questione, non essendo stato chiarito : a) se tali dichiarazioni sono state oggetto di valutazione in sede penale in uno dei procedimenti archiviati o conclusi con l’assoluzione; b) se tali dichiarazioni resistano o meno agli elementi antagonisti introdotti ed evidenziati dalla difesa del ricorrente, aspetto su cui non vi è motivazione alcuna.
- Alla luce di tutte le argomentazioni sin qui espresse va disposto l’annullamento della decisione impugnata in riferimento alla misura personale applicata a Candurro Giuseppe, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio.
- La natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art.623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione.
- Quanto alle statuizioni patrimoniali, è fondato il terzo motivo di ricorso introdotto da Candurro Giuseppe e dai terzi. Trattandosi di motivo in rito, relativo alla intervenuta violazione del termine di efficacia della confisca previsto per il giudizio di appello ai sensi dell’art.27 co.6 d.lgs. n.159 del 2011., va preliminarmente osservato che l’effetto del suo accoglimento si estende a tutti i ricorrenti, sia in virtù di quanto previsto dall’art.587 co.2 cod.proc.pen. (la mancata introduzione del motivo di ricorso rende ‘non impugnanti’ sul punto gli ulteriori ricorrenti, v. da ultimo Sez. 11 n. 4159 del 12.11.2019, dep.2020, rv 278226), che in ragione della tipologìa di vizio derivante dalla constatata violazione di legge, aspetto su cui si tornerà nel prosieguo. Nel caso in esame il motivo va esteso pertanto alla posizione di Candurro Vittorio del 1977.
- Esaminando il tema, vanno espresse le considerazioni che seguono. Un primo profilo è quello relativo alla corretta individuazione del dies a quo e del dies ad quem del termine descritto al comma 6 dell’art. 27 cod. ant. . La disposizione di legge testualmente recita : in caso di appello, il provvedimento di confisca perde efficacia se la corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso. Si applica l’articolo 24, comma 2. Nelle decisioni di di questa Corte intervenute su tale argomento – essendo agevole la individuazione del dies a quo rappresentata dall’avvenuto deposito di tutti gli atti di ricorso, qui in data 17 ottobre del 2018 – si è anzitutto rilevato che la «pronuncia» evocata dal legislatore come dies ad quem è rappresentata dal deposito del provvedimento conclusivo, comprensivo dei motivi ed avente – come è noto – natura di sentenza ma forma di decreto (v. Sez. VI n. 27968 del 15.6.2016, rv 267200; Sez. I n. 21740 del 7.3.2019, rv 276315; Sez. VI n. 21523 del 18.6.2020, rv 279312 ).
- La legge n. 161 del 2017 ha introdotto, al comma 10 septies dell’art. 7 d.lgs. n.159 del 2011 una particolare ipotesi aggiuntiva di sospensione ex lege, richiamata nel corpo del suddetto articolo 24. E’ infatti previsto che il Tribunale quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa se ritiene di non poter depositare il decreto nel termine ordinario di quindici giorni può «indicare» un termine più lungo, comunque non superiore a novanta giorni.
- Tale disposizione è certamente applicabile anche al giudizio di secondo grado, stante il richiamo, contenuto nell’art.27, alle ipotesi previste dall’articolo 24, tuttavia per realizzarsi la sospensione è necessario che l’organo giurisdizionale, nel disporre la riserva, indichi espressamente che intende avvalersi della estensione dei termini utili al deposito, di cui all’articolo 10 septies. Nel caso in esame dal verbale di udienza del 2 novembre 2021 detta indicazione non risulta. Da ciò deriva che la previsione di legge di cui all’articolo 7 comma 10 septies non è applicabile ed il termine finale del procedimento di secondo grado coincide con il deposito del provvedimento, avvenuto il 1 marzo 2022. 6.3 Il termine di durata di cui all’art.27 co.6, nella misura di un anno e sei mesi, va computato dal 17 ottobre del 2018 e vanno computate le sospensioni, nel modo (141 che segue: 1) dal 15 ottobre del 2019 al 10 dicembre del 2019 ; 2) dal 14 gennaio 2020 sino alla data del 11 maggio 2020 (l’udienza del 28 aprile 2020 ricade in periodo emergenziale Covid, con proroga ex lege della sospensione sino al111 maggio del 2020); 3) dal 7 luglio 2020 sino al 27 ottobre 2020; 4) dal 27 ottobre 2020 sino al 9 febbraio 2021; 5) dal 9 febbraio 2021 sino al 25 maggio 2021; 6) dal 25 maggio 2021 sino al 2 novembre 2021. Ora le sospensioni incidenti portano effettivamente ad una decorrenza del termine finale alla data del 14 febbraio del 2022, antecedente rispetto a quella del deposito del decreto (1 marzo 2022).
- Quanto alla natura del termine di legge di cui all’art.27 co.6 cod.ant., l’orientamento interpretativo sinora espresso da questa Corte di legittimità, cui si presta adesione, è nel senso di ritenerne la perentorietà, con presa d’atto della invalidità della decisione di secondo grado emessa a termini scaduti.
- In particolare, come affermato in motivazione da Sez. VI n. 41735 del 26.6.2019 [..] con tale disposizione il legislatore ha introdotto un termine perentorio di durata del giudizio di secondo grado, che peraltro replica la medesima regola valevole per il primo grado, in relazione al quale l’art. 24, comma 2, del decreto prevede la perdita di efficacia del sequestro se il Tribunale «non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario».
- Si è dunque individuato il “tempo” entro cui deve svolgersi il procedimento dì prevenzione patrimoniale, secondo una scansione funzionale a garantire «la speditezza dello stesso in uno con le necessarie garanzie del proposto» (così, la Relazione illustrativa al codice delle leggi antimafia). Scansione temporale, assistita da una sanzione di inefficacia, che trova la sua giustificazione, da un lato, nel principio della ragionevole durata del procedimento e, inoltre, nell’esigenza di tutela effettiva dei diritti di proprietà e di iniziativa economica (in questo senso, Sez. 6, n. 27968 del 15/06/2016, Cossa Autodemolizioni); dall’altro lato, nella prospettiva di garantire il quadro degli interessi legati all’esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati di proprietà e di iniziativa economica, che possono essere limitati rispettivamente nella prospettiva della funzione sociale (art. 42, comma 2, Cost.) e a garanzia delle (q-t esigenze di sicurezza ed utilità generale (art. 41, comma 2, Cost.), senza recare, tuttavia, un irragionevole pregiudizio alle persone che, a vario titolo, possono subire gli effetti negativi di un intervento in rem [..]. In senso analogo, tra le altre, Sez. I n. 54116 del 14.6.2017 ove si è affermato che tale norma [..] introduce un limite temporale di «efficacia» del provvedimento di confisca oggetto della impugnazione (dunque, quello emesso al termine del giudizio di primo grado), lì dove la decisione (ossia il deposito del provvedimento comprensivo di motivazione) intervenga oltre il termine, da ritenersi perentorio, di un anno e sei mesi dal deposito del ricorso in appello .
- Da ciò deriva che : a) la previsione legale di inefficacia riguarda il provvedimento di confisca di primo grado; b) ove si verifichi tale effetto, la Corte di Appello deve limitarsi a prenderne atto, il che sta a dire che il giudizio di secondo grado – sulla misura patrimoniale – diventa privo di oggetto, non potendosi confermare ciò che è divenuto inefficace per volontà del legislatore, con necessaria emissione di un dispositivo che, sulla misura patrimoniale, deve limitarsi a dichiarare l’effetto di inefficacia e la restituzione dei beni all’avente diritto [..]. In altre parole, va considerata la specificità del giudizio di secondo grado lì dove ad essere impugnata sia la statuizione (pur non esecutiva, ai sensi dell’art.27 co.2 cod. ant.) di confisca, espressa nella decisione del Tribunale. In tal caso la conferma o meno della «confisca di primo grado» rappresenta l’oggetto stesso del giudizio di appello, sicchè il limite di efficacia – espressamente riferito dal legislatore al provvedimento di confisca – finisce con il condizionare, impedendola, la decisione di conferma della statuizione ablatoria, anche in virtù della voluntas legis, tesa ad imporre cadenze temporali ‘ragionevolmente contenute’ del segmento processuale di controllo rappresentato dalla impugnazione.
- In tal senso, va altresì evidenziato che la peculiarità testè espressa rende – a parere del Collegio – non applicabili al caso qui trattato i recenti orientamenti espressi da alcuni arresti di questa Corte (in particolare Sez. V n. 30752 del 11.4.2019, rv 276466; Sez. V n. 49149 del 11.9.2019, rv 277652) tesi ad affermare il principio per cui la perdita di efficacia – ai sensi dell’art. 24 co.2 cod. ant. – del provvedimento di sequestro non è di ostacolo alla emissione (previa restituzione dei beni o calcolo della perdita patrimoniale correlata al mancato godimento dei medesimi) del provvedimento di confisca da parte del Tribunale. Si tratta di segmenti processuali, come si è detto, diversi e caratterizzati – all’evidenza – da maggiore ampiezza dei poteri riconosciuti, sul piano sistematico, al giudice di primo grado. Quanto alla misura patrimoniale la decisione impugnata, per le ragioni sinora esposte, va annullata senza rinvio.