Corte Costituzionale, sentenza 30 dicembre 2022 n. 270
Va dichiarata manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 36, 38 e 97, secondo comma, Cost. e non fondata, in riferimento all’art. 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevedono anche per i funzionari della Polizia di Stato il computo gratuito degli anni di durata legale del corso di laurea magistrale o specialistica richiesto ai fini dell’accesso alle rispettive carriere, previsto per gli ufficiali dei corpi militari dello Stato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 224 del 2021), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, dubita, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97, secondo comma, Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 13 e 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte in cui non prevedono, per i funzionari della Polizia di Stato, il computo gratuito degli anni di durata legale del corso di laurea magistrale o specialistica richiesto ai fini dell’accesso alle rispettive carriere, previsto per gli ufficiali degli «altri corpi militari».
1.1.– Il presente giudizio è originato da una controversia promossa nei confronti dell’INPS da funzionari della Polizia di Stato in possesso del titolo di laurea magistrale o specialistica richiesto dal rispettivo bando di concorso, che hanno agito in giudizio per vedersi riconosciuto il diritto al computo gratuito ai fini pensionistici, previsto dall’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per gli ufficiali dei corpi militari dello Stato, degli anni di durata legale del corso di laurea magistrale o specialistica, previa rimessione degli atti a questa Corte per veder dichiarare la illegittimità costituzionale della predetta disposizione per violazione degli artt. 3, 36, 38, e 97, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede l’applicazione anche ai funzionari della Polizia di Stato di un tale beneficio.
In accoglimento della prospettata eccezione di illegittimità costituzionale, il giudice a quo ha quindi sollevato la questione in oggetto nei termini innanzi indicati.
In punto di rilevanza il rimettente afferma che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione, poiché il combinato disposto degli artt. 13 e 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 esclude la possibilità di estendere l’applicazione della disposizione censurata ai ricorrenti, in quanto riservata espressamente agli ufficiali, e dunque al personale militare, dal citato art. 32, richiamato dall’art. 1860 del d.lgs. n. 66 del 2010, laddove l’art. 23, quinto comma, della legge n. 121 del 1981 – che ha disposto la soppressione del Corpo degli agenti di pubblica sicurezza con contestuale creazione della «Polizia di Stato» ad ordinamento civile, realizzando la cosiddetta “smilitarizzazione” del personale di pubblica sicurezza – stabilisce espressamente che «[a]l personale appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, per quanto non previsto dalla presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le norme relative agli impiegati civili dello Stato».
In considerazione di tali inequivoci enunciati normativi, il giudice a quo afferma che il dubbio di legittimità costituzionale non può quindi essere superato mediante interpretazione adeguatrice, sicché allo stato degli atti il diniego opposto dall’INPS alla richiesta dei ricorrenti appare coerente con l’ordinamento.
1.2.– Riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo afferma che la sua riproposizione non può essere preclusa dall’esito delle ordinanze n. 847 del 1988 e n. 168 del 1995, che ne hanno dichiarato la manifesta infondatezza a motivo della discrezionalità del legislatore nel disciplinare le modalità di riscatto a fini pensionistici del periodo di studi universitari, giacché tali motivazioni non sarebbero più attuali: da un lato, per effetto della intervenuta equiparazione, ad opera del d.lgs. n. 66 del 2010, dei limiti di età per la cessazione dal servizio dei militari (all’epoca delle ordinanze, inferiori a quelli previsti per la Polizia di Stato), rispetto a quelli stabiliti dal d.lgs. n. 334 del 2000 per le corrispondenti qualifiche del personale della Polizia di Stato; dall’altro, a motivo del processo di sostanziale omogeneizzazione del regime ordinamentale del personale del comparto di sicurezza a prescindere dallo status militare (in particolare l’Arma dei carabinieri) o civile quale la Polizia di Stato, stante le forti analogie tra le funzioni svolte, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
In proposito, il rimettente menziona i più significativi interventi che attesterebbero la dedotta tendenza legislativa.
1.3.– Ciò premesso, il giudice a quo afferma che l’assetto normativo in tema di riscatto del corso di studi applicabile al personale della Polizia di Stato determinerebbe una lesione dei parametri costituzionali evocati.
Innanzitutto, la diversità della normativa in tema di riscatto del corso di studi di laurea applicabile al personale della Polizia di Stato rispetto alle Forze di polizia ad ordinamento militare comporterebbe una discriminazione fra situazioni similari, lesiva del canone di ragionevolezza e del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.
Il combinato disposto degli articoli censurati violerebbe, poi, gli artt. 36 e 38 Cost., nella misura in cui, essendo previsto un contributo per il riscatto degli anni di studio, i funzionari della Polizia di Stato, che non possono affrontare tale onere economico, subirebbero il sacrificio dell’interesse al perseguimento di un trattamento pensionistico proporzionato al servizio prestato e adeguato a mantenere lo stesso tenore di vita.
Infine, secondo il rimettente, sarebbe leso il principio di buon andamento della pubblica amministrazione posto dall’art. 97, secondo comma, Cost., poiché la differente disciplina relativa al riscatto degli anni di laurea costituirebbe un disincentivo all’ingresso nei ruoli della Polizia di Stato di personale idoneo per formazione e cultura per le carriere direttive.
2.– Nel giudizio incidentale si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio principale aderendo alle argomentazioni e alla richiesta del giudice rimettente.
Nel giudizio si è, altresì, costituito l’INPS ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. Sia l’INPS che la difesa statale hanno confutato le argomentazioni addotte dal giudice rimettente a sostegno della questione di legittimità costituzionale.
L’ANFP ha depositato, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, un’opinione scritta quale amicus curiae, nella quale ha aderito alle argomentazioni addotte dal giudice rimettente e dalle parti private, costituitesi in giudizio.
3.– Il rimettente censura il combinato disposto delle disposizioni dettate dall’art. 13 e dall’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 nella parte in cui non prevede, e dunque non consente, l’applicazione anche ai funzionari della Polizia di Stato del computo gratuito ai fini pensionistici degli anni di durata legale del corso di laurea richiesto per l’accesso alle rispettive carriere previsto invece per gli ufficiali dei Corpi militari dello Stato e, dunque, anche per quelli dell’Arma dei carabinieri.
L’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, recante «Periodi di studi superiori e di esercizio professionale», al primo comma stabilisce: «[i]l dipendente civile al quale sia stato richiesto, come condizione necessaria per l’ammissione in servizio, il diploma di laurea o, in aggiunta, quello di specializzazione rilasciato dopo la frequenza di corsi universitari di perfezionamento può riscattare in tutto o in parte il periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento, verso corresponsione di un contributo pari al 6 per cento, commisurato all’80 per cento dello stipendio spettante alla data di presentazione della domanda, in relazione alla durata del periodo riscattato».
Invece l’art. 32, recante «Studi superiori richiesti agli ufficiali», dispone: «[n]ei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea si computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi. Si computano altresì gli anni corrispondenti al corso di studi universitari, di durata inferiore al corso di laurea, richiesti come condizione necessaria per la nomina in servizio permanente effettivo o per l’ammissione ai corsi normali delle accademie militari per la nomina a ufficiale in servizio permanente effettivo».
È, dunque, evidente la diversa disciplina della valorizzazione a fini pensionistici del periodo di studi universitari: ai funzionari della Polizia di Stato, in quanto dipendenti civili ai sensi dell’art. 23, quinto comma, della legge n. 121 del 1981, si applica il regime oneroso del riscatto previsto dall’art. 13 e non il beneficio del computo gratuito di tale periodo a fini pensionistici previsto dall’art. 32 per gli ufficiali delle Forze armate e, dunque, anche per quelli dell’Arma dei carabinieri.
4.– La questione, come si è rilevato, è stata già sottoposta al vaglio di questa Corte che, con le ordinanze n. 847 del 1988 e n. 168 del 1995, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza in base a due considerazioni principali: in via generale, la discrezionalità di cui gode il legislatore in materia di regolazione del riscatto sia nello scegliere i periodi ammissibili sia nel determinarne le modalità, sia nello stabilire se porre a carico dell’interessato il relativo onere finanziario in tutto o in parte; nello specifico, la diversità dell’impiego militare rispetto a quello civile, con particolare riguardo ai più bassi limiti di età per la cessazione dal servizio (all’epoca) stabiliti per i militari, con conseguente maggiore difficoltà, rispetto ai civili, di raggiungere il massimo dell’anzianità utile per il trattamento di quiescenza.
Pertanto, l’odierno thema decidendum è costituito dal verificare se il quid novi rappresentato dal giudice rimettente sia effettivamente elemento idoneo a incidere sulle predette argomentazioni addotte nelle menzionate ordinanze, così da condurre ad esiti diversi.
5.– In ordine all’ammissibilità, non sussistono dubbi sulla possibilità per il giudice rimettente di riproporre la questione già scrutinata con giudizio di manifesta infondatezza nelle ordinanze n. 847 del 1988 e n. 168 del 1995. Nell’odierno giudizio, alla luce dell’evoluzione del quadro normativo, la questione è prospettata in ordine a profili e sulla scorta di argomenti nuovi, che ne consentono la riproposizione in questa sede.
5.1.– La difesa statale ha ravvisato due profili di inammissibilità, il primo dei quali sarebbe costituito dall’ambiguità della richiesta del giudice a quo, poiché non avrebbe chiarito quale delle due disposizioni censurate, l’art. 32 o l’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dovrebbe essere oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale. Conseguentemente, secondo la difesa statale, «l’intervento manipolativo invocato presenta connotati incerti, perché l’ordinanza non chiarisce la natura della pronuncia invocata, ovvero se essa debba avere carattere additivo rispetto alla previsione “speciale” dell’art. 32 del T.U., oppure carattere ablativo rispetto alla portata generale di quanto stabilito dall’art. 13 del medesimo testo».
In ordine a tale profilo, le parti private, con la memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, hanno replicato rilevando come «il carattere della pronuncia della Corte costituzionale, invocata dall’ordinanza di rimessione, sia quello additivo rispetto all’art. 32 del citato testo unico. Questo intervento, infatti, non farebbe incorrere, nel caso di specie, in un’illegittima estensione analogica di norma a carattere eccezionale, perché il citato art. 32 è norma eccezionale solo con riferimento agli impiegati civili dello Stato, e non rispetto al personale della Polizia di Stato».
5.2.– Un secondo profilo di inammissibilità consisterebbe, secondo la difesa statale, nella inesatta individuazione delle norme oggetto di censura: l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 non deriverebbe dall’art. 13 del medesimo d.P.R. n. 1092 del 1973, ma dal ricordato quinto comma dell’art. 23 della legge n. 121 del 1981, nella parte in cui non esclude l’applicazione della predetta disciplina concernente il computo gratuito a fini pensionistici degli anni del corso di laurea dall’applicabilità generalizzata al personale della Polizia di Stato delle norme degli impiegati civili dello Stato.
5.3.– Le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa statale, che possono essere esaminate congiuntamente poiché investono profili tra loro connessi, non sono fondate.
I ricorrenti nel giudizio principale mirano, difatti, specificamente a conseguire l’applicazione della disciplina speciale dettata dall’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per gli ufficiali, cui si frappone la diversa previsione in materia dettata dall’art. 13 applicabile per i dipendenti civili dello Stato, tra i quali rientrano, a seguito della legge n. 121 del 1981, gli appartenenti alla Polizia di Stato, come stabilito dall’art. 23, quinto comma. Pertanto, tale ultima disposizione ha una portata e funzione più ampia e generale rispetto allo specifico istituto di cui i ricorrenti hanno chiesto l’applicazione con l’atto introduttivo del giudizio principale, sebbene sia indubbio che è tale normativa a costituire il fattore che ha comportato la differenziazione della disciplina applicabile alla Polizia di Stato rispetto a quella che opera per i militari, in relazione – anche – alla fattispecie in esame.
Il rimettente ha dunque individuato in maniera pertinente le disposizioni che sono all’origine del vulnus denunciato e ha delineato in termini univoci l’intervento correttivo richiesto a questa Corte.
6.– Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. non è fondata.
Il giudizio in esame si inserisce nella complessa vicenda, oramai ultraquarantennale, originata dalla “smilitarizzazione” del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza ad opera della legge n. 121 del 1981 e dalla conseguente estromissione dall’ambito applicativo delle peculiari e più favorevoli disposizioni dettate per i militari, in particolare dal d.P.R. n. 1092 del 1973, recante la disciplina del trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato.
Per i militari, il predetto d.P.R. detta una disciplina che diverge in modo significativo da quella parallela per gli impiegati civili, contemplando, come nel caso della disposizione dettata dall’art. 32, regole più favorevoli in considerazione della peculiarità dello status militare, del rispettivo ordinamento, delle caratteristiche del rapporto di servizio e delle funzioni espletate.
Si tratta di un corpus normativo che, pur inquadrandosi in un contesto profondamente modificato, conserva tuttavia ragioni di perdurante attualità, attesa la distinzione fra impiego civile e militare, che continua a comportare significative diversità di regolazione, riflesso della differenza strutturale dei rispettivi ordinamenti.
6.1.– Tali considerazioni conducono a confermare le argomentazioni che avevano indotto questa Corte, nelle ordinanze n. 848 del 1988 e n. 168 del 1995, a dichiarare non fondata la stessa questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
6.2.– Innanzitutto, permane il carattere eccezionale e derogatorio della gratuità del computo degli anni del corso universitario per conseguire la laurea per gli ufficiali prevista dall’art. 32 del d.P.R n. 1092 del 1973 rispetto al riscatto a titolo oneroso degli anni di laurea previsto per i dipendenti civili dall’art. 13 dello stesso d.P.R., che si colloca nel perimetro della disciplina generale dettata dall’art. 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici).
Il carattere spiccatamente derogatorio ed eccezionale della disposizione dettata dall’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 osta, di per sé, secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla possibilità di invocarla quale tertium comparationis. Così come, analogamente, non costituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rilevante il fatto che il legislatore abbia delimitato l’ambito di applicazione della suddetta norma (ex plurimis, sentenze n. 225 del 2014, n. 273 del 2011 e n. 131 del 2009).
D’altro canto, questa Corte ha affermato che la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex multis, sentenza n. 165 del 2020), come si verifica nella fattispecie, stante la persistente diversità del complessivo assetto ordinamentale tra le Forze di polizia ad ordinamento civile e quelle a ordinamento militare.
6.3.– In via generale, si deve escludere che la complessiva evoluzione normativa illustrata nell’ordinanza possa condurre a configurare nell’ordinamento il prospettato principio di piena omogeneità di regolazione fra personale militare e personale civile del comparto di pubblica sicurezza.
Si è già rilevato in precedenza come persista la strutturale diversità tra i rispettivi status che determina differenti soluzioni sul piano normativo e che è all’origine della dicotomia nelle discipline previdenziali fra impiego civile e impiego militare presente nel d.P.R. n. 1092 del 1973.
L’impiego militare è caratterizzato da una forte compenetrazione fra i profili ordinamentali e la disciplina del rapporto di servizio, come attesta lo stesso codice dell’ordinamento militare di cui al d.lgs. n. 66 del 2010, che, non a caso, ha normato contestualmente i diversi profili. Nella fattispecie è, difatti, l’art. 1860 del codice dell’ordinamento militare a richiamare l’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 in tema di valutazione a fini pensionistici del periodo di studi universitari per gli ufficiali.
Ben diversa è la disciplina del personale della Polizia di Stato, riconducibile, pur nelle sue accentuate specificità, a quella degli impiegati civili dello Stato.
In definitiva, il giudice rimettente, nell’accentuare la comune appartenenza al comparto Difesa, sicurezza e soccorso pubblico dei dipendenti della Polizia di Stato e dei militari dell’Arma dei carabinieri, tralascia di considerare che gli ufficiali dell’Arma dei carabinieri, avente rango di Forza armata ai sensi dell’art. 155 cod. ordinamento militare, sono beneficiari della disposizione censurata proprio in quanto militari, così come, in tale veste, ne fruivano gli appartenenti alla Polizia di Stato prima della “smilitarizzazione”.
Il rimettente adombra, dunque, una sorta di sostanziale ultrattività del pregresso status militare, condiviso dagli appartenenti alla Polizia di Stato fino alla riforma del 1981 con altre forze del comparto Difesa, sicurezza e soccorso pubblico, che condurrebbe a ritenere ancora dovuta l’applicabilità nei loro confronti, a distanza di oltre quarant’anni dalla riforma stessa, del sistema normativo specificamente previsto per i dipendenti militari in materia previdenziale dal d.P.R. n. 1092 del 1973.
In tal senso appare sintomatico che il rimettente prospetti la questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 13 e 32, nella parte in cui non prevedono il computo gratuito anche ai funzionari della Polizia di Stato degli anni di durata legale del corso di laurea «previsto per gli ufficiali degli altri Corpi militari», poiché l’utilizzo del termine «altri» sottende una qualificazione della Polizia di Stato oramai da tempo venuta meno.
6.4.– Infine, in ordine alla sopravvenuta parificazione dei requisiti di età di cessazione dal servizio per la Polizia di Stato e per i militari, questa Corte osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, la circostanza non comporta la necessaria estensione della disciplina di favore ai funzionari della Polizia di Stato.
7.– In riferimento agli altri parametri costituzionali dedotti dal rimettente, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
7.1.– Relativamente alla violazione dell’art. 36 Cost., questa Corte rileva che il corso di studi di laurea è estraneo all’attività lavorativa espletata, cui si riferisce la prestazione previdenziale e, pertanto, la disposizione censurata esula dal perimetro presidiato dal parametro costituzionale in oggetto.
7.2.– Per analoghe ragioni non è evocabile nella fattispecie la lesione dell’art. 38 Cost., poiché la disciplina del riscatto a fini previdenziali del periodo di studi universitari non rientra nell’ambito di tutela previdenziale cui si riferisce il parametro stesso.
7.3.– Sono, altresì, manifestamente infondate le argomentazioni svolte dal giudice rimettente a sostegno della dedotta lesione dell’art. 97, secondo comma, Cost.
Preliminarmente, si rileva che è competenza del legislatore prevedere le diverse forme di incentivazione alla formazione culturale del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
In tale ottica, l’assunto del giudice a quo secondo cui la non applicazione del beneficio in questione ai funzionari della Polizia di Stato costituirebbe un disincentivo a una maggiore formazione professionale varrebbe anche per tutti i dipendenti pubblici che rivestono una qualifica e svolgono funzioni per le quali è richiesto il possesso della laurea. Ne consegue che sotto tale profilo non sarebbe censurabile l’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per la mancata applicazione ai funzionari della Polizia dello Stato, bensì il precedente art. 13 laddove, per tutti i dipendenti civili, stabilisce non la gratuità del computo degli anni di laurea, ma la mera facoltà di riscatto a titolo oneroso.
Infine, risulta tautologica e assertiva l’affermazione del rimettente secondo cui il beneficio accordato dall’art. 32 favorirebbe la propensione di soggetti in possesso di diploma di laurea ad accedere all’impiego militare presso l’Arma dei carabinieri a scapito dell’impiego civile presso la Polizia di Stato, così incidendo negativamente sul buon andamento delle funzioni assegnate a quest’ultima. Difatti è appena il caso di osservare che sono molteplici e ben più complessi e variegati i fattori che inducono ad optare per l’una o l’altra carriera, in primis la stessa acquisizione dello status militare piuttosto che dello status di impiegato civile, con tutte le conseguenti implicazioni.
8.– In conclusione, la questione di legittimità costituzionale in esame va, pertanto, dichiarata manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 36, 38 e 97, secondo comma, Cost. e non fondata, in riferimento all’art. 3 Cost.