Cass. pen., I, ud. dep. 07.02.2023, n. 5363
PRINCIPIO DI DIRITTO
“Le misure di prevenzione vengono imposte per fronteggiare il rischio della commissione di reati nei confronti di chi sia ritenuto pericoloso in dipendenza, non necessariamente di condanne o di misure cautelari, ma dello stile di vita. Anche negli effetti va osservato che la sospensione delle regole detentive ordinarie riguarda l’esecuzione della pena nei confronti di quei detenuti che manifestino capacità di mantenere collegamenti con le associazioni di appartenenza e dì trasmettere ordini e direttive all’esterno del carcere. Ciò comporta una limitazione dei diritti soggettivi, non già la loro radicale privazione.”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
“Va escluso che la norma di cui all’art. 41-bis si ponga in contrasto con i principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost. e che sussista una riconoscibile e censurabile disparità di trattamento, rispetto al sistema delle misure di 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale prevenzione, sotto il profilo dell’adozione del provvedimento impositivo di tale regime o della sua proroga da parte dell’autorità amministrativa, anziché per decisione giudiziale come, invece, previsto per le misure di prevenzione. Non sussiste nemmeno il denunciato contrasto tra la disposizione dell’art. 41 bis ord. pen. ed i parametri costituzionali, rappresentati dagli artt. 111 e 117 Cost., poiché, sebbene il regime detentivo differenzìato sia imposto con provvedimento amministrativo, lo stesso, anche se sia autorizzata la proroga, deve essere supportato da autonoma e congrua motivazione in ordine alla permanenza dei pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e la possibilità del suo riesame in funzione della tutela del sottoposto, ammesso ad esercitare il diritto di difesa senza limitazioni. Tale tutela è assicurata in sede giurisdizionale mediante la previsione dell’istituto del reclamo innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, che provvede all’esito della procedura camerale partecipata. 1.2. La Corte costituzionale (sentenza n. 349 del 1993) ha specificamente esaminato la disposizione di cui all’art. 41-bis ord. pen., e ha escluso che vi fosse frizione di costituzionalità per lesione della riserva di giurisdizione sancita dall’art. 13, secondo comma, Cost., nella parte in cui attribuisce al Ministro della giustizia di incidere in peius sulla pena e sul grado di libertà del detenuto, osservando che la corretta lettura della norma non può che limitare il potere attribuito al Ministro alla sola sospensione di quelle medesime regole ed istituti che già nell’Ordinamento penitenziario appartengono alla competenza di ciascuna amministrazione penitenziaria e che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto. Eventuali variazioni di tale regime possono comportare evidentemente un maggiore o minore contenuto afflittivo per chi ad esse è assoggettato, proprio perché un certo grado dì flessibilità può rivelarsi necessario sia ai fini di rieducazione del detenuto che per l’ordine e la sicurezza interni, ma nel novero delle misure attualmente previste dall’Ordinamento penitenziario esse non esulano dall’ambito delle modalità di esecuzione di un titolo di detenzione già adottato con le previste garanzie costituzionali. La Corte cost. (n. 410 del 1993) ha evidenziato come nell’ambito dell’ordinamento penitenziario sia già espressamente previsto un tipo di regime detentivo -il regime di sorveglianza particolare- disciplinato dagli artt. 14-bis e seguenti, che nella sua concreta applicazione assume un contenuto largamente coincidente con il regime differenziato introdotto con il provvedimento ex art. 41- bis, secondo comma, di sospensione del trattamento penitenziario. Pertanto “è di intuitiva evidenza che il potere esercitato serve, in entrambi i casi, a consentire all’Amministrazione penitenziaria di predisporre uno strumento di particolare rigore mediante il quale fronteggiare la pericolosità di ben determinate categorie di detenuti”, 6 Corte di Cassazione – copia non ufficiale Né può discutersi (Corte cost. n. 351 del 1996) del fatto che l’applicazione della norma, nei confronti dei singoli detenuti, è rimessa all’autorità amministrativa, salvo il sindacato giurisdizionale che l’ordinamento penitenziario prevede in via generale sull’operato dell’amministrazione penitenziaria. La legge consente all’amministrazione di disporre un regime derogatorio rispetto a quello ordinario così instaurando un trattamento rientrante nell’ambito di competenza dell’amministrazione penitenziaria stessa, nella logica della differenziazione del trattamento detentivo. Avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 41-bis, pur in assenza di espressa previsione normativa, la tutela dei diritti soggettivi costituzionalmente garantiti del detenuto deve ritenersi assicurata mediante lo strumento del reclamo, proponibile all’autorità giudiziaria ordinaria. Tali indicazioni consentono di ritenere la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 41-bis ord. pen. prospettata dal ricorrente, che ripropone tematiche già risolte dal giudice delle leggi e già affrontate e respinte da questo giudice di legittimità. 2. Le censure residue sono inammissibili perché generiche e manifestamente infondate. 2.1. La giustificazione della decisione impugnata non è affatto mancante e neppure carente o apparente, ma risulta anzi esaustiva e conforme ai principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza. Il Tribunale ha motivatamente affermato che doveva ritenersi persistente la pericolosità qualificata e la capacità del condannato di mantenere collegamenti con l’associazione criminale d’appartenenza sulla scorta degli specifici elementi indicati nel decreto ministeriale, costituiti: dal ruolo di vertice ricoperto dal ricorrente nell’omonima cosca mafiosa operante nel territorio di Mazara del Vallo e zone limitrofe, della quale aveva assunto la reggenza per investitura fattane dal suo predecessore; dalla serie di rapporti con Vito Gondola, erede di Agate Mariano che, a sua volta era un soggetto vicino a Salvatore Riina. Il decreto ministeriale, dunque, valorizza una rete locale di affiliati che ha, altresì, favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro con cui Gondola aveva, da sempre, operato. Da ciò discende l’esistenza del clan mafioso e una rapidissima ascesa di Messina Dario che giungeva a un ruolo di vertice con capacità d’impartire direttive ed ordini anche dall’interno dell’ambiente carcerario. Sul punto il ricorso è manifestamente infondato, laddove afferma la violazione dell’art. 41- bis ord. pen, e l’insussistenza di motivazione sugli elementi capaci di giustificare il regime differenziato. D’altro canto, la critica elaborata in ricorso risulta generica ed aspecifica non coordinandosi con la motivazione del provvedimento impugnato e non sviluppando un’effettiva elaborazione dei dati valorizzati per inferire la capacità di trattenere collegamenti con il contesto criminale di riferimento. 7 Corte di Cassazione – copia non ufficiale 3. Egualmente generico è il terzo motivo di ricorso, caratterizzato, tra l’altro, da un dato di marcata a-specificità. Il ricorrente lamenta, invero, la violazione del diritto a difendersi “provando”, in ragione della esclusione della possibilità di articolazione di prove. Tuttavia si omette di evidenziare il requisito di decisività di esse e l’indicazione specifica, spiegando quale ruolo ciascuna avrebbe avuto nell’iter logico-giuridico della motivazione. 4. Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.”