La giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione Civile, Sez. II, afferma che in tema di responsabilità precontrattuale, qualora il danno derivi dalla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, restando irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuta cronologicamente a valle e non a monte della conclusione del contratto, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto. In altri termini, in tema di dolus incidens (art. 1440 cod.), l’attore, una volta provata l’esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell’an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli (Sez. 2, n. 8318 del 16 agosto 1990).
La sentenza qui massimata, in relazione alla fattispecie di compravendita di immobile sostenuta da mutuo bancario, riafferma altresì il principio di ordine generale per cui rimane comunque a carico dell’acquirente l’onere probatorio inerente il maggior aggravio che il dolus incidens ha determinato nell’economia dei costi tutti, compresi quelli finanziari.
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1) Attraverso la prima censura, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1440 c.c. Affermano che, ove al momento delle trattative avessero saputo dell’esistenza del pregiudizio, avrebbero trattato certamente un prezzo di vendita più basso, sia per l’alea collegata alla possibilità di retrocessione del titolo di proprietà, sia per la piena consapevolezza di incontrare notevolissime difficoltà nell’ottenimento di un nuovo mutuo.
2) Con il secondo mezzo, il L. e la L. si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 1440 c.c. con riferimento ai motivi di impugnazione “di cui ai punti sub 2 e sub 3 dell’atto di appello”, considerato che la Corte d’appello aveva fatto leva sulla mancata indicazione del valore di mercato dell’immobile promesso in vendita e sulla mancata dimostrazione circa l’originaria disponibilità liquida, al momento della stipula del preliminare, per negare lo svolgimento di una CTU contabile.
In realtà, nessuno dei due elementi avrebbe avuto rilevanza, giacché avrebbe dovuto farsi riferimento esclusivamente al corrispettivo stabilito liberamente, di comune accordo fra le parti. Inoltre, sarebbe stato dimostrato che, alla data di sottoscrizione del preliminare, oltre ad aver corrisposto una caparra di Euro 10.000, i ricorrenti disponessero aliunde della somma di Euro 53.291,76.
In ogni caso, sarebbe stato nella facoltà del giudice di merito determinare, in via equitativa, l’entità del pregiudizio economico subito dal L. e dalla L., oltre al risarcimento del danno non patrimoniale.
3) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.
La Corte d’appello non avrebbe considerato che le controparti avevano formulato – ancorché tardivamente – specifiche domande, fra cui quella volta a far dichiarare risolto il contratto preliminare per grave inadempimento degli attori. Inoltre, gli stessi giudici avevano accolto il primo motivo di gravame, riconoscendo esplicitamente l’erroneità del principio di diritto formulato dal Tribunale. Da tutto ciò, quantomeno, la sussistenza di una reciproca soccombenza, che avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a compensare integralmente le spese di lite anche del secondo grado.
4) I primi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente per la loro evidente assonanza – sono fondati.
4.a) Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità precontrattuale, qualora il danno derivi dalla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, restando irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuta cronologicamente a valle e non a monte della conclusione del contratto, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto (Sez. 2, n. 4715 del 14 febbraio 2022; Sez. 1, n. 5762 del 23 marzo 2016; Sez. 2, n. 5965 del 16 aprile 2012).
In altri termini, in tema di dolus incidens (art. 1440 cod.), l’attore, una volta provata l’esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell’an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli (Sez. 2, n. 8318 del 16 agosto 1990). Non ha pertanto pregio l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui “gli appellanti non hanno fornito alcuna prova che non avrebbero concluso l’acquisto per l’importo di Euro 126.532,00, essendo tale elemento privo di riscontro”.
4.b) L’esame della Corte d’appello era dunque limitato al quantum debeatur, ed, in particolare, a determinare, sotto forma del risarcimento del danno, la minor somma costituente il prezzo già fissato nel contratto preliminare inter partes. E per monetizzare tale importo – la cui quantificazione in astratto costituiva una probatio diabolica – gli odierni ricorrenti avevano richiesto una CTU contabile, rapportata al maggior costo del mutuo ottenibile in relazione al differente valore del denaro, alle garanzie fornite ed alla graduale riduzione degli anni lavorativi del L. , rispetto a quello che avevano dovuto estinguere per poter vendere la casa coniugale ed avere la liquidità sufficiente per il nuovo acquisto.
4.b.1) I giudici di secondo grado hanno negato la suddetta istanza, giacché “gli appellanti non hanno fornito alcun elemento probatorio utile a stabilire il reale valore di mercato dell’immobile, elemento indispensabile per valutare le diverse condizioni più favorevoli richieste dall’art. 1440 c.c. rispetto al prezzo concordato e neanche hanno dimostrato le eventuali disponibilità di somme liquide di cui gli stessi disponevano al momento della sottoscrizione del preliminare di vendita.”
Ma a tale motivazione è agevole opporre – come correttamente si legge nel ricorso – che il punto di partenza sarebbe dovuto essere non il valore reale dell’immobile quanto il prezzo liberamente concordato fra le parti ed attestato dal contratto preliminare. Inoltre, il L. , nella sua qualità di lavoratore dipendente (com’è pacifico) disponeva necessariamente di un reddito annuo, sicuramente determinabile. Da ciò la conclusione che la CTU richiesta non sarebbe stata meramente esplorativa.
4.b.2) Risulta pertanto intrinsecamente contraddittoria
l’affermazione della Corte distrettuale che “la richiesta di ctu contabile, finalizzata a comprovare il preteso aumento del valore delle singole rate di mutuo rispetto alle condizioni ottenibili nell’anno 2003, appare assolutamente fuorviante e rappresenta comunque un fatto strettamente correlato alla variabilità dei mercati finanziari, al momento della richiesta del mutuo”.
In questo modo, invero, è stata preclusa alla parte la possibilità di assolvere l’onere probatorio su lei gravante, sulla base di motivazioni apparenti o perplesse (Sez. 3, n. 12884 del 22 giugno Il terzo motivo, ancorché fondato (Sez. U. n. 32062 del 31 ottobre 2022, in caso di reciproca soccombenza), resta assorbito.
In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso e dichiarato assorbito il terzo; la sentenza è cassata in relazione alle censure accolte e rinviata alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà altresì in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.
Cass. civ., II, ord., 06.02.2023, n. 3503