Seguendo l’ordine logico e sistematico derivante dalla struttura dell’impugnazione in sede di legittimità, dev’essere prioritariamente esaminata la questione di cui al secondo motivo, afferente ad un profilo di natura pregiudiziale, quale si configura la responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori. Pur consapevole del contrasto in seno a questa Corte stante una pronuncia che afferma che il liquidatore di società risponde del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti (Sez. 3, Sentenza n. 21987 del 28/04/2016, Bareato, Rv. 267337), questo Collegio ritiene di aderire all’orientamento difforme, successivamente espresso anch’esso dalla Terza Sezione, secondo il quale il liquidatore di società di capitali subentrato dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, che ometta di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima risponde del delitto di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non trovando applicazione le limitazioni fissate dall’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che fa espresso riferimento alle sole imposte sui redditi (Sez. 3, Sentenza n. 20188 del 12/02/2021, Gianotti, Rv. 281340; in termini cfr. altresì Sez. 3, sentenza n. 37928 del 16/6/2021, Intini, non mass. e Sez. 3, n.26955 del 10/3/2022, Donnaloia, non mass.). Seppur riferito alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 10-ter d. Igs. 74/2000, deve condividersi pienamente il principio, estensibile a qualunque violazione tributaria e, dunque, anche al reato di omesso versamento di ritenute previdenziali, relativo all’inapplicabilità della norma di cui al citato art. 36 che, per la sua collocazione e per il suo tenore, risulta esclusivamente volta a disciplinare, nella fase della riscossione tributaria, l’obbligazione solidale, di natura civile, propria del liquidatore per il pagamento delle somme non versate riferite alle imposte sui redditi, senza che alcuna incompatibilità logico-giuridica possa trarsi tra il contenuto e il significato di detta previsione e la persistenza dell’obbligo di versamento, cui il liquidatore è tenuto secondo le regole generali degli art. 2487, comma 1, cod. civ., e il cui inadempimento è sanzionato, sul piano penale, dall’art. 10 bis. Il motivo non può, conseguentemente, ritenersi fondato. 3 d, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 2. In ordine al primo motivo deve invece rilevarsi che secondo la disciplina previgente alle modifiche introdotte dal d. Igs. 24.9.2015 n.158, pacificamente applicabile al caso di specie, anche per effetto, in ogni caso, della sentenza n.175/2022 della Corte Costituzionale, il reato di omesso versamento di ritenute al personale dipendente da parte del datore di lavoro operante come sostituto di imposta presenta una componente omissiva, rappresentata dal mancato versamento nel termine delle ritenute effettuate, ed una precedente componente commissiva, consistente, a sua volta, in due distinte condotte, costituite dal versamento della retribuzione con l’effettuazione delle ritenute e dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della dichiarazione. Come precisato da questa Corte per i fatti pregressi la prova dell’elemento costitutivo del reato, consistente nell’avvenuto rilascio ai sostituiti di imposta della relativa certificazione emessa dal sostituto, non può essere costituita, a maggior ragione dopo la pronuncia suddetta della Corte Costituzionale, dal solo contenuto della dichiarazione di cui al modello 770, essendo necessario dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta (Sez. 3, Sentenza n. 10509 del 16/12/2016, dep. 03/03/2017, Pisu, Rv. 269141), non valendo quale surrogazione sotto il profilo probatorio in sede giudiziale l’avvenuta presentazione da parte del sostituto del modello 770. Ciò sulla constatazione, condivisa dalla pressochè univoca interpretazione giurisprudenziale, che la precedente formulazione del citato art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 non soltanto racchiudesse nel proprio parametro di tipicità solo l’omesso versamento di ritenute risultanti dalla predetta certificazione, ma richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del suo rilascio ai sostituiti (Sez. 3, Sentenza n. 25987 del 13/07/2020, Ravasi, Rv. 279743). Tanto premesso, le devolute censure con le quali si lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto integrati gli elementi materiali del reato contestato alla Cadamuro, sebbene non fosse stata dimostrata con la dovuta certezza la circostanza avente ad oggetto l’avvenuto effettivo rilascio ai sostituiti di imposta delle certificazioni attestanti l’ammontare delle somme trattenute, deve ritenersi fondato. Il ragionamento seguito dal giudice di prime cure, che la Corte di appello si limita ad avallare affermando che la prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni era stata acquisita agli atti, si compendia nell’acquisizione dei Modelli 770 sottoscritti dalla prevenuta allegati alla comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, configurante la dimostrazione della loro presentazione all’Erario, e dei CUD acquisiti in copia su un CD depositato in atti, ritenuti suscettibili di restituire processualmente la prova oltre ogni ragionevole dubbio del rilascio delle certificazioni di imposta ai sostituiti. 4 Corte di Cassazione – copia non ufficiale Gli indicati argomenti non appaiono, tuttavia, tali da giustificare, con la dovuta certezza, la sussistenza dell’elemento costitutivo in questione del reato contestato. Al riguardo, è stato invero precisato che, proprio perché trattasi di elemento costitutivo, è onere dell’accusa fornire la prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti, derivandone che mentre la presentazione del modello 770 può costituire indizio sufficiente o prova dell’avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate, altrettanto non può dirsi quanto alla prova di avere anche rilasciato – termine da intendersi nell’accezione di “consegnato” – le certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni (così, in motivazione, Sez. 3, n. 6203 del 29/10/2014, dep. 2015, Rispoli, Rv. 262365). Ad incrinare ulteriormente il ragionamento indiziario vi è poi l’annotazione relativa all’esistenza di Cud privi della sottoscrizione di ricevuta da parte dei dipendenti. Sebbene la stessa giurisprudenza civile (Sez. 5, n. 14138 del 07/06/2017, Rv. 644424) appaia incline a ravvisare una sorta di equipollenza tra certificazioni del sostituto d’imposta ed altri mezzi ritenuti, in tesi ed in difetto, idonei alla prova dell’operata ritenuta, onde evitare un duplice prelievo a carico del sostituito, ciò non può dirsi con riferimento ai CUD redatti da un commercialista in assenza della dimostrazione che gli stessi siano stati consegnati ai diretti interessati, cioè ai sostituiti (in termini cfr. Sez.3, sentenza n. 16434 del 20.11.2019, non mass.). Sarebbe stato necessario, al fine di dimostrare l’avvenuta rimessa delle certificazioni ai diretti destinatari, e dunque l’esternazione rispetto alla stretta sfera di influenza del redattore di esse e la loro materiale dazione ai rispettivi interessati, integrare la prova attraverso l’acquisizione delle dichiarazioni dei redditi dei sostituiti, ovverosia dei Modelli 730 ovvero del Modello Redditi Persone Fisiche dei dipendenti così da assicurare l’imprescindibile controllo incrociato tra le dichiarazioni dei redditi dei sostituiti e il Modello 770 redatto dal sostituto di imposta. Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, restando gli ulteriori profili di censura assorbiti
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 6 febbraio 2023, n. 4904