MASSIMA
Ai sensi dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934 « i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge ». Per giurisprudenza consolidata, il vincolo cimiteriale é da ritenersi di natura conformativa e determina una situazione di inedificabilità ex lege, integrante una limitazione legale della proprietà, assoluta e non derogabile, di carattere imperativo e cogente, suscettibile di imporsi di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici e persino assorbente rispetto all’onere di acquisire pareri tecnici obbligatori, per esempio della Commissione Edilizia (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 1 dicembre 2020, n.7617; Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4692; Cons. Stato, Sez. II, 26 agosto 2019, n.5863).
La illustrata natura del vincolo preclude, quindi, il conseguimento di qualsivoglia sanatoria – ex L. 47/1985; ex L. 326/2003 – (Cons. Stato, Sez. VI, 10 aprile 2020, n.2370; Cons. Stato, Sez. VI 15 ottobre 2018, n.5911).
Contribuisce ad escludere la sanabilità degli interventi il fatto che, ai sensi della L.R. n.10/2004, le opere abusive «siano realizzate in uno dei Comuni di cui alla Legge Regionale n. 21 del 10.12.2003» aventi destinazione residenziale. Ciò nonostante Il fondamento della violazione, cioè l’inedificabilità dovuta al vincolo cimiteriale, come correttamente rilevato dal Tar in primo grado e confermato in Appello, sorregge di per sé la legittimità del provvedimento impugnato essendo pacifico in giurisprudenza che, in presenza di una pluralità di motivi che supportano il provvedimento, trova applicazione il principio, secondo cui, ai fini della verifica della legittimità dell’atto amministrativo, è sufficiente che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l’atto stesso (Cons. St., sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 12; 18 maggio 2012, n. 2894 e 27 aprile 2015, n. 2123; Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2015, n. 927; Tar Napoli, sez. III, 22 settembre 2015, n. 4583; Cons. Stato, Sez. III, 1 giugno 2020, n.3422).
Inoltre, il Consiglio di Stato ha ribadito che in base alla L. 142/1990 e al Testo Unico Enti Locali, D. Lgs 267/2001, « la competenza originariamente attribuita dalla legge n. 47 del 1985 al Sindaco si deve ritenere trasferita ai dirigenti», in particolare «la competenza ad adottare provvedimenti repressivi in materia edilizia è stata riconfermata in capo ai dirigenti, ai sensi dell’art. 107, comma 1, lett. f) e g) (che ha sancito la distinzione tra la competenza ad adottare gli atti di indirizzo e controllo politico e quella ad adottare gli atti di gestione dell’attività amministrativa)» (Cons. Stato, Sez. VI, 30 novembre 2021 n. 7975).
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In data 28 marzo 1986 l’appellante Francesco Maione presentava al Comune di Sant’Anastasia istanza di concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. n. 47/1985 riferita ad un fabbricato consistente in un piano terra adibito a garage ed un primo piano destinato a civile abitazione.
Il 10 dicembre 2004, l’appellante Vincenzo Maione presentava al Comune analoga istanza, ai sensi della L. n. 326/2003, riferita all’intervento di sopraelevazione eseguito sul medesimo fabbricato per la realizzazione di un secondo piano adibito a civile abitazione.
Il Comune, con determinazione n. 62 del 12 giugno 2008, respingeva entrambe le istanze, ingiungendo la demolizione di quanto abusivamente realizzato, sul rilievo:
che «l’immobile ricade in zona di rispetto cimiteriale, sul vigente P.R.G.» con vincolo di inedificabilità;
che la «costruzione è stata realizzata in territorio sottoposto a vincolo paesaggistico»;
che l’esistenza dei suddetti vincoli ostano ex art. 32 della L. n. 326/2003 all’accoglimento delle istanze di condono;
che ai sensi della L.R. n. 10/2004, «non sono suscettibili di sanatoria le opere abusive realizzate in uno dei Comuni di cui alla Legge Regionale n. 21 del 10.12.2003» aventi destinazione residenziale.
Gli appellanti impugnavano il provvedimento con ricorso iscritto al n. 5651/2016 R.R. che il Tar Campania respingeva con sentenza n. 4121 del 30 agosto 2006 ritenendo sufficiente il fondamento della contestazione relativa alla violazione della fascia cimiteriale e assorbimento delle residue censure.
Gli appellanti impugnavano la sentenza con appello depositato il 23 marzo 2017 deducendone l’erroneità sotto svariati profili e riproponendo le censure assorbite in primo grado.
L’amministrazione non si costituiva in giudizio.
All’esito della pubblica udienza del 2 febbraio 2023, la causa veniva decisa.
Si premette che con il provvedimento impugnato in primo grado l’amministrazione contestava la realizzazione, in difetto di titolo edilizio, di un manufatto edilizio «in territorio sottoposto a vincolo paesaggistico [in difetto del prescritto nulla osta, ndr] ed in zona sottoposta a vincolo cimiteriale di inedificabilità».
Veniva, altresì, contestato che l’opera ricade in uno dei Comuni contemplati dalla L.R. n. 21/2003, nel territorio dei quali, ai sensi dell’art. 3 della L.R. n. 10/2004, non è consentita la sanatoria di opere edilizie aventi destinazione residenziale.
Con il primo motivo l’appellante deduce «ERROR IN IUDICANDO – VIOLAZIONE ARTT. 32 commi 24, 25, 26 27 l. n. 326/2003 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 31 – 35 L. 47/85 – ECCESSO DI POTERE – ERRONEITA’ E/O INESISTENZA DEI PRESUPPOSTI – TRAVISAMENTO – PERPLESSITA’» allegando, a sostegno dell’erroneità della sentenza, che il vincolo derivante dalla fascia di rispetto cimiteriale «per un progetto di ampliamento» sarebbe di inedificabilità relativa ex art. 32 della l. n. 47/1985 (e non assoluto ex art. 33), come già riconosciuto dal Tar Toscana con sentenza n. 11/2015.
Il vincolo cimiteriale, a parere dell’appellante, precluderebbe la sanabilità dell’intervento unicamente nel caso in cui derivi dalla legge «in relazione alla presenza di cimitero già esistente» e non già in relazione a quella che sarà la fascia di rispetto a seguito di futuri ampliamenti ella struttura: posizione già affermata dal Tar Toscana con sentenza n. 800/2014.
Allega ulteriormente che, come anche in questo caso affermato dal Tar Toscana con sentenza n. 230/2015, «l’apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio finalizzato alla realizzazione di opere pubbliche ha efficacia meramente urbanistica e non preclude il condono edilizio in forza dell’art. 33 della legge n. 47/1985, dal cui ambito di applicazione sono estranei i vincoli posti dallo strumento urbanistico ai fini della futura localizzazione di opere pubbliche».
La circostanza non consentirebbe l’applicabilità dell’art. 338 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, che preclude l’edificabilità nelle zone poste nella fascia di rispetto di duecento metri dai cimiteri già esistenti.
Inconferente sarebbe l’ulteriore richiamo al vincolo di inedificabilità di cui al P.T.P. atteso che anche un’eventuale difformità dallo strumento sarebbe sanabile ai sensi degli artt. 31 e ss. della L. n. 47/1985, espressamente richiamata dall’art. 32 della L. n. 326/2003.
La censura è infondata.
Ai sensi dell’art. 338 del R.D. n. 1265/1934 «i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge».
Per giurisprudenza consolidata, il vincolo cimiteriale, da ritenersi di natura conformativa, determina una situazione di inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto e non derogabile, suscettibile di imporsi di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 1 dicembre 2020, n.7617; Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4692; Cons. Stato, Sez. II, 26 agosto 2019, n.5863).
La illustrata natura del vincolo preclude, quindi, il conseguimento della sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI, 10 aprile 2020, n.2370; Cons. Stato, Sez. VI 15 ottobre 2018, n.5911).
Che l’immobile in questione ricada all’interno della fascia di rispetto, non è contestabile avendo costituito oggetto di verificazione disposta in primo grado che accertava come la distanza dall’originario perimetro cimiteriale fosse inferiore ai 200 metri.
La circostanza trova, peraltro, conferma negli stessi elaborati grafici allegati alle istanze di condono degli appellanti.
Privo di rilievo ai fini in esame è, altresì, l’allegato ampliamento del cimitero previsto dal P.R.G. del 1988 che, a parere degli appellanti, avrebbe determinato l’inclusione del manufatto nella fascia di rispetto.
Richiamato quanto già esposto circa l’originaria localizzazione del fabbricato all’interno della fascia, deve essere evidenziato che, ancorché il P.R.G. 1998 prevedesse un ampliamento del cimitero, nella medesima sede veniva ridotta la fascia di rispetto da duecento metri a cento metri.
Ne deriva che le disposizioni del nuovo strumento urbanistico sono irrilevanti ai fini in esame poiché l’ampliamento programmato, con riduzione della fascia di rispetto, mantiene inalterato l’originario limite della fascia non edificabile.
Non si pone, pertanto, una questione in funzione di una modifica della fascia di rispetto essendo l’immobile originariamente posizionato a distanza inferiore a quella legale.
Deve essere, altresì, rilevata l’inconferenza dei sopra citati richiami giurisprudenziali in quanto nella controversia definita con la sentenza n. 11/2015, era contestata la violazione di una fascia di rispetto stradale; il giudizio definito con sentenza n. 230/2015, verteva in tema di bonifica di un sito ex deposito di pneumatici e, infine, la sentenza n. 800/2014, riguardava una fattispecie diversa da quella oggetto del presente giudizio poiché quel condono veniva richiesto relativamente ad interventi di ampliamento eseguiti su un fabbricato già esistente in area originariamente esterna alla fascia di rispetto e non, come nel caso di specie, ad un opera realizzata all’interno della stessa.
Il fondamento della violazione, come correttamente rilevato dal Tar, sorregge di per sé la legittimità del provvedimento impugnato essendo pacifico in giurisprudenza che, in presenza di una pluralità di motivi che supportano il provvedimento, trova applicazione il principio, secondo cui, ai fini della verifica della legittimità dell’atto amministrativo, è sufficiente che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l’atto stesso (Cons. St., sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 12; 18 maggio 2012, n. 2894 e 27 aprile 2015, n. 2123; Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2015, n. 927; Tar Napoli, sez. III, 22 settembre 2015, n. 4583; Cons. Stato, Sez. III, 1 giugno 2020, n.3422).
Per le medesime ragioni deve ritenersi infondato anche il secondo motivo con il quale gli appellanti deducono «ERROR IN IUDICANDO -VIOLAZIONE ARTT. 32 commi 24, 25, 26 27 l. n. 326/2003 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 31 – 35 L. 47/85 –– ECCESSO DI POTERE – ERRONEITA’ E/O INESISTENZA DEI PRESUPPOSTI – TRAVISAMENTO – PERPLESSITA’» affermando che tanto l’amministrazione quanto il Tar avrebbero errato nel ritenere che l’immobile ricadesse in fascia di rispetto cimiteriale.
Con il terzo motivo, gli appellanti deducono «ERROR IN IUDICANDO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 34, 76 E 99 C.P.A. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 112 C.P.C E 118 DISP. ATT. C.P.C.» censurando la decisione del giudice di prime cure di scrutinare le censure di cui al terzo e quarto motivo ritenendo le ulteriori doglianze ininfluenti ai fini del giudizio di illegittimità dell’atto impugnato nonostante queste abbiano, invece, carattere assorbente.
Detti profili vengono specificati:
– nella mancata acquisizione, da parte dell’amministrazione, dei prescritti pareri obbligatori;
– nell’incompetenza dell’organo che ha adottato i provvedimenti impugnati;
– nella illegittimità delle norme applicate dal Comune e poste a fondamento dei provvedimenti impugnati.
Il motivo è infondato.
La mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia è superata dalla già rilevata inedificabilità della fascia di rispetto cimiteriale che vincola l’amministrazione all’adozione dei provvedimenti impugnati: circostanza che supera le riproposte censure di difetto di motivazione e di istruttoria per (pretesa) omessa verifica circa la conformità urbanistica dell’intervento.
Quanto alla pretesa incompetenza del Dirigente all’adozione delle determinazioni in tema di condono sul rilievo che il potere spetterebbe al Sindaco, non può che rilevarsi come sia pacifico che «la competenza originariamente attribuita dalla legge n. 47 del 1985 al Sindaco si deve ritenere trasferita ai dirigenti almeno a partire dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, il cui art. 51, comma 2» a norma del quale «spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti» (Cons. Stato, Sez. II, 10 febbraio 2020, n. 1092).
A seguito dell’adozione del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali di cui al D. Lgs. n. 267/2001, inoltre, «la competenza ad adottare provvedimenti repressivi in materia edilizia è stata riconfermata in capo ai dirigenti, ai sensi dell’art. 107, comma 1, lett. f) e g) (che ha sancito la distinzione tra la competenza ad adottare gli atti di indirizzo e controllo politico e quella ad adottare gli atti di gestione dell’attività amministrativa)» (Cons. Stato, Sez. VI, 30 novembre 2021 n. 7975).
Irrilevanti ai presenti fini sono, infine, le sollevate questioni di legittimità costituzionale riferite alla L.R. n. 10/2004 («Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326 e successive modifiche ed integrazioni» e n. 21/2003 («Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana»).
Sul punto basti rilevare che, come affermato dal Tar, con statuizione condivisa nei suesposti sensi, ad inibire l’intervento realizzato dagli appellanti è sufficiente il già evidenziato vincolo cimiteriale fissato dall’art. 338 del R.D. n. 1265/1934.
Per quanto precede l’appello deve essere respinto senza dar luogo a pronunzia sulle spese stante la mancata costituzione dell’amministrazione appellata.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 7 febbraio 2023, n. 1338