Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 06 febbraio 2023 n. 3592
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti amministrativi – pur non comportando che il predetto giudice possa sostituirsi all’Autorità amministrativa nelle attività di accertamento e di applicazione della legge con un proprio provvedimento – non è limitato ai soli profili giuridico-formali dell’atto amministrativo, dovendosi invece estendere anche alla risoluzione delle eventuali contestazioni in punto di fatto, allorquando da tali contestazioni dipenda la legittimità dell’atto amministrativo impugnato (avvalendosi, quindi, se del caso, anche dei poteri istruttori riconosciutigli dal c.p.a.).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo, i ricorrenti hanno denunciato – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 1), c.p.c. – la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, con riferimento all’art. 111, comma 8, Cost. e all’art. 110 c.p.a.
In particolare, i ricorrenti hanno inteso sostenere che il Consiglio di Stato, con l’impugnata sentenza, avrebbe invaso il “merito amministrativo”, sostituendosi al Comune di Milano nella verifica e nell’individuazione dei presupposti da porre a base dell’esercizio del potere di autotutela e, al fine di preservare la legittimità dei provvedimenti sanzionatori, avrebbe integrato, in via postuma, l’atto di annullamento, ricomprendendo tra le ragioni del provvedimento anche una presunta (e mai contestata prima, con il provvedimento del dicembre 2015) erroneità nella rappresentazione dei luoghi.
In tal modo – ad avviso dei ricorrenti – il giudice amministrativo di appello, pur riconoscendo l’esistenza di molteplici vizi istruttori nell’operato del Comune di Milano, avrebbe posto in essere un vero e proprio provvedimento amministrativo di secondo grado (ovvero una convalida), espressivo della volontà di sostituirsi a quella di detto ente locale, attraverso una pronuncia auto-esecutiva, con contenuto sostanziale e l’esecutorietà tipica di un provvedimento amministrativo, senza salvezza degli ulteriori atti dell’autorità amministrativa.
- Con la seconda censura, i ricorrenti hanno dedotto le medesime violazioni di cui al precedente motivo, ma sotto altro profilo, ovvero prospettando che il Consiglio di Stato si era surrogato – a fronte dell’opinabilità nella scelta del quadro ricostruttivo entro cui inserire la vicenda – nella specifica valutazione (non operata dal Comune di Milano) amministrativa con una verificazione disposta all’interno del processo, nel mentre, una volta acclarata l’esistenza del denunciato vizio di lacunosità dell’istruttoria, avrebbe dovuto annullare il provvedimento impugnato ed ordinare al citato Comune di rinnovare la valutazione del caso.
- Ritengono queste Sezioni unite che i due riportati motivi – esaminabili congiuntamente, in quanto all’evidenza connessi – sono da ritenersi inammissibili.
Infatti, il Consiglio di Stato, con l’impugnata sentenza, non ha esorbitato dai limiti della propria giurisdizione, dal momento che, malgrado la mancata completa istruttoria da parte del TAR nei giudizi di primo grado, lo stesso, quale giudice di appello, non si è affatto sostituito al Comune di Milano nel rinnovare il (primo) provvedimento amministrativo impugnato (al quale era conseguita l’emissione del secondo, sul piano dell’applicazione delle conseguenze sanzionatorie).
Invero, con la sentenza di appello, è stata accertata la legittimità di tale provvedimento, tenendo conto della motivazione già in esso esplicitata e posta a suo fondamento, con la quale erano state già contestate – previo loro accertamento – la violazione della distanza e la inveritiera rappresentazione dello stato dei luoghi riportata nell’originaria D.I.A.
Il Consiglio di Stato si è limitato ad avvalersi dell’approfondimento istruttorio della verificazione (consentito ai sensi dell’art. 66 c.p.a.), al fine di appurare – in modo univoco (e, quindi, nello stesso interesse dei medesimi ricorrenti) – la sussistenza dei presupposti fattuali posti dal Comune di Milano a sostegno del provvedimento di annullamento del titolo edilizio, precedentemente emanato.
In definitiva, il giudice amministrativo di appello non si è affatto surrogato, nel caso di specie, al Comune di Milano nell’esercizio dell’attività provvedimentale e non ha sostituito, con il proprio “decisum”, la motivazione del provvedimento amministrativo impugnato in sede giurisdizionale, ma ha valutato la legittimità dello stesso, che si basava su più motivi, sulla scorta dei documenti prodotti in giudizio relativi alla già espletata – ancorché insufficiente – istruttoria procedimentale, avvalendosi, in via integrativa (come era nel suo potere, in conformità al citato art. 66 c.p.a.), anche della verificazione per il pieno accertamento dello stato dei luoghi, con particolare riferimento alle distanze fra la struttura progettata e le proprietà dei terzi, nonché alla titolarità delle aree interessate, oltre che alle eventuali difformità tra lo stato esistente ed i progetti presentati.
A tal proposito, quindi, deve affermarsi – in sintonia con l’orientamento giurisprudenziale precedente di queste Sezioni unite (cfr., in particolare, l’ordinanza n. 8093/2020) – il principio per cui il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti amministrativi – pur non comportando che il predetto giudice possa sostituirsi all’Autorità amministrativa nelle attività di accertamento e di applicazione della legge con un proprio provvedimento – non è limitato ai soli profili giuridico-formali dell’atto amministrativo, dovendosi invece estendere anche alla risoluzione delle eventuali contestazioni in punto di fatto, allorquando da tali contestazioni dipenda la legittimità dell’atto amministrativo impugnato (avvalendosi, quindi, se del caso, anche dei poteri istruttori riconosciutigli dal c.p.a., come verificatosi nella fattispecie).
- In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore del controricorrente Comune di Milano, delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, con il riconoscimento degli invocati oneri riflessi in sostituzione di iva e cpa, essendo stato detto Comune patrocinato dalla sua Avvocatura interna.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese con riferimento al rapporto processuale instauratosi tra i ricorrenti e l’intimato Condominio di via Palmieri n. 39, di Milano, non avendo quest’ultimo svolto attività difensiva in questa sede.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.